Questa modificazione delle malattie, come è logico, ha
provocato un cambiamento nella domanda di salute della collettività,
alla luce tra l’altro del modificarsi delle forme lavorative, sempre più
legate al precariato.
Gli indici di infortunio rilevati dall ‘Inail in Italia, riferiti ai
danni più gravi provocati alla salute dei lavoratori, ci fanno
comprendere la portata del fenomeno:
Tab. 1 – Indici di infortunio
Settore Inabilita permanente (ogni 1000 addetti)
Lavorazioni meccanico - agricole 10,84
Mattazione e macellazione pesca 6,41
Costruzioni edili 8,60
Costruzioni idrauliche 9,12
Strade e ferrovie 7,55
Linee e condotte urbane 9,67
Fondazioni speciali 12,39
Impianti 5,43
Impianti acqua e vapore 4,11
Prima lavorazione legname 7,95
Falegnameria e restauro 7,18
Materiali affini al legno 5,02
Metallurgia 5,74
Metalmeccanica 4,48
Geologia e mineraria 8,40
Lavorazione delle rocce 6,55
Lavorazione del vetro 4,65
Trasporti 4,93
Facchinaggio 15,99
Pulizie e nettezza urbana 5,57
Fonte: Inail( Progetto e sicurezza, 2005).
6
E’ ovvio che questi dati abbiano provocato grande
preoccupazione nelle istituzioni e nell’opinione pubblica. E’ per
questa ragione che mi è sembrato utile fare il punto della situzione in
una materia che molto spesso da luogo a confusione, data la mancanza
di chiarezza e l’accavallarsi di leggi e normative.
Nel capitolo I per l’appunto è stata effettuata una ricognizione
dell’iter legislativo in materia di salute e sicurezza. In particolare nei
diversi paragrafi vengono spiegate prima le leggi emanate nel secondo
dopoguerra, poi si descrive la svolta avvenuta negli anni ’90, svolta
sospinta dalle direttive arrivate dalla Comunità Europea, fino ad
arrivare all’analisi del nuovo Testo Unico, varato appena alla fine
dell’ultima legislatura.
Nel capitolo 2 ci si occupa di valutare l’attuazione del Testo
Unico, con particolare attenzione prima sulle novità applicative e poi
sul settore più toccato negli anni dalla normativa perché soggetto a
particolari rischi per la sicurezza, l’edilizia. Ci si occuperà in questo
capitolo di spiegare i documenti applicativi delle leggi sulla sicurezza,
le figure responsabili e le sanzioni da comminare in caso di violazioni.
Infine nel terzo capitolo verranno analizzate le problematiche
ancora persistenti in materia, i metodi di sorveglianza e controllo.
Questi punti saranno supportati nella trattazione dallo studio di un
caso reale.
Nella conclusione sono indicati i risultati raggiunti in materia di
salute e sicurezza e le problematiche ancora da risolvere.
7
CAPITOLO 1
L’ITER LEGISLATIVO
1.1 Premessa
Un panorama della normativa italiana sul problema della
sicurezza e della protezione della salute dei lavoratori, non può essere
trattato senza una breve premessa sullo stato particolare
dell’evoluzione dell’ordinamento in questa materia.
L’ordinamento italiano, sin dal periodo codicistico, ha mostrato
una spiccata attenzione alla tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori in azienda. La tutela particolarmente rafforzata del diritto
alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro riconosciuta al
lavoratore dipendente, trova giustificazione, sul piano giuridico, nella
rilevanza che questa figura assume nel nostro ordinamento: oltre agli
art. 1 e 4 della Costituzione, dai quali emerge il valore essenziale
attribuito dai Costituenti al lavoro per lo sviluppo e il progresso della
società, vanno richiamati anche gli art. 35 e 38, dai quali emerge una
spiccata volontà di tutelare i lavoratori mediante ogni intervento di
carattere preventivo, previdenziale e assistenziale.
Non si può inoltre non considerare che il lavoratore dipendente
opera in locali, in un ambiente e nell’ambito di una organizzazione
che non ha concorso a determinare e di cui non conosce i rischi e le
8
insidie (cd. “alienità” organizzativa), ma nell’ambito della quale è
tuttavia obbligato, per contratto di lavoro, a operare secondo schemi e
modalità prestabilite (cd. “costrittività” organizzativa).
E poiché il lavoro che quella persona compie fra quei rischi e
quelle insidie porta evidenti vantaggi non solo al suo datore di lavoro,
ma, in definitiva, all’intero sistema economico e quindi a tutta la
collettività, ecco che assume particolare dignità sociale l’interesse a
garantire che esso si svolga in condizioni di sicurezza e salubrità.
E’ quindi dovere dello Stato intervenire a imporre regole e
vincoli inderogabili in primo luogo al datore di lavoro, cioè a quel
soggetto che ha, appunto, il potere di determinare e organizzare i beni
immobili, i beni mobili e la stessa attività; in una parola “l’ambiente”
all’interno del quale quel lavoro si svolge. Si individua così un nesso
inscindibile fra esercizio del potere organizzativo/direttivo e
responsabilità connesse alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e
delle malattie professionali.
Il dovere del datore di lavoro di garantire al lavoratore un
ambiente di lavoro sano e condizioni di lavoro che non siano lesive
della sua salute, deriva in primo luogo dalla Costituzione, dagli art. 32
e 41, ai quali si deve riconoscere la qualità di fonte prima e più alta del
diritto alla salute sui luoghi di lavoro.
9
Non a caso, qualcuno ha definito i principi costituzionali alla
base degli art. 32 e 41, come la “piattaforma”
1
del diritto della
prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.
In particolare l’art. 32 indica che “ la Repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e
garantisce cure gratuite agli indigenti”, in tal modo qualificando la
salute come fondamentale diritto del cittadino e come interesse della
collettività, il che significa che la salute non può essere considerata
solo alla stregua di un bene individuale da proteggere, ma anche come
bene collettivo, di eminente rilevanza sociale,
2
evidenziando così la
duplice natura del diritto alla salute: privata e pubblica.
La salute in tal modo viene ad assumere la qualificazione di
“bene giuridico di rilevante ed estesa portata”
3
dato che l’attività
lavorativa costituisce non solo uno dei momenti di maggiore
esposizione al rischio, ma anche di maggiore espressione di
personalità dell’individuo.
4
L’art. 41 invece afferma che “l’iniziativa economica privata
non deve arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità
umana”. Ciò vuol dire che gli stessi problemi di compatibilità che
talora si pongono tra l’esigenza di tutela della salute e l’interesse
dell’impresa debbano essere a favore della prima, considerando che il
1
RIVA SANSEVERINO, Gli obblighi dell’imprenditore in materia di sicurezza del lavoratore, in
Prev. Inf. , 1962, pag. 247.
2
SMURAGLIA, Salute e tutela della salute, Treccani, 1989, pag. 1.
3
SMURAGLIA, La tutela della salute del lavoratore tra principi costituzionali, norme vigenti e
prospettive di riforma, in Riv. It. Dir. Lav., 1988, pag. 415.
4
Ibidem.
10
sistema costituzionale subordina la legittimità della stessa iniziativa
economica privata al pieno rispetto della sicurezza, libertà e dignità
umana.
5
E’ in particolare da questa norma che si può evincere che il
principio della salvaguardia della salute del lavoratore viene
riconosciuta a livello costituzionale.
Un ulteriore fonte in materia di sicurezza è rappresentata
dall’art. 2087 del codice civile, inserito nel titolo II del libro V,
dedicato al lavoro nell’impresa, il quale impone al datore di lavoro di
“ adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di
lavoro”.
La disposizione, che è conforme ai principi costituzionali,
afferma quindi la dignità dell’individuo nell’ambito del suo ambiente
lavorativo.
Si ribadisce in questa norma il duplice interesse tutelato: da un
lato quello della dignità umana e dall’altro quello all’integrità
dell’individuo nella sua realtà lavorativa. Si tratta quindi di una norma
di legislazione sociale. Siccome però, nel rapporto sinallagmatico, è
rilevante anche il comportamento del datore di lavoro, la norma
riveste anche natura privatistica.
5
SMURAGLIA, op.cit., pag. 416.
11
L’art. 2087 c.c. è una norma che ha spesso supplito a mancanze
delle altre leggi, le quali non erano in grado di stabilire tutti i fattori di
rischio, ponendosi come l’architrave di quello che si usa definire come
“diritto prevenzionale”.
6
Dall’analisi della norma risulta evidente che la stessa impone
non solo di seguire le norme vigenti sulla sicurezza, ma anche di
garantire quest’ultima attraverso le misure suggerite di volta in volta
dall’evoluzione tecnologica.
L’obbligo di adottare le misure, non solo quelle prescritte, ma
anche quelle che si rivelino via via necessarie per tutelare l’integrità
fisica e morale, poggia essenzialmente su questo criterio. Esperienza e
tecnica quindi, sono i parametri esterni sulla base dei quali devono
essere individuate le misure preventive adeguate alla particolarità del
lavoro.
In questo senso, l’obbligo non sarebbe solo quello di tutelare
l’aspetto igienico – sanitario e antinfortunistico, ma anche quello di
difendere adeguatamente il lavoratore dalle aggressioni esterne, molto
frequenti in alcuni settori, quale ad esempio quello bancario.
Tra l’altro, la norma pone a carico del datore un principio
generale, quello di tenersi costantemente aggiornato sulle misure di
prevenzione e protezione esistenti al fine di poter applicare quelle che
si dimostreranno di volta in volta necessarie dallo sviluppo della
tecnica.
6
AZZALINI, Diritto prevenzionale degli infortuni sul lavoro, in Prev.Inf. , 1959, pag. 53.
12
Queste deduzioni hanno poi trovato conferma, come vedremo,
nel d. lgs 626, il quale è improntato a una logica di sicurezza globale
del lavoratore, da realizzarsi in base alle condizioni tecnologiche
effettive.
Inoltre dallo stesso articolo del codice si evince che il datore di
lavoro non deve tutelare il lavoratore solo in base alle condizioni
oggettive dell’ambiente di lavoro, ma anche in base allo stato
soggettivo del singolo lavoratore. La stessa legislazione speciale lo
conferma, prevedendo con il d. lgs 277 che in caso di pericolo,
derivante dall’assunzione di agenti chimici e biologici durante le
operazioni lavorative, il dipendente dev’essere allontanato dal luogo
di lavoro e gli deve essere assegnata altra mansione nell’ambito della
stessa azienda (art. 8).
Il datore di lavoro è tenuto inoltre, non solo all’integrità fisica
del lavoratore, ma anche a quella psicologica.
L’estrema ampiezza dell’incidenza operativa dell’art. 2087 c.c.
e il collegamento del suo disposto con i principi costituzionali
enunciati, porta ad affermare che sul datore di lavoro grava non solo
un comportamento positivo consistente nell’adozione di tutte le
misure necessarie, idonee a salvaguardare il lavoratore dai pericoli
insiti nelle lavorazioni, ma anche un comportamento negativo,
estrinsecantesi nel non compimento di iniziative che possano rivelarsi
pregiudizievoli per i prestatori di lavoro e nel divieto di produrre e
13
usare materie e sostanze nocive o impiegare macchine, impianti e
apparecchi che non tutelino la salute e l’integrità fisica dei lavoratori.
La ratio della definizione di “diritto prevenzionale”, quindi,
propria dell’art. 2087 c.c., è da ricondurre alla sua portata innovativa
sul regime giuridico precedente, per quanto si riferisce alla diligenza e
al grado di responsabilità del datore di lavore in relazione al suo
contenuto e alla finalità tutelativa del lavoratore.
7
Sembra opportuno dover insistere nell’affermare che il
contenuto dell’art. 2087 c.c. non incide tanto sulla misura della
responsabilità del datore bensì, in definitiva, sull’obbligo
dell’imprenditore di far sì che il prestatore di lavoro sia tenuto indenne
nell’esecuzione del suo lavoro.
Da queste precisazioni si dovrebbe evincere la realizzazione
della massima sicurezza possibile nei luoghi di lavoro.
In realtà l’applicazione dell’art.2087 c.c. non ha mai portato ai
risultati sperati dal legislatore.
La concreta specificazione di quegli obblighi di carattere
generale, che riguardando tutti i datori di lavoro pubblici e privati,
avrebbero dovuto trovare un’applicazione generalizzata nel nostro
sistema produttivo, nonché la loro traduzione in specifiche misure e
cautele. Questo compito era tuttavia rimesso alla buona volontà dei
soggetti obbligati: nessuna particolare procedura prevenzionale era
7
SALIS, Osservazioni sui più recenti orientamenti della Cassazione nell’interpretazione dell’art.
2087 c.c., in Prev. Inf., 1956, pag. 204.
14
imposta dalla legge, che non forniva neanche le indicazioni minime
sugli accorgimenti organizzativi da adottare.
E’ così inevitabilmente accaduto che gli obblighi di carattere
generico, pur essenziali per assicurare effettive condizioni di
sicurezza, sono rimasti sostanzialmente inattuati.
Hanno fatto eccezione le aziende industriali ad altro rischio
nelle quali l’elevata incidenza degli infortuni e delle malattie
professionali, nonché gli alti costi ad essi connessi avevano favorito la
creazione di una vera e propria organizzazione prevenzionale. Negli
altri casi, la norma non è servita a realizzare una efficace prevenzione,
ma è stata utilizzata solo in sede giudiziaria per ottenere, da parte dei
lavoratori, il risarcimento per danni ormai subiti dall’inosservanza
della stessa.
Per questi motivi sono stati realizzati in seguito un’ampio
numero di provvedimenti, emanati dal legislatore dalla seconda metà
degli anni ’50 e in parte sospinti dal recepimento di diverse direttive
comunitarie.
In particolare, la legge n. 51 del 1955 delegò al governo di
emanare norme riguardanti la prevenzione degli infortuni e l’igiene
del lavoro.
I tratti caratteristici della disciplina erano in primo luogo
disposizioni dettagliate sugli obblighi a carico del datore di lavoro, al
contrario delle previsioni dell’art. 2087 c.c. In secondo luogo, gli
obblighi generali relativi alla sicurezza, non dovevano più essere a
15
solo carico del datore di lavoro, ma ripartiti tra i suoi collaboratori.
Infine, sono state disciplinate precise sanzioni penali da applicarsi in
caso di infrazione.
I decreti emanati dal governo in recepimento della legge 51, dei
quali ci si occuperà nei prossimi paragrafi, sono stati in particolare:
1. il d.p.r. n. 547 del 1955 (norme per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro);
2. il d.p.r. n. 303 del 1956 ( norme per l’igiene del lavoro);
3. il d.p.r. 164 del 1957 ( norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro nelle costruzioni)
8
.
8
Quest’ultimo decreto, in quanto ritenuto troppo specifico e tecnico per il lavoro presente, non
sarà trattato.
16
1.2 Le norme attuative del secondo dopoguerra
1.2.1 La prevenzione degli infortuni sul lavoro
Nell’ambito delle disposizioni che regolano la salute e la
sicurezza dei luoghi di lavoro, fondamentale importanza riveste la
normativa risalente agli anni ’50.
Il proliferare, all’epoca, di interventi legislativi, fu provocato
dalla fine della seconda guerra mondiale, con il conseguente sviluppo
economico e industriale e segnò il superamento della concezione di
infortunio come evento da fronteggiare in maniera da non creare
danno economico all’imprenditore. Il modello organizzativo proposto
dai decreti rispecchia il quadro politico dell’epoca, caratterizzato da
una forte conflittualità tra le parti sociali, in particolare tra il datore di
lavoro e i lavoratori. Si deve a questa frattura la filosofia incarnata dai
decreti degli anni ‘50, che escludono un modello partecipativo
all’interno dell’impresa. La struttura di tali corpus normativi lascia
trasparire questa impostazione.
9
Al di là dell’impostazione di fondo, che come si vedrà è ormai
superata, i decreti in questione hanno introdotto alcuni principi che
sono stati poi ripresi e sviluppati in successivi interventi normativi.
Tra le norme più importanti ricordiamo il DPR 27 aprile 1955 n.
547: norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, che ha
costituito, fino all’entrata in vigore del Testo Unico i principi
9
BUTTI, LAGEARD, Manuale di Ambiente e sicurezza, in Il Sole24ore, 2003.
17
fondamentali del diritto della sicurezza e della salute nei luoghi di
lavoro.
La sicurezza del lavoro, si ricorda, si occupa della salvaguardia
rispetto agli eventi infortunistici, che possono causare lesioni, anche
mortali.
10
L’obbligo di sicurezza riguarda tutto l’ambiente di lavoro, non
solo l’attività lavorativa, quindi ogni luogo in cui possa avere accesso
il lavoratore, anche per ragioni differenti dalla sua mansione.
11
Sia nel settore agricolo che in quello terziario (commercio,
servizi e pubblica amministrazione), la legislazione antinfortunistica
emanata negli anni ’50, non prevede se non marginali adempimenti
specifici;
12
ciò ha fatto si che quelle entità produttive rimanessero
sostanzialmente escluse da ogni intervento prevenzionale, pur non
essendo affatto risparmiati dall’incidenza degli eventi dannosi.
13
Le norme antinfortunistiche del d.p.r. 547 del 1955, si
rivolgevano a tutti i lavoratori subordinati
14
, tranne quelli delle attività
1010
COTTONE, Sicurezza sul lavoro, ecco il nuovo Testo Unico, in Il Sole24ore, 2007.
11
In dottrina si parla di “tutela oggettiva” del posto di lavoro o di “protezione oggettiva” per
esprimere il concetto per cui il luogo di lavoro deve essere sicuro di per se stesso. Vi sono, infatti,
un numero considerevole di disposizioni che si pongono come obiettivo quello di rendere sicuri i
macchinari e gli impianti attraverso interventi tecnici, come l’introduzione di dispositivi di
sicurezza, schermi, ripari, protezioni. BUTTI, LAGEARD, op. cit.
12
www.rfi.it.
13
La dottrina ha inoltre riscontrato nella fase applicativa della legge del 1955 le debolezze
tradizionali dei servizi ispettivi del lavoro. CARINCI, DE LUCA, TOSI, TREU, Il rapporto di
lavoro subordinato, Utet, 1992, pag. 307. Altra dottrina ha invece ritenuto che, l’attuazione della
normativa abbia fatto emergere una diminuzione costante degli infortuni. AA.VV., Nuovo codice
della sicurezza in edilizia, Dei, 2008, pag. 7.
14
La dottrina ha ritenuto che per lavoratore subordinato s’intendesse colui che, fuori dal proprio
domicilio, presta il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione altrui, con o senza
retribuzione, anche al solo scopo di apprendere un mestiere, un’arte o una professione.
PROTETTI’, op. cit., pag. 200.
18
delle Ferrovie dello Stato, delle miniere, delle cave, dei servizi postali,
dei trasporti e della navigazione marittima e portuale. L’applicabilità
delle norme prescindeva dal datore di lavoro, che poteva essere
pubblico o privato.
Eppure la giurisprudenza aveva sempre affermato che anche
questi settori, e in particolare la Pubblica Amministrazione,
rientravano nel campo di applicazione del d.p.r.547/1955, “non
potendo la natura pubblica o privata rappresentare il discrimine di
negazione della salvaguardia dalla salute del lavoratore”.
15
Rilevava,
in particolare, la giurisprudenza che la normativa in materia di
sicurezza costituisce un sistema normativo compiuto che risponde
all’esigenza di tutelare la vita, l’integrità fisica e la salute dei
lavoratori subordinati e di quanti ad essi la legge, a tal fine, equipara.
16
La Pubblica Amministrazione, tuttavia, prima della riforma di
ispirazione europea, si caratterizzava per la scarsa attenzione prestata
alle misure prevenzionali, anche se la magistratura, chiamata a punire
i responsabili di infortuni o malattie professionali, ha sempre fornito
un’interpretazione particolarmente rigoroso di tutte le norme
dell’ordinamento, ispirandosi al rigoroso principio della massima
sicurezza tecnicamente fattibile che esclude qualsiasi rilevanza dei
15
Cass., sez. III pen., 13 novembre 1992.
16
In dottrina si è ritenuto dovessero essere equiparati ai lavoratori subordinati anche i soci di
società e di enti cooperativi che prestano la loro attività per conto delle società e degli enti stessi e
gli allievi degli istituti di formazione e di laboratori o scuole dove si faccia uso di macchine,
attrezzature, utensili e apparecchi in genere. PROTETTI’, La normativa antinfortunistica. Testo
coordinato con dottrina e giurisprudenza del DPR. N. 547/55, Jovene, 1988, pag. 200.
19
fattori di convenienza economica e imponendo ai datori di lavoro
anche l’obbligo di aggiornarsi sulle nuove tecnologie.
Il decreto si compone di XI Titoli, ognuno dedicato a uno
specifico argomento.
Ciascun Titolo viene poi dettagliatamente suddiviso in Capi.
17
Gli articoli del DPR sono 406, dedicati a definire
minuziosamente e dettagliatamente i requisiti che devono avere luoghi
di lavoro, macchine, attrezzature, utensili, ecc. per garantire la
sicurezza dei lavoratori e ridurre i comportamenti pericolosi che
provocano i rischi.
Si tratta di una norma cardine dell’intero sistema
prevenzionistico
18
, insieme al DPR 303/56, la cui applicazione è
collegata alla maggior parte delle infrazioni riscontrate dagli organi di
vigilanza. Infatti, senza di essa sarebbe venuta meno tutta la portata
del sistema prevenzionistico dell’epoca, in quanto la barriera legale
rappresentata dalle disposizioni antinfortunistiche sarebbe caduta,
trascinando con se la possibilità di tutela del diritto alla salute dei
lavoratori.
19
L’art. 4 del DPR 547/55 pone come perno dell’obbligo
antinfortunistico il datore di lavoro, che, qualora lo richiedano le
dimensioni dell’azienda, deve strutturare la divisione delle funzioni tra
17
Ibidem, pag. 200.
18
Altra dottrina ritiene che si avverta l’assenza di una veduta unitaria del problema sicurezza. Non
tutte le potenziali fonti di pericolo, infatti, vengono prese in considerazione ma solo alcune di esse
trovano un riferimento giuridico. BUTTI, LAGEARD, op. cit.
19
COTTONE, op. cit.
20