I
RIASSUNTO
Gli organismi adattati al freddo, detti psicrofili, riescono a sopravvivere in ambienti in cui le
temperature sono molto basse e le condizioni di vita sono restrittive. A queste temperature
inaccessibili, i flussi metabolici sono compromessi e di conseguenza questi organismi hanno
sviluppato diverse strategie di adattamento per poter sopravvivere.
Alcuni batteri, piante e vertebrati tra cui i pesci che vivono in ambienti molto freddi
prevengono danni cellulari e a livello dei tessuti producendo proteine anticongelamento (AFP).
Queste proteine sono in grado di legarsi ai cristalli di ghiaccio, inibire la loro crescita e
impedirne la ricristallizzazione che potrebbe risultare fatale per l’organismo. Le proteine
anticongelamento che sono state ritrovate in pesci come Macrozoarces americanus, permettono la
diminuzione del punto di congelamento del sangue e dei fluidi corporei (a -2.5° C) al di sotto del
punto di congelamento dell’acqua marina (-1.9° C). I pesci che abitano le acque alle alte
latitudini sono quindi protetti dal congelamento non solo da meccanismi colligativi (come
presenza di soluti nell’acqua) ma anche da meccanismi non colligativi causati dal legame delle
proteine anticongelamento alla superficie del ghiaccio. Nel sangue dell’organismo Macrozoarces
americanus sono state ritrovate in alte concentrazioni le proteine anticongelamento di tipo III.
Queste proteine AFP di tipo III presentano un fold globulare e una struttura compatta, il cui
ripiegamento mostra numerosi β strand corti e imperfetti ed un giro di α elica. Le proteine
anticongelamento di classe III sono oggetto di interesse per la loro capacità di legarsi al
ghiaccio; esse presentano una superficie di legame relativamente piatta, centrata sul residuo
alanina 16, che comprende alcuni residui idrofilici Gln 9, Thr 15, Thr 18, Glu 44 e Asn 14.
Inizialmente si era ipotizzato che il legame al ghiaccio avvenisse attraverso un network di
legami idrogeno tra questi residui idrofilici presenti sulla superficie delle proteine
anticongelamento e un piano del ghiaccio chiamato prism plane. Studi successivi hanno
dimostrato che il legame tra proteina anticongelamento e ghiaccio non coinvolge solo il prism
plane ma anche un altro piano del ghiaccio; questo ha suggerito che anche altri residui della
proteina potrebbero essere coinvolti nel legame. I residui potenzialmente coinvolti nel legame
al ghiaccio sono i residui idrofobici collocati sulla superficie della proteina vicino ai residui
idrofilici centrali, che interagiscono con il ghiaccio attraverso interazioni di Van der Waals
permettendo un alta complementarietà tra le due superfici.
Nel contesto del primo lavoro l’obiettivo degli autori è stata la determinazione degli effetti
nell’attività anticongelamento della proteina a seguito di mutazioni nei residui idrofobici Leu
19, Val 20, Ile 13, Val 41. Per valutare il ruolo di questi residui, essi sono stati mutati in
amminoacidi idrofobici più piccoli (come alanina) attraverso esperimenti di mutagenesi e sono
state monitorate le variazioni in attività anticongelamento. Una riduzione nella catena laterale
di questi amminoacidi impedisce o minimizza la formazione di interazioni di Van der Waals con
il ghiaccio causando una forte perdita di attività anticongelamento e confermando l’importanza
di questi residui idrofobici.
Nel secondo studio, invece, sono state effettuate analisi termodinamiche quantitative per
determinare la stabilità conformazionale delle AFP III dall’organismo Macrozoarces americanus
seguite da studi di denaturazione termica e chimica; gli autori hanno inoltre concentrato la loro
attenzione sul ruolo dei ponti salini presenti nelle proteine AFP di tipo III. Le proteine
anticongelamento di tipo III essendo proteine psicrofile, presentano una bassa stabilità
termodinamica e hanno rivelato inoltre un’alta suscettibilità alla denaturazione sia termica che
chimica e un processo di unfolding completamente reversibile. La curva di stabilità di queste
proteine, ricavata dai dati ottenuti in studi di denaturazione termica e chimica, ha evidenziato
un massimo di stabilità intorno a 0°C, entro il ristretto range di temperatura in cui queste
proteine devono esercitare la loro funzione anticongelamento. Le proteine anticongelamento di
tipo III da Macrozoarces americanus sono caratterizzate dalla presenza di 3 ponti salini e 2
interazioni elettrostatiche a medio raggio che potrebbero contribuire alla stabilità della
proteina. La lieve diminuzione di stabilità di AFP III a seguito di un innalzamento della forza
II
ionica o un abbassamento del pH, hanno suggerito che il globale contributo delle interazioni
elettrostatiche è molto ridotto. Questo potrebbe significare che le forze intramolecolari in
proteine psicrofile come le proteine anticongelamento di tipo III contribuiscono in modo
trascurabile o nullo alla stabilità strutturale della proteina. Per verificare questa ipotesi sono
stati valutati i contributi energetici delle interazioni ioniche presenti, analizzando gli effetti dei
singoli ponti salini Arg23-Glu25, Arg47/Asp 58 e Arg39/Asp36 con ciclo di doppi mutanti.
Queste analisi hanno mostrato che due ponti salini esposti al solvente Arg23-Glu25 e Arg47-
Asp58 contribuiscono poco alla stabilità della proteina mentre il ponte salino Asp36-Arg39 ha
un contributo significativamente diverso. La mutazione del singolo residuo Arg39 in alanina
destabilizza la proteina mentre la mutazione di Asp36 in alanina la stabilizza; questo indica che
in queste proteine AFP di tipo III l’Asp36 ha una funzione destabilizzante e la sua rimozione
porta ad un cambiamento nell’area della catena laterale della Tyr63 (con cui Asp36 formava un
legame idrogeno che viene prontamente rimosso) che permette un riarrangiamento locale della
struttura della proteina con conseguente aumento della stabilità. Sommando i risultati dei cicli
di doppi mutanti, è stato evidenziato il contributo favorevole della carica positiva della catena
laterale di Arg23, Arg47, Arg39 per la stabilità di AFP III, ma questo contributo non è dato dai
ponti salini che essi formano con le catene laterali acide di residui limitrofi. Le cariche negative
dei gruppi carbossilici di Glu25 e Asp58 non contribuiscono alla stabilità di AFP mentre la
carica negativa dell’Asp36 ne riduce il valore. Quindi dei tre ponti salini esposti al solvente che
questi tre residui formano, due non forniscono alcun contributo alla stabilità proteica, mentre
uno, il ponte salino tra Asp36-Arg39 ha un contributo significativo per la stabilità di AFP III di
circa 1 kcal/mole e ciò fornisce la prova che, anche nelle proteine psicrofile, è possibile ritrovare
un network di ponti salini che può contribuire alla stabilità della proteina.
III
ABSTRACT
Cold adapted organism, called psychrophiles, are able to survive in environments where
temperatures are extremely low and living conditions are restrictive. At these inaccessible
temperatures the metabolic fluxes are compromised and accordingly these organisms have
developed different adaptation strategies in order to be able to survive.
Some bacteria, plants and vertebrates, including fish, that live in very cold environments
prevent cells and tissues damage, producing antifreeze protein (AFP). These proteins are able
to bind to ice crystals, inhibit their growth and prevent the recrystallization, which could be
fatal for the organism. The antifreeze proteins, that have been found in fish such as
Macrozoarces americanus, allow the decrease of the freezing point of blood and body fluids (at -
2.5 ° C) below the freezing point of seawater (-1.9 ° C). Fishes that inhabit the waters at high
latitudes are thus protected from freezing not only by colligative mechanisms (such as the
presence of solutes in water) but also by non colligative mechanisms caused by the binding of
antifreeze proteins to ice. In the blood of Macrozoarces americanus were found high
concentrations of antifreeze proteins type III. These proteins AFP type III shows a globular
fold and a compact structure with numerous, short and imperfect β strand and a turn of α helix.
These antifreeze proteins type III are interesting for their ability to bind ice and they present a
remarkable flat plane centered on the alanine 16, which includes some hydrophilic residues Gln
9, Thr 15, Thr 18, Glu 44 Asn 14.
At the beginning, it was tought that the binding to ice could occur through a network of
hydrogen bonds between the hydrophilic residues on the surface of the protein and a plane of
ice called prism plane. Subsequent studies have shown that the binding between antifreeze
protein and ice not only involves the prism plane but also another plane of ice; this suggests
that other residues of the protein might be involved in the ice-binding. The residues potentially
involved in ice-binding are hydrophobic residues located on the surface of the protein near the
central hydrophilic residues that interact by Van der Waals interactions with ice, allowing an
high complementarity between the two surfaces.
In the context of the first work, the authors’ objective was the determination of the effects of
mutations in hydrophobic residues (Leu 19, Val 20, Ile 15, Val 41) on antifreeze activity. To
study the role of these residues, they were mutated into smaller hydrophobic amino acids (like
alanine) through mutagenesis and were monitored changes in antifreeze activity. The size
reduction in the side chain of these aminoacids prevents or minimizes the formation of Van der
Waals interactions with ice, causing a significant loss of antifreeze activity confirming the
importance of hydrophobic residues.
In the second work, thermodynamic analysis were carried out to determine the conformational
stability of AFP III from Macrozoarces americanus followed by thermal and chemical
denaturation studies; the authors have also focused their attention on the role of salt bridges in
proteins type III AFP. The type III AFP are psychrophilic proteins: they present a low
thermodynamic stability, they showed a high susceptibility to thermal and chemical
denaturation and a completely reversible unfolding process.
The stability curve of these proteins as a function of temperature, deduced by fitting the values
obtained in thermal and chemical denaturation studies, reveals a maximum stability around 0 °
C, within the very restricted temperature range at which these proteins must exert their
antifreeze function. Antifreeze proteins type III from Macrozoarces americanus are characterized
by the presence of 3 salt bridges and 2 medium-range electrostatic interactions that may
contribute to the stability of the protein. The slight decrease in stability of AFP III following
an increase in ionic strength or decreasing pH, has suggested that the overall contribution of
electrostatic interactions is very small. This could mean that the intramolecular forces in
psychrophilic proteins as AFP type III not significantly contribute in structural stability of the
protein. To test this hypothesis the contributions of the ionic interaction for stability have been
verified, analyzing the effects of each salt bridge Arg23-Glu25, Arg47/Asp58 and
IV
Arg39/Asp36 with double mutant cycle. These analysis show that two solvent exposed salt
bridges Glu25 and Arg23-Arg47-Asp58 give a very low contribute to the protein stability
whereas the salt bridge Asp36-Arg39 has a significant contribution. The mutation in alanine of
single residue Arg39 destabilizes the protein whereas the mutation in alanine of Asp36
stabilizes it; these results have indicated that in these AFP type III the Asp36 has a
destabilizing effect and its removal leads to a change in the side chain of Tyr63 (with which
Asp36 formed an hydrogen bond that is readily removed) that allows a local rearrangement of
the structure of protein with an increase of stability. Adding the results of double mutant
cycles, it was highlighted the positive contribution of the positively charged side chain of
Arg23, Arg47, Arg39 for the stability of AFP III, but this contribution is not mediated by salt
bridges formation. The negatively charged carboxylates of Glu25 and Asp58 do not contribute
to the stability of the AFP type III and the negatively charged carboxylate of Asp36 reduces its
value. The three salt bridges exposed to solvent, two of which do not contribute to stability,
while the salt bridge between Asp36-Arg39 has a significant contribution to the stability of
AFP III (about 1 kcal / mole) providing evidences that it is possible to find a network of salt
bridges that may contribute to the stability of the protein also in psychrophilic proteins.
.
1
1. INTRODUZIONE
Gli organismi hanno sviluppato strategie sofisticate per adattarsi ad un ambiente variegato e
variabile pertanto è molto importante analizzare i meccanismi regolativi alla base della
versatilità fisiologica e metabolica degli organismi con particolare attenzione agli aspetti
ambientali e biotecnologici. In questo contesto un tema comune a molti progetti di ricerca è
l’adattamento degli organismi a stress ambientali che comportano cambiamenti globali della
fisiologia cellulare e dell’espressione genica.
Gli estremofili sono organismi capaci di colonizzare, con enorme successo, ambienti in cui si
riscontrano condizioni di vita estreme. Infatti, essi sono in grado di crescere e sopravvivere,
utilizzando meccanismi specifici di adattamento, in presenza di condizioni estreme di pH
(acidofili ed alcalofili), di concentrazione salina (alofili), di pressioni idrostatiche (barofili) o di
temperatura (ipertermofili, termofili e psicrofili).
1.1 ORGANISMI ADATTATI AL FREDDO: GLI PSICROFILI
La vita, specialmente quella microbica, si è evoluta affinché fosse in grado di proliferare in una
grande varietà di ambienti termici differenti. Il primo ostacolo per gli organismi è l'adattamento
termico che, specialmente alle condizioni estreme, ha limitato la gamma di temperature che
ogni organismo può tollerare.
L’evoluzione ha permesso per esempio organismi adattati al freddo, denominati psicrofili, non
soltanto sopravvivessero in tali ambienti, ma fossero in grado di riprodursi e di svilupparsi con
successo nelle condizioni restrittive di tali habitat [Georlette et al 2003]. Alcuni di questi
organismi, a seconda della temperatura ottimale di crescita, sono inoltre conosciuti con il
termine di psicrotolleranti o i psicrotropi [D’Amico et al. 2006].
Gli organismi psicrofili hanno quindi sviluppato strategie di adattamento che permettono loro
la sopravvivenza attraverso processi metabolici compatibili con la vita che si avvicinano il più
possibile a quelli dell'organismo temperato [Georlette et al. 2003]. I microrganismi psicrofili
possiedono infatti un metabolismo vitale anche in condizioni di ghiaccio e neve fino alla
temperatura di -20°C; sono stati inoltre isolati numerosi psicrofili in grado di proliferare ad
una temperatura inferiore o pari ai 0° C fino a temperature intorno a 30°C [Siddiqui, et al.
2006].
Per riuscire a svilupparsi a temperature non permissive, gli organismi psicrofili hanno dovuto
superare condizioni particolari a cui si deve far fronte nelle zone di freddo estremo e costante
tra cui ridotta attività enzimatica, diminuzione della fluidità della membrana, riduzione del
processo di trascrizione, traduzione e della divisione cellulare, denaturazione a freddo delle
proteine e formazione di ghiaccio intracellulare.
Per superare queste barriere gli organismi hanno provveduto aumentando, per esempio la
concentrazione enzimatica in modo da compensare la bassa velocità delle reazioni, anche se
questa strategia risulta essere molto dispendiosa a livello energetico. Un’altra ipotesi si basa
sull’espressione di specifici isotipi adattati cineticamente a un dato ambiente; questo è
particolarmente sfruttato nei meccanismi per l’adattamento stagionale reversibile. Infine
un’altra alternativa per l’adattamento al freddo potrebbe essere lo sviluppo di enzimi con
elevato potenziale catalitico indipendente dalla temperatura.
Esistono inoltre strategie di adattamento al freddo a livello cellulare; ciò si riflette in alterazioni
del metabolismo, della composizione della membrana e in cambiamenti nell’espressione dei
geni. Alcuni organismi sottoposti a temperature molto basse sintetizzano per esempio
particolari proteine dette cold shock protein; esse sono sintetizzate in grandi quantità e sono
fondamentali per l’organismo per poter riattivare il meccanismo di crescita cellulare che viene
notevolmente rallentato durante lo shock termico.
2
Queste proteine possono fungere da aiuto nei processi di trascrizione e traduzione della cellula e
possono funzionare come fattori trascrizionali, come proteine che legano DNA o ribosomi.
Alcuni organismi, tra cui i pesci che popolano le acque alle alte latitudini, riescono a
sopravvivere a temperature molto basse promuovendo la sintesi di proteine anticongelamento
(antifreeze protein) che permettono di abbassare il punto di congelamento dell’acqua (-1.9° C). La
bassa temperatura di congelamento dei pesci (-2° C) alquanto inusuale, è il risultato della
presenza di soluti nell’acqua, ma soprattutto della presenza nel loro sangue di queste proteine
anticongelamento.
Una risposta universale alle basse temperature è il cambiamento della composizione lipidica
della membrana. La membrana è costituita da fosfolipidi e proteine che svolgono importanti
funzioni fisiologiche; nei fosfolipidi si trovano due tipi di acidi grassi: quelli saturi, in cui tutti i
legami che gli atomi di carbonio possono formare sono saturati con atomi di idrogeno, e quelli
insaturi, nei quali si formano doppi legami tra gli atomi di carbonio. La fluidità del doppio
strato lipidico è in parte dovuta alla abbondanza relativa degli acidi grassi insaturi che
provocano un maggiore disordine nell'allineamento delle catene, rendendo più fluida la
membrana, mentre le catene sature con il loro allineamento più compatto favoriscono la
formazione di un reticolo rigido. A seguito di un abbassamento della temperatura la
composizione della membrana viene modificata: gli organismi infatti convertono le catene di
acidi grassi saturi dei fosfolipidi preesistenti nella forma insatura. In questo modo la
diminuzione di fluidità di membrana provocata dall’abbassamento di temperatura viene
compensata dalla conversione nella forma insatura dei fosfolipidi di membrana che permettono
un aumento della fluidità.