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INTRODUZIONE
Per millenni il modello di salute che ci è stato proposto è stato
quello dell’uomo greco, il Kuros (figura 1), che nella sentenza kalòs kai
agathòs, letteralmente bello e buono, sintetizzava il modello di
uomo a cui rifarsi: bello e quindi sano e quindi ideale e
appropriato; ciò che è bello doveva essere necessariamente
buono e ciò che è brutto doveva essere cattivo.
Un concetto antico, oggi ritenuto falso e discriminatorio.
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Fig. 1 – Kuros.
Da settembre 2005 ad ottobre 2007, su una delle colonne della piazza più
importante di Londra, Trafalgar Square, è stata posta la statua di Marc
Quinn raffigurante Alison Lapper, un’artista inglese disabile ritratta
all’ottavo mese e mezzo di gravidanza.
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1
GRIFFO G.E.A., La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e l’ICF, in
BORGNOLO G., DE CAMILLIS R., FRANCESCUTTI C., FRATTURA L., TROIANO R., BASSI G.,
TUBARO E. (a cura di), ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove
prospettive per l’inclusione, Erickson, Trento 2009, p. 22.
2
Alison Lapper nasce a Burton upon Trent, in Inghilterra, il 7 aprile 1965 completamente priva delle
braccia e con le gambe poco sviluppate a causa di una deformazione congenita, la focomelia. La
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Nel suo libro Alison Lapper scrive che Quinn la convinse a posare per lui
dicendole che “la bellezza delle sculture antiche che hanno perduto le
membra a causa del logorio del tempo è incondizionatamente accettata.
Sfruttando il contesto fornito da tali opere nella storia dell’arte, voleva
creare sculture altrettanto belle di persone che fossero nate naturalmente
senza arti. Intendeva esplorare la contraddizione tra il fatto che noi siamo
chiamati disabili, corpi imperfetti, mentre le statue antiche sono considerate
il massimo della bellezza. Nessuno ha mai cercato di attaccare nuove
braccia alla Venere di Milo. La statua era considerata perfetta così com’era.
Aggiunse che nell’arte o nella scienza una disabilità viene sempre
presentata come un esempio di estrema imperfezione, in qualche modo è
sempre mostrata come un elemento grottesco o brutto. Lui voleva fare
qualcosa di diverso: creare un’opera che fosse bella, che mostrasse che
anche la forma disabile è bella”.
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La scultura intitolata “Alison Lapper incinta” (figura 2), realizzata in dieci
mesi in Italia a Pietrasanta su un unico pezzo di marmo bianco di Carrara
focomelia le derivò in seguito all’assunzione della madre del talidomide, farmaco che le donne
prendevano per impedire la nausea e il vomito. La madre la abbandonò subito dopo la nascita e venne
accolta e cresciuta in un istituto per bambini disabili. All’età di 21 anni Lapper lasciò l’ultimo dei vari
istituti in cui era cresciuta e si trasferì a Londra. Riuscì a conseguire la patente di guida e ad affittare un
appartamento. Studiò alla facoltà di Arti e Architettura all’Università di Brighton e si laureò con merito in
Arti Fini nel 1993. Oggi Lapper è un’autrice ed un’artista il cui lavoro, attraverso fotografie e dipinti,
vuole affermare un concetto di diversità che superi i pregiudizi comuni sulle disabilità. Ha un figlio,
Parys, nato a gennaio del 2000 completamente formato, ed è una madre single.
3
LAPPER A., La vita in pugno. Il coraggio di una donna diversa, Corbaccio, Milano 2006, pp. 197-198.
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dall’artista inglese Marc Quinn, simboleggia uno straordinario inno alla
diversità, alla maternità e alla femminilità.
Quinn è famoso proprio per i suoi studi su soggetti disabili allo scopo di
sviluppare nell’opinione pubblica un diverso atteggiamento nei confronti
delle persone con disabilità ed una diversa percezione del corpo senza arti.
Non era mai accaduto che una statua di donna,
disabile, nuda e incinta fosse posta nel cuore di
Londra, a Trafalgar Square.
Fig. 2 – “Alison Lapper incinta” di Marc Quinn.
“Alison Lapper incinta” è il sintomo
che anche nei processi culturali e di massa vi è
un’altra percezione della disabilità, una diversa
lettura delle diversità umane, un’accettazione che esse appartengono agli
individui e nello stesso tempo al genere umano.
La società, infatti, inizia a percepire come le persone con disabilità siano
state soggette per secoli a condizioni di discriminazione e di mancanza di
pari opportunità, sulla base di un modello medico-sanitario della disabilità
che li vedeva incapaci, inabili e malati.
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Oggi il modello sociale basato sui diritti umani aiuta a trasformare la
visione negativa che la società ha delle persone con disabilità.
La diversità appartiene al genere umano, anzi è la caratteristica costitutiva
degli esseri umani.
A ben vedere, tuttavia, Alison Lapper non è l’unica disabile senza arti di
Trafalgar Square: anche un altro personaggio famoso lo è. Poco distante,
infatti, si trova l’ammiraglio Horatio Nelson che in battaglia perse un
braccio (figura 3).
Nell’ultima “Classificazione internazionale del funzionamento, della
disabilità e della salute” (ICF) dell’Organizzazione mondiale della sanità,
peraltro, la disabilità viene considerata un’esperienza che tutti, nell’arco
della vita, possono sperimentare.
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Fig. 3 – “Horatio Nelson”.
Il mio interesse per la diversità e per la
disabilità in particolare è maturato durante il mio
percorso formativo universitario culminato nel 2003
con il conseguimento della Laurea in Scienze della
Formazione Primaria e con la contemporanea
4
ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ, ICF. Classificazione Internazionale del
Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Erickson, Trento 2002.
5
acquisizione della Specializzazione per l’integrazione degli alunni con
disabilità.
L’argomento della tesi riguarda in particolare la figura dell’insegnante di
sostegno per l’importanza che riveste, a mio avviso, nella scuola e nella
società tale professionista della formazione.
L’insegnante di sostegno, infatti, operando nella scuola, luogo d’elezione
per lo sviluppo di apprendimenti, comportamenti e competenze, può
contribuire concretamente, insieme ai colleghi curricolari, a far crescere e
maturare una nuova cultura della disabilità in una società sempre più
plurale e complessa. Infatti nella scuola possono essere intraprese tutte
quelle azioni che favoriscono negli alunni, futuri cittadini, lo sviluppo di
comportamenti prosociali e solidali, utili a sviluppare una cultura della
disabilità in una più generale cultura della diversità o meglio della
“normale diversità” (fisica, etnica, linguistica, religiosa, politica, di storie
di vita, di DNA).
5
“L’inclusione scolastica e sociale delle persone con disabilità ha costituito
un punto di arrivo ineludibile di movimenti di opinione, di impegni sociali
e umanitari conseguiti alla maturazione di una “cultura della disabilità”
quale espressione delle forze congiunte del diritto, della scienza e della
5
ISTITUTO ISTRUZIONE SUPERIORE “G. PIAZZI C. LENA PERPENTI”, UFFICIO SCOLASTICO
PROVINCIALE DI SONDRIO, La normale diversità. Convegno, in sito web
http://provveditorato.provincia.so.it/public/editor/comunicazioni/convegno%20La%20Normale%20Diver
sit(1).pdf, 06/01/2011.
6
sensibilità umana. Negli ultimi decenni infatti il settore dell’handicap è
approdato a svolte significative in ambito culturale, legislativo, formativo e
sociale”.
6
Il capitolo primo della tesi “Dall’handicap alla partecipazione
sociale” affronta l’evoluzione della percezione e della visione
dell’handicap avvenuta nel corso del tempo nella società, dedicando ampio
spazio all’ultima Classificazione internazionale del funzionamento, della
disabilità e della salute dell’OMS che sostituisce al termine handicap
l’espressione “partecipazione sociale”. Il capitolo presenta, inoltre,
l’importante sottoscrizione, anche da parte dell’Italia, della “Convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità” che afferma con
forza la promozione e la tutela dei diritti delle persone con disabilità.
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Infine analizza la relazione che sussiste tra il modello della Convenzione
ONU e il modello ICF.
Il capitolo secondo “L’integrazione e l’inclusione sociale e
scolastica delle persone con disabilità in Italia e in Europa” affronta le
radici e la storia dell’integrazione sociale e scolastica in Italia, aprendo una
6
ZAPPATERRA T., Special needs a scuola. Pedagogia e didattica inclusiva per alunni con disabilità,
ETS, Pisa 2010, p. 11.
7
ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
delle persone con disabilità, New York, 13 dicembre 2006. La Convenzione è stata firmata dall’Italia il
30 marzo 2007, ratificata dal Parlamento italiano con Legge 3 marzo 2009, n. 18 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2009.
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finestra sulla situazione dell’integrazione scolastica degli alunni con
disabilità in Europa e sui bisogni educativi speciali a scuola.
Il capitolo terzo “L’insegnante di sostegno in Italia e in Europa”
tratta gli aspetti che maggiormente contraddistinguono il ruolo e la
formazione dell’insegnante di sostegno, cercando di guardare sia entro i
confini nazionali, sia volgendo lo sguardo ai percorsi di ricerca e alle
pratiche professionali adottate nei vari paesi europei con l’ottica di
puntualizzare e riqualificare una professionalità così delicata e nodale
responsabile di tenere alto il livello della qualità dell’integrazione e
formazione degli alunni con disabilità.
“Un’indagine sugli insegnanti di sostegno delle scuole primarie
della Provincia di Massa Carrara” è il titolo dell’ultimo capitolo della tesi.
Questa ricerca svolta sul territorio provinciale è nata dall’interesse e dalla
curiosità di conoscere i pensieri e le opinioni degli insegnanti di sostegno di
scuola primaria della Provincia di Massa Carrara su aspetti relativi alla loro
professione. Dare e soprattutto ascoltare, attraverso un questionario
anonimo, la loro voce allo scopo di tracciarne un profilo-tipo. La ricerca, in
particolare, ha tentato di mettere in luce le motivazioni, i percorsi
formativi, i percorsi lavorativi, le competenze, le difficoltà, le
soddisfazioni, le aspirazioni, le luci e le ombre di questa professionalità
speciale.
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CAPITOLO I
DALL’HANDICAP ALLA PARTECIPAZIONE SOCIALE
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1.1 L’evoluzione del concetto di handicap
Il concetto di handicap ha subito una evoluzione nel corso del
tempo, proprio come quello di disabilità, che nel preambolo della
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è
riconosciuto come un concetto in evoluzione.
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All’evoluzione del concetto
di handicap ha corrisposto un mutamento nella società, nella mentalità,
nella politica e nella legislazione.
La questione su quale linguaggio utilizzare per l’handicap, pertanto, non è
di poco conto. É proprio attraverso il linguaggio, che emerge la nostra
cultura e il nostro approccio verso una determinata situazione. É chiaro, per
esempio, che migliorare l’integrazione scolastica presuppone una nuova
cultura della disabilità che non può che essere veicolata da un nuovo
linguaggio.
Il concetto di handicap affonda le sue radici in un millenario
immaginario collettivo, dove la diversità ha determinato paura, dubbio,
esorcizzazione di ciò che va oltre il conosciuto. L’accettazione e
l’integrazione sociale dell’handicap è stata in ogni periodo e in ogni
contesto storico-geografico direttamente proporzionale alla concezione
sociale dell’handicap stesso. Dall’esclusione e dai margini nell’antichità,
8
ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, Convenzione delle Nazioni …, op. cit.
12
fino alla ribalta del dibattito sociale, culturale ed educativo nel corso del
Novecento. Si potrebbe parlare di quattro periodi, attraverso i quali si
evidenzia il ritardo nella comprensione e nell’interessamento del diverso
nella nostra società.
L’antichità escludeva a priori la categoria dell’handicap,
riconoscendo come valori dell’uomo la forza fisica e la perfezione delle
linee del corpo. Anche una società democratica come quella ateniese
dell’età classica non ammetteva la presenza dell’handicappato, nemmeno
come categoria sociale marginale, che diveniva oggetto d’infanticidio o di
esposizione. Lo spartano Licurgo stabiliva per legge che i bambini deboli e
deformi fossero gettati o abbandonati presso il monte Taigeto. Lo stesso era
a Roma presso la rupe Tarpea, mentre le Leges Regiae, anteriori a Romolo,
dichiaravano non perseguibile chi uccidesse un neonato con deformità,
purché lo facesse immediatamente alla nascita. In una cultura dominata
dalla necessità della sopravvivenza fisica non c’era posto per la pietas e la
mancanza di conoscenze scientifiche sul corpo e sulla psiche umana
lasciavano largo spazio all’immaginario collettivo e al pregiudizio, che
riconducevano lo status dell’handicap o ad una colpa individuale o al
retaggio di colpe avite. La soluzione della morte o dell’abbandono era
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come una riconsegna alle sorti del destino, un rimettere alla natura ciò che
la stessa aveva voluto così.
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Il Medioevo cristiano non si diversificò molto dalla cultura
antica. La chiesa enfatizzava la figura dell’uomo creato a immagine e
somiglianza di Dio, portando all’inevitabile conclusione che l’anormalità
psico-fisica fosse l’evidente espressione della punizione divina per tutti
coloro che avevano peccato in maniera grave.
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Nel mondo cristiano l’infanticidio era considerato con orrore, il che non
significa tuttavia che non avesse luogo o fosse considerato una pratica
assurda e severamente punita. Esso era infatti una pratica comune, insieme
al fenomeno degli esposti, per cui vennero aperte le ruote presso conventi o
ospedali ed istituiti dei centri di raccolta per gli abbandonati, i poveri, i
minorati, i deformi. La società dimostra pietà cristiana e l’handicappato
viene tollerato, ma vive ai margini della società che è un altro modo di
rifiutare.
11
É solo nel XIX secolo con gli studi di Darwin sull’evoluzione
della specie che si apre la strada ad una definizione di uomo come
organismo vivente e prodotto storico-culturale. L’handicap è stato
concepito come un accidente naturale, non come colpa individuale da
9
ZAPPATERRA T., Braille e gli altri. Percorsi storici di didattica speciale, Unicopli, Milano 2003.
10
MANNUCCI A., Corpo e deformità nel soggetto diversamente abile, in MARIANI A. (a cura di),
Corpo e modernità. Strategie di formazione, Unicopli, Milano 2004.
11
TRISCIUZZI L., Prefazione, in ZAPPATERRA T., Braille e gli …, op. cit.
14
espiare o meno. Si scoprono nella malattia i limiti dell’uomo e dei suoi
caratteri psico-fisici, si rileva che il passaggio tra norma e anormalità è una
sfumatura spesso non rilevabile chiaramente, si passa da un immaginario
collettivo fondato su aspetti filosofici, etici e religiosi ad una visione
storico-scientifica dell’uomo come “macchina umana”, utile per stabilire
una prima ipotesi di funzionamento e per confrontare il sano con il disabile,
che consente allo stesso tempo all’handicappato di acquistare dignità di
persona al pari di tutte le altre.
12
Il quarto periodo diventa una conseguenza tanto scientifica
quanto soprattutto economica del precedente, pur non tralasciando l’aspetto
umanitario. La possibilità di recuperare i disabili, in primo luogo sensoriali,
riceve un impulso non solo da una più approfondita conoscenza scientifica
delle disabilità, ma anche dalle trasformazioni sociali ed economiche, dagli
inizi del terziario, dalla grande necessità di forza lavoro e di persone
produttive.
Il Novecento può quindi a buon diritto definirsi “il secolo dell’handicap”
per le sinergie della scienza, della normativa e della sensibilità umana che
hanno dato l’avvio ad un processo, tuttora in atto, di integrazione e
riconoscimento sociale, culturale, politico del disabile.
12
ZAPPATERRA T., Braille e gli…, op. cit.
15
Il concetto di disabilità è legato ai processi rappresentazionali che
si formano all’interno dell’immaginario collettivo in un determinato
momento storico. Riconoscere e comprendere come nel tempo queste
rappresentazioni collettive si sono sviluppate, dando poi forma e sostanza
agli atteggiamenti umani e alle risposte istituzionali verso i disabili, è una
operazione utile per interpretare l’attualità. É superfluo affermare che le
risposte che oggi l’organizzazione sociale tende a dare ai problemi delle
persone disabili sono anche frutto delle rappresentazioni sedimentate nel
processo storico. Cercare di comprendere le evoluzioni di questi
atteggiamenti mentali e culturali significa sostanzialmente poterci
avvicinare con maggiori strumenti di interpretazione alla realtà odierna.
In questa prospettiva e attraverso una notevole semplificazione della realtà,
inevitabile in ogni schematizzazione, Lepri cerca di presentare alcuni
passaggi significativi nella percezione collettiva della anormalità che
stanno in qualche modo alla base delle rappresentazioni odierne:
1. il monster naturae;
2. il selvaggio da educare;
3. il peccatore da salvare;
4. il malato da curare;
5. il bambino da proteggere;
6. la persona da integrare.
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Il monster naturae: la visione delle persone disabili rappresentate
come monstra naturae dalle civiltà arcaiche (e ancora oggi presente nelle
società cosiddette primitive) resta la visione prevalente in Europa fino al
1700. Fino a quel periodo, infatti, i bambini deformi non costituiscono un
vero e proprio problema, almeno dal punto di vista della loro educazione,
giacché esso viene risolto disumanamente alla radice, quanto logicamente
per quel contesto. Il mondo occidentale fino a quell’epoca è lontanissimo
dall’aver risolto i problemi della sopravvivenza, e ben consapevole di
quanto una comunità faccia a fatica a far sopravvivere i propri figli sani che
peraltro già uccide ritenendoli in eccesso, non si pone lontanamente
nessuno scrupolo nell’eliminare i suoi figli deformi. Accanto alla
soppressione intesa come soluzione naturale di un evento innaturale esiste
un altro possibile atteggiamento: la sacralizzazione. Questa risposta
comporta il riconoscimento di uno status particolare alle persone anormali
considerate tali in quanto mediatrici con le forze soprannaturali. La
sacralizzazione è comunque un atteggiamento che conferma un dato: la
paura, derivante dall’ambivalenza di fondo, di cui individui considerati
come monstra naturae sono portatori.
Il selvaggio da educare: attraverso il razionalismo illuminista
prende l’avvio una percezione nuova della diversità: il disabile diviene
oggetto di interesse, di curiosità, di osservazione. L’ipotesi è che questo