6
I metalli costituiscono una delle più importanti classi di catalizzatori,
essendo usati su larga scala per importanti processi (refining del petrolio,
abbattimento di gas nocivi, idrogenazione dei grassi e del CO, ecc…).
D’altra parte, essendo spesso costosi, essi vengono usati normalmente in
forma dispersa su materiali molto più economici (supporti).
La mancanza di un’intima conoscenza di questi materiali catalitici è stata
la principale limitazione al loro impiego su vasta scala. Solo verso la fine
degli anni ’60, grazie allo sviluppo di metodi di sintesi riproducibili nonché
di metodi di indagine più sofisticati, si è avuto un grande sviluppo di questa
area chimica.
Fino ad una decina di anni fa l’oro era visto come un metallo scarsamente
utilizzabile in catalisi. La scoperta invece che questo metallo supportato su
alcuni ossidi possa rendere possibile l’ossidazione del CO a CO
2
a
temperatura sub-ambiente, ha enormemente incentivato lo studio di questo
metallo come materiale cataliticamente attivo.
Le applicazioni sono ormai state estese a molte reazioni: ossidazioni
selettive o complete, idroclorurazioni, idrogenazioni.
Caratteristica comune di queste reazioni è che il metallo debba essere
finemente disperso su di un opportuno supporto.
Le caratteristiche intrinseche dell’oro, in particolare il suo basso punto di
fusione, fanno si che i più comuni metodi di preparazione, adottati per altri
metalli, in questo caso non forniscano pari dispersioni.
Questo aspetto preparativo ha di fatto limitato per lungo tempo le
applicazioni dei catalizzatori a base d’oro finchè non si sono resi
disponibili sistemi capaci di generare nanoparticelle di oro con diametri
inferiori ai 10 nm adsorbite su diversi supporti.
7
Alcuni studi condotti su ossidi hanno dimostrato che esiste anche un limite
inferiore. Infatti recentemente un approfondimento della reazione del CO
ha messo in evidenza come particelle d'oro di diametro minore di 1 nm
risultino scarsamente attive, attività legata alla perdita del carattere
metallico della particella (“quantum size effect”)
La proprietà che caratterizza i catalizzatori di oro, rispetto ad altri, è la
stretta dipendenza che sussiste fra attività e tipo di supporto, molto più
evidente che in altri casi. Questa interdipendenza a tutt’oggi non ha chiare
origini anche perché permangono ancora molti dubbi sul reale meccanismo
delle reazioni catalizzate dall’oro per le quali spesso si estendono
conoscenze acquisite con altri metalli.
Fra i catalizzatori a base d’oro i meno studiati sono certamente quelli
supportati su materiali non ossidici, in particolare su carbone. Un motivo di
questo lo si può ricercare nella complessità e nella difficile
caratterizzazione chimico-fisica di questo supporto che può rendere molto
diversi due catalizzatori di tipo Au/C. D’altra parte, da un punto di vista
applicativo il carbone è frequentemente utilizzato a livello industriale, vista
la sua facile degradazione attraverso combustione, nel recupero di metalli
preziosi da catalizzatori esausti.
In questa tesi quindi si è intrapreso lo studio di quanto questo particolare
supporto possa influire sulle caratteristiche catalitiche dell’oro.
Quale misura dell’attività catalitica si è presa a modello l’ossidazione in
fase liquida (H
2
O) con O
2
del glicol etilenico visto che studi precedenti
avevano già evidenziato la superiorità dell’oro quale metallo
cataliticamente attivo, rispetto a platino e palladio, verso questo tipo di
reazione.
8
CAPITOLO 2
METODI GENERALI
DI PREPARAZIONE DI METALLI
SUPPORTATI
9
Fino al momento della scoperta della possibilità che tra il supporto ed il
metallo depositatovi potessero esistere forti interazioni (SMSI) si pensava
che l’unico ruolo del supporto fosse quello di disperdere il metallo e di
impartire alle particelle una stabilità termica e meccanica che altrimenti
non avrebbero avuto.
Oggi quindi lo studio delle reazioni catalitiche (eterogenee) non solo
coinvolge il metallo ed il suo grado di dispersione, ma anche le
caratteristiche della coppia metallo/supporto.
Baudart, nella sua review del 1985
1
, classificò i metalli supportati in tre
categorie:
1) particelle con diametro > 5 nm la cui struttura ricorda quella del metallo
massivo. Questo tipo di particelle mostra differenti facce cristalline con una
distribuzione pressochè indipendente dalla grandezza della particella.
Un esempio è l’Ag supportato su α-Al
2
O
3
utilizzato nell’ossidazione
dell’etilene ad ossido di etilene: le dimensioni delle particelle di Ag sono
circa 1 µm di diametro, molto più grandi delle particelle metalliche presenti
nella maggior parte dei catalizzatori.
2) particelle con diametro compreso fra 1 e 5 nm. Sono state quelle che
hanno ricevuto particolare attenzione in quanto mostrano proprietà variabili
con la dimensione delle particelle. Questo aspetto ha peraltro stimolato la
ricerca a mettere appunto tecniche sempre più affidabili per la preparazione
di nanoparticelle a dimensioni controllate. Esempio è il Pt/Al
2
O
3
usato
nelle reazioni di reforming.
3) Particelle di diametro < 1 nm alle quali normalmente ci si riferisce
come a cluster supportati per distinguerli dalle particelle più grandi. Qui lo
studio è ancora a livello chimico-fisico di caratterizzazione, anche se
recentemente il Pt/zeolite-LTL ha trovato applicazione nel reforming delle
10
nafte per incrementare il contenuto di aromatici. In questa categoria sono
incluse quelle particelle per le quali le caratteristiche del metallo massivo
vengono perse passando a quelle molecolari “quantum size effect”.
Per queste tre categorie sono state messe a punto diverse tecniche
preparative, ma è da sottolineare che anche quando i materiali e il metodo
di preparazione sono scelti, l’attività finale del materiale catalitico può
variare in funzione di parametri quali: la forza ionica della soluzione, la
concentrazione, i tempi di contatto, i lavaggi o il metodo di riduzione.
Occorre quindi una profonda conoscenza sulla struttura o meglio sulla
dipendenza di quest’ultima dalle variabili preparative per poter stabilire una
relazione fra preparazione e morfologia del materiale catalitico. È inoltre da
tener presente che l’attività catalitica è sempre e comunque funzione della
particolare reazione presa in esame (schema 2.1)
Schema 2.1
A tutt’oggi non esistono ancora metodi affidabili per stabilire “a priori” se
un metodo preparativo è migliore di un altro per una data reazione; lo stato
attuale delle conoscenze permette solo di finalizzare il metodo
all’ottenimento di particolari caratteristiche del materiale catalitico
2.1 SUPPORTI
METODO
PREPARATIVO
STRUTTURA
CATALIZZATORE
ATTIVITÀ
CATALITICA
11
La scelta di un supporto viene dettata non solo dalle sue proprietà di area
superficiale, volume pori, stabilità termica e meccanica (in funzione
dell’utilizzo) ma anche dalla sua capacità di interagire o meno sia con il
metallo sia con il decorso stesso della reazione.
Vista l’abbondanza dei materiali a disposizione (naturali, inorganici
standard ed organici polimerici), ci si limiterà qui ad una breve descrizione
dei supporti utilizzati nell’ambito della parte sperimentale di questa tesi:
Al
2
O
3
TiO
2
CARBONI ATTIVI
2.1.1 Allumina
La varietà di allumine idrate ed attivate rende difficile la scelta
dell’allumina come supporto. L’allumina è però spesso ai primi posti
nell’ordine di scelta di un supporto per le sue interessanti proprietà. La più
importante cataliticamente è la γ-Al
2
O
3
che può presentare area superficiale
S
g
da 200 a 350 m
2
/g mentre la forma più stabile è la α-Al
2
O
3
avente area
superficiale estremamente bassa (< 1 m
2
/g). La coesistenza di varie forme
attive quali θ e δ con la forma γ, porta ad allumine di varie S
g
(schema 2.2)
Gibbsite Chi Alpha Kappa
12
Temperatura °C
Schema 2.2 Sequenza delle trasformazioni degli idrossidi di alluminio.
2.1.2 Titania
Si può presentare in due differenti strutture cristalline: anatasio e rutilo;
quest’ultima a bassa area superficiale, Sg, costituisce la forma più stabile.
La TiO
2
ad alta area superficiale (≤ 50 m
2
/g), utilizzata in catalisi, è
ottenuta attraverso tecniche di precipitazione da sali quali cloruri o solfati
oppure attraverso il metodo sol-gel da cui si ottiene prevalentemente
anatasio.
La cristallinità aumenta con la temperatura di calcinazione.
L’area superficiale è indipendente dal contenuto di H
2
O e subisce un forte
diminuzione con la T di calcinazione.
Un semplice confronto delle principali proprietà di TiO
2
e Al
2
O
3
è riportato
in Tabella 2.1 da cui si evince che per i due ossidi ottenuti attraverso
tecnica sol-gel l’allumina presenta una diminuzione più contenuta del
valore di S
g
con la temperatura rispetto alla titania inoltre si può osservare
Böhemite Gamma
Bayerite
Delta Theta Alpha
Diasporo
Eta Theta Alpha
Alpha
100 500 1000
13
che un’allumina ottenuta da sol-gel ha S
g
maggiore di quella ottenuta da
precipitazione, mentre per la titania si ha comportamento opposto.
Tabella 2.1
Rapporto molare
H
2
O / alcossido
Rapporto molare
Acido/alcossido
Aree superficiali (m
2
/g)
ALLUMINA T
calc.
= 23°C T
calc.
=
300°C
T
calc.
=
500°C
83 0.0146 346 321 273
83 0.0352 303 179 170
precipitazione _ 243 137
TITANIA
200 0.2 195 98 39
200 0.7 _ 114 31
precipitazione _ 46 52
Confronto proprietà TiO
2
e γ-Al
2
O
3
14
A differenza di altri supporti ossidici la TiO
2
presenta particolari proprietà
nella struttura geometrica ed elettronica che la rendono direttamente attiva
in processi catalitici ad esempio in foto-catalisi.
Caratteristiche strutturali
2
Le strutture di anatasio e rutilo possono essere descritte in termini di catene
di gruppi TiO
6
a geometria ottaedrica. Le due strutture cristalline
differiscono nella distorsione di ogni ottaedro e nella differente
disposizione delle catene ottaedriche come mostrato in figura 2.2 in cui si
vede come ogni ione Ti
4+
è circondato da sei ioni O
2-
.
L’ottaedro del rutilo non è regolare e presenta una leggera distorsione nella
simmetria ortorombica a differenza di quello dell’anatasio il quale è
significativamente distorto.
Queste differenze delle strutture reticolari causano una differente densità
elettronica e di massa fra le due forme di TiO
2
e sono quindi responsabili
delle particolari proprietà di questo ossido.
Caratteristiche elettroniche
I processi di trasferimento elettronico che avvengono sulla superficie di
catalizzatori possono essere suddivisi in due categorie generali: alla prima
appartengono solidi quali la SiO
2
o Al
2
O
3
che hanno livelli energetici non
accessibili per effettuare un trasferimento elettronico con le molecole
adsorbite quindi l’ossido non partecipa direttamente al processo di
eccitazione di queste molecole.
La seconda categoria è costituita da solidi fra cui TiO
2
che, grazie alla
presenza di livelli energetici accessibili, possono determinare una forte
interazione elettronica fra il semiconduttore (es. TiO
2
) e specie adsorbite
sulla sua superficie.
15
2.1.3 Carboni attivi
preparazione, origine e applicazioni
Con il termine carboni attivi si intende una vasta e sfaccettata classe di
materiali amorfi a base di carbone che possiedono un alto grado di porosità
(superficie interna) e estesa area superficiale interparticellare. I carboni
attivi possono essere preparati da diversi materiali carbonacei di partenza
(legno, segatura, torba, noccioli di frutti vari e altri scarti di origine
vegetale) per combustione parziale, pirolisi, decomposizione, ecc. (metodi
fisici) o per trattamento con soluzioni acide-basiche o agenti disidratanti
(metodi chimici ).
Questi materiali possono essere in forma granulare o polvere fine. La forma
granulare è caratterizzata da una vasta superficie interna e pori piccoli,
mentre quella in polvere fine è associata a pori di diametro più elevato e
superficie interna più contenuta.
La preparazione dei carboni attivi coinvolge essenzialmente due stadi :
a) carbonizzazione, a temperatura inferiore a 800°C e in assenza di
ossigeno (pirolisi), del materiale di partenza contenente carbonio
b) attivazione dei prodotti carbonizzati.
Sebbene in teoria tutti i materiali carbonacei possano essere convertiti in
carboni attivi, le proprietà del prodotto finale possono essere grandemente
differenti in dipendenza dalla natura del materiale di partenza, dalla
procedura di attivazione e dalla natura dell’agente attivante. La struttura
porosa, tipica dei carboni attivi, viene creata e/o sviluppata durante la fase
di attivazione che converte il materiale carbonizzato in una forma che
contiene il più alto numero possibile di pori, distribuiti statisticamente in
16
ampi intervalli di grandezza e forma, che conferiscono al materiale un alta
area superficiale.
Origine
Qualsiasi materiale di basso costo, alto contenuto in carbonio e basso
contenuto di materiale organico, potrebbe essere usato come materiale di
partenza per la produzione di carboni attivi. In realtà, viene data priorità a
materiali di tipo fossile di recente formazione, legno giovane, scarti vari di
origine vegetale.
Attualmente la tendenza moderna prevede l’utilizzo di vari tipi di carboni
naturali che sono molto economici e facilmente disponibili ma di recente
interesse è anche la possibilità di utilizzare come materiali di partenza
scarti di origine vegetale, come la lignina, e di quelli derivati da processi
dell’industria del petrolio e dei lubrificanti.
Quando si deve scegliere un materiale di partenza per la produzione di
carboni attivi dovrebbero essere considerati i seguenti criteri: volume e
costo del materiale di partenza, degradabilità del materiale di partenza
(tempo di vita) e contenuto minimo di componenti inorganici.
In tabella 2.2 sono raccolte le proprietà di alcuni materiali di partenza usati
per produzione di carboni attivi e l’uso generale per cui sono prodotti.
17
Tabella 2.2
Materiale
di
partenza
Carbonio
(%)
Volatili
(%)
Densità
(Kg/l)
Ceneri
(%)
Struttura del
carbone attivato
Applicazioni
del carbone
attivato
Legno
Giovane
40-45 55-60 0.4-0.5 0.3-1.1
tenero,grande
volume pori
adsorbimento
in fase
acquosa
Legno
stagionato
40-42 55-60 0.55-0.8 0.3-1.2
tenero,grande
volume pori
adsorbimento
in fase
acquosa
Lignina 35-40 58-60 0.3-0.4 -
tenero, grande
volume pori
adsorbimento
in fase
acquosa
Gusci di
noci di
cocco
40-45 55-60 1.4 0.5-0.6
duro , grande
volume
microporoso
adsorbimento
in fase
vapore
Lignite 55-70 25-40 1.00-1.35 5-6
duro , piccolo
volume pori
trattamento
delle acque
reflue
Carbone
tenero
65-80 20-30 1.25-1.50 2-12
durezza media ,
volume
microporoso
medio
adsorbimento
in fase
liquida e
vapore
Carbone
Duro
85-90 5-10 1.5-1.8 2-15
duro , grande
volume pori
adsorbimento
gas vapore
Proprietà di alcuni materiali di partenza usati nella produzione del carbone attivo.
La bassa quantità di componenti inorganici assicura che nel prodotto finale
il contenuto di ceneri sia basso e la densità elevata dei materiali
contribuisce ad impartire forza strutturale al carbone. Materiali a media
densità, come il legno e la lignina, producono carboni attivi con volume di
pori più grande.
18
Tali carboni sono in genere utilizzati per applicazioni in fase liquida mentre
non sono molto idonei per applicazioni di adsorbimento di gas/vapori.
19
Preparazione: carbonizzazione
In termini generali, la carbonizzazione consiste in una decomposizione
termica del materiale carbonaceo di partenza (pirolisi), eliminazione delle
specie non carboniose, e produzione di una massa di carbone con una sua
rudimentale struttura porosa. Tale processo viene svolto in forni a
temperature inferiori a 800°C sotto flusso continuo di gas inerte. Il carbone
così prodotto può essere, in alcuni casi, calcinato a 1000°C in assenza di
flusso di gas. I parametri che decidono la qualità e la resa del prodotto
finale sono la velocità di riscaldamento e la temperatura finale. Basse
velocità di riscaldamento durante la pirolisi producono una resa di carbone
più alta a causa della migliore stabilizzazione dei componenti polimerici
(sistemi ad anelli aromatici differentemente condensati ).
Invece, la porosità dei carboni attivi, è una proprietà indipendente dalla
velocità di riscaldamento durante la pirolisi. Già a temperature intorno ai
500°C si ha la formazione della microstruttura dei carboni, sebbene alcuni
pori a tali temperature possano ancora essere bloccati e diventare
disponibili solo per trattamenti a più alte temperature.
Preparazione: attivazione
Obbiettivo del processo di attivazione è quello di aumentare il volume e,
possibilmente il diametro dei pori che si sono formati nel precedente stadio
di carbonizzazione, e di creare qualche nuova porosità.
Struttura dei pori e la loro distribuzione in grandezza sono predeterminate
dalla natura del materiale carbonioso di origine e dalla storia dello stadio di
carbonizzazione. L’attivazione rimuove il carbone non strutturato,
esponendo strati di strutture aromatiche organizzati. L’aumento di
grandezza dei pori esistenti e/o la formazione di nuove porosità è dovuta
alla distruzione completa delle pareti tra pori adiacenti.