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epatiche (Parola e Robino, 2001; Albano, 2006) e polmonari croniche (Rahman et al., 2006).
1.1.1 Fonti di ROS
I mitocondri sono i principali responsabili della produzione intracellulare di ROS in quanto,
durante il metabolismo dell’ossigeno mitocondriale, gli elettroni migrano lungo i complessi
enzimatici della catena respiratoria e raggiungono il complesso della citocromo c ossidasi o
complesso IV, dove si combinano con l’ossigeno ed i protoni per formare H2O. Di tutto
l’ossigeno utilizzato si stima che circa il 2% non sia correttamente processato dal momento
che una frazione di questi elettroni (Finkel e Holbrook, 2000), seppur minima, può
fuoriuscire, reagendo direttamente con l’ossigeno molecolare e si possono formare ROS,
soprattutto l’anione O2∙-. La produzione di ROS da parte dei mitocondri aumenta con
l'invecchiamento delle cellule poiché l’efficienza della catena di trasporto degli elettroni viene
meno e l'integrità della membrana mitocondriale risulta compromessa (Brunk e Terman,
2002). I ROS possono essere generati enzimaticamente in molti compartimenti sub-cellulari
dall’attività di numerose famiglie di enzimi come le ossidasi, le perossidasi, le mono- e di-
ossigenasi, tra cui la xantina ossidasi, la sintasi dell’ossido nitrico e la cicloossigenasi
(Rojkind et al, 2002). La produzione di ROS si ha anche in seguito all’attivazione metabolica
del citocromo P450, in particolare l’isoforma P450 2E1 (CYP2E1), presente specialmente nel
fegato, caratterizzata da un’elevata attività ossidativa, coinvolta nell’ossidazione di substrati
come l’etanolo e molti composti tossici, può generare una gran quantità di ROS (Parke,
1994).
Un altro compartimento di produzione di ROS è costituito dai perossisomi. In questi
organelli, la β-ossidazione degli acidi grassi e la deaminazione ossidativa di alcuni
amminoacidi genera H2O2 (Van der Zand et al., 2006), che esce dai perossisomi e sposta il
bilanciamento redox cellulare verso lo stato ossidativo (Rao e Reddy, 1991).
A livello sistemico, invece, sono da menzionare le cellule bianche del sangue (neutrofili,
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eosinofili, basofili, monociti, linfociti), che tramite i loro meccanismi di difesa per combattere
batteri ed altri patogeni, sono tra i maggiori produttori endogeni di ROS (Forman e Torres,
2001), soprattutto NO∙, O2∙-, H2O2 ed HOCl, in seguito all’attività dell’enzima NADPH
ossidasi, che viene attivato dalla stimolazione delle cellule fagocitiche (Vignais, 2002) e dalla
sintasi dell’ossido nitrico (Beckman e Koppenol, 1996) (Figura 1.1).
La produzione di specie reattive può essere notevolmente aumentata in presenza di agenti
esogeni, come l’esposizione a radiazioni ionizzanti e non, a sostanze chimiche e patogeni, il
fumo e lo stress psicofisico (Kohen e Nyska, 2002). Un'altra grande risorsa di ROS sono gli
alimenti che contengono diversi tipi di ossidanti come perossidi, aldeidi, acidi grassi ossidati e
metalli di transizione. (Kanner e Lapidot, 2001).
1.1.2 Meccanismi di difesa contro lo stress ossidativo
Le cellule, per proteggersi nei confronti del danno ossidativo, hanno sviluppato una serie di
meccanismi anti-ossidanti che possono agire a vari livelli: limitando la produzione di
superossido a livello mitocondriale, eliminando direttamente i ROS, riducendo gli
idroperossidi formati o riparando le molecole danneggiate (Rotilio et al., 1995). Essa è
condotta all’interno delle cellule e dei tessuti da veri e propri enzimi o da antiossidanti a basso
peso molecolare (Figura 1.1).
I più importanti enzimi anti-ossidanti presenti nelle cellule sono la catalasi, la glutatione
perossidasi (GPx) e le superossido dismutasi (SODs) che tendono a rimuovere direttamente la
molecola ossidante e non intervengono nel controllo delle modificazioni indotte dai ROS sulle
macromolecole biologiche.
La catalasi è un enzima antiossidante tetramerico contenente gruppi eme, localizzato
soprattutto nei perossisomi, molto efficiente nel catalizzare la dismutazione dell’H2O2 in O2 e
H2O (Shull et al., 1991). La GPx è un enzima contenente selenio ed è localizzato nel citosol e
nei mitocondri, catalizza la riduzione dell’ H2O2 e degli idroperossidi organici (Arthur, 2000).
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Le SODs dismutano l’anione superossido a perossido d’idrogeno e acqua, ne esistono tre
diverse forme: la SOD a rame e zinco (SOD1), la SOD a manganese (SOD2) e la SOD
extracellulare (SOD3) (Bannister et al., 1987).
Tra i più importanti antiossidanti non enzimatici a basso peso molecolare, invece, troviamo il
glutatione, l’acido ascorbico (vitamina C), l’α-tocoferolo (vitamina E) ed i carotenoidi.
Questi composti fungono da antiossidanti biologici sia inibendo la formazione dei radicali che
inattivando i radicali stessi (agendo per esempio come molecole “scavanger” o spazzino),
intrappolandoli all’interno delle strutture cicliche ed impedendo la propagazione del danno
ossidativo.
Il Glutatione (γ-glutammil-cisteinil-glicina) è un tripeptide che può presentarsi in forma
ridotta (GSH) o ossidata (GSSG). E’ il composto tiolico più abbondante nei liquidi biologici e
nei tessuti, in particolar modo nel fegato dove è largamente utilizzato nel metabolismo degli
xenobiotici. Può fungere da antiossidante diretto in numerose reazioni in cui dona elettroni
formando un radicale scarsamente reattivo o dando origine alla sua forma ossidata GSSG,
oppure può essere utilizzato come substrato di numerosi enzimi deputati al controllo dello
stato redox della cellula come la Gpx (Meister, 1994).
La vitamina C è un’importante vitamina idrosolubile, eccellente riducente e antiossidante;
tuttavia è anche in grado di ridurre metalli dall’alto potenziale redox, come ferro e rame,
potenziandone la capacità ossidante (Buettner e Jurkiewicz , 1996).
La vitamina E, il principale antiossidante liposolubile, è in grado di interrompere le reazioni
radicaliche a catena, soprattutto quelle che avvengono durante la perossidazione lipidica,
poiché è in grado di generare un radicale scarsamente reattivo (Chow, 1991).
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I carotenoidi sono un gruppo di antiossidanti liposolubili correlati strutturalmente alla
vitamina A che, come la vitamina E, svolgono un ruolo importante nel prevenire la
perossidazione lipidica (Palace et al., 1999).
Figura 1.1: Risorse intracellulari di ROS e principali meccanismi di difesa anti-ossidanti
(Modificato da Curtin et al, 2002)
1.1.3 Danni da ROS alle macromolecole biologiche
Come già accennato in precedenza, bersagli sensibili all’azione dei ROS sono le
macromolecole biologiche come acidi nucleici, proteine e lipidi.
I ROS possono alterare le basi puriniche e pirimidiniche e il deossiribosio, oltre che rompere
il legame fosfodiesterico del DNA, risultando quindi citotossici e mutageni (Ames, 1989). Dal
DNA danneggiato ossidativamente derivano vari prodotti stabili quali l’8-idrossiguanina, l’8-
idrossiadenina, la glicol-citosina, la glicol-timina, che possono essere utilizzati come
marcatori del danno ossidativo al DNA (Valko et al., 2007).
I ROS possono anche provocare la perossidazione dei lipidi polinsaturi della membrana
plasmatica, i cui sottoprodotti mostrano un’ampia gamma di potenzialità dannose. L’effetto
primario della perossidazione lipidica è l’alterazione della fluidità delle membrane,
caratteristica che modifica le proprietà delle membrane e può distruggere le proteine di
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membrana (Halliwell e Gutteridge, 1989). Tra i sottoprodotti dei perossidi dei lipidi, le
molecole aldeidiche quali la malonildialdeide (MDA) ed il 4-idrossi-2-nonenale (4-HNE),
possiedono molti effetti citotossici (Esterbauer, 1993). Questi composti possono diffondere
dal sito di produzione verso siti più distanti all’interno o all’esterno della cellula dove
interagiscono con altri costituenti cellulari, come gli acidi nucleici e le proteine, causando
alterazione della funzionalità cellulare (Del Rio et al., 2005). L’importanza della
perossidazione lipidica è evidenziata dal fatto che negli ultimi 20 anni la sua valutazione nei
campioni biologici è stata ampiamente utilizzata come parametro dello squilibrio ossidativo
nei soggetti affetti da diverse patologie (Del Rio et al., 2005). Un altro prodotto di
perossidazione lipidica, che sta acquistando sempre più importanza come marcatore di stress
ossidativo, è costituito dagli ossisteroli, prodotti di ossidazione del colesterolo, di cui
parleremo più avanti in questo capitolo.
Le reazioni dei ROS con le proteine risultano nell’ossidazione delle catene laterali di vari
amminoacidi, che può portare alla perdita di funzione delle proteine stesse (Stadtman, 1993).
Una delle modificazioni più comuni è l’ossidazione su residui di prolina, arginina, lisina e
treonina, con la formazione di gruppi carbonilici, che sono chimicamente stabili e sono quindi
frequentemente utilizzati come marcatori di stress ossidativo. Alte concentrazioni di derivati
carbonilici sono stati riscontrati in diverse patologie umane incluso il cancro (Dalle-Donne et
al., 2003). Oltre alla modificazione delle catene laterali amminoacidiche le reazioni di
ossidazione possono anche portare alla frammentazione della catena polipeptidica. Un’altra
importante conseguenza dell’ossidazione delle proteine è la formazione di aggregati proteici,
la cui formazione impedisce la corretta degradazione delle proteine causandone un accumulo
incontrollato che risulta estremamente tossico per la cellula (Squier, 2001).
Il danno alle proteine cellulari porta come conseguenza, a seconda del tipo di proteina
coinvolta, ad un’alterazione delle reazioni metaboliche cellulari, dei gradienti di membrana di
diverse sostanze o delle vie di trasduzione del segnale, inclusa la cascata delle protein chinasi
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attivate da mitogeni (MAPKs).
1.2 STRESS OSSIDATIVO E RUOLO DELLE MAPKS
Le MAPKs sono una classe di proteine conservate evolutivamente che connettono i recettori
di superficie cellulare a specifiche molecole regolatorie all’interno della cellula. La cascata
delle MAPKs è regolata tramite fosforilazione e defosforilazione di specifici residui di serina
e treonina e risponde all'attivazione di recettori tirosin-chinasici, recettori di citochine e fattori
di crescita e recettori accoppiati a proteine G eterotrimeriche (Matsuzawa e Ichijo, 2008).
Esse, inoltre, sono sensibili a vari tipi di stress fisici e chimici, compreso lo stress ossidativo
(ROS, ossisteroli, radiazioni UV etc.), e contribuiscono alla regolazione della risposta ad essi,
inducendo diverse risposte fisiologiche come la proliferazione, il differenziamento, le risposte
infiammatorie, l’apoptosi e la senescenza. La cascata delle MAPKs comprende un modulo
centrale di segnalazione costituito da 3 chinasi, MAPK3, MAPK2 e MAPK (Chang e Karin,
2001). MAPK3 serve come sensore del danno cellulare indotto dallo stress e determina il
destino della cellula tramite la regolazione della cascata; alla fine, la chinasi a valle MAPK
fosforila vari substrati effettori della risposta cellulare (Cuevas et al., 2007).
Nelle cellule dei mammiferi ci sono più di dodici geni che codificano per i componenti delle
cascate delle MAPKs, tra le quali le più conosciute sono (Matsuzawa e Ichijo, 2008) (Figura
1.2):
ξ Extracellular signal-regulated kinase (ERK)1/2, o MAPKs classiche;
ξ C-Jun N-terminal kinase (JNK);
ξ P38MAPK
La via di ERK è stata ben caratterizzata; la stimolazione di recettori tirosin chinasici (RTKs)
in seguito al legame di fattori di crescita e citochine provoca il reclutamento di proteine come
Grb2 (una proteina adattatore), Sos (una piccola proteina legante GTP) e p21-Ras, che
attivano le altre chinasi della cascata che sono in sequenza Raf-1 e MEK1/2. Queste ultime a
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loro volta fosforilano e attivano le MAPKs p42/p44 note come ERK1 ed ERK2
rispettivamente, incrementando la loro attività enzimatica (Stokoe et al., 1994). Le ERKs
attivate, traslocano nel nucleo ed attivano fattori di trascrizione, regolando l’espressione di
geni che promuovono la crescita, il differenziamento, la mitosi e la progressione del ciclo
cellulare. Anche lo stress ossidativo porta ad una sostanziale attivazione di ERK1/2 ed alcuni
recettori per fattori di crescita hanno un ruolo importante nel mediare quest’effetto; per
esempio i recettori per il fattore di crescita dell’epidermide (EGF) ed il fattore di crescita
derivato dalla piastrine (PDGF), sono fosforilati in seguito ad insulti ossidativi come H2O2 e
radiazioni UV (Schieven et al., 1994). Sono stati proposti due possibili meccanismi tramite i
quali gli ossidanti possono iniziare questi eventi: gli ossidanti possono mimare gli effetti
dell’interazione ligando-recettore portando all’attivazione dei recettori per i fattori di crescita
(Chen et al., 1998), oppure possono inattivare fosfatasi di membrana sensibili al GSH,
necessarie per la defosforilazione dei recettori per i fattori di crescita (Lee et al., 1998).
Meves e collaboratori hanno proposto che la fosforilazione del recettore dell’EGF ad opera
del perossido d’idrogeno ed altri agenti ossidanti è preceduta dalla deplezione di GSH e da un
accumulo intracellulare di H2O2 (Meves et al., 2001). Fra gli agenti ossidanti a nostro parere
sono particolarmente interessanti gli ossisteroli, metaboliti non enzimatici del colesterolo, che
modulano la cascata delle MAPKs, agendo all’interno delle cellule come secondi messaggeri
(McCubrey et al., 2006, vedi dopo).
Le altre due famiglie di MAPKs sono costituite da JNK e p38MAPK che sono attivate
fortemente dallo stress, spesso in modo coordinato, per cui sono chiamate protein chinasi
attivate da stress (SAPKs) (Martindale e Holbrook, 2002). Ci sono tre geni che codificano per
JNK (1, 2 e 3) con dodici possibili isoforme derivanti da splicing alternativo, che sono
fosforilate da MKK4/7, mentre sono state identificate almeno quattro isoforme di p38MAPK,
p38 ∆, p38 Ε, p38 ϑ e p38 Γ, che possono essere fosforilate ed attivate dalle MAPKs MKK6
(Ichijo, 1999). JNK e p38MAPK sono attivate da vari tipi di stress ambientale: shock
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osmotico, radiazioni UV, shock da calore, inibitori della sintesi proteica, pro-ossidanti e
citochine pro-infiammatorie come l’interleuchina-1 (IL-1) e il tumor necrosis factor-α (TNF-
∆ (Tibbles e Woodgett, 1999).
Ci sono numerose evidenze che uno dei fattori più importanti per l’attivazione delle due
chinasi sia lo stress ossidativo. Per esempio, in condizioni normali, la proteina regolatoria
dello stato redox cellulare tioredossina (Trx) (Powis e Montfort, 2001) si lega ed inibisce
l’attività della proteina apoptosis-signal-regulating kinase (ASK1), una MAPK3 coinvolta
nell’attivazione sia di JNK che di p38MAPK (Saitoh et al., 1998) e lo stress ossidativo causa
la dissociazione di Trx da ASK1, portando all’attivazione di JNK e p38MAPK. Inoltre,
l’attivazione di JNK da parte del perossido d’idrogeno o di stress che influenzano lo stato
redox cellulare avviene in parte tramite la soppressione delle fosfatasi coinvolte
nell’inattivazione di JNK (Chen et al., 2001), e come ERK, anche JNK può essere attivato dal
trattamento con perossido d’idrogeno tramite un pathway dipendente dal recettore per l’EGF
(Chen et al., 2001).
JNK e p38MAPK sembrano giocare un ruolo importante nel differenziamento, nella
sopravvivenza, nella proliferazione, nello sviluppo, nell’infiammazione, nell’arresto del ciclo
cellulare, nell’apoptosi e nella senescenza (Zarubin e Han, 2005; Weston e Davis, 2007). In
questo paragrafo la nostra attenzione verrà focalizzata sui processi di apoptosi e senescenza.
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Figura 1.2: Cascata delle MAPKs (Matsuzawa e Ichijo, 2008)
1.2.1 MAPKs e apoptosi.
L’apoptosi è un processo fisiologico di notevole importanza per il normale sviluppo
embrionale e per il mantenimento dell’omeostasi cellulare nell’adulto, e la sua alterazione
contribuisce alla patogenesi di varie malattie, come il cancro, disordini di tipo
neurodegenerativo, autoimmune e patologie epatiche croniche (Tobiume et al., 2001;
Brenner, 2009).
Tra le MAPKs quelle maggiormente coinvolte nell’induzione dell’apoptosi sono JNK e
p38MAPK (Martindale e Holbrook, 2002). Il ruolo di JNK nell’apoptosi è confermato da
studi su fibroblasti embrionali derivati da topi knock-out per JNK1 e JNK2; la delezione
genica rende i fibroblasti resistenti all’apoptosi in risposta a radiazioni UV ed agenti alchilanti
il DNA (Tournier et al., 2000). Allo stesso modo, topi knock-out per JNK3 mostrano
resistenza all’apoptosi indotta dal glutammato nei neuroni dell’ippocampo (Yang et al.,
1997). L’uso di inibitori specifici per JNK, inoltre, attenua l’apoptosi in epatociti e cellule
endoteliali sinusoidali in caso di danno epatico da ischemia/riperfusione (Uehara et al., 2005)
così come inibisce l’apoptosi dei cardiomiociti in un modello animale di