Espressionismo e inclusione
L'immagine in copertina è La Danza di Henrie Matisse, dipinto “inclusivo” del 1909.
L'ho scelto perché mi sembra richiami alcuni elementi che hanno caratterizzato il mio percorso di
tirocinio.
Innanzitutto il dipinto rappresenta una danza e i corpi la seguono e nello stesso tempo la creano con tutta
la loro plasticità, eppure leggeri, delineati con gesti spontanei: nella danza individualità e collettività -il
singolo nel gruppo - coesistono e traggono l'una forza e valore dall'altra, senza che sia possibile
gerarchizzarle, così come elementi teorici e contesto specifico.
La danza rappresentata è un girotondo: il cerchio, figura perfetta e chiusa per eccellenza, in realtà in
questo dipinto è aperta perché i due danzatori più in basso si stanno dando le mani, forse dopo che uno di
loro ha preso il suo posto nella danza stessa-un'inclusione che porta già da subito il suo contributo nella
danza, l'impiego di metodologie attive.
Il movimento appare vorticoso, senza fine, ma è armonioso, le figure sono linee ordinate in relazione alla
superficie dipinta: i profili si adattano alla composizione, ogni elemento dei corpi si dispone in una
posizione relazionata a quella degli altri, l’uno concatenandosi al vicino e questo al successivo, secondo
un rapporto armonioso che coinvolge l’intero quadro- la coerenza tra i diversi elementi della
progettazione.
Nella danza, infatti, ognuno declina nel suo modo personale uno stimolo: la musica e il movimento stesso
che i cinque danzatori creano insieme, -progetto e coproduzione- che ciascuno sente pensato per lui e lo
restituisce al gruppo attraverso la sua stessa danza- individuazione e personalizzazione, stili di
apprendimento- determinando così un adeguamento e un nuovo armonizzarsi di movimenti - co-auto-
valutazione e riprogettazione.
I volti sono quasi tutti nascosti e richiamano una dimensione universale e simbolica-conoscenza
paradigmatica, competenze chiave.
Inoltre i colori utilizzati sono solo tre: sono quindi ridotti all'essenziale, “Il minimo per ottenere il
massimo effetto” era il motto di Matisse in quel periodo – i processi logici- ma sono utilizzati in modo
molto marcato, sono colori saturi, estremamente carichi- le possibili declinazioni di tali processi: le
materie, gli argomenti di studio, le diverse attività...
Del resto, i colori dominanti, il blu, il rosso e il verde, permettono di percepire immediatamente la
composizione, orientandoci a distinguerne nettamente ogni elemento- gli indicatori dei processi, la
tabella semaforica.
Infine, il piede di uno dei danzatori imprime alla superficie sulla quale ballano una deformazione dovuta
al suo peso: un approccio didattico che lascia il segno nella propria formazione e nella Scuola...forse...
Ho scelto questo dipinto anche perchè mi ricorda un testo – La danza che crea- che esprime un legame
tra conoscenza, realtà e visione della scienza rispetto a se stessa particolarmente vicino all'ottica da cui si
origina il mio progetto: un “deuteroapprendimento”, un apprendimento progressivo e in continua crescita,
piuttosto che un'acquisizione ed una rappresentazione data.
Il cuore del problema della vita e della cognizione è
la coevoluzione, la danza creatrice, di
conservazione e mutamento, di invarianza e di
novità, di chiusura e apertura. Il rapporto fra
soggetto e oggetto, fra conoscenza e realtà, da
rapporto di rappresentazione si ridefinisce come
rapporto di coemergenza, di coevoluzione,
appunto, di danza che crea, che “pone innanzi” un
mondo, e dove la condizione richiesta è la
effettività dell’azione, nel consentire la continua
conservazione del sistema coinvolto.
Mauro Ceruti, “La danza che crea. Evoluzione e cognizione
nell’epistemologia genetica”
Apprendimento = Apprendere ad apprendere.
Comprensione = Richiede la comprensione della comprensione
Dialogo = Vedersi attraverso gli occhi di un altro.
Verità = L'invenzione di un bugiardo.
H. von Foerster, in Mauro Ceruti,
“La danza che crea. Evoluzione e cognizione nell’epistemologia genetica”
INTRODUZIONE
Il presente testo espone e analizza il progetto didattico che ho realizzato in una classe
seconda della Scuola Primaria P. Neglia di Vanzago (MI) durante il mio tirocinio del
quarto anno di questo Corso di Laurea.
L'ipotesi principale che mi proponevo di verificare attraverso il percorso progettato era
se il potenziamento di processi cognitivi e metacognitivi legati all'autoregolazione
potesse portare ad una maggior consapevolezza di sè e all'assunzione di stili attributivi
più funzionali verso l'apprendimento stesso.
Nel progettare l'intervento didattico mi sono basata anche su un altro presupposto,
desunto dalla letteratura, che intendevo vagliare: che i processi cognitivi che mi
prefiggevo di stimolare- principalmente la capacità di risolvere inferenze nella
comprensione testuale- avessero un carattere generale e media-aspecifico.
V olevo, infatti, verificare che la sollecitazione di tali processi cognitivi e una
generalizzazione dei quelli metacognitivi prescelti condotta usando codici e tipologie di
testi variegati, potesse comunque giovare alla comprensione di quelli narrativi o
descrittivi verbali.
L'orizzonte teorico in cui mi sono mossa è stato quello della didattica metacognitiva-
tesa a favorire nei bambini una maggior conoscenza di sè e del proprio funzionamento
mentale e a controllare in modo autonomo l'efficacia dei propri processi cognitivi e
l'utilizzo di strategie adeguate all'obiettivo da raggiungere.
Oltre ai classici contributi di Flavell, Brown e Paris, ho fatto riferimento al modello
elaborato da Borkowsky e Muthukrishna che presuppone che alla base della capacità di
conoscenza e di controllo metacognitivo siano presenti relazioni funzionali fra
caratteristiche motivazionali, cognitive e altri fattori psicologici, tra i quali mi sono
focalizzata su stili attributivi e stili cognitivi.
In quest'ottica i contenuti disciplinari su cui basarsi non sono più prioritari, poichè
l'approccio metacognitivo si caratterizza come "polivalente per il suo carattere di
metodo generalizzabile nelle più disparate condizioni di apprendimento e trasversale
perché comune ai vari ambiti di insegnamento e capace di seguire l'individuo nel corso
dell'intero suo cammino scolastico."
1
Al centro del processo di insegnamento non vi sono più conoscenze dichiarative e
1 C. M. Scaglioso, Suonare come parlare: linguaggi e neuroscienze, implicazioni pedagogiche, Roma,
Armando, 2008, pag. 219.
5
nozionistiche, ma si colloca pienamente l'"imparare a imparare", competenza chiave per
la formazione permanente di un soggetto che sappia gestire la propria crescita personale
e sappia far fronte alle nuove esigenze portate dalla complessità e transitorietà
dell'emergente "società dell'informazione."
Fondamentale per “imparare ad imparare”, sia durante il percorso scolastico che in
seguito, è sviluppare le capacità di autoregolazione e di autovalutazione, competenze
che facilitano la gestione autonoma da parte di un individuo del proprio processo di
apprendimento.
Come naturale conseguenza dell'assunzione di questa cornice teorica, ho impostato il
progetto secondo un modello autoregolativo e un'ottica laboratoriale, dove il sapere non
venisse trasmesso, ma co-costruito in un percorso ricorsivo e dialogico tra tutti gli attori
che vi partecipano- insegnanti, bambini, gruppo classe- in contesti intersoggettivi di
confronto e di scambio tra punti di vista diversi.
La focalizzazione, infatti, sulle proprie caratteristiche cognitive ed il monitoraggio dei
propri processi di pensiero, implica che anche l'insegnante sia in ricerca e che tutti si
considerino come soggetti epistemici- attivamente impegnati nella costruzione di
conoscenze procedurali e strategiche- intenzionali- in quanto operano scelte cognitive
consapevoli e responsabili- e autoregolatori, poichè indirizzano i propri comportamenti
cognitivi verso determinati obiettivi e verso la relativa autovalutazione.
Dall'assunzione di questo orientamento didattico sono derivate altre scelte, relative sia
alle metodologie da utilizzare durante il percorso- tali da favorire per l'appunto il
dialogo e la cooperazione- che al materiale didattico fornito e prodotto- vario, perchè
potesse incontrare gli stili cognitivi e le intelligenze multiple di tutti, seppur unificato
formalmente in una cornice narrativa fantastica e concettualmente dal richiedere lo
svolgimento di compiti improntati sullo sviluppo di competenze e abilità predefinite.
Da tale modello sono derivate altresì scelte più sostanziali, quali le modalità di
valutazione utilizzate- che consentissero un'autovalutazione e una covalutazione- e il
mio ruolo di insegnante compartecipe al progetto stesso, progettato, attuato e monitorato
coltivando un atteggiamento di ricerca, cioè con la disposizione a mettermi in
discussione per il mio e l'altrui apprendimento.
Come è giusto che sia, la pista iniziale è stata più volte modificata in itinere,
prediligendo a volte strade differenti e più consone alle esigenze dei discenti, a volte
soffermandosi maggiormente su tematiche rilevatesi particolarmente interessanti e
tralasciandone altre, forte del carattere trasversale e interdisciplinare dei processi
6
esaminati.
Alla fine il percorso si è organizzato su diversi livelli e articolato su tre fasi: da un
livello di indagine sulle proprie e altrui conoscenze e attitudini a uno più operativo di
esplorazione e applicazione strategica e di autovalutazione, fino ad uno di attiva e
autonoma produzione, che ha costituito un momento di valutazione autentica sulla
competenza sviluppata nell'utilizzare in modo appropriato i processi cognitivi e
metacognitivi implementati.
Il presente elaborato ripercorre le fasi del percorso svolto, utilizzando il metodo di
documentazione narrativo, attraverso il quale "si narra l'esperienza educativa realizzata
a scuola e insieme si narra l'esperienza di ricerca che quest'esperienza assume come
oggetto d'indagine,"
2
accogliendo la tesi di Bruner secondo il quale la narrazione
costituisce uno strumento di costruzione di significato delle esperienze.
In quest'ottica la documentazione non costituisce l'atto finale e risolutivo di un percorso,
ma ne testimonia la temporalità, dando spazio sia a ciò che concretamente avviene che
alla "cornice di contesto utile ad aiutare a inquadrare l'esperienza da un punto di vista
globale",
3
mettendo in evidenza anche ciò che spinge l'insegnante a compiere
determinate scelte, attraverso uno sguardo descrittivo fenomenologicamente orientato
sui componenti dell'azione didattica, che ne fondi la descrizione di come appare con “il
modo in cui se ne elabora la conoscenza”,
4
assumendo un paradigma di indagine
ecologico, in base al quale “non ci sono “dati oggettivi” da “trovare”, ma costruzioni
che vengono prodotte nel corso dell’attività di ricerca.”
5
La validità di un'indagine condotta e indagata in questo modo risiede proprio nel
“rendere esplicito, e quindi sottoponibile al giudizio critico, il processo di costruzione
della ricerca”,
6
spiegandone la contestualizzazione, come “antidoto alla semplicistica
ipergeneralizzazione”,
7
e orizzonte sul quale esercitare il pensiero riflessivo e
metacognitivo che consenta, a partire dalla conoscenza ed analisi di “buone pratiche”,
8
descrizioni analitiche di attività rivelatesi particolarmente efficaci, e di sviluppare il
sapere esperienziale, proprio di un insegnante.
2 L. Mortari, Ricercare e riflettere. La formazione del docente professionista, Roma, Carocci, 2011, pag.
50.
3 M. De Rossi, E. Restiglian, Narrazione e documentazione educativa. Percorsi per la prima infanzia,
Roma, Carocci, 2013, pag. 35.
4 L. Mortari, Ricercare e riflettere, op. cit., pag. 63.
5 G. Mantovani, A.Spagnoli, Metodi qualitativi in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2003, pag. 23.
6 L. Mortari, Cultura della ricerca e pedagogia. Prospettive epistemologiche, Roma, Carocci, 2007,
pag. 188.
7 L. Mortari, Ricercare e riflettere, op. cit., pag. 75.
8 Ivi, pag.108.
7
Nel descrivere il progetto condotto in classe utilizzo metaforicamente le fasi di
produzione di un tessuto, per esprimere come ogni apprendimento avvenga a partire da
qualcosa di già presente- un contesto con precise potenzialità, risorse e limiti- seguendo
una trama orientativa ma non precostituita, da co-costruire mettendo in campo tutta la
complessità e i fattori che ne caratterizzano gli intrecci, in un'alternanza dialettica tra
teoria e osservazione partecipata e tra pensiero dell'insegnante e riscontri della classe,
fino ad ottenere un prodotto che è sì finito, ma non risolto nella sua conclusione, poiché
acquista senso proprio nell'essere utilizzabile e trasformabile, come “aggancio” per
nuove costruzioni di sapere, dopo essere stato sottoposto ad una revisione e ad un
controllo attento.
Nello specifico, il presente elaborato descrive il contesto nel quale mi sono inserita,
utilizzando e interpretando i dati da me raccolti con osservazioni dirette o ripercorrendo
la documentazione ufficiale dell'istituto scolastico, al fine di comprenderne la
progettualità educativa e didattica e di rilevare i bisogni, gli interessi, le attitudini, le
preconoscenze e le credenze dei soggetti con cui avrei operato (cap. 1).
I dati desunti da tale osservazione hanno costituito il punto di partenza per l'attività di
progettazione, basata su un'iniziale ipotesi di lavoro, definita individuando l'area
disciplinare, il nucleo fondante e dei modelli teorici di riferimento che potessero essermi
utili per stimolare l'autoregolazione dei bambini (cap. 2).
A questo punto si è reso necessario spostare nuovamente lo sguardo sulla classe, per una
verifica iniziale più precisa e orientata che mi fornisse una panoramica sulla situazione
dei bambini rispetto ai fattori su cui intendevo basare la progettazione.
In questa fase ho utilizzato alcuni strumenti desunti e adattati dalla letteratura sugli stili
attributivi, la mentalizzazione e la comprensione testuale e ho spostato il mio focus di
osservazione della classe sulla risposta dei bambini all'impiego di metodologie attive
(cap. 3).
I nuovi dati raccolti mi hanno consentito di individuare con più precisione i processi su
cui lavorare e le metodologie più appropriate e di impostare la fase di coproduzione in
cui ho proposto ai bambini diverse attività per stimolare e implementare i processi
cognitivi e metacognitivi su cui avevo ritenuto opportuno intervenire.
Ogni attività ha consentito di lavorare sia sulla generalizzazione di strategie di
apprendimento e di autovalutazione che sul fading
9
rispetto ad alcuni processi e abilità
che si stavano via via costruendo.
9 Il fading consiste nel ridurre progressivamente gli aiuti forniti nell'esecuzione di un compito.
8
Punto fermo di questa fase è stato il costante monitoraggio delle acquisizioni dei
bambini, che essi stessi erano chiamati a valutare compilando una tabella semaforica in
base ad indicatori che venivano stabiliti insieme e la condivisione della valutazione
stessa tra me e loro o nel gruppo di pari. (cap.4)
Infine, ho riproposto agli alunni gli strumenti e le prove usati nella fase di verifica
iniziale per verificare e discutere con loro i cambiamenti avvenuti dopo la fase di
stimolazione.
Inoltre i bambini si sono impegnati nella progettazione e realizzazione di un domino
finale che costituisse una verifica autentica del percorso svolto, rendendo concretamente
visibili e fruibili le competenze da loro acquisite (cap.5).
Gli ultimi capitoli sono maggiormente incentrati sulla riflessione sul percorso attuato,
sia durante il suo svolgimento che alla sua conclusione, per delineare in particolare
alcuni elementi pervasivi di ogni progetto didattico (cap. 5) e per valutarne l'esito
complessivo, sia rispetto ai risultati conseguiti o rimasti in sospeso che rispetto alla
coerenza tra i fattori che lo compongono (cap. 6).
In questo momento, il progetto può intendersi completamente concluso, ma è proprio a
questo punto che, come un tessuto, acquisisce pienamente tutte le sue potenzialità in
divenire, costituendo, nella trasversalità e polivalenza che lo caratterizzano, un efficace
trampolino di lancio verso la formazione permanente dei bambini e dell'insegnante
stesso, verso una epistemologia personale più consapevole e riflessiva (cap.7).
La bibliografia finale raccoglie la documentazione e la letteratura da me consultata per
la progettazione e l'attuazione del percorso, oltre che per l'approfondimento di questioni
e temi più specifici, relativi a codici e tipologie testuali utilizzati.
Completano il volume gli allegati, nei quali riporto le attività proposte ai bambini,
indicandone in modo più dettagliato obiettivi, materiali e metodologie adottate e i
relativi elaborati da loro svolti: mi sembra questo possa costituire una forma di “cura
educativa”, di valorizzazione dell'impegno mostrato dai bambini durante il percorso
stesso e di rafforzamento del proprio senso di autostima e di efficacia: “vivere un
percorso e vederlo riprodotto nella documentazione di un altro, crea quell'importante
spaesamento che apre allo stupore, al dubbio e alla voglia di capire e di capirsi di
più”.
10
10 C. Rinaldi, I pensieri che sostengono l’azione educativa, Centro Documentazione e Ricerca Educativa
Nidi e Scuole dell’Infanzia, Reggio Emilia, taccuino n.1, marzo 1994, pag.26, in M. Guerra,
Progettare esperienze e relazioni. Azioni, contesti, sperimentazioni e formazione nei servizi educativi
per l'infanzia e le famiglie, Bergamo, Junior, 2008, pag. 37.
9
1. CONTESTO
“Il contesto è legato ad un'altra nozione non definita che è il significato.
Prive di contesto le parole e le azioni non hanno alcun significato”
Gregory Bateson
“Lo spazio è come un acquario
nel quale si rispecchiano le idee,
i valori, le attitudini e le culture
della gente che vive al suo interno."
Loris Malaguzzi
1.1. Il contesto come Mente diffusa
1
e pedagogia implicita
"Varcare la soglia di un’istituzione o di un servizio educativo apre le porte a un mondo,
che si discosta ma che dovrebbe anche trarre senso dal mondo da cui le persone
provengono. Il mondo della vita, su cui insiste l’esperienza educativa proposta da un
determinato servizio, è composto a sua volta da più mondi: dallo sfondo sociale, ovvero
dallo scenario culturale, economico, sociale che connota un determinato periodo
storico e che struttura gli stili di vita delle persone, il loro modo di lavorare, di
relazionarsi con gli altri, di abitare i contesti; dal territorio particolare in cui i soggetti
hanno imparato a vivere; dalle agenzie educative in cui le persone hanno vissuto o che
hanno frequentato; dai luoghi e dalle occasioni educative che è capitato, si è stati
costretti o si è scelto di attraversare."
2
Ogni processo di sviluppo umano, e quindi anche la formazione promossa dalla scuola,
si situa all'interno di uno specifico ambiente geografico e socio-culturale che è bene
tenere in considerazione per le opportunità e i limiti che può offrire anche alla didattica.
Lo spazio, inoltre, si connota come dotato di due dimensioni che interagiscono tra loro:
"uno spazio inteso come modalità del reale il cui costituente è il concreto degli oggetti
considerati nella loro collocazione, nelle loro modificazioni e nella loro fruibilità e uno
spazio inteso come ambiente delle relazioni tra gli oggetti, cioè di costruzione interiore
di ognuno entro la quale le relazioni tra gli oggetti, siano essi cose o individui,
vengono percepite, espresse, proiettate, interiorizzate":
3
consapevole di ciò, nella
1
L' antropologo, sociologo e psicologo britannico Gregory Bateson (1904 – 1980) sosteneva che la
Mente- in questo caso i propositi didattici di un insegnante- è "distribuita negli artefatti che sono
interconnessi e che interconnettono le azioni umane- ossia nel contesto. Vedi F. Carugati, P. Selleri,
Psicologia sociale dell'educazione, Bologna, Il Mulino, 1996, pag. 29 e A. Frigerio, Contesti,
significati, apprendimenti. La ricerca a scuola, Bergamo, Junior, 2006, pag.47.
2
C. Palmieri, Un'esperienza di cui aver cura... Appunti pedagogici sul fare educazione, Milano,
FrancoAngeli, 2011, p. 97.
3
E. Nigris, Didattica generale, Milano, Guerini Scientifica, 2003, p. 9.
10