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Introduzione
“Non è mai stato semplice, ci sono state alcune esperienze che mi hanno fatto perdere la
speranza di vivere e l’autostima. Nonostante tutto sono stata in grado di riprendere la
mia vita in mano, attraverso un percorso difficile e in salita. Posso ritenermi una persona
felice e soddisfatta, ma non c’è una fine a questo percorso: la strada per la felicità è
infinita.”
É da questa frase, scritta da una ragazza che ha partecipato all’indagine svolta in prima
persona in un Liceo delle Scienze Umane, che vorrei partire per introdurre il mio lavoro.
Quest’affermazione è l’emblema della situazione adolescenziale che caratterizza oggi la
nostra società in cui sempre più giovani, durante il loro cammino di crescita e di
maturazione, entrano in un vortice dal quale è difficile uscire: quello della perdita della
speranza di vivere. È molto facile trovarsi di fronte a ragazzi che, giovanissimi,
ritengono di non poter sperare niente dal futuro, di vedere un domani buio e di sentirsi
non pienamente felici. Spesso questi ragazzi sono gli stessi che affollano i telegiornali
con cadenza quasi giornaliera, protagonisti di gesti estremi, facendoci rendere conto
solo in quel caso della loro esistenza.
Osservando le ultime statistiche sul suicidio in età adolescenziale, i risultati che
emergono sono allarmanti. Secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza, tra il 2015 e
il 2017 i tentativi di suicidio da parte dei teenagers sono quasi raddoppiati passando dal
3,3% al 5,9%, ovvero 6 adolescenti su 100 di età tra i 14 e i 19 anni hanno provato a
togliersi la vita, rendendo il suicidio la seconda causa di morte tra i giovani di età
compresa tra i 15 e i 29 anni. Un dramma che riguarda soprattutto le ragazze (71%). Il
24% degli adolescenti ha, invece, pensato almeno una volta a un gesto estremo.
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L’immagine che deriva è caratterizzata da un crescente disagio giovanile in cui
ragazzini appena adolescenti presentano già un malessere di vivere tale da pensare di
farla finita. In poche parole, il suicidio nell'età giovanile è un fenomeno in continua
espansione e di difficile previsione in quanto costituisce il risultato di un insieme di vari
fattori di rischio combinati tra loro. Partendo dalla lettura di questi dati, dentro di me è
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Dati tratti dall’articolo di Iannaccone F. (2018), Giovani e suicidio: un fenomeno allarmante,
Disponibile 9 aprile 2019, https://www.statoquotidiano.it/13/10/2018/giovani-e-suicidio-un-fenomeno-
allarmante/644636/?fbclid=IwAR3Oz_TzfGSTuSD7yi9g9I3jSaHnSqAGZHjGQooA2ABnOarVqMfD4R
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maturato in un primo momento un sentimento di profondo rammarico e tristezza
accompagnato da una sensazione di impotenza di fronte a questo fenomeno sempre più
presente nella nostra società.
Successivamente, riflettendo sul mio ruolo di educatore, in particolar modo di educatore
nel disagio adolescenziale, ho ritenuto che fosse anche compito mio quello di
intervenire per cercare, almeno, di conoscere il più possibile questo fenomeno
direttamente dal punto di vista dei ragazzi e proprio a partire da loro instaurare un
dialogo che permetta di riflettere sul valore della vita. Partire dai giovani è
indispensabile poiché solo conoscendo i loro stati emotivi, le paure, i dubbi, le angosce
e le domande, riusciremo a comprendere il fenomeno pienamente.
Per i motivi appena elencati ho deciso di affrontare il tema del suicidio insieme agli
studenti, effettuando un’indagine sperimentale volta ad indagare le caratteristiche di
alcuni costrutti psicologici legati in maniera indiretta al suicidio in età adolescenziale.
Il presente lavoro è diviso in tre capitoli: nel primo si farà un’introduzione su tre
costrutti psicologici: autostima, disperazione e depressione, servendoci del contributo di
vari autori che affermano la stretta relazione tra il fenomeno suicidario e il rispettivo
costrutto psicologico indagato.
Il secondo capitolo presenterà, attraverso una dettagliata introduzione, le caratteristiche
principali dei test somministrati ai ragazzi: TMA, BHS, BDI-II, che valutano
rispettivamente l’autostima, la disperazione e la depressione. Successivamente verranno
presentati anche alcuni studi sperimentali effettuati con gli appositi questionari self-
report, nella popolazione clinica e in quella generale, in merito al rischio suicidario.
L’ultimo capitolo verterà sull’indagine sperimentale svolta in prima persona nella
popolazione generale frequentante le classi quinte di un Liceo delle Scienze Umane.
Gli obiettivi principali dell’indagine sono due. Il primo è quello di analizzare nel
dettaglio come e in quale misura i costrutti psicologici sopra elencati siano presenti
nella popolazione adolescenziale e, principalmente, tra i partecipanti che affermano di
avere pensieri suicidari senza intenzionalità. Il secondo, forse il più pedagogicamente
significativo, è di consegnare ai ragazzi uno spazio di riflessività, in cui possano
ripensarsi e sviluppare una maggiore consapevolezza di sé, dei propri punti di forza e
dei propri limiti, in un’ottica di prevenzione al disagio.
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Capitolo I
Costrutti psicologici legati al suicidio
1.1 Autostima percepita
La definizione del costrutto psicologico dell’autostima non è semplice, poiché
costituisce un concetto molto vasto e multidimensionale. Nella letteratura troviamo
varie definizioni tra cui quella di Battistelli, che la definisce come un insieme dei
giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso.
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Per Bracken l’autostima è, invece, uno
“schema cognitivo e comportamentale appreso, multidimensionale, che si basa sulla
valutazione costante del bambino con l'ambiente e riferito a diversi contesti che possono
portare a “successi” o “fallimenti”.
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William James, ancora, la definisce come il
rapporto tra il “Sé percepito” di una persona e il suo “Sé ideale”: il Sé percepito
equivale al concetto di sé, alla conoscenza di quelle abilità, caratteristiche, qualità che
sono presenti o assenti, mentre il Sé ideale è l’immagine della persona che ci piacerebbe
essere.
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Secondo il pensiero di James una persona avrà una bassa autostima se il Sé
percepito non riesce ad equipararsi al Sé ideale. La differenza tra come ci vediamo e
come vorremmo essere è l’ago della bilancia che rispecchia quanto siamo soddisfatti di
noi stessi. In sintesi, per James, l’autostima è il risultato tra ciò che siamo e ciò che
vorremmo essere. Durante tutta la vita cerchiamo di ridurre al minimo la distanza tra
queste due dimensioni cercando, quindi, di aumentare la nostra autostima.
Successivamente l’autostima viene definita da Cooley e Mead come il risultato tra le
interazioni sociale, che si crea durante tutto il corso della vita, in riferimento a ciò che le
altre persone pensano di noi.
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Questo concetto è in uso anche attualmente, poiché oggi
consideriamo l’autostima influenzata e costruita anche da fattori ambientali, come il
confronto che l’individuo fa con l’ambiente in cui vive.
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Battistelli P. (1994), Autostima, in Bonino S. (a cura di), Dizionario di Psicologia dello Sviluppo.
Torino: Einaudi.
3
Bracken B.A. (2003), TMA, Test Multidimensionale Autostima. Trento: Erickson.
4
James W. (1890), Principle of psychology. New York: Holt, Rinehart & Winston
5
Mead, G.H. (1934). Mind, self and society. Chicago, University of Chicago Press; trad. it. Mente, sé e
società, Firenze, Giunti-Barbera, 1966.
6
Cooley, C.H. (1902). Human Nature and the Social Order, New York, Charles Scribner’s Sons.
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Il concetto di autostima non è unitario, ma multidimensionale, poiché comprende
differenti ambiti:
• sociale: in relazione al gruppo di amici, alla cerchia di parenti e al rapporto col
partner. È la sensazione di essere approvati, sostenuti e aiutati dagli altri;
• scolastico/lavorativo: la percezione della nostra bravura nell’affrontare le attività
connesse al mondo lavorativo o scolastico;
• familiare: riguarda il rapporto affettivo e la coesione dei legami familiari;
• corporeo: legato all’aspetto fisico, alle prestazioni fisiche e quanto ci sentiamo
bene e a proprio agio con il nostro corpo.
Avere un’alta autostima significa che la differenza tra il Sé reale e il Sé ideale è molto
ristretta e comporta la possibilità di essere consapevoli di avere sia pregi che difetti,
posizionando il focus sulla volontà di migliorarsi. Spesso le persone con una bassa
autostima si arrendono più facilmente – rispetto a chi possiede un’alta autostima – di
fronte a una situazione difficile e, seppur con maggiore difficoltà, riescono a perseguire
un obiettivo. Durante l’adolescenza la regolazione dell’autostima non è sempre
semplice: spesso succede che in alcuni periodi il livello dell’autostima sia molto alta,
mentre in altri può accadere l’opposto, poiché nel periodo adolescenziale si hanno
cambiamenti repentini sia biologici che psicologici, causando appunto un’identità
ancora non ben definita.
L’aspetto fisico ha un ruolo cruciale nella determinazione dell’autostima per una
persona: è proprio in questa stagione della vita che il corpo inizia a trasformarsi
rapidamente, senza che il ragazzo possa in alcun modo gestire tale situazione. Il vedersi
brutti ha conseguenze che influiscono non solo nel rapporto con il nostro corpo ma
anche sulla mente e sul modo di stare al mondo, poiché la maniera in cui noi ci
percepiamo influenza come gli altri percepiscono noi. Secondo Polàcek
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i soggetti che
hanno una buona autostima sono ottimisti e volenterosi nel raggiungere degli obiettivi e
il più delle volte ci riescono. Sempre lo studioso afferma che le persone che valutano
positivamente la propria autostima sviluppano una motivazione interiorizzata e una
maggiore capacità di superare gli ostacoli relativi all’apprendimento. Contrariamente, le
persone che valutano la loro autostima bassa sviluppano una minore percezione della
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Polàcek K. (1995), L’autoefficacia: costrutto e utilizzazioni. Orientamenti Pedagogici, 42: 927-50.
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propria intelligenza ed autoefficacia. Si viene a creare un meccanismo psicologico che
vede le persone con bassa autostima evitare i compiti, autovalutandosi negativamente e
determinando la comparsa di sentimenti di ansia e depressione.
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Secondo i risultati di una ricerca americana, l’utilizzo del social network Facebook
favorirebbe l’aumento della propria autostima. Lo studio è stato svolto da Hancock e
colleghi della Cornell University di New York coinvolgendo 63 studenti della stessa
università. Durante l’esperimento sono stati suddivisi i ragazzi in tre gruppi: il primo
poteva navigare liberamente su Facebook, il secondo era costretto a rimanere davanti al
monitor del computer spento e l’ultimo doveva rimanere davanti a degli specchi messi
davanti al monitor. Dopo tre minuti ogni ragazzo doveva compilare un test che
misurava il suo livello di autostima. L’ipotesi che Facebook mostrerebbe un’immagine
positiva di noi stessi è stata dimostrata valida, poiché chi aveva navigato su Facebook
percepiva un’autostima maggiore di chi era rimasto difronte al monitor spento.
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Questa conclusione dimostra quanto la nostra immagine sia importante nella definizione
dell’autostima e quanto sia importante far trasparire l’immagine migliore possibile di
noi stessi ai fini di incrementare tale costrutto.
Sebbene attualmente ci siano pochi studi riferiti alla relazione tra suicidio e percezione
di una bassa autostima vari autori affermano che questa relazione esiste ed è forte. Basti
pensare allo psicologo Kohut, secondo il quale la vulnerabilità al suicidio è correlata
alla difficoltà per l’individuo di mantenere l’autostima a livelli accettabili.
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Anche Marcotte afferma che gli adolescenti con una bassa autostima sono
particolarmente prepensi a pensare al gesto del suicidio.
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Sempre lo stesso autore sostiene che gli adolescenti depressi e con una bassa autostima
siano particolarmente inclini a considerare l’opzione suicidaria.
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Polàcek K. (1995), L’autoefficacia: costrutto e utilizzazioni. Orientamenti Pedagogici, 42: 927-50.
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Gonzales A.L., Hancock J.T. (2011), Mirror, Mirror on my Facebook Wall: Effects of Exposure to
Facebook on Self-Esteem. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking. 14 (1-2): 79-83.
10
Kohut H. (1977), Narcisismo e analisi del sé. Torino: Bollati Boringhieri.
11
Marcotte, D. (2000), La prévention de la dépression chez les en-fants et les adolescents. In: Vitaro F,
Gagnon C, editors. Prevention des problemes d’adaptation chez les jeunes. Quebec: Presse de
l’Universite de Quebec p.221-70.