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INTRODUZIONE:
Il poema che narra della vita e delle imprese di Rodrigo Díaz de Vivar,
meglio conosciuto come il Cid (dall’arabo Sayyd › Signore), è il testo
letterario più importante di tutto il Medioevo spagnolo. Si tratta di un
poema epico o, più precisamente, di un Cantar de gesta e quindi è legato
alla tradizione giullaresca ed è diffuso oralmente. I cantares costituiscono il
nucleo fondamentale della tradizione epica spagnola ma, purtroppo, la
diffusione orale non ne ha favorito la conservazione; infatti, a noi ne sono
giunti pochissimi ed il Cantar de mío Cid è l’unico esemplare che ci è
giunto quasi integro. La parola gesta deriva dal latino gero, termine che
significa fare e che dunque designa anche le cose fatte ed accadute. In
seguito gesta assume il significato di impresa, e quindi quello che i giullari
narravano nei loro canti sono, essenzialmente, imprese reali ed accadute.
Del resto il Cid, Ruy Díaz de Vivar, è un personaggio realmente esistito, fu
uno degli eroi della Reconquista spagnola che si rese autore e protagonista,
nel 1092, della presa di Valencia, città che dopo secoli venne tolta ai mori.
Questa, come tante altre imprese militari, s’intrecciano alla vicenda umana
e personale del Cid, che sul campo di battaglia si riconquista la fiducia del
Re e l’onore sottrattogli, meschinamente, dai suoi nemici. Il realismo di cui
si diceva precedentemente, o forse sarebbe meglio dire la storicità del
materiale narrativo, è una delle peculiarità dell’epica spagnola, infatti,
proprio l’assenza dell’elemento meraviglioso e fantastico la differenziano
dall’epica francese. La storicità dei cantari è tale che, a partire dal XIII
secolo, essi vengono utilizzati come fonti essenziali per la redazione di
opere storiografiche come la Estoria de España, patrocinata dal re Alfonso
X el Sabio. La biografia cidiana presente in questa cronaca mostra una
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grande venerazione ed un continuo elogio per l’eroe, che possono essere
riassunti nella frase “el Cid fue el mayor hombre del mundo que señor
tuviese”. L’immensa popolarità di cui il Campeador gode in vita e in morte
è evidente soprattutto dalle parole che Ibn Bassam, un poeta musulmano,
gli dedica nella sua opera nota come Dakkírah, databile intorno al 1109:
Tuttavia, quest’uomo, che fu il flagello dell’epoca sua, per il suo amore
alla gloria, la prudente fermezza del suo carattere ed il suo coraggio eroico,
era uno dei miracoli del Signore.
L’eroe spagnolo per antonomasia, del quale parlano la sia storiografia
musulmana che quella cristiana, ha visto alterare i suoi lineamenti col
volgere del tempo: infatti, l’uomo buono e amico della giustizia, il
guerriero generoso e ignaro di crudeltà, il vassallo fedele ed obbediente al
suo re anche quando da lui viene bandito che possiamo ammirare nel
Cantar, in alcune Crónicas successive, si fa tanto audace da trattare il
sovrano quasi come un vassallo, si esalta nel saccheggio e nel ladroneggio
tanto da contraddire il suo profondo spirito religioso. La sua leggenda
truce, eroica o crudele che sia, rivive costantemente nella cultura spagnola.
Il Cantar de mío Cid offre tantissimi spunti per analisi ed approfondimenti
e, non a caso, sono innumerevoli gli studiosi, spagnoli e non, ad essersi
interessati al suo studio. Questioni sulla collocazione temporale dell’opera,
dibattiti sulla sua modalità di composizione, studi sulla ricerca di un
possibile autore ed altri temi ancora vengono, infatti, costantemente
affrontati. Per ciò che concerne la datazione del testo, accantonata la tesi di
Pidal che ipotizzava il 1140 quale anno della sua composizione, si è giunti
all’ipotesi che la stesura del testo risalga ad un periodo compreso tra il
1180 ed il 1207. Il materiale narrativo trattato, quindi, non appartiene ad
un’epoca remota, al contrario, consiste di fatti ed avvenimenti recenti e
vicini al pubblico ed all’autore-giullare. Menéndez Pidal, il padre della
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scuola filologica spagnola, sin dall’inizio della sua longeva carriera ha
rivolto l’attenzione al Cantar de mío Cid:
El Cid es un héroe épico de naturalezza singular. Muy poco o nada sabe
la Historia acerca de los protagonistas de la epopeya griega o francesa.
Doctas excavaciones nos convince de que la guerra troyana fué un suceso
acaecido realmente […] Las Historias de Carlomagno nos aseguran que
existió Roldán, conde de Bretaña; pero, fuera de su existencia, nada
sabemos de él más que su disastroso fin. […] Mas el Cid es héroe de temple
muy diverso: desde su mundo superiori deal desciende para entrar con paso
firme en el campo de la Historia […] El Cid no partenece, como los otros
héroes, a epoca primitivas en que la Historia aún no se ha desenvuelto al par
de la Poesía. […] La Historia y la Poesía maestra una rara conformidad
caracterizadora, y eso que no hay héroe épico más iluminado por la Historia
que el Cid.
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Tutta la critica a lui successiva ha cercato in ogni modo di andare oltre
questa sua impostazione critica, fondata essenzialmente sul valore storico
dell’opera, per poter analizzare il testo da un punto di vista meramente
letterario. Alcune delle tesi di Pidal, col tempo, si sono rivelate inesatte,
dato che il valore storico dell’opera è andato scemando dopo aver appurato
alcune clamorose discrepanze con la realtà. A questo proposito un altro
grande studioso di filologia come Francisco Rico, nella prefazione
all’edizione del Cantar de mío Cid di Alberto Montaner, scrive:
El poema se le ofrece como una mezcla inextricable de errores y
verdades históricas, unos al lado de las otras, encadenándose entre sí. […]
Es cierta la existencia de la mayoría de los personajes, la realidad de
abundantes sucesos, pero a cada paso se comprueba asimismo que los
personajes no pudieron estar en los lugares, los lugares contemplar los
sucesos, los sucesos corresponder a los personajes que el Cantar afirma.
[…] La historicidad del cantar no tiene que confundirse con la verdad.
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1 Menéndez Pidal, 1955, pp.16-‐17.
2 Rico, 2007, pp. XXVI-‐XXVII-‐XXVIII.
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È, in conseguenza a questi nuovi studi, aumentato l’interesse e
l’attenzione della critica verso il valore letterario del Cantar, dato che esso
può essere tranquillamente definito un’ opera da primato per vari motivi:
prima opera della letteratura spagnola, primo poema epico in lingua
castigliana, primo esempio della figura di un eroe destinato a diventare eroe
nazionale. Proprio su questa linea ci vogliamo porre con il presente lavoro,
concentrando la nostra analisi sulla simbologia e sul suo ruolo all’interno
dell’opera. Tra i 3730 versi di cui l’opera si compone, infatti, si
nascondono rimandi ed evocazioni che non possono essere colti ad una
prima e superficiale lettura; per cogliere ed interpretare tali segni vi è
bisogno di strumenti ed informazioni che speriamo di fornire in questa tesi.
Come si è detto in precedenza il materiale narrativo offerto dal poema
non è temporalmente distante dalla realtà del giullare e del suo pubblico.
Possiamo, dunque, affermare con una certa tranquillità che il Cantar de mío
Cid è un’opera fortemente legata al suo contesto storico non solo per i
contenuti espressi, ma anche e soprattutto per la sua realizzazione.
Determinate evocazioni o riferimenti, infatti, potevano essere colti solo dal
pubblico medievale, dato che la simbologia, e più in generale l’evocazione
simbolica, è una componente portante della cultura e della mentalità
medievale. I testi più letti in questo periodo sono i libri sacri, ed è da questi
che si possono evincere leggi e concetti vigenti all’epoca:
Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora [nella
vita eterna] vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma
allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
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Su queste parole di San Paolo, che ritroviamo nella Prima lettera ai
Corinzi, si fonda il modo di pensare e di rappresentare il mondo nel
3 Paolo di Tarso, Prima lenullera ai Corinzi , XIII, 12.
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Medioevo. L’intera natura appare come un libro scritto da Dio che,
attraverso fenomeni e creature sensibili, manifesta i segni della sua volontà;
ed a tal proposito il teologo Ugo da San Vittore, una delle principali
personalità della filosofia scolastica agostiniana, afferma:
Le singole creature sono come figure non inventate dall’arbitrio
dell’uomo ma istituite dalla volontà di Dio per manifestare e indicare la sua
invisibile sapienza.
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L’universo, dunque, si propone come un grande sistema di simboli da
decifrare, ma andare oltre l’apparenza e riconoscere i segni non è
un’attività che tutti riescono a svolgere.
Simbolo è una parola di origine colta che sino ad oggi ha mantenuto solo
alcuni dei significati che aveva nelle lingue classiche. In greco antico
σύµβολου ( sýmbolon ) indicava genericamente una connessione, e veniva
usata per denotare una sorta di tessera di riconoscimento che i giudici
ateniesi utilizzavano presso i tribunali per essere pagati. Era detto sýmbolon
anche quell’oggetto spezzato in due in segno di amicizia tra città o
famiglie, consegnandone una metà a ciascuna delle parti. Infine, sýmbolon
significava anche, come poi il latino symbolum e l’italiano simbolo, segno,
segnale, insegna o bandiera. Oggigiorno, invece, definiamo genericamente
il simbolo come un elemento della comunicazione rappresentante un
concetto o una quantità. Si tratta di un particolare segno che può essere di
due tipi: convenzionale, quando nasce in virtù di una convenzione sociale,
o analogico, quando è capace di evocare una relazione tra un oggetto
concreto ed un’immagine mentale.
La decodificazione dei simboli e il loro impiego ha da sempre diviso
uomini e studiosi. L’interpretazione è resa complessa dal fatto che
4 Ugo da San Vinullore, 1974, p. 57.
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molteplici evocazioni confluiscono in un solo simbolo, senza escludersi
l’una con l’altra, ma anzi, sovrapponendosi. Tra coloro che si sono
avvicinati allo studio dei simboli e dei loro significati, va senza dubbio
citato René Alleau, studioso francese, che nel suo lavoro La scienza dei
simboli dichiara:
La funzione simbolica è un modo di relazione tra l’umano ed il
sovraumano, sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego gli uomini,
da sempre, sono divisi. Tale atteggiamento è dovuto al fatto che spesso
l’uomo tenta di dare un significato ad un simbolo anche se questo non ne ha.
[…] All’interno del medesimo simbolo vi sono evocazioni simboliche
molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si escludono
reciprocamente […] Tutto ciò rende il simbolismo un linguaggio meno
limitato del linguaggio comune e più adatto per la comunicazione e
l’espressione di certe verità.
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L’uomo del Medioevo, dunque, avverte profondamente il rapporto col
soprannaturale, per cui il mondo sensibile-visibile è permeato di spiritualità
ed è sempre posto a confronto con quello mistico-invisibile, anzi il mondo
terreno è il riflesso di quello spirituale. Il confine tra sogno e realtà, in
questo periodo è molto labile e sfumato: visioni, miracoli ed apparizioni
sono fenomeni comuni con cui gli uomini convivono quotidianamente.
Il rapporto tra una figura simbolica ed il suo significato si costruisce,
come già detto, attraverso il principio dell’analogia, che mette a confronto
due domini diversi della realtà, s’istituisce un legame mentale tra cose che
di per sé non avrebbero alcuna relazione tra loro. Come osserva Umberto
Eco:
L'uomo medievale viveva effettivamente in un mondo popolato di
significati, rimandi, sovrasensi, manifestazioni di Dio nelle cose, in una
natura [...] in cui un leone non era solo un leone, una noce non era solo una
5 Alleau, 1983, pp. 9-‐166.
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noce, un ippogrifo era reale come un leone perché come quello era segno,
esistenzialmente trascurabile, di una verità superiore.
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La produzione di simboli è stata un’attività fondamentale in ogni tipo di
società umana, ed ha costituito una delle basi essenziali per lo sviluppo
della conoscenza; il simbolo, quindi, svolge un ruolo naturalmente centrale
nella religione, nella filosofia, nelle arti e nella letteratura. Nel pensiero
medievale, afferma lo storico francese Jacques Le Goff, “ogni oggetto
materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli
corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo
simbolo”.
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C’era un morbosa e costante attenzione ad ogni tipo di segno,
sogno o allucinazione, i quali portavano nel mondo materiale ed umano
significati e messaggi del mondo divino. Poiché l’universo, come detto in
precedenza, era considerato un insieme di segni, e quindi mera apparenza,
l’uomo medievale provava scarso interesse per l’osservazione a vantaggio
dell’interpretazione. Non bisogna affatto sorprendersi, dunque, se nel
Cantar de mío Cid, capolavoro assoluto della letteratura medievale iberica
e non solo, il simbolismo abbia una presenza così forte ed un ruolo così
centrale. Le evocazioni simboliche abbondano nel Cantar, ed ogni oggetto,
animale o strumento presenti nel testo, non sembrano inseriti a caso, ma
sono il risultato di ponderate scelte fatte secondo la tipica simbologia
medievale. Quest’ultima è strettamente legata sia alla religione che alla
natura, che si propone come un immenso serbatoio di simboli: minerali,
vegetali ed animali sono tutti simboli catalogati e spiegati nei Lapidari, nei
Florari e nei Bestiari. Questi testi si propongono come vere e proprie
enciclopedie, che raccolgono e svelano le funzioni simboliche di tutti gli
elementi, naturali e non. Anche i gesti, i rituali e le cerimonie descritte nel
6 Eco, 1997, p.68.
7 Le Goff, 2006, p. 78.
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Cantar, sembrano evocare qualcosa al di sopra e al di là di ciò che appare,
qualcosa che va ben oltre la loro valenza riconosciuta. Del resto nell’ottica
della cultura medievale il valore di un’opera letteraria non si arresta al suo
aspetto esterno, ai suoi puri meccanismi testuali: essa appare dotata di più
piani di senso e articolata tra una facciata esterna e una facciata interna non
immediatamente visibile.
Nel tentativo di favorire e schematizzare il lavoro di “rivelazione” e
smascheramento di questa imponente facciata interna, abbiamo classificato
i simboli e le relative funzioni incontrate nel corso dell’analisi del testo,
distinguendoli in: simboli generici, simboli legati al mondo animale e
simboli legati alla questione sociale.
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1. LA SIMBOLOGIA ANIMALE
1.1 La presenza di bestie come leoni, cornacchie, galli o cavalli,
potrebbe essere qualcosa di assolutamente scontato e privo di rilievo alcuno
in un opera come il Cantar de mío Cid, che narra di battaglie combattute in
campo aperto e di oltraggi consumati nei boschi. Si è tuttavia sottolineato
come la realizzazione di questo testo sia strettamente legata al suo contesto
storico, quello medievale; e proprio in questo periodo, storie e leggende
sugli animali sono molto popolari un po’ ovunque: in Europa come anche
nel Nord Africa e nel Medio Oriente. La gente del tempo viveva a stretto
contatto con gli animali, cui li univa talvolta un rapporto di dipendenza:
forse, proprio da ciò prende vita il forte interessamento nei loro confronti.
Alla base di questa attenzione, però, vi è qualcosa di più di una semplice
necessità di conoscenza; vi è qualcosa di mistico e spirituale dietro una
tendenza e una dedizione, tutte medievali, che si potrebbero azzardare a
definire: “dottrina degli animali”.
Sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista culturale, il
medioevo è caratterizzato profondamente, ed a tratti anche in maniera
asfissiante, dalla religione e dalla religiosità. Nell’Europa occidentale la
religione più diffusa, allora come adesso, è il Cristianesimo, mentre nel
Nord Africa e nel Medio Oriente regna l’Islam. Gli Ebrei, con la loro
cultura e le loro religione, si trovavano un po’ ovunque: vivono tra cristiani
e musulmani, qualche volta tollerati e qualche altra no. Nonostante le
divergenze, i frequenti scontri e le violenze, le tre religioni concordano
sull’importanza storica e spirituale di alcuni testi, su tutti la Bibbia Ebrea,
quella nota tra i cristiani come Antico Testamento; un testo, quest’ultimo,
che presenta numerose storie ed aneddoti che hanno come protagonisti
animali.