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Introduzione
ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) è un reattore sperimentale a fusione
termonucleare a confinamento magnetico, basato sulla reazione deuterio-trizio, ed è il progetto
che rappresenta il passaggio fra gli studi eseguiti fino a oggi sugli aspetti fisici e tecnologici
della fusione e la realizzazione del primo reattore dimostrativo in grado di generare energia
elettrica da fusione (DEMO). E’ stato progettato nell’ambito di una collaborazione
internazionale da Europa, Stati Uniti, Giappone e Russia, a cui più recentemente hanno aderito
anche Cina, India e Corea. Il sito scelto per la sua costruzione è Cadarache, nel sud della
Francia.
Fra i sistemi necessari per il monitoraggio e per il controllo del reattore riveste un ruolo
importante la “neutron camera”, un sistema per la diagnostica del plasma basato sulla
rivelazione dei neutroni veloci prodotti dalle reazioni di fusione, necessario per la ricostruzione
spaziale e temporale della emissività neutronica del plasma, da cui si può determinare la
distribuzione spaziale e temporale della densità di potenza di fusione nel reattore.
Le severe condizioni ambientali in cui tale sistema dovrà operare (intensi campi elettro-
magnetici, alti flussi di radiazione gamma e neutronica, alta temperatura) limitano la scelta del
tipo di rivelatori di neutroni utilizzabili, i quali devono avere buone qualità spettroscopiche per
discriminare i neutroni in base all’energia, una bassa sensibilità ai raggi gamma, la capacità di
discriminare il segnale derivante dalla rivelazione neutronica rispetto al fondo gamma, una
efficienza di rivelazione neutronica adeguata per una buona statistica di conteggio e la capacità
di sostenere dei ratei di conteggio elevati.
Le condizioni dell’ambiente in cui verranno sistemati tali rivelatori impongono inoltre che essi
abbiano una scarsa sensibilità agli intensi campi magnetici, una notevole resistenza al danno da
radiazione e che possano operare a temperature relativamente elevate (tra 100 e 120 °C).
La selezione dei rivelatori destinati alla neutron camera è in corso da molti anni, e tra i vari
rivelatori proposti il diamante sembra tra i più promettenti.
Infatti, le sue caratteristiche peculiari, quali l’ampia banda proibita (5.5 eV) che permette di
avere correnti di buio molto basse e la possibilità di impiego a temperature relativamente alte,
l’elevato valore dell’energia di legame (7.37 eV) che minimizza il danno da radiazione e
comporta un punto di fusione elevato (4100 °C), oltre ad una estrema resistenza meccanica e
una bassa reattività chimica, lo indicano come materiale di grande interesse per la realizzazione
2
di rivelatori di radiazioni ionizzanti in ambienti a temperatura elevata e ad alta fluenza di
neutroni.
Dal punto di vista elettrico il diamante è un isolante: tuttavia, talvolta ci si riferisce al diamante
come ad un “semiconduttore ad ampia banda proibita”, per via delle sue analogie con i
semiconduttori convenzionali come germanio e silicio. Il diamante mostra infatti la stessa
struttura cristallografica dei due semiconduttori ampiamente utilizzati per la rivelazione di
radiazioni ionizzanti, sebbene i parametri reticolari siano diversi per via dei legami covalenti
molto più resistenti.
Se si considera la rarità del diamante naturale (da cui l’importante costo) e la necessità di avere
dei cristalli “standard” dotati delle medesime proprietà elettroniche e spettroscopiche, si
comprende come la produzione su larga scala di rivelatori al diamante non possa basarsi su
cristalli naturali.
Da ciò deriva l’impegno nello studio e implementazione di metodi finalizzati alla sintesi del
diamante artificiale. In particolare nel campo della rivelazione di radiazioni ionizzanti è di
interesse il diamante monocristallino (SCD, Single Crystal Diamond) prodotto per deposizione
chimica da fase vapore (CVD, Chemical Vapor Deposition).
Lo scopo del presente lavoro di tesi è quello di studiare le proprietà spettroscopiche dei
rivelatori al diamante CVD in condizioni di alta temperatura sotto irraggiamento di particelle
alfa e di neutroni veloci.
Nel primo capitolo verranno descritte le caratteristiche peculiari del progetto ITER con
particolare riferimento alla neutron camera.
Nel secondo capitolo verranno richiamate le proprietà fisiche del diamante, la sua struttura
cristallina e i principali aspetti connessi con il trasporto dei portatori di carica elettrica nel
cristallo. Nello stesso capitolo verranno poi descritti gli aspetti che modificano le proprietà di
trasporto di carica del cristallo di diamante “perfetto”, utili per comprendere il comportamento
reale del rivelatore, quali i difetti del reticolo cristallino, la giunzione con gli elettrodi metallici
e gli stati di superficie del cristallo.
Il terzo capitolo è dedicato ai principali metodi di sintesi dei diamanti, in particolare la
deposizione chimica da fase vapore assistita da plasma (MW-PECVD) che consente di ottenere
diamanti di qualità sufficientemente elevata per la rivelazione di particelle.
3
Dopo aver parlato dei metodi per la produzione di quello che costituisce il “mezzo sensibile” del
rivelatore, verranno illustrate le reazioni alla base della rivelazione neutronica nel diamante e
le due configurazioni base dei dispositivi al diamante CVD, tra cui quella utilizzata per le
misure che fanno parte del presente lavoro di tesi.
Nel quarto capitolo verranno riportati i principali risultati dello studio delle proprietà
spettroscopiche dei film di diamante CVD sottoposti a irraggiamento con particelle alfa, al
crescere della temperatura di funzionamento, con particolare attenzione alla variazione delle
proprietà del trasporto delle cariche elettriche che si traducono in una variazione della
efficienza di raccolta della carica, della risoluzione spettrale e della stabilità della risposta. La
conoscenza di tali caratteristiche è fondamentale per poter valutare eventuali applicazioni ad
alta temperatura dei rivelatori al diamante CVD.
Un ulteriore passo avanti nella valutazione delle proprietà spettroscopiche dei rivelatori al
diamante CVD in relazione ad un loro eventuale impiego per la diagnostica del plasma in ITER,
dopo la caratterizzazione ad alta temperatura mediante particelle alfa, è stato quello di studiare
le loro prestazioni ad alta temperatura sotto irraggiamento di neutroni veloci (14 MeV).
A tal proposito, l’ultimo capitolo è dedicato alle misure di spettrometria neutronica ad alta
temperatura realizzate mediante il generatore di neutroni FNG presso il CR ENEA di Frascati.
La caratterizzazione preliminare dei rivelatori monocristallini a diamante artificiale ad alta
temperatura di funzionamento sotto irraggiamento di particelle alfa e di neutroni da 14 MeV
costituisce la parte sperimentale ed originale del presente lavoro di tesi. In particolare le misure
di spettrometria neutronica (ad alta temperatura) rappresentano una assoluta novità nel campo
delle misure di neutroni.
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Capitolo 1
La fusione termonucleare e il progetto ITER
Sommario
ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) è un reattore sperimentale a fusione
termonucleare a confinamento magnetico, basato sulla reazione deuterio-trizio, ed è il progetto
che rappresenta il passaggio fra gli studi eseguiti fino a oggi sugli aspetti fisici e tecnologici
della fusione e la realizzazione del primo reattore dimostrativo in grado di generare energia
elettrica da fusione.
Nel presente capitolo dopo aver richiamato le reazioni di fusione nucleare di interesse
applicativo in campo energetico, verranno illustrate le principali caratteristiche di ITER e gli
obiettivi fondamentali di tale progetto.
L’ultimo paragrafo è dedicato alla “neutron camera” di ITER, un sistema per la diagnostica del
plasma tipico delle macchine a confinamento magnetico, necessario per la ricostruzione
spaziale e temporale della emissività neutronica del plasma, da cui si può determinare la
distribuzione spaziale e temporale della densità di potenza di fusione nel reattore.
Le severe condizioni ambientali in cui dovrà operare tale sistema limitano la scelta del tipo di
rivelatori di neutroni che potranno essere impiegati per la sua realizzazione.
I rivelatori al diamante artificiale, per le loro particolari caratteristiche, sono dei possibili
candidati per tale applicazione.
La caratterizzazione preliminare ad alte temperature di funzionamento dei rivelatori
monocristallini a diamante artificiale mediante misure di spettrometria con alfa-emettitori e con
neutroni da 14 MeV costituisce la parte sperimentale ed originale del presente lavoro di tesi.
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1.1 Reazioni di fusione nucleare di interesse per la produzione di energia
Ciascun nucleo mostra una massa M inferiore alla somma delle masse dei singoli nucleoni
(protoni e neutroni) che lo costituiscono, valutate nello stato libero.
La differenza Δm tra la massa totale dei nucleoni nello stato libero costituenti il nucleo (di
numero atomico Z e numero di massa A) e la massa dell’atomo stesso è detta difetto di massa e si
può scrivere come:
0 ) ( M m Z A m Z m
n p
(1.1)
La “massa mancante” Δm, in accordo con la legge di equivalenza di massa ed energia di
Einstein, viene rilasciata sotto forma di energia E dopo la formazione del nucleo:
2
c m E (1.2)
Il rilascio di energia indica il raggiungimento di una configurazione energetica più stabile del
sistema nucleo rispetto ai nucleoni liberi: più il nucleo è stabile, maggiore è l’energia che viene
rilasciata dopo la sua formazione, o in altre parole, maggiore è l’energia che occorre fornire per
riportare i nucleoni nello stato libero (energia di legame).
Fig.1.1 Energia di legame per nucleone in funzione del numero di massa A
In Fig. 1.1 è riportato l’andamento della energia di legame per nucleone (f) in funzione del
numero di massa: tale funzione, a meno della costante c
2
, esprime anche l’andamento del difetto
di massa per nucleone.
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Come si può notare, gli isotopi del ferro mostrano le più alte energie di legame e quindi
rappresentano i nuclei più stabili.
Quando è possibile formare una configurazione nucleare più fortemente legata, combinando due
nuclei con f minore si ottiene un rilascio di energia: si capisce allora perché per nuclei leggeri
quali quelli di idrogeno, risultino esoenergetiche le reazioni di fusione nucleare nelle quali nuclei
di elementi leggeri si fondono insieme per formare un nucleo più pesante e più stabile, con una
massa complessiva che viene trasformata in energia liberata [1]. In linea teorica è quindi
possibile pensare alla realizzazione di un nuovo tipo di impianto nucleare basato sulla fusione,
per la produzione di energia.
Gli elementi più interessanti che potrebbero costituire il combustibile di un impianto a fusione
per la produzione di energia sono i due isotopi dell’idrogeno, deuterio ( H
2
) e trizio ( H
3
),
mediante i quali si possono avere le reazioni di fusione seguenti:
) 06 . 14 ( ) 52 . 3 (
4 3 2
MeV n MeV He H H (1.3)
) 45 . 2 ( ) 82 . 0 (
) 03 . 3 ( ) 01 . 1 (
3
3 2 2
MeV n MeV He
MeV p MeV H H H
(1.4)
La reazione deuterio-deuterio ha due canali, con probabilità molto simili.
Il deuterio è presente in natura nella misura di 0.0115 nuclei su 100 di idrogeno, corrispondenti a
25.5 mg per litro di acqua. La sua disponibilità è pertanto praticamente illimitata.
Il trizio è invece un isotopo radioattivo e decade β
-
con tempo di dimezzamento pari a 12.32 anni.
La sua disponibilità in natura è scarsa, ma potrebbe essere prodotto sfruttando le reazioni
neutroniche con il litio, elemento molto diffuso in natura con i due isotopi Li
6
(abbondanza
isotopica naturale del 7.5%) e Li
7
(92.5 %):
MeV n H He Li n
MeV H He Li n
5 . 2
8 . 4
3 4 7
3 4 6
(1.5)
Considerate le concentrazioni dei due isotopi nel litio naturale, la produzione del trizio richiede
mediamente 1.95 MeV. Sarebbe quindi possibile introdurre composti di litio intorno alla zona
del reattore dove avvengono le reazioni di fusione (nel cosiddetto mantello) in modo che questi
composti, bombardati da neutroni prodotti nelle reazioni di fusione, producano il trizio.
7
Inoltre, nel caso di reazione H H
2 2
si ha produzione di He
3
, il quale può reagire con il
deuterio secondo la reazione di fusione:
) 67 . 14 ( ) 67 . 3 (
4 3 2
MeV p MeV He He H (1.6)
Nelle reazioni di fusione si devono avvicinare le particelle al punto tale da far intervenire le forze
nucleari e per fare ciò si deve vincere la repulsione coulombiana tra i nuclei, “superando” la
barriera di potenziale (~ 280 keV per la reazione H H
3 2
) per effetto tunnel, ovvero sfruttando
la probabilità non nulla di penetrazione della barriera da parte di nuclei aventi energia inferiore
alla sua soglia.
Fig.1.2 Sezioni d’urto per le reazioni di fusione deuterio-deuterio e deuterio-trizio
Analizzando le sezioni d’urto per le due reazioni di fusione prese in considerazione (Fig. 1.2) in
funzione della energia relativa delle due particelle interagenti si vede come essa cresca al
crescere dell’energia (per valori dell’energia inferiori all’altezza della barriera di potenziale) in
quanto aumenta la probabilità di avere effetto tunnel. La reazione deuterio-trizio mostra sezione
d’urto notevolmente superiore rispetto a quella deuterio-deuterio, sfiorando 1 barn a 40 keV.
Si dimostra che la configurazione energeticamente più conveniente per la produzione di energia
da fusione è quella di gas ionizzato [1]: per raggiungere valori di sezioni d’urto significativi
occorre portare il gas a temperature di qualche decina di keV (1 eV ~ 11600 K). Questo è il
8
motivo per cui si parla di fusione termonucleare. A tali temperature il gas risulta fortemente
ionizzato (l’energia di ionizzazione per l’idrogeno è di 13.6 eV) ed è chiamato plasma.
Considerando un gas costituito da particelle di tipo 1 e 2, rispettivamente con densità n
1
e n
2
e
funzioni di distribuzione delle velocità g
1
e g
2
, si può scrivere il numero totale di eventi di
fusione tra nuclei di tipo 1 e di tipo 2 per unità di volume e di tempo:
12 2 1 2 1 2 2 1 1 2 1 12
) ( ) ( ) (
v n n dv dv v v v g v g n n R
r r
(1.7)
Fig.1.3 Andamento della grandezza <σv> in cm
3
/s per le reazioni di fusione deuterio-deuterio e deuterio-trizio
Nel caso in cui le due specie gassose siano in equilibrio termodinamico, le funzioni di
distribuzione g
1
e g
2
sono delle maxwelliane caratterizzate dalla stessa temperatura T e quindi la
grandezza
12
v risulta funzione solo di T .
Gli andamenti del parametro
12
v per le reazioni H H
2 2
e H H
3 2
, per un plasma
maxwelliano, sono riportati in Fig. 1.3: la reazione deuterio-trizio in un intorno dei 10 keV
mostra dei valori del parametro
12
v superiori rispetto all’altra reazione di fusione di due
ordini di grandezza. Questo si riflette direttamente sulla densità di potenza producibile e si
capisce perché gli studi e i progetti sperimentali attuali sulla fusione termonucleare si focalizzino
sulla reazione deuterio-trizio.
9
1.2 Ignizione termonucleare e criterio di Lawson
Sulla base del rateo di fusione definito dalla relazione 1.7 si può calcolare, introducendo
l’energia di fusione liberata in una reazione
F
, la potenza specifica di fusione P
F
:
F F F
v n n R P
12 2 1 12
(1.8)
L’energia di fusione è ripartita tra l’energia cinetica delle particelle cariche
C
e l’energia
cinetica dei neutroni
N
(nel caso di reazione H H
3 2
); indicando rispettivamente con P
C
e P
N
le potenze specifiche corrispondenti ai detti prodotti di reazione, risulta:
C C C
v n n R P
12 2 1 12
(1.9)
N N N
v n n R P
12 2 1 12
Le particelle cariche possono essere confinate e quindi possono trasferire la propria energia al
plasma, riscaldandolo e bilanciando le perdite di energia, mentre i neutroni possono essere
catturati in opportune strutture esterne al plasma (la loro energia potrebbe essere trasformata in
energia elettrica).
Fig.1.4 Densità di potenza delle particelle cariche prodotte dalle reazioni di fusione deuterio-deuterio e deuterio-trizio in funzione
della temperatura del plasma.
In Fig. 1.4 si riporta l’andamento della densità di potenza P
C
in funzione della temperatura per la
reazione H H
3 2
(ipotizzando una densità
3 15
10 5 . 0
cm n n
T D
) e per la reazione H H
2 2
(con
3 15
10
cm n
D
) rispetto alla densità di potenza P
B
emessa dal plasma per irraggiamento
(Bremsstrahlung) che rappresenta la principale perdita energetica.