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Riassunto
La leucemia linfatica cronica (CLL) è la forma di leucemia più frequente nei paesi occidentali ed è
caratterizzata dall’accumulo di linfociti B CD5
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nel sangue periferico e negli organi linfoidi.
Nonostante nella CLL le cellule B leucemiche siano tipicamente ferme in fase G 0/G 1, esse si
accumulano nel sangue periferico e negli organi linfoidi secondari a causa di difetti nel processo
apoptotico, della loro aumentata proliferazione indotta dal recettore delle cellule B e di alterazioni
riguardanti i recettori per le chemiochine. Oltre alla presenza di alterazioni intrinseche, la
sopravvivenza delle cellule leucemiche e la resistenza alle terapie dipendono da fattori solubili
presenti nel microambiente e dall’ interazione con cellule stromali ed immunitarie presenti anch’esse
microambiente tumorale (TME). Le stesse cellule leucemiche hanno l’abilità di modificare il
microambiente sia attraverso interazioni cellula-cellula sia tramite il rilascio di fattori solubili, incluse
le vescicole extracellulari (EVs), aggiungendo così un ulteriore livello di complessità nei meccanismi
che controllano la comunicazione tra le cellule leucemiche e le cellule normali. In questo contesto, le
EVs leucemiche sono state identificate come fattori cruciali per la loro abilità di stimolare
l’angiogenesi, di promuovere il differenziamento delle cellule che supportano il tumore e di
sopprimere la risposta antitumorale delle cellule T. Tuttavia, la composizione del secretoma delle
cellule leucemiche, inclusa quella delle EVs, così come l’impatto delle EVs sulle funzioni delle
cellule T sono ancora in parte sconosciuti. L’adattatore pro-apoptotico p66Shc è stato recentemente
evidenziato come un elemento chiave nella patogenesi della CLL e come regolatore negativo del
rilascio delle vescicole extracellulari nei mastociti. Dato che difetti nell’espressione di p66Shc sono
correlati, sia in cellule CLL umane che murine, ad una peggiore prognosi e alla gravità della malattia,
in questo studio abbiamo indagato l’impatto di p66Shc sull’abilità delle EVs rilasciate dalle cellule
leucemiche di modificare il TME, focalizzandoci sul contenuto di miRNA.
A tal fine, abbiamo analizzato il profilo di espressione dei miRNA presenti nelle EVs rilasciate dalle
cellule leucemiche Eμ-TCL1 e EμTCL1/p66ShcKO. Abbiamo così identificato i miRNA miR-25-3p,
let-7i-5p, let-7c-5p, let-7b-5p, let-7d5p e let7j, mai descritti nella CLL, e i miRNA let-7a-5p, let-7g-
5p, let-7f-5p miR-16-5p, miR-181a-5p, miR-486a/b-5p e miR-26a-5p, mai identificati nelle EVs
leucemiche dei modelli murini di CLL. Inoltre, 2 miRNA, miR-186-5p e miR-223-3p, sono risultati
significativamente arricchiti nelle EVs TCL1 rispetto alle EVs-TCL1/p66ShcKO. La selezione dei
target più rilevanti di questi miRNA ha portato all’identificazione di TOB1. In accordo con questi
risultati, il trattamento di cellule T normali con le EVs-TCL1 provoca una maggiore riduzione dei
livelli dell’mRNA di TOB1 rispetto ai campioni trattati con le EVs-TCL1/p66ShcKO. Inoltre,
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l’analisi dei livelli di TOB1 in cellule T isolate dalle milze dei topi Eμ-TCL1 e Eμ-TCL1/p66ShcKO
mostra l’aumento dell’espressione TOB1 nelle cellule T deficienti per p66Shc, suggerendo che anche
il trasferimento in vivo EVs-mediato di miR-186-5p e miR-223-3p sarebbe in grado di modulare
l’espressione del gene TOB1 in cellule T. TOB1 è un regolatore negativo dell’attivazione delle cellule
T ed è espresso ad alti livelli nelle cellule T anergiche. Quindi i nostri dati hanno identificato un
nuovo meccanismo molecolare con cui le cellule leucemiche sopprimono le funzioni delle cellule T
ed identificano nuovi potenziali target terapeutici nella CLL.
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Introduzione
1. La leucemia linfatica cronica
La leucemia linfatica cronica è la forma di leucemia più frequente nei paesi occidentali (20-30% di
tutti i casi di leucemia) ed ha un’incidenza di 4,9 casi ogni 100'000 individui all’anno ed una
sopravvivenza a 5 anni dell’87,2%. Essa insorge mediamente all’età di 70 anni ed ha un’incidenza
doppia nei maschi rispetto alle femmine (Hallek e Al-Sawaf, 2021). Anche se nella maggior parte dei
casi la CLL ha un’insorgenza sporadica, esiste una componente genetica ereditaria (Kipps, 2017).
La malattia è caratterizzata da un accumulo di linfociti B CD5
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maturi nel sangue periferico e negli
organi linfoidi. Essa è spesso asintomatica e diagnosticata per la presenza di una linfocitosi a cellule
B superiore o uguale a 5000 cellule/μl che si mantiene costante per almeno 3 mesi. I segni tipici di
malattia sono la linfoadenopatia, la spleno- ed epatomegalia, e spesso l’insorgenza di fenomeni
autoimmuni (~25% dei casi) (Kipps, 2017; Hallek e Al-Sawaf, 2021).
Nella maggioranza dei casi, la CLL è anticipata da una linfocitosi monoclonale a cellule B (MBL),
una condizione “pre-leucemica” caratterizzata dalla presenza nel sangue periferico di un numero di
cellule B mono- o oligoclonali inferiore a 5000 cellule/μl e dall’assenza dei segni tipici di malattia
(Kikushige, 2020; Hallek e Al-Sawaf, 2021).
Infatti, la patogenesi della CLL è probabilmente un processo multi-step, il cui evento oncogenico
iniziale ricade già a livello della cellula staminale ematopoietica (HSC) o di un progenitore, e la cui
effettiva trasformazione tumorale avviene solo successivamente nella cellula B matura, spesso
passando per una condizione di MBL. Inoltre, oltre alla più frequente condizione di monoclonalità
delle cellule B leucemiche, può essere presente anche una condizione di oligoclonalità che riflette,
appunto, una trasformazione graduale ed un evento precoce di iniziazione tumorale (Kikushige,
2020).
Nella CLL possono essere presenti cellule B leucemiche che sono andate incontro, nei centri
germinativi degli organi linfoidi secondari, al processo di maturazione di affinità tramite
ipermutazione somatica dei geni per le regioni variabili delle immunoglobuline, oppure cellule che
non presentano tale mutazione somatica. Infatti, la CLL viene classificata come M-CLL (“mutata”)
o U-CLL (“non mutata”) a seconda dello stato mutazionale dei geni della regione variabile della
catena pesante delle immunoglobuline (IGHV), nonostante possano essere presenti anche stati
intermedi tra i due. La M-CLL rappresenta la forma più stabile e con una prognosi più favorevole
mentre la U-CLL tende ad una più rapida progressione ed ha solitamente una peggiore prognosi. A
livello delle cellule B leucemiche di entrambe le tipologie di CLL si osserva la presenza di
immunoglobuline stereotipate, le quali, riconoscendo un ristretto repertorio di antigeni (soprattutto
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“self”), portano all’iperattivazione del signaling del BCR (B cell receptor) che è fondamentale nella
patogenesi della CLL (Kikushige, 2020). Tuttavia, mentre nella U-CLL questo signaling porta più
facilmente ad attivazione e proliferazione delle cellule leucemiche, nella M-CLL esso porta ad una
condizione di quiescenza e ad una malattia tendenzialmente indolente (Kipps, 2017).
Oltre allo stato mutazionale IGHV e all’instaurazione di complicanze come l’autoimmunità e
l’immunodeficienza, la prognosi è fortemente influenzata da una serie di aberrazioni cromosomiche
(soprattutto le delezioni in 13q14, 11q e 17p e la trisomia 12), ed alterazioni dell’espressione genica
(come l’aumento di ZAP-70 e la riduzione di p53 e della proteina anti-apoptotica Bcl-2) (Kipps,
2017).
1.1. I modelli murini di CLL umana
Il gene TCL1 (T cell leukemia/lymphoma 1) è stato identificato per la prima volta come oncogene
coinvolto nella patogenesi della leucemia prolinfocitica a cellule T (T-PLL) (Virgilio et al., 1994).
Infatti, nonostante in condizioni fisiologiche esso sia espresso in cellule T unicamente nelle fasi
precoci di maturazione, a seguito di traslocazioni o inversioni che giustappongono il suo locus
(14q32.1) vicino agli elementi regolatori del gene per il TCR (T cell receptor), viene indotta la sua
espressione anche in cellule T mature, in cui gli elementi regolatori del gene per il TCR sono attivi a
livello trascrizionale, portando all’insorgenza della malattia (Virgilio et al., 1994). Esso è anche
espresso in altre neoplasie come il seminoma, alcuni tumori della pelle, alcuni linfomi, ed è presente
ad alti livelli in molti tumori a cellule B, tra cui la CLL (Bresin et al., 2016). Infatti, nelle cellule B
leucemiche della maggior parte dei pazienti CLL si osserva l’espressione di TCL1, i cui livelli
aumentano particolarmente nella forma più aggressiva della malattia, caratterizzata da alti livelli di
ZAP-70, da una ridotta mutazione dei geni IGHV e da una maggiore resistenza alla chemio-
immunoterapia. Al contrario, nelle cellule B normali, TCL1 è espresso solo durante il
differenziamento ed assente nelle cellule B mature (Bichi et al., 2002; Bresin et al., 2016).
Col fine di ottenere un modello murino per lo studio della CLL umana è stato generato il topo
transgenico Eμ-TCL1, il quale presenta il gene TCL1 sotto il controllo del promotore dei geni IGHV
e dell’enhancer IgH-μ, che permettono la sua espressione specificatamente nelle cellule B mature.
Similmente alla CLL umana, il topo Eμ-TCL1 sviluppa prima una pre-leucemia che successivamente
evolve nella CLL vera e propria, la quale presenta tutti i segni tipici della CLL (Bichi et al., 2002).
Infatti, la popolazione leucemica del modello Eμ-TCL1, rappresentata da cellule B CD5
+
IgM
+
circolanti e bloccate in fase G 0/G 1, mostra una rilevabile espansione a livello della cavità peritoneale
all’età di 2 mesi, a livello della milza a 4 mesi e nel midollo osseo a 8 mesi, periodo nel quale è
visibile anche un lieve ingrossamento della milza e un alto numero di cellule leucemiche nella cavità