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1. INTRODUZIONE
Il carcinoma della mammella è la più frequente neoplasia a livello mondiale nel sesso
femminile: è, infatti, responsabile di più del 20% delle morti per cancro nelle donne.
Oggi, per tumori operabili di grandi dimensioni (stadi II e IIIA) e per tumori localmente
avanzati non operabili (stadi IIIB, IIIC e carcinoma infiammatorio), in pazienti Her2+, le
linee guida prevedono un trattamento neoadiuvante con antracicline e taxani più
trastuzumab, seguito da chirurgia associata o meno a radioterapia. Questo ha come scopo
di aumentare la possibilità di chirurgia conservativa nei casi candidati alla mastectomia e
di permettere l’intervento chirurgico alle pazienti giudicate inizialmente non operabili in
modo radicale per le dimensioni del tumore o per la presenza di linfonodi palpabili
clinicamente. Questa modalità di terapia è in grado di indurre il 70-90 % di risposte, di
cui un 20% di risposte complete patologiche (pCR) con una sopravvivenza a 5 anni di
circa il 50% delle pazienti.
Attualmente non esistono ancora prove definitive che documentino la presenza di fattori
predittivi di risposta completa al trattamento neoadiuvante. Il mio lavoro, eseguito su 24
pazienti, vuole perciò contribuire a generare l’ipotesi che alcuni marcatori molecolari, in
particolare HSP90, topoisomerasi II e Ki67, se espressi, possano aumentare la possibilità
di predire la risposta completa al trattamento primario. HSP90 è una proteina dello shock
termico di peso molecolare di circa 90kDa appartenente alla famiglia dei chaperoni
molecolari, che agisce nel ripiegamento e nell’attivazione di determinate proteine, tra cui
fattori di trascrizione, proteinchinasi, recettori di steroidi ed Her2. Inoltre essa preserva
l’integrità della cellula qualora sia esposta a elevate temperature. Topoisomerasi II è,
invece, un enzima che si lega al DNA e ne modifica il superavvolgimento rompendo
reversibilmente la doppia elica, facendo passare un secondo doppio filamento di DNA
attraverso la rottura e risaldando il filamento di DNA clivato. KI67, infine, è un antigene
nucleare espresso dalle cellule in proliferazione ed assente in quelle quiescenti (fase G0
del ciclo cellulare) ed utilizzato oggi come marcatore di proliferazione cellulare,
esprimendo quindi il tasso di crescita tumorale.
2
1.1 CENNI SUL CARCINOMA DELLA MAMMELLA
Il carcinoma mammario è una delle neoplasie più diffuse nel mondo e ad esso vengono
attribuiti circa 13.000 decessi stimati per anno
1
. Con l’introduzione dello screening
mammografico, effettuato in Italia nelle donne dai 50 ai 69 anni ogni due anni, e con
l’invecchiamento della popolazione si assiste, attualmente, a un costante aumento sia
dell’incidenza sia della prevalenza di questa neoplasia, ma nello stesso tempo a un calo
della mortalità, attribuibile ad una più alta sensibilità e anticipazione diagnostica e ai
progressi terapeutici. Il numero di nuovi casi per anno è stimato in circa 213.000 negli
Stati Uniti e in circa 46.000 in Italia, dove si riscontrano, secondo i dati AIOM, 125 casi
su 100.000 abitanti al Nord, 100 casi su 100.000 abitanti al Centro e circa 92 casi su
100.000 abitanti al Sud. L’incidenza è maggiore nei paesi del Nord America e
dell’Europa Nord-occidentale, con un picco intorno ai 50 anni, mentre decresce
notevolmente tra le donne di razza nera e orientale. La prevalenza in Italia è di circa
520.000 casi, pari al 41,6% di tutte le donne che convivono con una pregressa diagnosi di
tumore
2
.
I fattori eziologici sono ancora oggi in gran parte sconosciuti. Sono noti, invece, degli
indicatori di rischio, quali:
Età (il rischio aumenta con l’aumentare dell’età)
Pregresse patologie della mammella, come l’iperplasia atipica o una neoplasia
mammaria
Pregressa radioterapia toracica, soprattutto se eseguita prima dei 30 anni
Fattori familiari e genetici: familiare di primo grado con tumore alla mammella
(incidenza 1/1000), mutazione di BRCA1 e/o BRCA2, sindrome di Li-Fraumeni
(mutazione di p53), sindrome di Cowden (mutazione di PTEN), atassia
telangectasia (mutazione gene AT; incidenza 1/10.000)
Fattori riproduttivi: nulliparità, prima gravidanza a termine dopo i 30 anni di età,
menarca precoce, menopausa tardiva, mancato allattamento al seno
3
Fattori dietetici: elevato consumo di carboidrati e grassi saturi, scarso introito di
fibre, uso di alcool
Fattori ormonali: terapia ormonale sostitutiva, contraccettivi orali
Fattori antropometrici e metabolici: obesità, sedentarietà
Negli ultimi anni sono stati effettuati degli studi che hanno dimostrato la presenza di
parametri clinici, anatomo-patologici e biologici correlati alla prognosi delle pazienti, i
quali sono:
TNM (Dimensioni del tumore, stato dei linfonodi ascellari, che è il principale
fattore prognostico, e metastasi a distanza)
Grado istologico: un tumore indifferenziato (grado G3) ha una peggior prognosi
rispetto a quello di grado G1 ben differenziato
Attività proliferativa: è misurata mediante l’espressione del marcatore Ki67,
valutata come percentuale di nuclei di cellule tumorali che si colorano con
l’anticorpo anti-Ki67 all’immunoistochimica
Tipo istologico: gli istotipi tubulare, midollare, mucinoso e papillare hanno una
prognosi migliore rispetto ai tipi duttale e lobulare invasivi
Invasione vascolare peritumorale: diversi studi dimostrano che l’invasione
vascolare è causa di una minore sopravvivenza libera da malattia invasiva e di
minore sopravvivenza globale.
Stato di HER-2: HER2 (Human Epidermal Growth Factor Receptor 2) è un
proto-oncogene con funzione di recettore di membrana sovraespresso nel 15-20%
dei carcinomi mammari. Viene analizzato in laboratorio mediante ICH o FISH:
se c’è una positività 3+ all’ICH o se vi è amplificazione genica alla FISH il
tumore è Her2+; se invece il risultato all’ICH è 2+ si deve valutare
l’amplificazione genica alla FISH.
Stato dei recettori ormonali: sono considerati positivi i tumori con almeno 1% di
cellule positive per ER e PgR, determinate mediante immunoistochimica.
4
Età della paziente: pazienti con meno di 35 anni hanno una prognosi peggiore
Inoltre lo stato dei recettori ormonali (ER e PgR) e lo stato di Her2 sono, ad oggi, gli
unici fattori predittivi di risposta al trattamento riconosciuti validi ed utilizzati nella
pratica clinica
1,2
.
1.2 CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE NEL CARCINOMA DELLA
MAMMELLA
La terapia sistemica primaria, detta anche neoadiuvante o di induzione, è un tipo di
trattamento che si effettua prima di un intervento chirurgico per ridurre il volume della
massa tumorale così da rendere l’intervento seguente radicale e, allo stesso tempo, meno
demolitivo, o per valutare la sensibilità del tumore ai diversi farmaci somministrati.
Oggi è l’opzione standard nel trattamento del carcinoma della mammella localmente
avanzato T
4
N
2-3
M
0
(stadio IIIB e IIIC), del carcinoma infiammatorio T
4d
(stadio III) e del
tumore operabile di grandi dimensioni T
1C-3
N
0-2
M
0
(stadio II e IIIA)
3
(Figura 1).
Per carcinoma infiammatorio o mastite carcinomatosa si intende un’entità anatomo-
clinica caratterizzata da specifici segni clinici, quali l’eritema esteso ad almeno un terzo
della mammella e insorto rapidamente, l’edema e/o la cute a buccia d’arancia e un
eventuale massa palpabile, e caratteri istopatologici, quali l’invasione vascolo-linfatica
massiva, condizione, però, non patognomonica né necessaria per la diagnosi.
I principali obiettivi della terapia, per i tumori operabili, sono ridurre le
dimensioni del tumore in modo da rendere possibile un trattamento chirurgico
conservativo, migliorare le opzioni chirurgiche, testare la risposta al trattamento e
ottenere una sopravvivenza libera da malattia a lungo termine. Per i tumori
localmente avanzati, invece, la terapia primaria ha la finalità di rendere operabile
una neoplasia inizialmente non suscettibile di trattamento chirurgico radicale
2,4,5
.
Figura 1. Linee guida Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) per il
trattamento del carcinoma della mammella localmente avanzato
2
.
5
I farmaci che attualmente vengono utilizzati in Italia e che sono suggeriti dalle linee guida
per la terapia neoadiuvante sono i taxani e le antracicline, combinati o in sequenza per
almeno 6-8 cicli
6,7
.
I taxani sono farmaci che agiscono durante la fase M del ciclo cellulare legandosi alla
tubulina, precursore del fuso mitotico, e bloccando così la proliferazione delle cellule; le
antracicline sono, invece, inibitori dell’enzima Topoisomerasi II. I primi possono causare
neurotossicità, mentre i secondi cardiotossicità, oltre ai comuni effetti collaterali della
chemioterapia, quali alopecia, neutropenia, nausea, vomito, diarrea. I due farmaci, inoltre,
presentano un sinergismo cardiotossico, ossia un aumento del rischio di eventi
cardiovascolari quando essi sono usati in combinazione. In particolare è stato evidenziato
che l’incidenza di questi eventi aumenta progressivamente quando il taxano è associato a
una dose di doxorubicina tale da determinare l’interazione tra i due farmaci e la
formazione, indotta dal taxano stesso, del metabolita DOXOL, responsabile del danno
irreversibile sui miocardiociti
8
. Per prevenire ciò, si adotta, nella maggior parte dei casi,
uno schema sequenziale che prevede un periodo di washout tra antracicline e taxano.
Altre strategie utilizzate sono la riduzione della dose cumulativa della doxorubicina o la
somministrazione di antracicline prive dell’effetto sinergico con i taxani, in primis
l’epirubicina, nella terapia di combinazione.
Se però la neoplasia è positiva per i recettori ormonali, compare in donne in
postmenopausa, è inoperabile o di grandi dimensioni alla diagnosi e vi sono
controindicazioni alla chirurgia e/o alla chemioterapia, può essere indicata la terapia
endocrina primaria con inibitori di aromatasi, come l’anastrozolo o il letrozolo, anziché la
chemioterapia, per 3-4 mesi, monitorando regolarmente la risposta clinica. Nelle donne in
premenopausa, invece, questa terapia rimane ancora oggetto di ricerca e non viene perciò
somministrata
2
.