1.1 - Quadro politico, storico e sociale tra la caduta dell’Impero romano
d’occidente (476 d.C.) e l’invasione araba in Sabina.
Un quadro generale della geografia politica nel centro Italia all’epoca della
fondazione del monastero di Farfa è d’obbligo. Nel periodo compreso tra IV e IX secolo
d.C. (sono queste approssimativamente le date a cui fa riferimento Gregorio da Catino
nel collocare la prima fondazione del cenobio), i territori della Sabina vivono momenti
di grande instabilità istituzionale dovuti alla mancanza di un centro di potere forte e al
susseguirsi di dominazioni diverse.
Con la definitiva caduta dell’Impero Romano, avvenuta in seguito alla deposizione
dell’imperatore Romolo Augustolo nel 476 da parte di Odoacre, re degli Eroli, i territori
sabiniensi entrano a far parte del suo regno. Nel 493 con l’arrivo degli Ostrogoti, guidati
da Teodorico, avviene la prima distruzione nella storia del cenobio. Saranno poi i
Bizantini ad insediarsi in Italia, ponendo la loro capitale a Ravenna nel 553 d.C. La
Sabina entrerà quindi a far parte del cosiddetto corridoio bizantino che collegava
l’esarcato con Roma attraversando la Romagna e l’Umbria. Questo sanciva il termine di
un lungo periodo durato diciotto anni in cui il centro Italia era stato tormentato dalla
guerra tra Bizantini e Goti, iniziata nel 535, la quale portò l’imperatore Giustiniano a
riacquistare parzialmente gli antichi territori dell’ormai polverizzato Impero Romano
d’Occidente. Il suolo della Sabina, si troverà così, grazie allo stretto legame che univa
Bisanzio a Roma, sotto la diretta influenza del papa, rimasto ormai l’ultimo baluardo
dell’antica autorità della città capitolina. L’importanza che il vescovo romano negli anni
aveva acquisito era sempre maggiore e il suo potere si era esteso fino a renderlo a tutti
gli effetti principe della città, oltre che capo spirituale di una ormai pressoché universale
Romana Chiesa. Infatti in particolare dopo il 590 d.C. con l’elezione al soglio pontificio
di Gregorio Magno, il potere temporale della chiesa fu ancor più rafforzato. Con la
Regula Pastoralis, compilata dallo stesso papa Gregorio nel 591, si affermava che, dal
momento che gli uomini sono tutti uguali, il governo dei pochi sui molti avrebbe dovuto
basarsi sul richiamo ad un’autentica sapienza personale. In questo modo quindi chi si
trovava a prendersi cura delle anime necessariamente doveva essere atto anche a
governare. Nella mente dei contemporanei cominciò così a formarsi l’idea di un papa
che non avrebbe più rappresentato solamente il vescovo dell’antica capitale dell’impero,
ma poco a poco assumerà il ruolo di rappresentante della città di Roma di fronte agli
altri sovrani. Questo nuovo ruolo del papa affonda le sue radici fin nel 354 d.C. quando
papa Silvestro I fu reso protagonista della famosa donazione di Costantino, la quale
rappresenterà la prima pietra su cui si baserà nei secoli la nascita e la crescita del futuro
Stato Pontificio.
A seguito della cacciata dei Goti, tra il 569 e il 572 sarà un altro popolo, anch’esso
proveniente dal Nord, che comincerà la sua discesa in Italia e che si troverà ad aver a
che fare con i territori dell’alto Lazio. Dalle rive del Danubio i Longobardi, guidati da
Alboino, arrivarono nell’Italia settentrionale occupando il Friuli e il Veneto ma senza
riuscire a strappare ai Bizantini l’esarcato di Ravenna e la Pentapoli, territorio che si
estendeva da Rimini ad Ancona. Costituita a Pavia la capitale del regno, si spinsero
verso il centro Italia, conquistando prima Camerino, poi Perugia nel 593 e occupando
parte dell’Umbria. Da lì, si diressero, seguendo la via appenninica, verso il meridione.
Spoleto e Benevento divennero così due importanti ducati, e insieme assunsero il ruolo
di baluardi della dominazione Longobarda rispettivamente al centro e al sud della
penisola.
L’Italia alla fine del VI secolo divenne così un intreccio di poteri divisi tra
Longobardi e Bizantini, i quali rimasero ostili fra loro per oltre un secolo. Il domino
longobardo in Italia nei primi anni fu discontinuo sia territorialmente che nella sua
struttura interna, tanto che dopo quasi dieci anni di vacanza del potere regio i duchi,
nonostante fossero divenuti nel frattempo dei veri e propri signori territoriali, si videro
costretti a restaurarlo scegliendo come loro re Autari. Il monastero di Farfa, benché
fisicamente restasse a far parte del corridoio bizantino, finì quindi per trovarsi proprio
sulla linea di frontiera tra i territori riconquistati dell’Impero d’Oriente e i nuovi
possedimenti del popolo barbaro. Il Libellus Constructionis Farfensis, prima fonte a cui
attinge Gregorio da Catino nel raccontare la storia del cenobio, pone in questa epoca, per
l’esattezza nel 603 d.C. la prima distruzione del monastero, attribuendola proprio al
passaggio dei Longobardi nel centro Italia. Questa versione che Gregorio non volle mai
accettare probabilmente per motivi politici, sembra a noi oggi la più attendibile.
Vedi figura 01, pag. 107 - L’Italia nel 603 D.C.
All’epoca dell’invasione dell’Italia i Longobardi professavano la fede ariana. Fu per
volere della regina cattolica Teodolinda, sposata prima con Autari e poi con Agilulfo,
che Gregorio Magno ebbe la possibilità di concludere un accordo. Agilulfo fece
battezzare suo figlio col rito cattolico, provvide di beni il monastero di Bobbio fondato
da San Colombano e donò terre alla chiese impoverite rialzando il prestigio sociale dei
vescovi. Cominciò così la restaurazione dei beni ecclesiastici che erano stati confiscati
durante le prima discesa in Italia del popolo barbaro, favorita anche dalle donazioni di
quei Longobardi che negli anni seguenti si convertirono al cattolicesimo.
Il processo di conversione fu comunque molto lungo. L’appartenenza alla fede ariana
aveva una forte connotazione politica nella difesa dell’identità longobarda, per cui a re
cattolici per molti anni si alternarono re ariani. Anche l’abbazia di Farfa beneficiò della
restaurazione in favore della chiesa cattolica: non molti decenni dopo la distruzione
infatti il monastero tornò alla luce proprio grazie alla collaborazione dei duchi
Longobardi con il papa. Secondo la data riportata nel Libellus Constructionis, la
ricostruzione del cenobio avvenne nel 680 d.C. ad opera di Tommaso di Maurienna,
monaco proveniente dalla Gallia. Il duca Faroaldo II di Spoleto firmò la petitio inviata a
papa Giovanni VIII con lo scopo di confermare i beni che egli stesso aveva donato al
cenobio. Siamo agli inizi dell’ottavo secolo, precisamente nel 705 d.C. e la presenza
longobarda nei territori nei pressi della Sabina si rivelerà sempre più di fondamentale
importanza per il monastero. Il patrimonio del cenobio si accrebbe notevolmente in
questi anni infatti proprio grazie alle numerose donazioni dei duchi di Spoleto e dei
privati cittadini di origine germanica.
Il dominio dei Longobardi in Italia si protrasse per quasi duecento anni. Al principio
dell’VIII secolo la monarchia longobarda si presentava con il re Liutprando a capo di un
perfetto regno di stampo cattolico, formatosi nell’organizzazione civile e gerarchica,
sugli schemi dell’antica tradizione della Roma imperiale. Questo fece sì che essi
cominciarono ad esigere nuovi territori e le mire espansionistiche si diressero
principalmente verso i domini dei Bizantini. La minaccia di ritrovarsi incorporata in una
monarchia di tradizione germanica con forti ambizioni unificatrici fece tremare la chiesa
di Roma. Questo avrebbe significato innanzi tutto la perdita di una identità
socioculturale romano-italica per le aristocrazie italiane, sia laiche che ecclesiastiche, e
inoltre concretizzava i timori della curia romana di venire assorbita dall’episcopato
formatosi sotto il controllo longobardo a Pavia. Papa Stefano II si rivolse allora ai
Franchi. Al rifiuto di Carlo Martello, debitore verso i Longobardi di sostegno militare
nella guerra contro gli Arabi che avanzavano dalla Spagna, seguì il consenso ad
intervenire in Italia dei sui successori. Il primo fu Pipino che scese per la prima volta in
Italia nel 754 e vi tornò appena due anni dopo obbligando re Astolfo a ritirarsi dalle
regioni bizantine che aveva occupato da Ravenna fino a Roma. Queste poi non furono
restituite come promesso del sovrano franco ai Bizantini, ma vennero consegnate alla
chiesa di Roma, palesando così l’influenza di questa sui territori italiani e dimostrando
anche la vera natura dell’accordo stretto fra Stefano II e Pipino.
Alla discesa di Pipino in Italia seguirono circa venti anni di lotte che interessarono
Franchi, Longobardi e papato. Il pontefice aveva ormai irrevocabilmente e palesemente
mostrato le sue intenzioni. Aveva strappato il nobile compito della protezione della
cristianità dalle mani dei Bizantini (ai quali era stato riservato fino ad allora) e aveva
preferito eleggere al ruolo di difensore della Santa Romana Chiesa il popolo d’oltralpe.
Il colpo di grazia al regno Longobardo fu definitivamente inflitto dal figlio di Pipino,
Carlo, a re Desiderio e a suo figlio Adelchi, correggenti del regno. Carlo, vittorioso a
Pavia, nel luglio del 774 si proclamò re dei Franchi e dei Longobardi nonché patrizio dei
Romani.
Con Carlo Magno il dominio dei Franchi nel centro Italia e nel resto d’Europa si
ingigantì fino a legittimarsi nel Natale dell’800 nel nome di Sacro Romano Impero.
Carlo veniva così consacrato dal papa come nuovo imperatore del resuscitato impero
romano.
Vedi figura 02, pag. 108 - I territori italiani di Carlo Magno
Il ducato di Spoleto, che era stato il principale nodo del potere longobardo nel centro
Italia, in seguito al passaggio ai Franchi nel 775, rimase sotto l’autorità del duca
Ildeprando. Questi era stato eletto duca direttamente da papa Adriano I appena l’anno
precedente. L’intenzione del papa era chiaramente quella di assicurasi un fedele alleato
in quello che rappresentava il suo primario obiettivo nel recupero dei territori del
Patrimonio di San Pietro, che erano stati a suo parere illecitamente usurpati dal re
franco. Ildeprando però tradì le aspettative del pontefice e quando Carlo Magno per
mezzo di due suoi inviati gli propose di restargli fedele accettò senza riserve
infrangendo così tutti i piani di rivalsa architettati da Adriano I. Alla morte di
Ildeprando, nel 789, gli successe Guinigisio, uomo fedele a Carlo Magno che divenne il
primo duca di Spoleto di origine franca. Si interrompeva così la successione longobarda
a capo del ducato di Spoleto e cominciava così un nuovo periodo in cui regnarono a
Spoleto duchi di origine francese più strettamente legati al potere centrale, sebbene non
privi di una grande autonomia concessagli dai loro sovrani. Alla morte di Guinigisio,
avvenuta nell’822 seguì un periodo durato circa dodici anni durante i quali i re carolingi
nominarono diversi uomini a loro fedeli alla guida del ducato senza che però ci fosse
una chiara figura a cui fare riferimento. Per la durata dell’intero periodo nei documenti
in possesso del monastero di Farfa non si fa menzione di alcuno tranne che di un certo
Berengario.
Alla morte di Carlo Magno, avvenuta nell’814 l’impero venne diviso tra i sui figli
legittimi. La corona di imperatore nonché la sovranità sull’Italia spettarono al figlio
Ludovico, che morirà nell’843. Gli succederanno poi i suoi tre figli dei quali sarà
Lotario ad ereditare il regno d’Italia e con esso la dignità imperiale. Alla sua morte
nell’877 subentrò suo fratello Carlo il Calvo e a questo Carlo il Grosso il quale regnò
fino all’887. Quando alla morte di Carlo il Grosso l'impero carolingio si disgregò
completamente, i duchi di Spoleto riacquistarono l'indipendenza di un tempo e