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1.3 Essere genitori (naturali o biologici)
Prima di cominciare ad entrare nel vivo dell’argomento, ovvero
l’adozione e le sue implicazioni psicologiche, occorre effettuare una, seppur
minimale e senza pretese, panoramica su quelle che sono le dinamiche inerenti
alla genitorialità, alla filiazione e quindi alla creazione della famiglia “nucleare”
(composta da genitori, di sesso diverso, e prole), ad essa correlata, laddove il
“nuovo venuto” sarà un figlio naturale e biologico.
Ciò per meglio comprendere le differenze, sociali e psicodinamiche, che si
attuano nel momento in cui due coniugi decidono di adottare un bambino,
qualsiasi sia la motivazione.
Nei seguenti paragrafi analizzeremo quindi la genitorialità, il patto
genitoriale, il legame di filiazione nonché il prolungamento narcisistico ed infine
il romanzo familiare, allo scopo di poter meglio comprendere cosa significa
essere genitori naturali o biologici.
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1.3.1 Genitorialità
L’avvio da potersi definire “oggettivo” della transizione, del passaggio,
dalla coniugalità alla genitorialità è sicuramente il momento del concepimento.
Tale transizione ha una temporalità definita dal periodo che intercorre tra la
“notizia” dell’avvenuto concepimento e la nascita del figlio.
“La transizione alla genitorialità ha assunto in questi ultimi anni
caratteristiche peculiari che ne hanno modificato sostanzialmente la natura
rispetto al recente passato. Quattro, in particolare, sono i tratti che sembrano
indicatori di questo mutamento culturale, per molti versi nuovo e dalle
conseguenze ancora poco indagate.
In primo luogo avere dei figli è diventato un evento sempre più raro, come
testimonia, soprattutto nel sud Europa e in particolare in Italia e in Spagna, il
ridottissimo indice di fertilità delle coppie che è ai minimi storici (circa 1,2 figli
per donna).
In secondo luogo, si diventa genitori più tardi nella vita: i percorsi e le
sequenze tradizionali in questa fase della vita hanno subito una significativa
dilatazione dal momento che molte coppie posticipano la transizione alla
genitorialità rispetto al periodo in cui si sono sposate. Coniugalità e genitorialità
tendono perciò sempre di più ad essere distinte rispetto al percorso prevalente
fino a pochi anni fa che vedeva la nascita dei figli come una conseguenza naturale
e quasi scontata della costituzione della coppia coniugale. Un altro indicatore in
tal senso è che spesso le nascite dei figli avvengono al di fuori dei matrimoni. La
nascita dei figli è un evento che in molti paesi ha le caratteristiche di una
occasione “unica”, di una prova senza appello, segnata inequivocabilmente dalla
indissolubilità del legame genitori-figli. Nella società contemporanea diventare
genitori rappresenta perciò il fondamentale “rito di passaggio” alla formazione
della famiglia.
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Una terza caratteristica della transizione odierna alla genitorialità,
strettamente connessa alle precedenti, e che in un certo senso le compendia, è che
si tratta di un evento sempre più scelto. Per secoli la nascita dei figli è stata
vissuta come un accadimento naturale, di cui poco si sapeva, e che comunque non
si poteva programmare. La possibilità di scegliere non solo di avere figli, ma
anche di decidere quando averne, appare dunque come un fatto assolutamente
nuovo e determinante sulla scena della nostra realtà sociale.
Infine, l’ultima caratteristica che definisce in modo specifico la
transizione alla genitorialità riguarda le mutate attese da parte della coppia
rispetto al ruolo genitoriale. Com’è noto, all’interno della coppia tradizionale i
ruoli genitoriali erano ben definiti e suddivisi, ma la situazione oggi è cambiata:
le nuove generazioni femminili sono infatti sempre di più socializzate e orientate
al successo sociale e al contempo si diffonde una nuova figura paterna (Shapiro,
Diamond, Greenberg, 1995), il “new nurturant father”, un padre più attento agli
aspetti espressivi e più vicino ala moglie soprattutto in relazione alle fasi iniziali
della vita della famiglia, corrispondenti alla nascita dei figli e alla primissima
infanzia di questi, fasi tradizionalmente considerate di competenza e di esclusivo
dominio del femminile-materno.” (Scabini, Cigoli, 2000; pag. 109-112).
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1.3.2 Patto genitoriale
Citando Erik Erikson (1982), si può constatare che l’obiettivo, quello che
è il nodo centrale della transizione verso l’identità genitoriale, si rispecchia nello
sviluppo, da parte della coppia coniugale, della generatività, ovvero la capacità di
preoccuparsi, di prendersi cura in modo responsabile di chi è stato generato.
Ancora più precisamente, l’obiettivo primario della transizione verso l’identità di
genitori risulta essere l’assunzione, ovviamente sempre da parte della coppia, di
una responsabilità genitoriale che sia soprattutto condivisa, quindi sviluppare ciò
che è definito come “patto genitoriale” (cura responsabile), in grado di
connettersi, ma sicuramente anche di distinguersi, dal precedente patto coniugale.
“Và delineato, allora, un itinerario che la neocoppia è chiamata a
percorrere nel realizzare la cura responsabile, itinerario che si snoda lungo due
dimensioni. La prima dimensione pone l’accento sui contenuti dell’impegno e
della cura genitoriale; nella seconda è in discussione il modo in cui i genitori
entrano in relazione e si rappresentano il legame con il figlio in quanto tale.
La traiettoria del primo percorso consiste nel passare da una centratura
sugli aspetti affettivi nel rapporto con il figlio a una regolazione equilibrata delle
modalità di relazione sul versante sia del codice materno, sia di quello paterno.
Il secondo percorso consiste, a sua volta, nel passaggio da una visione
auto centrata del figlio, nella quale egli è considerato in modo preminente come
espressione di una realizzazione personale e di coppia dei genitori (il figlio per
sé), a una più eterocentrata, in grado di portare al riconoscimento dell’alterità
della nuova generazione sia sul piano personale che su quello familiare.”
(Scabini, Cigoli, 2000; pag. 114-115).
La presenza del figlio dopo la sua nascita può sicuramente suscitare
un’intensa gratificazione, che la maggior parte delle volte compensa, almeno
nelle prime fasi, tutte le difficoltà nonché l’impegno costante che deve essere
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riservato a un figlio. Giustamente, man mano che il figlio crescerà, gli aspetti di
responsabilità della cura acquisteranno una posizione preminente e ai genitori
spetterà il compito di offrirgli un contesto in grado di dargli sostentamento
psicologico e sicurezza e, nello stesso tempo, di orientarlo nella sua crescita.
Così, fin dalla nascita, è il patto genitoriale che deve saper garantire al
figlio, a seconda delle differenti fasi evolutive, la presenza complementare di
aspetti sia protettivi che empatici, tipici del codice materno, e di aspetti
emancipativi, di ordine e di giustizia, tipici del codice paterno. Infatti,
l’accentuazione di uno soltanto di questi impoverirà quella che è la dimensione
simbolica della relazione familiare, favorendo invece l’instaurarsi di una
relazione “distorta” e probabilmente patologica.
Potremmo in sintesi dire che la cornice che il patto genitoriale assicura ai
figli si fonda sulla protezione dal pericolo e sulla spinta affettuosa affinché il
figlio esplori il mondo.
“È innegabile che la soddisfazione provata dai genitori alla nascita del
figlio abbia una forte componente di gratificazione narcisistica e che il figlio sia
vissuto come una prova della forza generativa della coppia coniugale. Il figlio
viene vissuto come una “estensione” della coppia genitoriale, “confuso” con essa,
quasi fosse proprietà della coppia e segno della sua creatività. Il fatto che il
bambino sia così dipendente dai suoi genitori in tutto e per tutto favorisce il
consolidarsi di un legame fusionale nel quale i confini tra genitori e figlio sono
quanto mai permeabili e indistinti e il figlio è concepito soprattutto in quanto
appartenente al genitore: non a caso fin da subito comincia il gioco del “a chi
somiglia” e, dunque, del riconoscimento-appartenenza del figlio. Ovviamente,
questa situazione deve comunque recedere e venire superata da una
considerazione diversa del nuovo nato verso la sua piena autonomia, sempre
maggiore nel corso dello sviluppo e della crescita.
Ad ogni modo, un figlio non solo rappresenta una fonte di realizzazione a
livello personale e di coppia, ma assume il significato per tutta la parentela di
nuova generazione e perciò si collega con le generazioni passate; egli diventa
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occasione e possibilità per rinnovare il significato dei legami tra i componenti
delle diverse generazioni e per dare nuovo slancio e progettualità al sistema
familiare nel suo complesso.
Secondo diversi autori, inoltre, la transizione ha più probabilità di riuscire
in modo positivo per i genitori altamente motivati che hanno desiderato il figlio:
essi riescono infatti più facilmente a costruire uno spazio mentale adeguato per il
bambino e per l’esperienza genitoriale e ad affrontare con più fiducia e
competenza i cambiamenti radicali dalla nascita vera e propria del figlio, che
porterà alla necessità di condividere e negoziare all’interno della coppia, modalità
con cui accoglierlo e dare spazio al nuovo arrivato all’interno della famiglia. È
solo la presenza di uno spazio mentale aperto e flessibile da parte di chi genera
che permette al figlio di essere sia soggetto alla storia generazionale e culturale
sia soggetto della storia familiare.”(Scabini, Cigoli, 2000; pag 116).