2. La regola « sui heredes aut instituendi sunt aut exheredandi »
Col tempo si sentì la necessità di tutelare la situazione dei
parenti più stretti del defunto, imponendo delle limitazioni al
momento in cui il testamento veniva redatto, per cui il testatore era
tenuto a prendere una posizione esplicita nei confronti di tali persone
decidendo d’istituirle eredi oppure diseredarle; diventa a quel punto
vigente il divieto di preterire i propri heredes. Alcuni Autori, come
Luigi Di Lella, hanno ritenuto che il principio « sui heredes aut
instituendi sunt aut exheredandi » si sia sviluppato nella prassi
centumvirale
1
.
L’ Autore sostiene come la dottrina tradizionale abbia voluto
vedere in tale principio un limite alla libertà di testare, se poi la
preterizione avesse riguardato un figlio maschio, essa avrebbe
determinato l’invalidità del testamento.
Tale limite avrebbe avuto natura sostanziale, infatti, avrebbe
imposto al testatore un dovere di istituire certe persone, solo in questo
senso avrebbe potuto intendersi la sanzione della invalidità del
testamento.
1
L. DI LELLA, « Querela inofficiosi testamenti ». Contributo allo studio della successione
necessaria, cit., p. 102 ss.
Tra gli interventi centumvirali in materia di preterizione, si
ricorda il caso del figlio omesso dal testamento, richiamato sia da
Cicerone, sia da Valerio Massimo:
Cic., de orat. 1.38.175 : ...De cuius morte cum domum
falsus ab exercitu nuntius venisset et pater eius re
credita testamentum mutasset et, quem ei visum esset,
fecisset heredem essetque ipse mortuus, res delata est
ad centumviros, cum miles domum revenisset
egissitque lege in hereditatem paternam testamento
exheres filius. Nempe in ea causa quaesitum est de iure
civili, possetne paternorum bonorum exheres esse filius,
quem pater testamento neque heredem neque exhe-
redem scripsisset nominatim.
Val. Max. 7.7.1: Atque ita, ut ea ordine quo proposui
exquar. Militantis cuiusdam pater, cum de morte filii
falsum e castris nuntius accepisset, [qui erat
falsus],aliis heredibus scriptis decessit. Peractis deinde
stipendiis adulescens domum petiit : errore patris,
impudentia alienorum [domum] sibi clausam repperit :
quid enim illis inverecundius ? Florem iuventae pro re
publica absumpserat, maximos labores ac plurima
pericula toleraverat, adverso corpore exceptas
ostendebat cicatrices, et postulabant ut avitos eius
lares otiosa ipsi urbi onera possiderent. Itaque
depositis armis coactus est in foro togatam ingredi
militiam: acerbe: cum inprobissimis enim heredibus
de paternis bonis apud centumviros contendit
omnibusque non solum consiliis sed etiam sententiis
superior discessit.
In entrambi i testi si legge del caso del militare diseredato dal
padre, dopo che questi aveva ricevuto dal campo di battaglia la falsa
notizia della morte del figlio. Il padre dopo aver appreso della morte,
cambiò il testamento nominando eredi degli estranei. Il figlio dopo
lungo tempo tornò a casa, quando ormai il padre era deceduto, e scoprì
così di essere stato diseredato; decise allora di intentare un
procedimento legale davanti ai centumviri per ottenere l’eredità
paterna.
Sul caso del soldato ricordato nei testi, si sono espressi vari
Autori. L’Appleton ritiene che nel testamento non vi fosse una
clausola esplicita di diseredazione del figlio, ma in esso era
sicuramente contenuta la clausola ceteris exheredes sunto, ossia la
clausola prevista per i testamenti di coloro che non avevano figli. Si
ritiene che il tribunale avesse annullato il testamento all’unanimità
2
.
Il Sanguinetti aggiunge che dal testo di Valerio Massimo si
possa dedurre che i centumviri avessero giudicato in sezioni diverse,
questo significa che gli eredi testamentari erano sicuramente plurimi,
quindi il giovane doveva aver intentato un numero di cause pari agli
eredi stessi
3
.
2
C. APPLETON, Le testament romain. La méthode du droit comparé et l’authenticité des
XII tables, Paris 1903, p. 100 s.
3
A. SANGUINETTI, Considerazioni sull’origine del principio « Sui heredes instituendi
sunt vel exheredandi », in SDHI 59, 1993, p. 262.
L’Autore prosegue affermando che « da una prima lettura del
De oratore di Cicerone si potrebbe pensare che nel secondo
testamento vi fosse una clausola generale di diseredazione, e che gli
avversari del giovane sostenessero che, in forza di essa, il figlio
doveva considerarsi exheredatus inter ceteros »
4
. Il Sanguinetti
sostiene che non si tratti di diseredazione ma di un’ipotesi di
praeteritio, anche perché il motivo che portò il padre a mutare le
disposizioni testamentarie, fu la notizia erronea della morte del figlio;
quindi è molto improbabile pensare che egli avesse voluto diseredarlo.
L’Autore sostiene, inoltre, che all’epoca del miles il principio « sui
heredes aut instituendi sunt aut exheredandi » non si fosse ancora
espressamente formato, altrimenti non si spiegherebbero le difficoltà
incontrate dal miles per far valere le sue ragioni. Ancora la mancanza
di tale principio, può desumersi anche dal fatto che Valerio Massimo
inserì l’episodio nel titolo VII del libro VII, dedicato ai casi di «
testamenti legitime facta quae rescissa sunt », se fosse già esistito tale
principio il testamento in questione non si sarebbe potuto definire
legitime facta. Andrea Sanguinetti continua l’analisi affermando che
se all’epoca del caso ricordato da Cicerone e Valerio Massimo il
4
A. SANGUINETTI, Considerazioni sull’origine del principio « Sui heredes instituendi
sunt vel exheredandi », cit., p. 262.
principio per cui i sui dovevano essere espressamente nominati oppure
diseredati non esisteva ancora, tale processo può essere visto come: «
la prima occasione in cui, a mezzo di una sentenza dei centumviri,
esso fu applicato. L’occasione concreta per la posizione del nostro
principio fu quella di una preterizione determinata da errore;
stabilendo che i sui dovevano comunque essere presi in
considerazione nel testamento i centumviri intesero evitare per il
futuro il ripetersi di situazioni di conflitto tra lo scriptum testamentario
e la volutas del de cuius »
5
.
L’Autore, infine, afferma che tale regola non rappresentava
una tutela alla successione sostanziale dei sui, questo perché il
testatore rimaneva libero di diseredarli o anche di istituirli eredi per
una quota irrisoria.
Matteo Marrone
6
ritiene che le decisioni dei centumviri sulla
praeteritio, fossero decisioni di merito, quindi sotto l’aspetto formale
essi avrebbero interpretato la volontà del testatore, anzi in un certo
qual modo si sostituivano a lui, nominando gli eredi come se il de
cuius li avesse preteriti per errore, le decisioni si basavano sempre
5
A. SANGUINETTI, Considerazionisull’origine del principio « Sui heredes instituendi
sunt vel exheredandi », cit., p. 268.
6
M. MARRONE, « Praeteritio », « exheredatio », « querela inofficiosi testamenti », in
Labeo 19, 1973, pp. 358-365.
sull’aequitas. Fu proprio per evitare gli effetti della praeteritio che
nacque l’istituto della diseredazione espressa. L’Autore sostiene che il
principio si determinò all’inizio del principato
7
, fu la prassi
centumvirale a introdurre la distinzione tra gli heredes sui e ceteris sui;
solo per i primi sarebbe stata richiesta la diseredazione nominativa (es.
Marcus Filius meus exheres esto), che se assente avrebbe provocato
l’invalidità del testamento e la conseguente apertura della successione
ab intestato. La creazione dell’exheredatio nominativa, come
principio nato all’interno del tribunale centumvirale, viene confermato
anche da una costituzione di Giustiniano:
C. 6.28.4.2 imperator Justinianus: ...Scimus etenim
antea simili modo et filium et alios omnes inter ceteros
exheredatos scribere esse concessum, cum etiam
centumviri aliam differetiam introduxerunt, (a. 531).
Da tale passo si desume come la differenza di trattamento tra
maschi diseredati e femmine, venne introdotta in un momento
successivo, visto che l’imperatore affermava di sapere che il principio
7
M. MARRONE, « Praeteritio », « exheredatio », « querela inofficiosi testamenti », cit., p.
360. Contra A. SANGUINETTI, Considerazioni sull’origine del principio « sui heredes
instituendi sunt vel exheredandi », cit., p. 270, afferma che il principio fosse già
consolidato nel periodo di Cicerone, questo perché l’opera fu terminata nel 55 a.C. , ma il
dialogo si svolse nel 91 a.C. e l’oratore faceva riferimento a fatti accaduti prima di tale
data. E’ proprio in questo periodo che nacquero le prime reazioni contro i testamenti
inofficiosi quindi se il principio in questione non fosse ancora esistito al tempo di
Cicerone la praeteritio sarebbe stata assorbita dal testamento inofficioso.
non esistesse sin dall’origine; non è possibile individuare la data esatta
in cui tale sistema si affermò, probabilmente in età tardo repubblicana
8
.
Se preteriti fossero stati ceteri sui, il testamento sarebbe
comunque rimasto valido, ed essi avrebbero partecipato all’eredità
accanto agli istituiti per accrescimento, su tale diritto si affermava che
la figlia preterita doveva considerarsi istituita tacitamente per metà se
gli istituiti erano estranei, per una quota individuale se gli eredi erano
sui
9
.
Pasquale Voci aggiunge che la diseredazione doveva essere
totale, ossia il figlio doveva essere escluso da tutta l’eredità e nei
confronti di tutti gli eredi istituiti, non sarebbe esistita invece nel caso
in cui fosse disposta solo nei confronti di uno degli eredi
10
.
Tale regola sulla diseredazione espressa sembrerebbe quindi
essere sorta per dar maggior chiarezza alle decisioni che il testatore
voleva prendere nei confronti di certi soggetti; ma allo stesso tempo
rappresentava una tutela nei confronti di alcuni parenti stretti che in
precedenza non avrebbero avuto protezione.
8
L. GAGLIARDI, Decemviri e Centumviri, cit., p. 272 s.
9
C. APPLETON , Le testament romain. La méthode du droit compare et l’authenticitè des
XII tables, cit., p. 100.
10
P. VOCI, Diritto ereditario romano, cit., p. 637.
3. Hereditatis petitio e querela inofficiosi testamenti
Una parte della dottrina
11
è concorde nel ritenere che la
querela, cioè quel rimedio processuale che permetteva di ottenere
l’annullamento di un testamento considerato ingiusto, sia nata come
incidente ad un’azione di petizione dell’eredità davanti alla corte
centumvirale.
L’azione concessa ai parenti, inizialmente sarebbe stata quella
di inofficiosità, con essa si sosteneva che il testatore avesse violato un
dovere di affetto, officium pietatis, che doveva esistere nei confronti di
certi congiunti, attraverso un atto di diseredazione.
Luigi Di Lella ha sostenuto che la nascita dell’azione di
inofficiosità derivasse dal fatto che nello ius civile erano state recepite
alcune esigenze sociali, con conseguente creazione di regole, che
stabilivano quali criteri dovessero essere seguiti per escludere
determinate persone dalla successione. Inoltre, aumentarono i soggetti
che potevano rientrare nella categoria di successibili ab intestato
12
.
11
Appartengono a tale dottrina M. MARRONE, Sulla natura della « querela inofficiosi
testamenti ». L. DI LELLA, « Querela inofficiosi testamenti ». Contributo allo studio della
successione necessaria. F. BOZZA, Sulla competenza dei centumviri. L. GAGLIARDI,
Decemviri e Centumviri,
12
L. DI LELLA, « Querela inofficiosi testamenti ». Contributo alla successione neces-
saria, cit., p. 131.
Il Di Lella sostiene che il concetto di inofficiosità del
testamento, sia nato proprio all’interno della prassi centumvirale, per
questo motivo ha sottolineato come abbiano un’importanza
fondamentale le fonti letterarie
13
. Per l’Autore, i parenti più stretti
indipendentemente dalla loro qualità di successibili ab intestato,
trovarono tutela in virtù della natura petitoria attraverso la forma della
l. a. sacramentum in rem. Se la persona fosse riuscita a dimostrare di
essere stata preterita o diseredata ingiustamente avrebbe ottenuto il
possesso dei beni. Sul punto si è espresso anche il Martin,
aggiungendo che chi lamentava una exheredatio ingiusta, doveva
agire davanti al pretore con la petitio hereditatis ab intestato proprio
con l’azione in rem. Se l’erede testamentario non avesse temuto l’onta
dell’inofficiosità, avrebbe reagito con la controvindicatio e il processo
si spostava così davanti ai centumviri
14
.
Francesca Bozza sulla questione richiama la teoria proposta
dagli umanisti nel XVI sec., essi avrebbero considerato la querela una
petitio hereditatis avente caratteri particolari, la petitio ex causa
13
J. M. RIBAS ALBA, La desheredacìon injustificada en derecho romano, « querela i-
nofficiosi testamenti »: fundamentos y regime clàsico, cit., p. 64, ritiene che nonostante
l’opinione proposta dall’Autore sia accettabile, debba essere criticata proprio per aver da-
to poca importanza ai passaggi del Digesto, e perciò non possa essere considerato
corrispondente alla realtà giuridica.
14
O. MARTIN, Le tribunal des centumvirs, cit., p. 79.
inofficiosi testamenti
15
. L’Autrice riporta anche la teoria dell’Eisele
che si riallacia proprio a quella espressa dagli umanisti e sostiene che
bisogna distinguere tra una querela centumvirale e una querela
condotta per cognitio extra ordinem. In relazione a quella
centumvirale si afferma: « essa non era altro che una hereditatis
petitio ab intestato condotta nell’ordinaria forma della procedura per l.
actio davanti ai centumviri, ma fondata sul color insaniae. Ciò è
dimostrato dal fatto che la querela, come è generalmente ammesso, è
sorta nella pratica centumvirale: ora a questo tribunale potevano
essere portate solo cause sulle quali si fosse agito con la l. actio
sacramenti. Poiché una pura querela non avrebbe potuto esser fatta
valere con questo modus lege agendi, bisogna che sia stata innestata
su un’azione preesistente, di competenza di quel tribunale; ed essa non
può che essere la hereditatis petitio »
16
.
Sull’azione presentabile davanti al tribunale, il Voci ha
sostenuto che fosse possibile presentare una sponsio praeiudicialis,
con essa l’erede prometteva di pagare una certa somma se il
testamento fosse risultato inofficiosum.
15
F. BOZZA, Sulla competenza dei centumviri, cit., p. 93.
16
F. BOZZA, Sulla competenza dei centumviri, cit., p. 94. Sulla incidentalità della querela
anche E. JOBBE’ DUVAL, Exesplication de la loi 16 au code « De inofficioso testamento
»,3,28, cit., pp. 355 ss. M. MARRONE, Sulla natura della « querela inofficiosi testamenti
», in SDHI 21, 1955, pp.74 -122. L. GAGLIARDI, Decemviri e Centumviri, cit., p. 259.
Nei casi in cui fosse stata ammessa la sponsio la lite sarebbe
stata presentata davanti al pretore nella forma della l. a. sacramentum
in personam. L’Autore afferma che la formula utilizzata per la sponsio
fosse la seguente: « Si testamentum quo Lucius Titius heredem te
instituit inofficiosum est, sestertium CXXV nummos dari spondes? ».
La promessa avrebbe avuto la funzione di far decidere il
giudice sulla questione sostanziale, ossia l’inofficiosità
17
.
I casi di hereditatis petitio presentati davanti ai centumviri
sono diversi:
Quint., inst. or. 7.2.4: Est et illud ... coniecturae genus,
cum de aliquo homine quaeritur quis sit, ut est
quaesitum contra Urbiniae heredes is qui tamquam
filius petebat bona Figulus esset an Sosipater.
Quintiliano ricorda, a proposito dell’eredità di Urbinia, come
nacque il problema di stabilire chi fosse tra coloro che richiedevano
l’eredità, il figlio.
Quint., inst. or. 7.2.26: ...in lite Urbiniana petitor dicit
Clausinium Figulum, filium Urbiniae acie victa in qua
steterat fugisse, iactatumque casibus variis, retentum
etiam a rege, tandem in Italiam ac patriam suam
marginos venisse atque ibi agnosci; Pollio contra
servisse eum Pisauri dominis duobus, medicinam
factitasse, manu missum alienae se familiae venali
inmiscuisse, a se rogantem ut ei serviret emptum.
17
P. VOCI, Diritto ereditario romano, cit., p. 709.
Quintiliano rammenta come nel processo per l’eredità di
Urbinia, Figulo, che aveva proposto la causa e che affermava essere
figlio della donna, raccontava di essere stato fatto prigioniero in
battaglia e dopo essere riuscito a fuggire tornò in Italia dove venne
riconosciuto dai suoi parenti. Pollione al contrario riteneva che Figulo
avesse esercitato l’arte della medicina a Pesaro sotto due padroni, in
seguito ottenuta la libertà si unì ad un gruppo di schiavi che venivano
venduti.
Tac., dial. 38.2 : ...ut neque Ciceronis, neque Caesaris,
neque Bruti neque Caelii neque Calvi, non denique
ullius magni oratoris liber apud centumviros dictus
legatur, execeptis orationibus Asinii, quae pro here-
dibus Urbiniae inscribuntur, ab ipso tamen Pollione
mediis divi Augusti temporibus habitae.
Tacito sottolinea come le cause discusse davanti ai centumviri
fossero in questo periodo considerate fra le più importanti. Viene
ricordato in particolare il discorso che tenne Pollione a difesa degli
eredi di Urbinia.
I testi non fanno alcun riferimento ad un testamento
18
, fatto
questo che porterebbe a pensare che i centumviri fossero competenti in
materia di hereditatis petitio. Luigi Di Lella sostiene che non sia facile
comprendere quale diritto successorio fosse stato fatto valere, perché i
18
L. GAGLIARDI, Decemviri e Centumviri, cit., p. 213.
rapporti successori tra madre e figlio furono istituiti in un momento
successivo all’episodio riportato, cioè verso il II sec. d.C. Quindi
l’azione doveva essere sicuramente diretta ad ottenere
immediatamente i beni ereditari, per questo il tribunale doveva avere
di certo il potere di far ottenere tali beni
19
. Lorenzo Gagliardi
aggiunge che i centumviri fossero dotati di poteri tali, da poter
riconoscere diritti ereditari a soggetti che in base allo ius civile non
avrebbero avuto
20
. Il Martin vede in tali testi un processo di petitio
hereditatis e in particolare afferma che si tratti di un caso di
successione ab intestato, correlata ad una questione di stato, infatti
l’attore doveva dimostrare di essere il figlio di Urbinia
21
.
Altri casi in cui i centumviri avrebbero accordato un
riconoscimento all’eredità a determinati parenti verrebbero ricordati
da Quintiliano:
Quint., inst. or. 4.2.5 : ...cum vel nulla expositio est, vel
de re constat, de iure quaeritur, ut apud centumviros: «
filius an frater debeat esse intestatae heres », « pu-
bertas annis an habitu corporis aestimetur ».
19
L. DI LELLA, « Querela inofficiosi testamenti ». Contributo allo studio della suc-
cessione necessaria, cit., p. 42 ss.
20
L. GAGLIARDI, Decemviri e Centumviri, cit., p. 211 ss.
21
O. MARTIN, Le tribunal des Centumvirs, cit., p. 48, n. 1.
Quintiliano afferma che alcune volte davanti ai centumviri non
si controverta su questioni di fatto, ma piuttosto su questioni di diritto,
come nel caso in cui sia necessario stabilire chi debba essere erede di
una donna morta intestata, tra il figlio e il fratello della defunta.
Matteo Marrone avrebbe visto nel passo un caso di
inofficiosità, anche perchè la legittimazione attiva del figlio alla
vindicatio dell’eredità materna non sarebbe stata ancora affermata
22
.
Tale interpretazione non viene accolta né dal Di Lella né dal Gagliardi,
proprio quest’ultimo Autore sottolinea come il brano sia chiaro
nell’affermare che si tratti di una eredità ab intestato e come ci si
chieda a chi debba spettare l’eredità, tra un fratello e il figlio di una
Matteo Marrone avrebbe visto nel passo un caso di inofficiosità, anche
perchè la legittimazione attiva del figlio alla vindicatio dell’eredità
materna non sarebbe stata ancora affermata
23
. Tale interpretazione non
viene accolta né dal Di Lella né dal Gagliardi, proprio quest’ultimo
Autore sottolinea come il brano sia chiaro nell’affermare che si tratti
di una eredità ab intestato e come ci si chieda a chi debba spettare
l’eredità, tra un fratello e il figlio di una donna, non essendoci ancora
fonti giuridiche che regolino l’eredità di una donna. La questione si
22
M. MARRONE, Sulla natura della « querela inofficiosi testamenti », cit., p. 97.
23
M. MARRONE, Sulla natura della « querela inofficiosi testamenti », cit., p. 97.
poneva non nell’ambito dell’inofficiosità ma in quello della
successione intestata
24
.
Fu solo con il senatoconsulto Orfiziano
25
che venne regolata
questo tipo successione, ma una tutela era stata accordata già prima ad
opera dei centumviri.
Un altro caso in cui si rivendica l’eredità è riportato da Plinio:
Plin., ep. 5.1.6: Legatum mihi obvenit modicum, sed
amplissimo gratius. Cur amplissimo gratius? Pom-
ponia Galla exheredato filio Asudio Curiano heredem
reliquerat me, dederat coheredes Sertorium Severum,
praetorium virum, aliosque splendidos equites
Romanos ...Post hoc ille cum ceteris subscripsit
centumvirale iudicium, mecum non subscripsit.
Plin., ep. 5.7: Adpetebat iudicii dies. Coheredes mei
componere et transigere cupiebant non diffidentia
causae, sed metu temporum. Verebantur, quod
videbant multis accidisse, ne ex centumvirali iudicio
capitis rei exirent. Et erant quidam in illis quibus obici
et Gratillae amicitia et Rustici posset. Rogant me ut
cum Curiano loquar. Convenimus in aedem Concor-
diae, ibi ego « Si mater », inquam « te ex parte quarta
scripsisset heredem, num queri posses? »
In questa lettera che Plinio scrive ad Annio Severo, racconta di
aver ottenuto un legato di modico valore ma molto gradito, questo per
24
L. GAGLIARDI, Decemviri e Centumviri, cit., p. 210 s.
25
Il senatoconsulto Orfiziano venne emanato nel 178 d.C. e creò nuove figure di succes-
sibili ab intestato ammettendo all’eredità del figlio la madre e all’eredità della madre il fi-
glio. Così M. TALAMANCA, Storia del diritto romano, cit., p. 397. Quintiliano però scri-
ve circa un secolo prima, essendo vissuto sotto la dinastia dei Flavi e degli Antonini,
dinastia quest’ultima che inizia nel 96 d.C.
aver partecipato alla risoluzione di una causa ereditaria. Pomponia
Galla, aveva diseredato il figlio Asudio Curiano, instituendo eredi
illustri personaggi romani tra cui anche Plinio. Curiano cercò di
riottenere da Plinio la parte che egli aveva ottenuto dalla madre,
impegnandosi a restituirgliela in segreto, affinchè tale atto
influenzasse la decisione dei giudici, quando egli avrebbe proposto la
causa davanti ai centumviri. Plinio non accettò la proposta di Curiano
ma si impegnò a restituire la sua quota, se egli fosse riuscito a
dimostrare di essere stato diseredato ingiustamente. Inizialmente il
figlio chiese a Plinio stesso di decidere, affermando che la sua
decisione comunque sarebbe stata considerata equa, l’oratore accettò e
riunì alcuni amici; lui stesso prese le difese della madre, ma la
decisione fu contraria al figlio avendo loro riconosciuto l’esistenza di
giusti motivi per diseredarlo. Fu così che Curiano decise di rivolgersi
ai centumviri, omettendo però di chiamare in causa Plinio per il forte
rispetto che nutriva per lui. Prima del giudizio i coeredi tentarono di
transigere cercando un accordo col figlio, accordo che venne
raggiunto grazie all’intervento di Plinio
26
.
26
S. QUERZOLI, « Inofficiosum testamentum dicere »: tribunale Centumvirale potere
imperiale e giuristi tra i Flavi e gli Antonini, in Ostraka 8, rivista di antichità, 1999, p.
508. Tale Autrice pone in evidenza un altro aspetto, ossia la possibilità, che pare avessero
i centumviri, di condannare ad una pena capitale, sarebbe questo il motivo che indusse i
coeredi a preferire un accordo, piuttosto che presentarsi davanti al tribunale. Molte cause
ereditarie pare avessero un carattere intrinsecamente politico soprattutto in epoca imperia-
le. La Querzoli è l’unica, tra gli Autori da me esaminati a porre in evidenza questo potere
dei centumviri.