4
sugli avvenimenti italiani della Rivoluzione francese e degli eserciti
napoleonici.
Si prenderà, quindi, in considerazione il blocco storico-sociale che si
rese protagonista del processo unitario: l’aristocrazia agraria e gli
industriali del Nord unitamente agli agrari del Sud; l’esclusione dei
contadini, sia al Nord, ma soprattutto al Sud, dalla partecipazione al
Risorgimento; la caratteristica di “rivoluzione passiva” assunta dal
processo, cioè un cambiamento radicale, operato dall’alto, senza il
coinvolgimento delle masse popolari.
L’analisi gramsciana dei partiti protagonisti del processo
risorgimentale: moderati e democratici; egemonia dei moderati sui
democratici; debolezza del giacobinismo storico in Italia; mancanza di un
programma agrario da parte del Partito d’Azione; mancanza di una
rappresentanza politica autonoma da parte dei contadini.
Le “tare originarie” del processo unitario: questione meridionale,
debolezza strutturale di rappresentanza del neonato Stato unitario,
unitamente a debolezza economica della borghesia industriale italiana
(“capitalismo straccione”), condizionano le vicende politiche dei primi
decenni dello Stato liberale; la Destra storica e la Sinistra storica al
Governo; il trasformismo fino a Giolitti, la nascita del Partito Socialista e
lo scoppio della Grande Guerra, offrono ampia testimonianza delle
difficoltà incontrate dal blocco storico dominante nell’esercizio del
rapporto di dominio sulla restante parte della popolazione, rapporto
sempre in bilico fra autoritarismo e democrazia a causa della mancanza di
un consenso diffuso.
Infine, la grande guerra del ’15-’18, l’esperienza maturata dalle masse
operaie e contadine in quella grande carneficina, i partiti politici nel dopo-
5
guerra, le elezioni a “suffragio universale” del 1919, il nuovo
protagonismo che si manifesta nelle occupazioni delle fabbriche e delle
terre, la Rivoluzione bolscevica in Russia e la paura del comunismo, la
conseguente crisi di egemonia delle classi dominanti, la “situazione di
equilibrio delle forze ad evoluzione catastrofica”, i fenomeni di cesarismo;
tutto ciò completa il quadro storico di riferimento.
Le fonti utilizzate sono i Quaderni del carcere ed, in particolare, il
quaderno XIX. Ma anche gli scritti politici dal 1919 al 1926, dove
maggiormente vengono evidenziate le caratteristiche assunte dalla
rivoluzione borghese nel nostro Paese ed i problemi politici e sociali, che
essa ha portato con sé.
La necessità di approfondire il pensiero gramsciano, sia attraverso la
riflessione forzatamente “pacata” e formalmente a-sistematica, da lui
effettuata in carcere, che attraverso gli scritti più marcatamente politici,
pubblicati sui periodici di partito negli anni precedenti il suo arresto,
poggia sulla convinzione che un nesso profondamente ed organicamente
unitario leghi i due periodi di attività del dirigente comunista, il cui
impegno politico resta la chiave di volta per interpretarne correttamente il
pensiero.
Come considerare, a tale proposito, la ricerca fatta in carcere se non
come la naturale prosecuzione di quella battaglia, quasi subito avviata da
Gramsci nel PCd’I – partito internazionalista per nascita e “vocazione”
(sezione della III internazionale) - per la sua “nazionalizzazione”, battaglia
mirata, cioè, ad ancorare l’azione del Partito alle condizioni concrete
italiane, così come storicamente determinatesi, e finalizzata al suo
radicamento nel Paese, come premessa di qualsiasi processo di
6
trasformazione rivoluzionaria; battaglia che vide nel III Congresso di quel
Partito, svoltosi a Lione, una tappa fondamentale ?
Rileggendo le “Tesi di Lione”, soprattutto le tesi dalla n. 4 alla n.18bis,
dove viene dipinto il quadro della situazione economico-sociale dell’Italia
di quel periodo e tratteggiato a grandi linee il percorso storico attraverso
cui si pervenne a quella situazione, oppure lo scritto “Alcuni aspetti della
questione meridionale”, come non rintracciare i temi poi approfonditi in
tante riflessioni contenute nei Quaderni del carcere?
A questa impostazione metodologica e a questo approccio unitario al
pensiero gramsciano cercherò di attenermi in questa mia ricerca,
condividendo ciò che a riguardo è stato espresso, in maniera molto più
chiara e brillante, da P. Togliatti nei suoi “Appunti” in previsione del
convegno di studi gramsciani, svoltosi nel ’58, su iniziativa dell’Istituto
Gramsci:
[...] Gramsci fu un teorico della politica, ma soprattutto un
politico pratico, cioè un combattente. La sua concezione della
politica rifugge sia dalla strumentalità, sia dall’astratto
moralismo o dalla elaborazione dottrinale astratta. Fare della
politica significa agire per trasformare il mondo. Nella politica,
quindi, è contenuta tutta la filosofia reale di ognuno, nella
politica sta la sostanza della storia e, per il singolo che è giunto
alla coscienza critica della realtà e del compito che gli spetta
per trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita morale.
Nella politica è da ricercarsi l’unità della vita di A. Gramsci: il
punto di partenza e di arrivo. La ricerca, il lavoro, la lotta, il
sacrificio sono momenti di questa unità. [...] [F]are oggetto di
indagine non soltanto le posizioni da G. elaborate e sostenute
nel dibattito filosofico e di dottrina, ma la sua attività pratica,
come uomo politico, fondatore e dirigente del partito di
avanguardia della classe operaia italiana […] questo [è] il solo
7
modo giusto di avvicinarsi all’opera di Gramsci e penetrarne il
significato.
2
2
P. Togliatti, op. cit., p. 5
8
Capitolo 1
Il dibattito sul Risorgimento si è sviluppato durante tutto il periodo di
formazione dello Stato Unitario ed è continuato durante il fascismo e
dopo. Fino ad un certo periodo e per certi aspetti esso può essere
considerato una sorta di processo di “autocoscienza” della borghesia
italiana circa le ragioni e le condizioni che le hanno consentito la presa del
potere e la creazione dello Stato Unitario.
All’epoca in cui Gramsci si trova in carcere, il dibattito fra gli storici,
ravvivato dalla pubblicazione di una serie di opere, fra cui La Storia
d’Italia di B.Croce, pubblicata nel ’28, L’Età del Risorgimento di A.
Omodeo del 1925, L’Italia in cammino di G. Volpe, pubblicata nel 1927, e
varie altre di M. Missiroli, pubblicate pure nello stesso periodo, pone al
centro principalmente la questione del fascismo, come continuazione o
rottura rispetto allo Stato liberale, nato dal Risorgimento
3
.
Nel carcere Gramsci, che pur non si sottrae alla riflessione sul tema, fa,
però, a mio avviso, dell’analisi del Risorgimento un capitolo a se stante
del più ampio libro sull’analisi della società italiana, che già aveva iniziato
a “scrivere”, da libero, come dirigente comunista.
Per cui la riflessione sul processo rivoluzionario borghese, sui limiti di
direzione politica mostrati dalle forze politiche democratiche in campo,
segnatamente il Partito d’Azione, sulla base sociale limitata dello Stato
unitario e la conseguente crisi permanente di consensi, sullo stesso
fascismo, inteso e valutato, sia come reazione “cesaristica” ad una
situazione critica di equilibrio di forze contrapposte, che, dopo il suo
consolidamento, come sistema di potere incapace di attuare quelle riforme
economiche necessarie all’Italia per superare la sfida alla modernizzazione
3
Vedi De Bernardi-Guarracino, L’operazione storica, Ed. Bruno Mondadori, vol.3, p. .487
9
economica, tutto ciò, e molto altro, diventa un patrimonio di spunti ed idee
nella prospettiva di una attività politica futura, che potrà utilizzare lui
stesso e l’intero Partito Comunista.
In altri termini, alla base di questo immane lavoro condotto in carcere
vi era, a mio avviso, la convinzione che la storia, e soprattutto la storia del
proprio paese, fosse un ammaestramento ineludibile per chiunque si
accingesse a “fare come in Russia”.
Una delle questioni affrontata in varie note da Gramsci è quella della
datazione del Risorgimento: da quale data, da quale periodo storico, cioè,
deve prendere le mosse un’analisi del Risorgimento?
Strettamente legata a questa domanda ve ne è, poi, un’altra: è il
Risorgimento un fenomeno prettamente italiano o si inserisce in un più
ampio processo europeo?
Naturalmente la questione della datazione del Risorgimento non è
problema di mera cronologia, quanto di valutazione storico-politica
dell’epoca in cui si iscrivono determinati avvenimenti.
“ […] le origini del moto del Risorgimento, cioè del processo di
formazione delle condizioni e dei rapporti internazionali che
permetteranno all’Italia di riunirsi in nazione e alle forze interne
nazionali di svilupparsi ed espandersi, non sono da ricercare in
questo o quell’evento concreto registrato sotto una o un’altra
data, ma appunto nello stesso processo storico per cui l’insieme
del sistema europeo si trasforma. Questo processo intanto non è
indipendente dagli eventi interni della penisola e dalle forze che
in essa hanno la sede.”
4
Analogamente il problema dell’ottica di osservazione e valutazione del
fenomeno, se prettamente nazionale oppure inserito in un contesto
4
A.Gramsci, Quaderni del carcere. Edizione critica a cura di V. Gerratana. Ed.Einaudi 1975 Q.19
pag.1963
10
internazionale, altro non è che il problema del rapporto fra avvenimenti
internazionali e nazionali e dell’influenza degli uni sugli altri.
“ […] Dal punto di vista europeo l’età è quella della Rivoluzione
francese e non del Risorgimento italiano, del liberalismo come
concezione generale della vita e come nuova forma di civiltà
statale e di cultura, e non solo dell’aspetto “nazionale” del
liberalismo. E’ certo possibile parlare di un’età del
Risorgimento, ma allora occorre restringere la prospettiva e
mettere a fuoco l’Italia e non l’Europa, svolgendo della storia
europea e mondiale quei nessi che modificano la struttura
generale dei rapporti di forza internazionali che si opponevano
alla formazione di un grande Stato unitario nella penisola,
mortificando ogni iniziativa in questo senso e soffocandola in
sul nascere e svolgendo la trattazione di quelle correnti che
invece dal mondo internazionale influivano in Italia,
incoraggiandone le forze autonome e locali della stessa natura e
rendendole più valide. Esiste cioè un’Età del Risorgimento nella
storia svoltasi nella penisola italiana, non esiste nella storia
d’Europa come tale: in questa corrisponde l’Età della
Rivoluzione francese e del liberalismo.”
5
E’ chiaro che per Gramsci la Rivoluzione francese segna uno
spartiacque fondamentale per classificare tutta l’epoca in cui si iscrivono
gli avvenimenti che si svolgono nella penisola italiana durante il XIX
secolo.
A differenza di quanto aveva tendenziosamente sostenuto B. Croce
nell’opera Storia d’Europa, che, prendendo avvio nella narrazione dal
1815, aveva di fatto contrapposto le trasformazioni avviate dopo quella
data (il riformismo liberale moderato), alle trasformazioni violente e
cruente del periodo giacobino e napoleonico, Gramsci considera in
5
A.Gramsci , op.cit., pagg.1961-2
11
maniera unitaria tutto il periodo delle trasformazioni che prendono il via
dagli avvenimenti francesi del 1789.
Rivoluzione attiva e rivoluzione passiva, guerra manovrata e guerra di
posizione sono momenti diversi di un unico processo storico che porta la
borghesia al potere prima in Francia e poi nei vari Stati che si formano in
Europa.
“[…] Si può dire pertanto che il libro sulla Storia d’Europa [di
B.Croce] non è altro che un frammento di storia, l’aspetto
“passivo” della grande Rivoluzione che iniziò in Francia nel
1789, traboccò nel resto d’Europa con le armate repubblicane e
napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi, e
determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la
corrosione “riformistica” che durò fino al 1870. [...] Nell’Europa
dal 1789 al 1870 si è avuta una guerra di movimento (politica)
nella rivoluzione francese ed una lunga guerra di posizione dal
1815 al 1870”
6
E non pare proprio che questa visione unitaria dei processi
rivoluzionari, dove si alternano periodi rapidi di attacchi frontali a periodi
lunghi di assedio, si fermi al limite delle rivoluzioni borghesi. Una visione
altrettanto unitaria ed internazionale dell’epoca storica apertasi con la
Rivoluzione di Ottobre in Russia è alla base dei giudizi gramsciani,
ricavabili dagli scritti politici degli ultimi anni prima dell’arresto e più
velatamente dagli scritti nel carcere, riguardanti le questioni di strategia
del movimento operaio, le differenze Oriente-Occidente, i problemi di
costruzione del socialismo.
Ritornando ai temi di questa ricerca, tutto il dibattito sul Risorgimento,
sul ruolo dei fattori internazionali, sul carattere autoctono del fenomeno,
6
A.Gramsci , op.cit., Q10 pagg.1227 e 1229
12
sulle idee unitarie già nel periodo dei Comuni o del Rinascimento
nasconde al fondo la debolezza del capitalismo italiano:
“…Tutte le questioni sulle origini [del Risorgimento] hanno le
loro ragioni per il fatto che l’economia italiana era molto debole,
e il capitalismo incipiente: non esisteva una forte e diffusa
classe di borghesia economica, ma invece molti intellettuali e
piccolo borghesi, ecc. Il problema non era tanto di liberare forze
economiche già sviluppate da pastoie giuridiche e politiche
antiquate, quanto di creare le condizioni generali perché queste
forze economiche potessero nascere e svilupparsi sul modello di
altri paesi.”
7
Per quanto riguarda l’Italia è a partire dal ‘700 che, con
l’indebolimento delle due grandi potenze Francia-Austria, la comparsa
della Prussia, si rende più instabile l’equilibrio politico sul continente e
questo favorisce la possibilità di creazione di uno Stato unitario in Italia.
“[…] nel ‘700 l’equilibrio europeo, Austria-Francia entra in una
fase nuova rispetto all’Italia: c’è un indebolimento reciproco
delle due grandi potenze e sorge una terza grande potenza, la
Prussia.“
8
“…[L’]esistenza di un certo equilibrio delle forze internazionali
che fosse la premessa dell’unità italiana…si verificò dopo il
1748, dopo cioè la caduta dell’egemonia francese e l’esclusione
assoluta dell’egemonia spagnola ed austriaca, ma sparì
nuovamente dopo il 1815: tuttavia il periodo dal 1748 al 1815
ebbe una grande importanza nella preparazione dell’unità, o
meglio per lo sviluppo degli elementi che dovevano condurre
all’unità.”
9
Inoltre, l’indebolimento del papato, principale potenza politica italiana
e culturale europea, la sua perdita di consensi fra le masse popolari a
7
A.Gramsci “Il Risorgimento” Antologia di scritti nel carcere Editori Riuniti 1975 pag.65
8
A.Gramsci , op.cit., pag.1963
9
A.Gramsci “Il Risorgimento”op. cit. pagg.63-4
13
seguito della politica della Controriforma, la politica regalistica delle
monarchie occidentali, avevano tolto al Vaticano tutte le possibilità di
proporsi come soggetto unificatore della realtà politica peninsulare e gli
avevano parimenti ridotto enormemente presso le corti europee il credito
necessario ad ostacolare il processo di formazione di una nuova entità
politica unitaria nella penisola.
“…Nel corso del ‘700 l’indebolimento della posizione del Papato
come potenza europea è addirittura catastrofico. Con la
Controriforma il Papato aveva modificato essenzialmente la
struttura della sua potenza: si era alienato le masse popolari, si
era fatto fautore di guerre sterminatrici, si era confuso con le
classi dominanti in modo irrimediabile. Aveva così perduto la
capacità di influire sia direttamente sia indirettamente sui
governi attraverso la pressione delle masse popolari fanatiche e
fanatizzate… La politica regalistica delle monarchie illuminate è
la manifestazione di questo esautoramento della Chiesa come
potenza europea e quindi italiana, e inizia anch’essa il
Risorgimento, se è vero, come è vero, che il Risorgimento era
possibile solo in funzione di un indebolimento del Papato sia
come potenza europea che come potenza italiana, cioè come
possibile forza che riorganizzasse gli stati della penisola sotto la
sua egemonia…”
10
Inoltre, sotto il profilo ideologico-culturale,
“…muta anche l’importanza ed il significato della tradizione
letterario retorica esaltante il passato romano, la gloria dei
Comuni e del Rinascimento, la funzione universale del Papato
italiano”
11
Il cosmopolitismo culturale mutuato dall’impero romano, perpetuatosi
nel medio evo e nel Rinascimento, era stato il carburante con cui il
10
A.Gramsci , op.cit., pag.1963
11
A.Gramsci , op.cit., pag.1966
14
Vaticano aveva fatto camminare la macchina politico-amministrativa del
suo Stato e la struttura ecclesiastica con cui esercitava l’influenza politico-
culturale in Europa.
“…Nel ‘700 si inizia un processo di distinzione di questa
corrente tradizionale: una parte … si connette con l’istituto del
Papato come espressione di una funzione intellettuale (etico-
politica di egemonia intellettuale e civile) dell’Italia nel mondo e
finirà con esprimere il Primato giobertiano…e si sviluppa una
parte “laica”, anzi in opposizione al Papato, che cerca di
rivendicare una funzione di primato italiano e di missione
italiana nel mondo indipendentemente dal Papato.”
12
“…Ciò che è importante storicamente è che nel ‘700 questa
tradizione cominci a disgregarsi, per meglio concretarsi, ed a
muoversi con un intima dialettica: significa che tale tradizione
letterario-retorica sta diventando un fenomeno politico, il
suscitatore e l’organizzatore del terreno ideologico in cui le forze
politiche effettive riusciranno a determinare lo schieramento,
sia pure tumultuario, delle più grandi masse popolari
necessarie per raggiungere determinati fini, riusciranno a
mettere in iscacco e lo stesso Vaticano e le altre forze di
reazione esistenti nella penisola accanto al Papato.”
13
In questo contesto la Rivoluzione francese e gli eserciti napoleonici
dettero un contributo notevole alla creazione di una coscienza patriottica:
…Se nel corso del Settecento cominciano ad apparire ed a
consolidarsi le condizioni obbiettive, internazionali e nazionali,
che fanno dell’unificazione nazionale un compito storicamente
concreto (cioè non solo possibile, ma necessario), è certo che
solo dopo l’89 questo compito diventa consapevole in gruppi di
cittadini disposti alla lotta ed al sacrificio. La Rivoluzione
francese, cioè, è uno degli eventi che maggiormente operano per
approfondire un movimento già iniziato nelle “cose”, rafforzando
12
A.Gramsci , op.cit., pag.1966
13
A.Gramsci , op.cit., pag.1967
15
le condizioni positive (oggettive e soggettive) del movimento
stesso e funzionando come elemento di aggregazione e
centralizzazione delle forze umane disperse in tutta la penisola
e che altrimenti avrebbero tardato di più ad “incentrarsi” e
comprendersi fra loro”
14
.
“… Le forze tendenti all’unità erano scarsissime, disperse, senza
nesso tra loro e senza capacità di suscitare legami reciproci e
ciò non solo nel secolo XVIII, ma si può dire fino al 1848. Le
forze contrastanti a quelle unitarie (o meglio tendenzialmente
unitarie) erano invece potentissime, coalizzate, e, specialmente
come Chiesa, assorbivano la maggior parte delle capacità ed
energie individuali che avrebbero potuto costituire un nuovo
personale dirigente nazionale, dando loro invece un indirizzo e
un’educazione cosmopolitico-clericale. I fattori internazionali e
specialmente la Rivoluzione francese, stremando queste forze
reazionarie e logorandole, potenziano per contraccolpo le forze
nazionali in se stesse scarse e insufficienti. E’ questo il
contributo più importante della Rivoluzione francese, molto
difficile da valutare e definire, ma si intuisce di peso decisivo
nel dare l’avviata al moto del Risorgimento”
15
Così il contributo storicamente contingente della Rivoluzione francese
alla distruzione del vecchio mondo ed alla formazione dei nuovi Stati
Nazionali, secondo Gramsci va individuato sicuramente nel fatto di aver
distrutto l’equilibrio politico europeo, su cui si basava l’Ancièn Regime, e
nell’aver risvegliato per tale via la coscienza patriottica in vari Paesi.
Tuttavia, il contributo più notevole e duraturo della Rivoluzione è forse
quello di aver offerto alla Storia l’esempio ineguagliabile di risoluzione
della contraddizione città-campagna, di guisa che la partecipazione
popolare, e segnatamente contadina, agli avvenimenti che si svolsero dal
14
A.Gramsci , op.cit., pagg.1968-9
15
A.Gramsci , op.cit., pag.1972
16
1789 al 1815, non solo impedì alla Repubblica di essere soffocata sul
nascere dalla reazione combinata di potenze straniere e controrivoluzione
interna, ma, soprattutto, garantì allo Stato francese, nato dall’abbattimento
della monarchia, il consenso attivo di una base sociale estesa.
Questi temi ci mettono di fronte ad alcuni concetti basilari della visione
politica gramsciana: i concetti, cioè, di BLOCCO STORICO-SOCIALE e di
EGEMONIA. Questi concetti non sono solo categorie, attraverso cui andare
ad interpretare la storia passata.
L’analisi comparata del modo in cui la borghesia francese ed italiana
hanno affrontato e risolto la contraddizione città-campagna, la politica con
cui hanno costruito l’alleanza con ceti e strati sociali del mondo agricolo,
l’esito in termini statuali di questa alleanza, sono tutti elementi che
forniscono ancora una volta materiale alla riflessione sul modo in cui il
proletariato industriale dovrà costruire la sua alleanza con i contadini e
dovrà concretizzare l’egemonia sul blocco storico-sociale per la
transizione al socialismo.