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L’80% delle donne in età fertile riferisce alcune modificazioni in
fase premestruale. In circa il 10% i sintomi possono essere gravi e
dolorosi al punto da richiedere un trattamento. Le modificazioni
dell’umore e del comportamento sono quelli che si manifestano più
frequentemente; in circa il 3-8% delle donne assumono le
caratteristiche di un vero e proprio disturbo, che attualmente viene
definito, con un termine psichiatrico, “Disturbo da Disforia
premestruale” (PMDD)₄. Il PMDD può essere considerato un
sottotipo grave di PMS, caratterizzato principalmente da sintomi
emozionali e comportamentali. La PMS può presentarsi
inizialmente durante l’adolescenza ed essere presente fino alla
menopausa. Non compare prima del menarca, durante la gravidanza
o durante periodi di amenorrea₁. L’insieme dei sintomi che
caratterizzano la PMS è molto vario, e comprende sia sintomi fisici
che del tono dell’umore. Ne sono stati riportati circa 150₁.
I sintomi emotivi, che si verificano più frequentemente, sono
irritabilità, depressione, ipersensibilità, pianto immotivato,
mancanza di concentrazione, cambiamenti d’umore, calo
dell’autostima, calo d’interesse per le attività abituali, stanchezza,
agitazione, ansia.
Tra i sintomi fisici possiamo ricordare gonfiore addominale,
tensione al seno, aumento dell’appetito (food cravings), gonfiore
delle mani e dei piedi, mal di testa, dolori articolari e muscolari,
stanchezza₁.
La durata del periodo sintomatico può variare da 1 giorno prima
delle mestruazioni a tutta la durata della fase luteinica e l’inizio
della successiva fase follicolare₁.
3
2-DIAGNOSI
I criteri diagnostici dell’American College of Obstetrics and
Gynecology (ACOG) per PMS richiedono che la paziente riferisca
almeno 1 dei sintomi associati al tono dell’umore e dei sintomi
somatici, nei 5 giorni che precedono la mestruazione in ciascuno
dei precedenti tre cicli mestruali. I sintomi dovrebbero andare
incontro a miglioramento entro 4 giorni dall’inizio delle
mestruazioni, senza ripresentarsi prima del 13° giorno del ciclo
successivo; dovrebbero presentarsi in maniera riproducibile nei due
cicli successivi in cui viene effettuata la registrazione prospettica. I
sintomi dovrebbero essere presenti in assenza di qualsiasi
trattamento farmacologico, assunzione di ormoni, o abuso di alcool
o farmaci₁.
I criteri diagnostici del “Diagnostic and Statistical Manual of
Mental Disorders” (DSM-IV) del PMDD seguono lo stesso
principio, con un’enfasi particolare verso i sintomi associati a
modificazioni dell’umore e del comportamento. Tali criteri
richiedono una durata dei sintomi di almeno un anno, con presenza
quasi costante ad ogni ciclo mestruale. Almeno 5 degli 11 sintomi
devono verificarsi nella settimana che precede le mestruazioni e
devono andare incontro a remissione durante la stessa
mestruazione. Almeno uno dei sintomi dovrebbe essere depressione
del tono dell’umore, senso di disperazione, irritabilità, tensione o
ansia, o labilità emotiva. I sintomi dovrebbero interferire seriamente
con il lavoro, le attività sociali o le relazioni e non dovrebbero
costituire un’esacerbazione di altri disturbi₁.
4
3-CAUSE
E’ opinione ormai accettata che la PMS sia dovuta ad una
concomitanza di diversi fattori, socioculturali, psicologici, biologici
che, agendo sinergicamente, ne determinano il quadro clinico₁.
L’eziologia esatta e i processi che sottendono e determinano la PMS
non sono stati definitivamente determinati. I fattori genetici giocano
un ruolo importante nella propensione a sviluppare la PMS: il 70%
delle donne le cui madri hanno sofferto di PMS, presentano tale
sindrome , rispetto al 37% di donne con madri prive di sintomi₁.
Gli ormoni gonadici e le loro fluttuazioni cicliche giocano un ruolo
principale nello scatenamento della PMS. Il quadro generale della
secrezione degli ormoni gonadici, in donne con PMS, è all’interno
dei limiti di normalità. Comunque, una donna con maggiore
vulnerabilità può mostrare una sensibilità alterata alle modificazioni
degli ormoni gonadici e dei sistemi correlati, che normalmente non
colpiscono altre donne₁.
L’attenzione dei ricercatori si è recentemente concentrata sui
recettori del neurotrasmettitore GABA (Acido gamma-ammino-
butirrico). Il GABA è il principale aminoacido inibitorio del sistema
nervoso centrale (SNC), inibisce l’attività dei neuroni della
corteccia cerebrale e gioca un ruolo molto importante nella risposta
allo stress. I recettori per il GABA sono di due tipi: GABA-A e
GABA-B. I recettori GABA-A aprono i canali per il cloro, mentre i
recettori GABA-B sono accoppiati a proteine G che o inibiscono i
canali del calcio o attivano i canali del potassio.
5
Il SNC è capace di sintetizzare e/o metabolizzare ormoni steroidei
che sono stati definiti neurosteroidi o steroidi neuroattivi che hanno
un ruolo in specifiche funzioni cerebrali fisiologiche o patologiche.
I neurosteroidi, oltre a svolgere azioni di regolatori della
trascrizione genica mediante recettori intracellulari, sono potenti
modulatori endogeni a rapida azione sul SNC, tramite l’azione su
recettori-canali ionici, in particolare sul recettore GABA-A.
Neurosteroidi quali allopregnanolone (3α-idrossi-5α-pregnan-20-
one) e tetraidrodeossicorticosterone (THDOC) sono potenti
modulatori allosterici positivi dei recettori GABA-A ed esplicano
effetti sedativi, ansiolitici e anticonvulsivanti. I neurosteroidi solfati
quali pregnenolone solfato (PS) e deidroepiandrosterone solfato
(DHEAS) sono invece modulatori negativi dei recettori GABA-A e
hanno effetti ansiogeni e proconvulsivanti. Le fluttuazioni naturali
nei livelli di neurosteroidi durante il ciclo mestruale possono quindi
influenzare diverse funzioni del SNC. Ci sono ad esempio forti
evidenze che allopregnanolone e THDOC siano coinvolti nella
patofisiologia di disturbi quali la sindrome premestruale, l’epilessia
catameniale, la depressione post-partum e diverse forme depressive
(Majeska M.D., 1992)₅.
L’allopregnanolone viene sintetizzato nella corteccia surrenale,
nelle gonadi e nel SNC a partire dal progesterone per riduzione a
5α-diidroprogesterone, mediante l’enzima 5α-reduttasi, e ulteriore
riduzione ad allopregnanolone, mediante l’enzima 3α-
idrossisteroidodeidrogenasi (3α-HSD) (Monteleone P. et al., 2000)₆.
L’attivazione del recettore GABA-A da parte del neurosteroide
produce un influsso di ioni cloro attraverso i rispettivi canali,
causando una iperpolarizzazione della membrana neuronale
6
(Majewska M.D. et al., 1986)₇. Ma è stato ipotizzato anche un
meccanismo d’azione a livello genico: l’allopregnanolone è in
grado di aumentare la trascrizione del gene che codifica per la
subunità α-4 del recettore GABA-A in cellule cerebrali di topo
(Smith S.S. et al., 1998)₈; un effetto simile, sia sui livelli di mRNA
che della proteina, è stato riportato anche dopo somministrazione di
allopregnanolone a ratte femmina (Gulinello M. et al., 2001)₉.
Il coinvolgimento dell’allopregnanolone nella genesi della PMS era
stato ipotizzato dopo che uno studio aveva associato l’aumento
della concentrazione in fase luteinica di allopregnanolone con un
miglioramento dei sintomi in pazienti con PMS (Wang M. et al.,
1996)₁₀.
In altri studi clinici è stato messo in evidenza che, nelle donne con
PMS, si riscontrano concentrazioni nel siero di allopregnanolone
significativamente più basse durante la fase luteinica del ciclo e
concentrazioni di progesterone significativamente più basse sia
nella fase luteinica che nella fase follicolare, rispetto a donne prive
di sintomi (Schmidt P.J. et al., 1994; Genazzani A.R. et al., 1998;
Epperson C.N. et al., 2002)₁₁₋₁₃. Le concentrazioni diminuite di
allopregnanolone nelle donne con PMS possono condurre
all’incapacità di aumentare l’inibizione mediata dal GABA durante
stati di alterata eccitabilità del SNC. Pertanto i livelli diminuiti di
allopregnanolone possono contribuire alla genesi di vari sintomi
associati a modificazioni del tono dell’umore. La ragione per la
quale alcune donne hanno ridotti livelli di allopregnanolone non è
conosciuta. Si ipotizza una inadeguata sintesi di questo ormone a
livello del corpo luteo o di altri organi steroidogenici₆.
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Tra i diversi fattori che concorrono alla patogenesi del disturbo,
sembrerebbe coinvolto anche il sistema serotoninergico. E’ stata
registrata, infatti, nella fase luteinica del ciclo ovarico, una
riduzione complessiva delle concentrazioni plasmatiche di
serotonina (5-HT) in donne con PMS, rispetto alle donne che non
manifestavano sintomi (Rapkin A.J. et al., 1987)₁₄. Il sistema
serotoninergico è coinvolto nella percezione del dolore, nella
depressione, nel comportamento aggressivo e nella regolazione
dell’appetito.
Ricerche effettuate in vitro su piastrine (le quali hanno diverse
analogie biochimiche e farmacologiche con i terminali pre-sinaptici
contenenti 5-HT a livello del SNC), hanno dimostrato che l’uptake
di 5-HT e il suo contenuto nelle piastrine di pazienti con PMS era
significativamente diminuito durante la fase premestruale rispetto a
donne prive di sintomi. Poiché le piastrine sono un modello
periferico per i neuroni serotoninergici centrali, i risultati di questo
studio suggeriscono che la sintomatologia premestruale può essere
correlata ad alterazioni nei meccanismi serotoninergici (Ashby C.R.
et al., 1989)₁₅.
Uno studio più recente ha analizzato l’andamento della funzione
serotoninergica in 24 donne (7 con PMDD, 8 con PMS senza
PMDD e 9 controlli sani). Alla fine dello studio le pazienti con
PMDD mostravano funzione serotoninergica più alta durante la fase
follicolare, ma molto più bassa nella fase luteinica, rispetto alle
donne con PMS senza PMDD e ai controlli (Inoue Y. et al., 2007)₁₆.
L’ipotesi di un coinvolgimento della 5-HT nella genesi della PMS è
supportata dall’efficacia dei farmaci antidepressivi SSRI (inibitori
8
selettivi del reuptake della serotonina) nel trattamento dei sintomi
dell’umore.
Un altro fattore eziopatogenico di questo disturbo è la prolattina,
infatti nelle donne affette da PMS si sono riscontrati alti livelli di
quest’ormone, che avendo una diretta azione sulla mammella, causa
tensione e dolore al seno (Jarry H. et al., 1994)₁₇.
Un’ulteriore ipotesi, formulata per spiegare la PMS, è la ridotta
disponibilità di vitamina B6 o piridossina. Secondo uno studio del
2003, infatti, un basso livello di vitamina B6 potrebbe causare
depressione, in quanto la piridossina è il precursore del
piridossalfosfato (PLP), un importante cofattore nella
trasformazione metabolica di acidi aminici e nella
decarbossilazione del 5-idrossitriptofano a 5-idrossitriptamina
(serotonina) e della levodopa a dopamina. Il suddetto studio, che
analizzava l’associazione fra depressione e il PLP, ha concluso che
un basso livello plasmatico di PLP era correlato alla comparsa di
sintomi depressivi (Hvas A.M. et al., 2003)₁₈.