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determinante nella ricostruzione di regole accettabili per
l’acquisizione del consenso.
Occorre pertanto misurarsi con la questione della progressiva
evanescenza delle forme storiche che avevano dato vita ai
soggetti della rappresentanza e con il riassetto di quel sistema,
che era stato definito “di fatto” in contrapposizione a quello
prefigurato nell’art. 39 Cost. e fondato su sue elementi che non
ammettevano di essere messi in discussione: la mutua affidabilità,
reciprocamente espressa dalle organizzazioni sindacali storiche,
quali rappresentanti accreditate del mondo del lavoro subordinato,
e in riconoscimento a loro favore espresso, in qualità di agenti
negoziali tendenzialmente esclusivi, dalle organizzazioni della
controparte. È innegabile che questo modello di relazioni sindacali
aveva trovato un accettabile gradi di stabilità e un apprezzabile
livello di funzionamento. Sotto il primo profilo, l’impalcatura
sembrava tenere perché il richiamato scambio di riconoscimento
tra i sindacati (e tra questi e i datori di lavoro) aveva permesso di
sostituire gli elementi dell’assetto, previsto dalla Costituzione, con
l’acclarata accettazione, da parte di tutti i soggetti in causa, di una
regola diametralmente opposta, ovvero quella della c. d.
pariteticità. Ogni formazione sindacale cioè, purché avvertita
quale necessitato interlocutore, contava alla pari delle altre e
indipendentemente dalla forza associativa e dal seguito dei
consensi che era riuscita ad ottenere tra i lavoratori con la propria
5
presenza e attività. Rispetto al secondo, è in dubbio che oltre a
raggiungere un’ampia capacità di rappresentanza politica degli
interessi in gioco sono stati ottenuti risultati di non poco conto
anche in materia di contrattazione collettiva. La questione
dell’efficacia del contratto collettivo, sicuro terreno di elezione per
le sorti del movimento sindacale, aveva finito col perdere la
drammaticità che l’aveva accompagnata nell’esperienza
prefascista e nella discussione in seno all’Assemblea Costituente,
dove si era ritenuto di poter risolvere il problema, legato alla
rappresentazione degli interessi collettivi, con il particolare
meccanismo di rinforzo dell’efficacia del patto. Proprio all’interno
dei principi riconducibili al diritto comune erano stati conseguiti
risultati più che soddisfacenti sia per la certezza della normazione
in materia di condizioni di lavoro, sia per l’effettiva espansione
dell’aria di applicabilità della relativa regolamentazione collettiva.
Le organizzazioni sindacali, formalmente accreditate del carattere
di associazione non riconosciuta, avevano dimostrato – riuscendo
a incarnare una specie di monopolio della rappresentanza – di
saper supere i propri limiti storici immanenti alla loro natura e ai
poteri loro attribuiti; mentre rimaneva fermo il principio che il
patto collettivo era in via di diritto vincolante solo per gli iscritti,
l’attività di negoziazione aveva finito per divenire il punto di
riferimento obbligato per tutte le parti in causa, datori di lavoro e
lavoratori, senza dover passare attraverso il procedimento
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contenuto nell’art. 39 Cost.. la costruzione ed il consolidamento di
un’efficiente sistema di relazioni industriali – dove la stabilità
fosse assicurata dalle buone relazioni e dal confluire del consenso
dei lavoratori verso il movimento sindacale organizzato, dove ciò
fosse visibile la capacità rappresentativa dei soggetti collettivi e
dispiegasse i suoi effetti, l’affermazione del contratto collettivo
quale fonte privilegiata (e generalmente accetta) per la disciplina
per le condizioni di lavoro – sono stati fondati massimamente su
due presupposti, il fronte unitario che le centrali storiche sono
riuscite a creare e la loro quasi palpabile forza di aggregazione e
di rappresentanza. Il legislatore ha utilizzato la loro capacità
rappresentativa, che emergeva dalla prassi dei comportamenti
sindacali, per realizzare le migliori condizioni possibili al
dispiegarsi “dell’effettività dell’autotutela”
2
. Lo Statuto dei
lavoratori, quando ha voluto offrire modelli di rappresentanza
dove le esigenze del momento associativo e le aspettative dei
lavoratori trovassero adeguata e reciproca composizione, ha
innestato la sua previsione principe (art. 19) nella situazione che
era sgorgata dalle mutazioni avvenute nel modo di intendere la
relazione intercorrente fra la presenza in azienda dei sindacati e le
tendenze di aggregazione nate tra i lavoratori. È stata in sostanza
la stessa situazione di fatto a far emergere un sistema di relazioni
2
In tema di valorizzazione costituzionale dell’organizzazione sindacale, in quanto capace di esprimere
il carattere di effettività, cfr. Flammia R., “Contributo all’analisi dei sindacati di fatto”, Milano 1963
pag. 96 e ss.
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sindacali tutto affatto diverso rispetto a quello raffigurabile
attraverso l’attuazione dell’art. 39 Cost.. i meccanismi messi in
moto nel processo esposto ora per sommi capi, saranno destinati
ad acquistare inoltre un tale livello di solidità, da restare in piedi e
da essere ancora soggetti ad un altro intervento del legislatore,
anche quando all’orizzonte cominceranno a profilarsi sintomi di
crisi. Non è dunque possibile mettere in dubbio il fatto che
l’evoluzione più ricca di significato delle nostre relazioni sindacali
si fonda sia sulla forte coesione tra le organizzazioni confederali
(coesione che è stata vista come un vero e proprio blocco storico,
legittimante il monopolio della rappresentanza), sia sulla capacità
di queste a risultare interlocutori affidabili per la massa dei
lavoratori. È però altrettanto vero che gli elementi salienti del
processo indicato desumono la loro credibilità dalla persistenza dei
presupposti” di fatto”
3
da cui hanno tratto origine e che, con il
mutare di questi ultimi l’assetto raggiunto dalle forme della
rappresentanza e l’efficacia della loro presenza nelle pieghe
dell’azione sindacale subiscono una lenta ma progressiva erosione
fino al punto di far ventilare l’opportunità di una revisione di tutto
il sistema e dei suoi meccanismi di funzionamento. Tutto questo
ha provocato la caduta di forza. Tutto questo ha provocato la
caduta di forza e prestigio del sistema nato dall’esperienza
statuaria; esso, dopo aver raggiunto il suo massimo apice di
3
Questa è l’argomentazione con cui è sostenuta la buona ragione per attuare l’art. 39 Cost.
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espansione, riuscendo ad imporre il proprio modello oltre i limiti
della sua origine “naturale”, sembra incapace di conservare la sua
tipica razionalità nelle situazioni nuove ossia nei confronti delle
mutazioni avvenute negli apparati produttivi e nell’organizzazione
del lavoro industrializzato. Iniziano pertanto a delinearsi alla
generale attenzione almeno due esigenze: l’urgenza di un
progressivo avvicinamento normativo, sia sul piano del rapporto
individuale di lavoro che su quello dell’organizzazione collettiva, e
una rilettura critica dei criteri fondamentali che hanno permesso il
buon andamento delle relazioni sindacali. Da qui la richiesta
avanzata anche in sede sindacale
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, di regole certe e formalizzate
alla cui stregua decifrare i rapporti tra formazioni sindacali e
ricostruire in sede collettiva un apprezzabile e credibile leadership
nei confronti dei lavoratori attraverso una migliore definizione dei
criteri con cui rilevare il consenso e su cui fondare le tipologie
della rappresentanza. Un compito siffatto richiede
necessariamente di affrontare il tema della relazione tra sindacati
(o aggregazioni sindacali) e lavoratori, nonché quella tra
sindacati; il funzionamento di un sistema di relazioni sindacali
impone infatti, in un regime di riconosciuto e vissuto pluralismo,
che siano comprese le regole con cui rapportare l’iniziativa del
soggetto collettivo alle aspettative del gruppo di riferimento, ma
4
Bolaffi G. “Sindacato e democrazia: una questione indifferibile”, in Il Sindacato alla svolta degli anni
’90, a cura di F. Amato, S. Mattone, Milano 1989 pag. 160-161
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anche capire a quali forza obbedisce il confronto tra le
affermazioni sindacali. A questa stregua si tratta allora di valutare
se dall’ordinamento giuridico o dal sistema sindacale siano già
stabiliti criteri e regole adeguati o se, al contrario, occorre
enunciarne di nuovi. L’evoluzione dei rapporti sindacali (tra le
organizzazioni e tra queste e i lavoratori) e le scelte via via
operate nell’utilizzazione di questa o quella tipologia di
rappresentanza in specie a livello aziendale, sono state giocate
tutte intorno all’esercizio del potere negoziale. Essi hanno
dimostrato di voler essere gelosi custodi e primi attori di tale
prerogativa. Tutto ciò risulta quasi intuitivamente comprensibile in
quanto, nell’attività di contrattazione collettiva, l’associazione
sindacale esercita la sua essenza, che consiste, appunto, nel dare
la voluta sistemazione agli interessi dei propri iscritti o comunque
dei propri assistiti. In vero questo connotato è talmente forte che
contraddistingue qualsiasi formazione sindacale, come è
direttamente riscontrabile negli intenti dei vari COBAS, i quali,
benché non organizzati nel classico modello dell’affiliazione –
iscrizione - , cercano di farsi accettare nella veste di agenti
negoziali. Un tale elemento che caratterizza qualunque
significativa aggregazione, dovrà essere presente all'indagine che
qui viene proposta, tanto più che in passato il successo della
forma di rappresentanza e di peso in buona misura proprio dal
grado di valorizzazione di esso. La storia della rappresentanza in
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azienda ci consegna infatti dei modelli sperimentati nel vivo della
prassi sindacale i consigli di fabbrica sono stati,
indipendentemente dai criteri formali di costituzione, un
accreditato e prestigioso tipo di rappresentanza, riuscendo a
divenire il primo gradino nella struttura interna dei sindacati e ad
essere l’agente negoziale credibile sia per i lavoratori che per la
parte datoriale. Le commissioni Interne hanno sì costituito un’alta
espressione di democrazia
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, avendo obbedito al principio di
maggioranza tipico del nostro ordinamento, ma sono state
guardate con notevole sospetto dal movimento sindacale
organizzato così che lo spazio di reale rappresentatività, da esse
conquistato nell’esercizio di attività negoziale, ha finito per essere
non un fattore di stabilità, bensì una delle cause della loro
intrinseca debolezza. A mio giudizio, rimane ancora da esplorare
quanto sia ricca di valenza l’interazione tra rappresentanti e
rappresentati e quanto sia difficile pervenire ad una sistemazione
esaustiva sostenendo tout-court l’applicazione di una regola
altamente formalizzata qual è il principio di maggioranza.
L’argomento cui è dedicato questo libro è ridiventato di grande
attualità dopo che il lungo dibattito sulla rappresentanza sindacale
ha finalmente lasciato il posto alla rifondazione della
rappresentanze del lavoratori sui luoghi di lavoro: risultato
5
Secondo Momigliano F. “Sindacati progresso tecnico e programmazione economica”, Torino 1966
pag. 107, le commissioni interne incarnano “…la prima manifestazione formale della rinata democrazia
italiana…”
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davvero cruciale dell’importantissimo accordo (Protocollo) del 23
luglio 1993 nel quale sindacati, imprenditori e governo hanno
finalmente definito, da un lato principi e strumenti del sistema
italiano di relazioni industriali, e dall’altro procedure e impegni dei
tre grandi soggetti per una politica dei redditi. In questo ambiti è
nata la terza forma di rappresentanza avutisi in Italia dal ’44, data
di nascita del movimento sindacale post-fascista: le
rappresentanze sindacali unitarie. Prima delle RSU,
sostanzialmente sono state tre le forme di rappresentanza
sindacale nei luoghi di lavoro che si sono succedute nel tempo in
Italia: le Commissioni Interne, i Consigli di Fabbrica e le
Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA). Lo scopo di questo
lavoro è quello di analizzare sia l’aspetto normativo che le cause
socio-politiche che di volta in volta hanno messo in crisi un tipo di
organismo aziendale fino alla nascita della nuova forma di
rappresentanza , analizzando le fasi storiche fondamentali e
cercando di capire se col tempo le RSU potranno vincere la sfida
del rinnovamento per la quale sono state istituite. In diversi paesi
europei e anche all’estero si assiste a una rinnovata stagione di
interesse e di studi nei confronti delle rappresentanze di base. Le
ragioni sono di diverso tipo, la più importante è che in un periodo-
ormai decennale- di difficoltà della sindacalizzazione in molti
paesi le strutture di base costituiscono l’antidoto più importante
per rafforzare il radicamento sociale dei sindacati. Non vi sono
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sindacati forti e rappresentativi senza solidi e diffusi organismi nei
luoghi di lavoro. Si può verificare piuttosto il contrario. Un’altra
ragione che motiva l’importanza della rappresentanza di base
consiste nei fenomeni di localismo in campo politico ed economico
.Ciò che viene realizzato e deciso in ambito aziendale conta più
che in passato. Per di più c’è una sfera maggiore di autonomia e
di possibilità di incidire sui risultati della propria unità produttiva.
Prioritaria è comunque la distinzione di due termini fondamentali:
quali la rappresentanza e rappresentatività’.