vii
internazionale, misure che si concretizzano, per la maggiore, proprio nelle
sanzioni economiche.
Ma queste sanzioni così “pacifiche”, e allo stesso tempo così utili ed
efficaci, possono veramente essere la panacea per risolvere tutti i mali? E
soprattutto, sono veramente un mezzo così pacifico e neutrale come si
afferma?
Questo mio lavoro si prefigge lo scopo, attraverso un’analisi di natura
giuridica, ma con il contributo di teorie anche economiche, politologiche,
storiche, e sociali, di illustrare come le sanzioni non siano ormai più solo la
“continuazione della politica con altri mezzi”, bensì come esse, al pari delle
guerre che vanno a sostituire, possano determinare quelle stesse situazioni di
illecito che si prefiggono di punire, in particolare per quanto riguarda i diritti
dell’uomo; questa fattispecie è determinata, in particolare, dal venir meno
del principio di proporzionalità rispetto all’illecito commesso, ovvero
dall’utilizzo delle misure economiche come strumento di mera pressione
politica.
Se è vero che, dal tempo dell’ultima guerra mondiale, l’istituto delle
sanzioni economiche si è sempre più diffuso, è anche vero che al maggior
numero di episodi non è susseguita una sufficiente opera di
regolamentazione del complesso di normative e prassi che le riguardano: è
tuttora attuale la concorrenza di competenze fra gli organi universali delle
Nazioni Unite e l’iniziativa individuale dei singoli Stati, e sempre più spazio
cercano, in materia, le organizzazioni regionali e settoriali, insieme alle
libere associazioni di Stati.
In particolare, principale imputato della discussione è il Consiglio di
Sicurezza, barcollante fra il ruolo di garante neutrale della pace e quello di
arbitro di parte nella risoluzione delle controversie internazionali. La
disamina sul potere del Consiglio di mantenere la pace senza ricorrere alle
“misure implicanti l’uso della forza” indicate nell’articolo 42 della Carta è
viii
la discussione sulle Nazioni Unite stesse, sul loro passato, sulla loro utilità
presente, e sul loro futuro.
Nel corso dei decenni, in parallelo al concetto di illecito internazionale,
sempre più strada si è fatta nella definizione delle cosiddette “gross
violations”, cioè della più alta manifestazione di violazione dei diritti
dell’uomo. Ma qual è il vero rapporto fra le violazioni dei diritti dell’uomo
che quotidianamente hanno luogo sulla scena internazionale, e le misure, in
particolare quelle economiche, che si prefiggono di combatterle, ma che
sempre più spesso vengono accusate di provocarne ulteriori?
Lungi dal raggiungere una risposta definitiva, questo lavoro cerca di porre
un po’ di ordine in una situazione confusa, dove le misure vincolanti delle
Nazioni Unite si scontrano con la natura volontaria dell’adesione alle
Convenzioni in materia umanitaria, dove la globalizzazione dei mercati
deve quotidianamente fronteggiare le misure di embargo e di deviazione
commerciale, dove ogni nuova risoluzione può dar luogo ad un dibattito di
legittimità, dove la collaborazione dei molti viene messa in dubbio dalla
titubanza e dall’agire di molti altri.
Il filo conduttore di questa dissertazione è duplice: da un lato, ho cercato di
definire lo spazio delle sanzioni economiche all’interno della vasta gamma
di misure che lo Stato, e la comunità internazionale nel suo complesso,
possono intraprendere di fronte alla violazione delle norme del diritto
internazionale; è così apparso un impianto giuridico confuso, per così dire
“in fieri”, nel quale la normativa pattizia non è ancora riuscita a fare ordine,
e per il quale si è ancora restii a riconoscere l’esistenza di sufficienti norme
consuetudinarie.
Dall’altro lato, e a suffragio di queste considerazioni, nella seconda parte
della trattazione sono state prese in considerazione alcune fattispecie
particolari, casi emblematici del comportamento delle diverse istituzioni
ix
internazionali e dei diversi Paesi di fronte agli illeciti internazionali, o ai
presunti tali. Ciò che è emerso è una fotografia della situazione
sostanzialmente neutrale, scevra di quelle implicazioni ideologiche che
troppo spesso, soprattutto attraverso la stampa e i media, hanno inquinato la
vera natura dei conflitti internazionali, ma senza però tralasciare quei dati e
quelle statistiche che appaiono indispensabili, a mio avviso, al fine di
misurare il reale impatto delle sanzioni economiche sugli Stati contro i quali
vengono imposte.
Basandomi sui dati raccolti, ho cercato infine di chiarire il punto della
situazione; il risultato è stato un quadro, a tinte sovente troppo forti, che
mostra, in conclusione, la misura della lunga strada ancora da percorrere,
affinché le sanzioni economiche possano integrarsi efficacemente con quei
diritti dell’uomo che si propongono di difendere, ma che troppo spesso sono
accusate di violare.
1
I. LE SANZIONI ECONOMICHE
1. Introduzione: autotutela e sanzioni economiche
Le sanzioni economiche sono quelle misure adottate da uno o più Stati, su
decisione propria o di organizzazioni internazionali, contro un altro Stato,
ritenuto responsabile di atti illeciti e gravemente dannosi per l’ordinamento
internazionale. Consistono prevalentemente nella sospensione o riduzione
delle relazioni economiche e commerciali, spesso accompagnandosi alla
limitazione degli aiuti allo sviluppo.
1
Una definizione più esaustiva
2
identifica la sanzione innanzitutto come una
misura coercitiva tendente ad esercitare una pressione sulla volontà di un
altro Stato, allo scopo di far compiere (o non compiere) una determinata
azione.
In secondo luogo, va sottolineato come la sanzione, a seconda dell’ambito
all’interno del quale si inserisce (universale con l’Organizzazione delle
Nazioni Unite, piuttosto che in sfere geograficamente più limitate
3
), possa
confermare o porsi in contrasto con la cornice giuridica alla quale fa
riferimento: per esempio, una sanzione in ambito ONU rafforza la necessità
di salvaguardia della pace internazionale, mentre una sanzione in ambito UE
rappresenta una deroga alla libertà di commercio prevista
nell’organizzazione.
L’eventuale violazione di trattati bi- o multilaterali viene giustificata in base
al fatto che il fine ultimo della sanzione è quello di difendere la legalità
internazionale, nei rapporti economici o economico – politici, di fronte a
1
Cfr. B.CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1997, pp. 376-377
2
Cfr. M.PANEBIANCO, Le sanzioni economico – politiche delle organizzazioni
internazionali regionali, in AA.VV., Il diritto internazionale al tempo della sua
codificazione, Milano, 1987, p. 227
3
Vedi infra, par. 2
2
fatti che legali non sono, proteggendo i diritti di singoli Stati o di insiemi di
Stati in quanto parte della comunità internazionale.
Elementi fondamentali della sanzione, che la differenziano dunque da un
illecito, sono la consequenzialità rispetto ad un fatto illegittimo commesso
da uno o più Stati, e l’obiettivo di infliggere un danno di un qualche tipo
allo Stato destinatario.
Le sanzioni incontrano un limite nel dover rispettare un criterio di
proporzionalità rispetto all’illecito che intendono punire, e nell’eventuale
previo ricorso ai mezzi diplomatici di risoluzione delle controversie, come
la mediazione o i buoni uffici. Un altro ordine di limiti, cosiddetti esterni in
quanto riferiti agli effetti del provvedimento, e riferiti in generale all’intera
disciplina dell’autotutela, consiste nel dovere, per lo Stato che attua la
sanzione, di limitare i danni per il destinatario allo stretto necessario per il
raggiungimento dello scopo prefisso.
In questo senso, le sanzioni devono conciliare il fine coercitivo che si
propongono con quelli che sono i principi generali dell’ordinamento
universale, e, in caso, anche con le finalità di equilibrio economico
nell’ambito dei rapporti con i Paesi in via di sviluppo.
Un’analisi dettagliata delle sanzioni economiche si inserisce nell’ambito più
generale della disciplina dell’autotutela: questa rappresenta nel diritto
internazionale l’ordinaria reazione ad un illecito da parte di uno Stato, che
decide quindi di “farsi giustizia da se”.
L’autotutela può svilupparsi in forma individuale, se lo Stato coinvolto è
solamente uno, o collettiva, se l’azione sanzionatoria viene attuata
contemporaneamente e in modo coordinato da una pluralità di attori
internazionali.
3
Fermo restando il divieto di minaccia o di utilizzo della forza sancito
dall’art. 2 par. 4 della Carta delle Nazioni Unite
4
, l’autotutela può
configurarsi principalmente in due modi.
Innanzi tutto, vi è la contromisura, o rappresaglia, che consiste in un
comportamento da parte dello Stato leso di per sé illecito, ma permesso in
quanto reazione ad un illecito altrui.
Nella categoria delle contromisure si inseriscono anche la legittima difesa,
prevista dall’art. 51 ONU
5
, che rappresenta l’unica deroga prevista nel
diritto internazionale al divieto dell’uso della forza e consiste nella risposta
ad un attacco armato, e il principio cosiddetto “inademplendi non est
inademplendum”, che autorizza uno Stato a sospendere l’applicazione di un
accordo nei confronti di un altro Paese che abbia violato l’accordo
medesimo.
La seconda tipologia di autotutela è la ritorsione: questa è attuata attraverso
un comportamento inamichevole, come per esempio la rottura parziale o
totale dei rapporti diplomatici o economici, che non rappresenta in sé una
violazione di norme internazionali, e che quindi, a differenza della
contromisura, può essere attuata anche indipendentemente da una previa
infrazione di obblighi internazionali.
Alcune correnti di pensiero
6
attribuiscono alla disciplina dell’autotutela la
sola funzione punitiva, dando perciò una giustificazione in termini giuridici
solamente all’istituto della rappresaglia; la ritorsione, in questo caso
rappresenterebbe quindi unicamente una manifestazione dell’assoluta
sovranità dello Stato sul proprio comportamento, sentendosi libero di
4
“I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso
della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia
in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”
5
“Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela
individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro
delle Nazioni Unite (…)”
6
Cfr. C.FOCARELLI, Le contromisure nel diritto internazionale, Milano, 1994, p. 57
4
assumere comportamenti più o meno amichevoli verso la comunità
internazionale, a propria discrezione.
Le sanzioni economiche rappresentano il punto di unione fra le teorie
generali e queste correnti: sono una chiara manifestazione di autotutela in
quanto reazione ad un comportamento illecito, e allo stesso tempo si
manifestano attraverso i mezzi tipici della ritorsione.
Ulteriore elemento che identifica la sanzione economica come forma di
autotutela è la natura intrinseca di “illecito giustificato”; questo in quanto il
diritto internazionale non prevede obblighi per gli Stati di avere o non avere
rapporti economici fra di loro, ma esistono accordi che regolano in maniera
imprescindibile l’attività di scambio commerciale fra i diversi Paesi (in
particolare, quelli stipulati nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio). Un embargo sarebbe quindi illegittimo, in violazione dei
suddetti accordi, se attuato come presa di posizione unilaterale da parte di
uno Stato, ma diventa un illecito “giustificato” nel momento in cui
rappresenta la risposta ad una violazione altrui.
Le misure economiche influiscono talvolta in maniera così profonda nella
vita di uno Stato che ci si è chiesti se, alla luce della formulazione dell’art 2
par. 4 della Carta delle Nazioni Unite, esse debbano essere incluse
nell’oggetto del divieto di ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle
relazioni fra i Membri.
7
In questo senso, accogliere la tesi dell’illiceità assoluta dell’uso della forza
economica significherebbe considerare vietate tutte le misure di tale natura,
anche quelle “giustificate” in quanto inquadrate in ambito di autotutela,
mentre considerare illecito il ritiro o la diminuzione degli aiuti economici
concessi ai Paesi in via di sviluppo, provvedimento sovente considerato
7
Cfr. A.GIANELLI, Adempimenti preventivi all’adozione di contromisure internazionali,
Roma, 1997, pp.354 ss.
5
come sanzione,
8
rappresenterebbe una visione anacronistica del problema,
in quanto la società odierna ci mostra una vasto esempio di decisioni prese
unilateralmente riguardo all’entità o alla natura delle risorse da destinare ai
Paesi in via di sviluppo; una decisione magari dettata da ragioni di politica
economica nazionale, verosimilmente per ridurre il disavanzo pubblico,
rischierebbe di trasformarsi in una questione di illecito internazionale.
La preoccupazione, in particolare, dei Paesi economicamente meno floridi
di limitare l’uso delle sanzioni economiche attraverso una ben determinata
interpretazione della Carta delle Nazioni Unite è comprensibile se si
considera che queste vengono messe in pratica solamente dagli Stati che
hanno la forza economica di sopportarne gli effetti collaterali: un simile
comportamento crea quindi due categorie ben distinte, i Paesi
finanziariamente forti che attuano le sanzioni, e i Paesi più “deboli” che le
subiscono.
Fu il Brasile, per esempio, a proporre, durante la conferenza di San
Francisco per la stesura dello Statuto ONU, un emendamento all’art.2 par. 4
ove si vietasse anche la coercizione economica
9
, ma di questo intervento
non troviamo oggi traccia nella stesura definitiva, in quanto accolto da una
minorità di Stati.
Storicamente, vi furono ulteriori tentativi di ricondurre le sanzioni
economiche all’illiceità: durante i lavori preparatori per la Dichiarazione
sulla Definizione di Aggressione del 1974
10
, si discusse in merito
all’introduzione delle misure coercitive a carattere economico nel concetto
di aggressione, con i paesi socialisti e latino-americani a favore, ma alla fine
8
Cfr. infra, p. 7
9
Cfr. Documents of the United Nations Conference on international organisation, 1945,
vol. VI, p. 559
10
Cfr. Risoluzione dell’Assemblea Generale n. 3314 XXIX del 14/12/1974, “Definizione di
Aggressione”, e Allegato A
6
niente fu incluso nel documento, in quanto l’istituzionalizzazione di tale
questione avrebbe minato il consensus.
11
Ciò che non si è riusciti a far diventare un divieto all’interno dell’art. 2 par.
4 dello Statuto ONU è stato però più volte riespresso, in maniera non
vincolante, sotto la luce del principio di non intervento: per lo Stato è
inopportuno utilizzare misure di carattere economico al fine di ottenere
vantaggi nelle proprie relazioni con altri Paesi.
Nella Dichiarazione sul Non Intervento del 1965
12
, si legge infatti:
“Nessuno Stato potrà utilizzare o incoraggiare l’uso delle misure economiche per
forzare un altro Stato a rinunciare all’utilizzo dei proprio diritti di sovranità, o per
assicurasi vantaggi di ogni tipo”
La natura politico – giuridica e l’inquadramento come autotutela – ritorsione
fa sì che le sanzioni, nella loro natura collettiva, possano essere utilizzate
anche da Stati terzi alla violazione e non direttamente lesi da questa. La
doppia natura di “comportamento inamichevole” e “mezzo di pressione”
rende la sanzione applicabile da chiunque, evitando quindi le difficili
considerazioni che investono invece l’istituto della mera contromisura
collettiva.
13
Il diritto internazionale consuetudinario non presenta infatti norme chiare in
materia: la ritorsione collettiva andrebbe applicata nel caso di violazioni di
norme che prevedono obblighi erga omnes, o di valori internazionalmente
riconosciuti come fondamentali, per esempio in caso di crimini
internazionali come genocidio, apartheid, schiavitù; ma, in ogni caso, non è
chiaro in quale misura queste situazioni creino una responsabilità dello Stato
11
Cfr. F.MADL, Defining international aggression, Budapest, 1989, vol. II, p. 92
12
Cfr. Risoluzione dell’Assemblea Generale n. 2131 XX del 21/12/1965, “Inammissibilità
dell’ingerenza negli affari interni degli Stati”. Sull’efficacia limitata delle dichiarazioni di
principi dell’Assemblea Generale, vedi infra, p. 13
13
Per un’analisi dell’argomento, cfr. B.CONFORTI, Diritto internazionale, Cit., pp. 377 ss.
7
offensore verso la comunità internazionale alla quale uno Stato terzo
rispetto alla violazione possa far riferimento per iniziare autonomamente
un’azione punitiva.
L’unico caso di responsabilità sicuramente riconosciuta, e quindi
condannabile collettivamente, è quello di aggressione armata, punibile
attraverso l’autodifesa collettiva ex art. 51 dello Statuto ONU: in questo
caso, anche le eventuali misure economiche attuate di contorno alle
operazioni militari rientrerebbero sempre nel concetto di legittima difesa
collettiva.
14
Ho accennato in precedenza come spesso il ritiro o la diminuzione degli
aiuti economici verso i Paesi in via di sviluppo possano essere considerati
sanzioni economiche.
Nonostante l’eventuale natura coercitiva, questo tipo di misure è
difficilmente distinguibile dalle usuali oscillazioni dei flussi economici e
commerciali che intercorrono fra gli Stati, e ciò porta ad una grande
difficoltà nel loro esame e nella loro attuazione. È anche per questo motivo
che embargo e boicottaggio rappresentano il mezzo più sovente utilizzato
dagli Stati in caso di ritorsione.
Tali forme di rappresaglia vengono ad ogni modo utilizzate, solitamente, in
seguito ad un deterioramento dei rapporti tra gli Stati interessati, o in
relazione ad illeciti. Storicamente, un esempio di simili sanzioni può essere
la sospensione da parte della Francia del primo pagamento previsto da un
accordo economico appena concluso con la Tunisia nel 1957, motivato dal
sostegno dato da quest’ultima al Fronte di Liberazione Nazionale Algerino.
Cercando di tracciare alcune linee generali, bisogna innanzitutto sottolineare
come gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo assumano forme molto varie: si va
dalla concessione unilaterale da parte dello Stato donante, all’erogazione di
14
Cfr. W.J.M. VAN GENUGTEN, United Nations sanctions, effectiveness and effects,
especially in the field of human rights - a multi disciplinary approach, Oxford, 1999
8
aiuti attraverso commissioni miste, alla partecipazione di società dello stato
industrializzato in imprese miste, al coordinamento multilaterale tra più
Stati donatori, a forme più indirette, come l’appoggio in seno a organismi
finanziari internazionali.
15
In molti casi, si tratta quindi essenzialmente di aiuti che lo Stato concedente
rimane libero di revocare o modificare in ogni momento, in presenza o
meno di un illecito.
Gli Stati destinatari fanno spesso ricorso al proprio “diritto allo sviluppo”
16
per suffragare l’illiceità di tali misure, ma questa argomentazione non ha
mai avuto alcun seguito nella prassi. Inoltre, non ha fondamento nemmeno
l’argomento, a volte discusso in dottrina, riguardo alla tutela giuridica di
determinate situazioni soggettive dello Stato destinatario che verrebbero
lese dal ritiro del contributo.
17
15
Cfr. B.E.CARTER, International economic sanctions, Cambridge, 1988, pp. 32 ss., 158
ss.
16
Cfr. Assemblea Generale ONU, Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, 4/12/1986: “(…)
Gli Stati hanno il dovere di collaborare gli uni con gli altri per garantire lo sviluppo ed
eliminare gli ostacoli allo sviluppo. Gli Stati debbono esercitare i loro diritti ed assolvere i
loro doveri in modo da promuovere un nuovo ordine economico internazionale fondato
sull'uguaglianza sovrana, l'interdipendenza, l'interesse comune e la cooperazione tra tutti gli
Stati ed incoraggiare il rispetto ed il godimento dei diritti dell'uomo. (…) È indispensabile
un'azione sostenuta per garantire un più rapido sviluppo dei paesi emergenti. Ad
integrazione degli sforzi compiuti dai paesi emergenti, è essenziale garantire un'assistenza
internazionale che offra a questi paesi i mezzi per promuovere uno sviluppo globale.”
17
Cfr. P.A.G. VAN BERGEIJK, Economic diplomacy, trade and commercial policy,
Aldershot, 1994, p. 87
9
2. Natura giuridica delle sanzioni economiche
Le sanzioni economiche possono suddividersi in due categorie: unilaterali o
multilaterali. Le sanzioni unilaterali vengono attuate da un solo Paese nei
confronti di un altro, mentre quelle multilaterali sono rese operative da una
pluralità di Stati, solitamente promosse da un’organizzazione internazionale,
in violazione di obblighi di natura multilaterale, oppure, come visto sopra,
come dimostrazione di solidarietà nei confronti di uno Stato leso.
Le sanzioni di natura multilaterale assumono una connotazione differente se
emanate nell’ambito di un’organizzazione politico – militare, piuttosto che
all’interno di una che si prefigge scopi economici o sociali.
Nel primo caso, di cui è un esempio eclatante l’ONU, le sanzioni sono
previste all’interno degli Statuti costitutivi, e, soprattutto, sono un mezzo per
mantenere la pace internazionale.
Nel secondo caso, come per esempio nell’Unione Europea, le sanzioni
vengono ad aggiungersi alle competenze dell’organizzazione in materia
commerciale, e non sono originariamente comprese nello Statuto, in quanto
aggiunte solo dopo aver considerato che il loro funzionamento, nelle
organizzazioni universali, non era stato sufficientemente efficace.
18
2.1 Sanzioni unilaterali
Nel momento in cui uno Stato vede violata, da parte di un altro, una norma
internazionale con un pregiudizio nei propri confronti, può decidere di
punire lo stato colpevole tramite l’applicazione di sanzioni economiche.
18
Cfr. M.PANEBIANCO, Op. Cit., p. 220
10
Nella pratica, le sanzioni possono essere attuate in molteplici modi:
• Sospensione o interruzione (embargo) dei rapporti commerciali;
• Congelamento dei beni di proprietà del paese straniero;
• Sospensione dei diritti di pesca;
• Inasprimento del regime fiscale o immobiliare;
• Sospensione dei trasporti e dei mezzi di comunicazione.
È invalsa la prassi
19
, in caso di illeciti internazionali, di un preventivo
ricorso ai mezzi diplomatici di soluzione delle controversie: mediazione,
conciliazione, buoni uffici sono valide alternative ad un’azione economica
dall’esito incerto, anche per quanto riguarda eventuali danni economici che
potrebbero affliggere il paese mittente della sanzione.
È però da sottolineare l’inesistenza di una norma consuetudinaria in materia:
gli Stati non sono internazionalmente obbligati al previo utilizzo dei mezzi
diplomatici; se così fosse, qualsiasi Paese sarebbe portato a violare il diritto
internazionale senza incorrere in punizioni, essendo sempre possibile
ripristinare lo status quo con una semplice azione diplomatica.
2.2 Sanzioni multilaterali: l’ONU e modelli diversi
Sebbene nella pratica siano assolutamente identiche alle misure di cui ho
discusso nel paragrafo precedente, le sanzioni economiche promosse
nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite si muovono da
motivazioni molto diverse: queste, infatti, non possono essere attuate in
seguito a illeciti di qualsiasi natura, bensì solamente nei casi di minaccia o
violazione alla pace internazionale.
20
19
Cfr. C.FOCARELLI, Le contromisure nel diritto internazionale, Cit., p. 361
20
Cfr. B.CONFORTI, Diritto internazionale, Cit., p. 377
11
In questo senso, minaccia alla pace può essere sia una guerra internazionale,
in cui l’intervento di una pluralità di Paesi è più giustificabile, oppure una
guerra interna: in questo caso, un’azione concertata non perde comunque di
senso, poiché la violenza bellica, abbinata magari a gravi violazioni dei
diritti umani, è materia di interesse dell’intera comunità internazionale, di
fronte alla quale anche il concetto di domestic jurisdiction, cioè le materie
delle quali il diritto internazionale si disinteressa, non ha alcun significato.
21
Il termine “sanzione” appare per la prima volta nel Trattato di Versailles del
1919, istitutivo della Società delle Nazioni, riferendosi a misure effettive
collettive, preventive o di rinforzo nei confronti di violazioni della pace
internazionale, verso le quali tutti i membri della Società delle Nazioni
dovevano fornire l’adeguata assistenza.
Il sistema incontrò però grosse difficoltà nel suo funzionamento; fulcro
coordinatore dell’azione era, insieme al Consiglio, la Corte Permanente, a
cui gli Stati dovevano rivolgersi prima di intraprendere le operazioni, ma i
tempi erano ancora prematuri per una devoluzione di responsabilità e
sovranità di tale portata, per cui l’impianto naufragò.
22
La disciplina delle sanzioni economiche regolate dall’ONU è ora contenuta
nel capitolo VII dello Statuto, intitolato “Azione rispetto alle minacce alla
pace, alla violazione della pace ed agli atti di aggressione”.
:
I
v
21
Cfr. B.CONFORTI, Le Nazioni Unite, Padova, 2000, p. 178 ss.
22
Cfr. T.GOZZINI, Il contributo della Corte Internazionale di Giustizia al rispetto degli
obblighi erga omnes in materia di diritti umani, in La Comunità Internazionale, vol. LV,
2000