romanzo si è cercato di dimostrare come Sancho stia profondamente modificando
il modo di rapportarsi a don Chisciotte. Infatti lo scudiero non è più stupito della
condizione mentale del suo padrone, ma anzi se ne serve a proprio vantaggio.
Nel terzo capitolo, partendo dall’analisi dell’operato da governatore del
personaggio, in riferimento anche ai giudizi dati durante la ronda notturna, si
attribuisce all’intero episodio dell’isola una struttura carnevalesca, in riferimento
alle burle organizzate dai Duchi e alle reazioni di Sancho. Si è tentato di
dimostrare l’abilità con la quale il governatore affronta ogni tipo di imprevisto e
come la sua amministrazione del governo sia stata ineccepibile sotto tutti i punti
di vista, nonostante sia privo delle competenze che un incarico del genere
richiede. Inoltre si è cercato di dimostrare come il governatore abbia sempre agito
alla luce del benessere collettivo dell’isola, non appoggiando la tesi di Urbina,
secondo il quale la rinuncia al governo da parte di Sancho è da considerarsi una
reazione assolutamente prevedibile da parte dei Duchi artefici della burla, ma
accogliendo quella di Brookes, la quale sostiene che siano stati i Duchi a fallire
nel loro intento di burlarsi dello scudiero, che appare, nelle precise intenzioni di
Cervantes, come un vincitore morale e politico.
2
ISancho Panza è un contadino del paese di don Chisciotte e viene definito
dal narratore, nel settimo capitolo della Prima Parte, “hombre de bien, pero de
muy poca sal en la mollera”1. Si presenta all’inizio come un personaggio
contraddittorio, semplice, ma acuto, materialista da un lato, sognatore dall’altro.
Gli si può facilmente attribuire la maschera del “rustico” a causa delle sue
caratteristiche fisiche, è infatti di bassa statura, grasso e con la barba, a causa della
sua occupazione attuale e di quella passata poiché era un contadino e un guardiano
di porci, e a causa della sua ignoranza, in quanto non sa né leggere né scrivere. Ma
questa maschera passa in secondo piano se ci si concentra sulla sua natura di
uomo buono, moralmente sano, sensato e di cuore. E’ anche un buon marito e un
buon padre, e rivela una buona formazione cristiana2. Redondo descrive Sancho
Panza come un uomo della terra, la cui unica istruzione proviene dalle prediche,
dall’osservazione della natura e dalla “cultura popolare” trasmessa oralmente e
testimoniata dall’uso frequente che fa di proverbi e racconti3. Complessivamente,
ritengo che Sancho possa essere considerato un uomo semplice, ma dotato di una
semplicità “acuta”, che agendo con l’istintività e la naturalezza proprie del suo
carattere, gli permette di uscire vittorioso e giusto da ogni situazione.
Don Chisciotte cerca di convincerlo a prestare servizio presso di lui come
suo scudiero e lo incita a seguirlo sostenendo che durante una delle sue avventure
1*Uso l’edizione del Quijote del IV Centenario publicada por la Real Accademia Espaňola,
Asociación de Academias de la lengua española, Alfaguara, Madrid, 2005.
*Le illustrazioni presenti sono di Gustav Doré e reperite sul sito www.liberliber.it
“Uomo dabbene, ma con pochissimo sale in zucca”. Miguel de Cervantes, Don Chisciotte
della Mancia, traduzione di Vittorio Bodini, Einaudi, Torino, 2005, vol. I, cap. VII, p. 77.
2
Un approfondimento di questo aspetto e riguardo alla caratterizzazione di Sancho come
“rustico”, è presente in Francisco Márquez Villanueva, Fuentes literarias cervantinas, Madrid,
Biblioteca Románica Hispánica, Editorial Gredos, S.A., cap. Genesis literaria de Sancho Panza.
Márquez Villanueva, dopo una lunga disquisizione sulle caratteristiche positive e negative del
personaggio “rustico” e sui cambiamenti di significato che subisce nel tempo, si sofferma sui dati
che ridimensionano la connotazione di Sancho come “rustico”: felice vita coniugale e fede
cristiana.
3
Augustin Redondo, “En torno a dos personajes festivos: el shakesperiano Falstaff y el
cervantino Sancho Panza”, in Entre Cervantes y Shakespeare: Sendas del Renacimiento, ed1,
Zenón Luis Martínez y Luis Gómez Canseco, Juan de la Cuesta, Newark, 2006, p. 173.
3
potrebbe conquistare un’isola e lasciarla governare a lui. Sancho si lascia tentare
dall’idea di diventare governatore e sarà con questo desiderio che affronterà il
viaggio con il suo padrone e tutte le avventure che ne conseguiranno. Appena
intrapreso il loro cammino, lo scudiero, rivolgendosi al suo padrone, gli
raccomanda di non dimenticare la promessa. Don Chisciotte gli risponde
dicendogli che sarebbe disposto anche ad incoronarlo re. Secondo
l’interpretazione di Eduardo Urbina, Sancho, decidendo di seguire il cavaliere,
esprime il desiderio di migliorare le proprie condizioni in virtù del potere che
riconosce al suo padrone e che quest’ultimo esteriorizza con la magia delle sue
parole, con le quali seduce lo scudiero creando l’illusione attraente
dell’avventura4. Va in questo modo intensificandosi il legame tra i due attraverso
un meccanismo secondo il quale il contadino ascolta don Chisciotte senza
comprenderlo, come se assistesse ad una sorta di rito i cui segni provocano una
strana ammirazione.
Il suo servizio come scudiero comincia con la partenza dal suo paese dove
lascia moglie e figli e la prima avventura che è destinato ad affrontare è quella dei
mulini a vento, che avviene nell’ottavo capitolo della Prima Parte. In questo
episodio la figura di Sancho è utilizzata in contrapposizione alla visione
chisciottesca della realtà poiché, nell’osservare il suo padrone intento a lottare
contro quelli che crede essere giganti, ripete più volte che effettivamente non lo
sono. Durante la sua prima uscita non interviene se non per soccorrere il cavaliere
colpito dalle pale di uno dei mulini.
Dall’analisi dei suoi interventi più importanti all’interno delle grandi
imprese compiute da don Chisciotte, è da notare come lo scudiero sia un
personaggio complesso che cresce a seconda delle possibilità che gli vengono
offerte, osservando prima e partecipando attivamente dopo, subendo anche
punizioni nelle situazioni in cui risulta essere troppo presuntuoso nei suoi giudizi
o nelle sue azioni. Spesso però agisce anche spinto da determinate necessità o
dalla paura. Questo avviene nel ventesimo capitolo della Prima Parte, riguardante
l’avventura delle gualchiere, una delle imprese più temute dallo scudiero, dove la
4
Eduardo Urbina, El sin par Sancho Panza: parodia y creación, Barcelona, Anthropos, 1991,
(Hispanistas, Creación, Pensamiento, Sociedad/Serie Cervantina de la A.C.; 1), cap. III, p.92.
4
paura che prova si colloca in netta opposizione all’euforia di don Chisciotte. I due
protagonisti sono alla ricerca di una sorgente o di un ruscello presso il quale
dissetarsi quando vengono attirati da un gran rumore d’acqua che sembra scendere
da alte cascate. Nel tentativo di avvicinarsi a questa fonte, si addentrano in un
bosco e finiscono con il perdersi. Alla paura del servo del fitto buio del bosco si
associa quella, che è anche del padrone, provocata da un indecifrabile rumore in
lontananza:
Alegroles el ruido en gran manera, y, parándose a escuchar hacia qué parte
sonaba, oyeron a deshora otro estruendo que les aguó el contento del agua,
especialmente a Sancho, que naturalmente era medroso y de poco ánimo.
Digo que oyeron que daban unos golpes a compás, con un cierto crujir de
hierros y cadenas, que, acompañados del furioso estruendo del agua, que
pusieran pavor a cualquier otro corazón que no fuera el de don Quijote.
Era la noche, como se ha dicho, escura, y ellos acertaron a entrar entre unos
árboles altos, cuyas hojas, movidas del blando viento, hacían un temeroso y
manso ruido, de manera que la soledad, el sitio, la escuridad, el ruido del
agua con el susurro de las hojas, todo causaba horror y espanto, y más
cuando vieron que ni los golpes cesaban ni el viento dormía ni la mañana
llegaba, añadiéndose a todo esto el ignorar el lugar donde se hallaban5. (I,
cap. XX, pp. 174-175).
Don Chisciotte, come si conviene ad un coraggioso cavaliere, decide di
allontanarsi per scoprire l’origine e l’identità del rumore e dice al suo scudiero:
Sancho amigo, has de saber que yo nací por querer del cielo en esta nuestra
edad de hierro para resuscitar en ella la de oro, o la dorada, como suele
llamarse. (...) Bien notas, escudero fiel y legal, las tinieblas de esta noche, su
extraño silencio, el sordo y confuso estruendo de estos árboles, el temeroso
ruido de aquella agua en cuya busca venimos, que parece que se despeña y
derrumba desde los altos montes de la Luna, y aquel incesable golpear que
nos hiere y lastima los oídos, las cuales cosas todas juntas y cada una por sí
son bastantes a infundir miedo, temor y espanto en el pecho del mismo
Marte, cuanto más en aquel que no está acostumbrado a semejantes
acontecimientos y aventuras. Pues todo esto que yo te pinto son incentivos y
despertadores de mi ánimo, que ya hace que el corazón me reviente en el
pecho con el deseo que tiene de acometer esta aventura, por más dificultosa
5
“Li rallegrò moltissimo quel rumore, e fermatisi a sentire da che parte risuonava, sentirono
un altro rumore inaspettato che annacquò la loro gioia dell’acqua, specie a Sancio, che per natura
era timido e di poco coraggio. Dico che udirono dar dei colpi in cadenza, con un certo stridere di
ferri e di catene, che accompagnati da quel fragore furioso dell’acqua, avrebbero messo paura im
ogni altro cuore non fosse stato quello di don Chisciotte. Era la notte, come s’è detto, oscura, ed
essi riuscirono a cacciarsi in un folto d’alberi alti, le cui foglie, mosse da un vento blando,
rendevano un timido e quieto rumore; di modo che la solitudine, il luogo, l’oscurità, il fragore
dell’acqua, con il sussurrare delle foglie, tutto produceva terrore e soprassalto, specie quando
videro che né cessavano i colpi, né il vento si placava e che il mattino tardava; e a tutto ciò si
aggiungeva il non sapere dove si trovassero”. Miguel de Cervantes, Op. cit. , vol. I, cap. XX, p.
184.
5
que se muestra. Así que aprieta un poco las cinchas a Rocinante, y quédate a
Dios, y espérame aquí hasta tres días no más, en los cuales si no volviere
puedes tú volverte a nuestra aldea, y desde allí, por hacerme merced y buena
obra, irás al Toboso, donde dirás a la incomparable señora mía Dulcinea que
su cautivo caballero murió por acometer cosas que le hiciesen digno de
poder llamarse suyo6. (I, cap. XX, p.175).
Sancho al contrario, non è per nulla d’accordo e preferirebbe che il suo
padrone rimanesse con lui, non avendo intenzione di rimanere solo in un luogo
sconosciuto e per giunta di notte. Ma don Chisciotte sembra non volerne sapere di
rimanere, per cui lo scudiero tenta di convincerlo ad abbandonare il suo proposito
di intraprendere l’avventura da solo suggerendogli inizialmente di cambiare
strada, ma non ottenendo risultati gli consiglia di rimandare tutto al giorno
successivo che, osservando gli astri in cielo, sostiene stia per giungere. Ma il cielo
è coperto e il cavaliere lo prende in giro perché mente condizionato dalla paura.
Per ultimo Sancho si appella alla bontà del suo padrone e dice:
Yo salí de mi tierra y dejé hijos y mujer por venir a servir a vuestra merced,
creyendo valer más y no menos; pero como la cudicia rompe el saco, a mí
me ha rasgado mis esperanzas pues cuando más vivas las tenía de alcanzar
aquella negra y malhadada ínsula que tanta veces vuestra merced me ha
prometido, veo que en pago y trueco de ella me quiere ahora dejar en un
lugar tan apartado del trato humano. Por un solo Dios, señor mío, que non se
me faga tal desaguisado7. (I, cap. XX, p. 176).
Sancho quindi chiede a don Chisciotte di restare, considerando un dovere
del cavaliere la protezione dello scudiero, ma il suo padrone è irremovibile e
6
“Amico Sancio, devi sapere che io nacqui, per volere del cielo, in questa nostra età del ferro,
per ripristinare in essa quella dell’oro, o aurea, come suol chiamarsi. (…) Tu vedi bene, legittimo e
fedele scudiero, le tenebre di questa notte, il suo strano silenzio, il sordo e confuso stormire di
questi alberi, il terrificante fragore di quell’acqua di cui venimmo in cerca, che sembra distaccarsi e
precipitare dagli alti monti della luna, e quel picchiare incessante che ci ferisce e rattrista gli
orecchi; le quali cose, tutte assieme e ciascuna per sé, bastano a infonder paura, timore e spavento,
fin nel petto dello stesso Marte, tanto più poi a chi non è avvezzo a simili avvenimenti e avventure.
Ebbene tutto ciò che io ti dipingo, non sono che incentivi e stimoli per il mio coraggio, che già mi
fa scoppiare il cuore in petto per la voglia che ha di affrontare quest’avventura, quanto più essa si
annunzia difficile. Stringi un po’, dunque, le cinghie a Ronzinante e rimani con Dio; e aspettami
qui per tre giorni e non più, che se nel corso di essi io non torno, tu potrai far ritorno al nostro
villaggio, e di là, per rendermi una grazia e un’opera buona, ti recherai al Toboso, dove dirai
all’incomparabile signora mia Dulcinea che il cavaliere suo schiavo morí per affrontare imprese
che lo rendessero degno di poter dirsi suo”. Miguel de Cervantes, Op. cit. , vol. I, cap. XX, p. 185.
7
“Io partii dalla mia terra e lasciai moglie e figli per venire a servire lei, credendo di diventare
qualcosa di più, non già di meno: ma poiché l’avarizia rompe il sacco, a me mi ha lacerato tutte le
speranza, poiché quando più forti le avevo di raggiungere quella maledetta e scalognata isola che
tante volte la signoria vostra mi ha promesso, ecco che in cambio e compenso di essa, vedo che ora
mi vuole abbandonare in una plaga cosí remota dal consorzio umano. Per quell’unico Iddio, non mi
faccia, signore, un tale torto”. Miguel de Cervantes, Op. cit. , vol. I, cap. XX, p. 186.
6