Introduzione 2
Nel 3° capitolo si espongono le modalità di esecuzione delle prove effettuate; si
descrivono i principali parametri fisici deducibili dalle prove edometriche e si
raccolgono tutti i risultati sperimentali ottenuti. In particolare, si riportano:
a) l'andamento dei cedimenti in funzione del tempo, del logaritmo del tempo e della
radice quadrata del tempo;
b) i valori del coefficiente di consolidazione c
v
per ogni incremento di carico;
c) il modulo edometrico E
ed
per ogni incremento di carico;
d) la permeabilità k per ogni incremento di carico;
e) i diagrammi di compresibilità;
f) i valori degli indici di compressibilità C
c
e rigonfiamento C
s
;
L’ultima parte della presente tesi è dedicata alle osservazioni conclusive.
In Appendice sono riportati i diagrammi dei cedimenti in funzione del tempo, del
logaritmo del tempo e della radice quadrata del tempo, per alcuni incrementi di carico e
scarico effettuati in tutte le prove.
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.1
1. DESCRIZIONE GEOLOGICA DEL SITO
1.1 Storia geologica dell’area romana
Quattro milioni di anni fa, l’area a ovest degli attuali Appennini costituiva una porzione
del fondo marino ed erano presenti per effetto dalla subsidenza non omogenea
dell’Appennino, alcune isole in corrispondenza dei Monti Cornicolani e del Monte
Soratte, il primo a est e il secondo a nord di Roma (v. figura 1.1).
Figura 1.1: Ricostruzione dell’area romana 4 milioni di anni fa
In questo lungo periodo di immersione, durato alcuni milioni di anni, si formarono le
Argille Plioceniche, dette anche Argille Azzurre o Marne Vaticane, compatte e
sovraconsolidate.
Le argille plioceniche non sono visibili nella valle della Caffarella, situata tra i Colli
Albani (area di interesse del presente studio) e la città di Roma, perché coperta da
decine e decine di metri di rocce più recenti; è però possibile vederle alla base di quelle
zone di Roma che si sono in seguito sollevate, come Monte Mario e il Gianicolo-Monte
Verde.
Successivamente alla formazione dei terreni argillosi, caratteristici di un ambiente
lontano dalla linea di costa, si depositarono terreni prevalentemente sabbiosi
(osservabili a Monte Mario).
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.2
Il passaggio da una sedimentazione finissima a una più grossolana è testimonianza del
sollevamento della parte continentale (1,5 milioni di anni fa, v. figura 1.2).
Figura 1.2: Ricostruzione dell’area romana 1,5 milioni di anni fa
Successivamente, il mare arretrò lentamente la sua linea di costa, ritirandosi pian piano
sempre più ad Ovest. Al suo posto era rimasta una zona collinare con laghi, paludi e
fiumi, tra cui l'antico Tevere. A causa di questo sollevamento e dell’accumulo sempre
più intenso di questi sedimenti, il mare si ritirò verso ovest, lasciando emersa l’area in
cui poi sorse Roma. Quello che era stato un tempo il fondo del mare diventò così una
regione collinare con ampie zone paludose e piccoli laghi.
Le rocce che testimoniano questo lungo periodo geologico, compreso
approssimativamente fra 2÷1 milioni di anni fa, sono costituite da antichi cordoni di
dune, argille, sabbie, ghiaie, torbe, ecc.. (depositi fluviali, lacustri e palustri). Questi
materiali si depositarono sulla terraferma (rocce di tipo continentale), oppure nella zona
di transizione al mare. Benché queste rocce si siano deposte al di sopra delle argille
plioceniche, anch'esse non sono visibili nella valle della Caffarella perché ricoperte da
altre rocce più recenti.
Circa 600.000 anni fa si formarono due grandi distretti vulcanici: inizialmente si formò
il distretto vulcanico dei monti Sabatini, a nord di Roma, e in seguito quello dei Colli
Albani situato circa a 15 km sud-est di Roma; quest’ultimo occupa un’area compresa tra
le Latitudini 41.6-41.9 Nord e Longitudini 12.5-12.9 Est.
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.3
I prodotti dell’attività vulcanica dei due complessi, prevalentemente tufi, colate
piroclastiche e colate di lava, coprirono tutta la zona intorno a Roma nascondendo ogni
traccia della precedente storia geologica dell’area. I prodotti vulcanici dei due distretti
finirono con il congiungersi e contribuirono a sbarrare per un breve arco di tempo il
corso del Paleotevere. Si formò così subito ad est della posizione attuale della città di
Roma una vasta zona paludosa. Con il passare del tempo lo sbarramento fu eroso e le
acque ripresero a scorrere verso il mare, con un corso che preludeva ormai a quello
dell’odierno Fiume Tevere.
1.2 Il Vulcano Laziale
La regione dei Colli Albani comprende un’area di 1500 km
2
che si estende a sud di
Roma, a partire dalla riva sinistra del Fiume Tevere e del Fiume Aniene sino alle
propaggini settentrionali della Pianura Pontina e alle pendici dei Monti Prenestini.
La morfologia di tale regione è conseguente all’attività di un apparato vulcanico tipo
"stratovulcano", caratterizzato cioè da una lunga alternanza di fasi esplosive ed effusive,
accompagnata da una diffusa attività eccentrica e culminata con una serie di violente
esplosioni freatomagmatiche che hanno concluso il ciclo dell’intero complesso.
L’apparato vulcanico dei Colli Albani viene definito non attivo; infatti, l’ultima
eruzione significativa risale a circa 10.000 anni fa.
Come già detto si susseguirono episodi effusivi ed esplosivi, protrattisi per lunghi
periodi, divisibili sommariamente in tre fasi temporali, distinte per tipo di attività e
volumi di materiali eruttati. Il primo cono vulcanico di dimensioni considerevoli si
formò oltre 600.000 anni fa; l’attività fu caratterizzata da grandi esplosioni intervallate a
periodi di relativa calma (periodi di quiescenza).
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.4
Figura 1.3: Ricostruzione dell’area romana 250000 anni fa
Durante questo primo periodo di oltre 200.000 anni, chiamato fase Tuscolano-
Artemisia, il Vulcano Laziale eruttò un enorme quantitativo di materiale che ammantò
tutte le zone adiacenti ad esso modificando con straordinario impeto la morfologia delle
valli. I depositi più antichi sono costituiti da Tufi Grigi Pisolitici e Pozzolane intervallati
a colate laviche.
Il Vulcano Laziale, con una base di 60 km di diametro ed un’altezza di circa 1.700 m,
emise circa 200 km³ di materiali durante la sua trascorsa attività. Le esplosioni, causate
dalla presenza di elevate quantità di anidride carbonica trascinarono fino a 10.000-
15.000 m di quota diversi km³ di un’emulsione assai densa di gas e polveri ad alta
temperatura (700-800°C), costituite da numerosi frammenti di varia dimensioni (da
pochi mm fino a mezzo metro) e pezzi di lava, a formare la caratteristica forma a
“fungo”. Tali nubi precipitarono sulla terra all’esaurirsi della spinta iniziale (collasso),
come una valanga di materiale alla temperatura di 400-500°C (colate piroclastiche) che
si dispersero muovendosi a velocità anche di 150 km/h.
I prodotti emessi dal vulcano durante tutte le fasi esplosive si depositarono sopra i
precedenti depositi continentali e di transizione dando origine a quelle formazioni
comunemente note come tufi (rocce compatte) e pozzolane (poco coerenti e sciolte).
Dopo questo primo ciclo di eruzioni si ebbe un periodo di relativa calma; la forte
espulsione di materiale nel tempo, provocò l’inevitabile svuotamento della camera
magmatica che alimentava il vulcano stesso; di conseguenza, al di sotto della struttura
vulcanica si venne a creare una grossa “camera vuota” non in grado di sostenere il peso
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.5
enorme dell’apparato vulcanico. Ciò si tradusse nell’implosione, cioè nel collasso
dell’apparato vulcanico cambiandone drasticamente la morfologia: il vulcano divenne
molto più basso (circa 1.000 m) e il suo cratere molto più ampio in quanto, a causa del
crollo, questo lasciò al suo posto una vasta cavità circolare larga 15 km, (caldera), di cui
oggi rimangono solo alcune porzioni dell’antico margine.
Figura 1.4: Ricostruzione della caldera del Vulcano Laziale 200000 anni fa
Successivamente si verificò un nuovo periodo di quiescienza, un periodo che si può
considerare di “ricarica” della camera magmatica, al termine del quale si riprese una
forte attività nel condotto centrale che portò alla formazione di un nuovo apparato
vulcanico chiamato delle Faete, da cui il nome fase delle Faete. Si creò quindi una
struttura con un recinto esterno (caldera Tuscolano-Artemisia) e un recinto interno che
delimitava il nuovo apparato. In seguito l’apparato delle Faete diede origine all’attuale
Monte Cavo (v. figura 1.5).
Figura 1.5: Ricostruzione della genesi di Monte Cavo
Attualmente gli elementi morfologici macroscopici del Vulcano Laziale sono il recinto
esterno del diametro di circa 15 km e quello interno di circa 3 km, che rappresentano i
resti degli orli craterici. Il recinto esterno è costituito dai Monti Tuscolani a nord, con
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.6
quote di cresta variabili da 550 m s.l.m. nella regione del Tuscolo a 773 m s.l.m. di
Monte Salomone, e di Monte Artemisio (822 m s.l.m.) a sud-est. Il recinto interno
comprende le cime in cresta delle Faete, che aumentano in quota verso sud-ovest da 860
a 956 m s.l.m. con il Maschio delle Faete. I due recinti sono separati da una depressione
anulare (Atrio della Molara) con quota variabile tra i 400 e i 600 m s.l.m. e larghezza
massima di 1 km circa. La caldera del recinto interno costituisce l’area pianeggiante dei
Campi di Annibale con quote che variano intorno ai 750 m s.l.m. La morfologia
dell'apparato vulcanico è però complicata dalla spiccata asimmetria del recinto esterno.
Quest'ultimo infatti risulta avere una forma a “ferro di cavallo”, a causa dei collassi
avvenuti in seguito alla diffusa attività eccentrica del vulcano sul lato SSO.
L’ultima fase del Vulcano Laziale ebbe inizio quando nuovo magma provò ad uscire dal
condotto vulcanico cercando nuove strade, poiché le vie di sfogo precedenti furono
ostruite da un “tappo” di vecchia lava consolidata, dopo l’esaurimento dell’attività della
fase delle Faete.
Figura 1.6: Ricostruzione dell’ultima fase del Vulcano Laziale 10000 anni fa
Nell’interazione con la falda freatica profonda il magma ne provocò la vaporizzazione e
un conseguente aumento di volume che, non trovando sfogo all’esterno diede vita a
numerose esplosioni freato-magmatiche molto violente; queste demolirono parte del
recinto calderico formando una serie di crateri oggi rappresentati dal Lago Albano, dal
Lago di Nemi, da Valle Ariccia, dal Laghetto, tutti posti sul fianco sud-ovest del cratere
precedente. Quest’ultima fase, definita anche fase freato-magmatica è terminata circa
10000 anni fa.
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.7
Di seguito viene riportata una descrizione delle sequenze stratigrafiche a partire dalla
più antica (v. tabella 1.1).
Tabella 1.1: Sequenze litostratigrafiche del complesso vulcanico.
N. SEQUENZA FORMAZIONI ED EVENTI PRINCIPALI
10 Fase idromagmatica
Unità idromagmatiche finali di apparati centrali (Nemi,
Albano, Giuturna, Ariccia);
9 Fase delle Faete Piroclastiti, coni di scorie e lave;
8 Chiusura T.A.
Piroclastiti, coni di scorie e lave (attività fissurale
localizzata);
7 IV fase T.A.
Brecce di base, Pozzolane Grigie, Tufo di Villa Senni" e
Lave di chiusura;
6 III fase T.A. Pozzolane nere, Tufo Lionato e Lave di chiusura;
5 II fase T.A.
Prodotti di ricaduta di base, Pozzolane Rosse,
Conglomerato Giallo e Lave di chiusura;
4 Lave di chiusura I fase Lave dell’Acquacetosa composte da più eventi effusivi;
3 I fase T.A. Tufi antichi pisolitici e Lave di chiusura;
2
Sabbie marine e
fluviali
Sabbie e ghiaie post-calabriane;
1 Basamento argilloso Argille Azzurre plio-calabriane;
Sequenza 1: basamento argilloso
Si tratta dei primi depositi sedimentari post-orogenici appartenenti all’ingressione
marina plio-pleistocenica, il cui spessore potrebbe essere intorno ai 500 e i 600 m. Sono
costituiti prevalentemente da Argille Azzurre alternate, almeno al tetto della sequenza, a
strati metrici di sabbie marine di ambiente litorale. Questa sequenza costituisce il livello
impermeabile di base per la circolazione delle acque provenienti dai Colli Albani.
Capitolo 1 Descrizione geologica del sito
1.8
Sequenza 2: sabbie marine e fluviali
Tale sequenza è costituita da sabbie e subordinati livelli di ghiaie di ambiente
principalmente marino o fluviale depositate in seguito alla regressione marina iniziata
alla fine del Pliocene. Essa presenta spessori generalmente compresi tra 0 e 30 m. La
sequenza 2 ospita la base della falda acquifera inferiore dei Colli Albani, essendo
caratterizzata da valori di alta permeabilità.
Sequenza 3: I fase Tuscolano Artemisia
Sono i primi prodotti vulcanici conservati al tetto delle sequenze sedimentarie,
denominati Tufi Pisolitici. L’emissione di ignimbriti testimonia l’interazione tra magma
e acqua. In realtà si tratta di un complesso di unità eruttive intervallate da fasi di quiete
con formazioni di sottili paleosuoli, la maggior parte dei quali erosi successivamente.
La messa in posto è avvenuta approssimativamente tra 706000 e 680000 anni. Si
suppone che gli spessori massimi possano superare i 100 m nell’area dell’edificio
centrale. La sequenza è caratterizzata da un quasi costante colore grigio-verde per la
forte alterazione subita. La sequenza è stata classificata da mediamente a molto
permeabile e in tale ambito non esistono soluzioni di continuità con le sabbie sottostanti
per quanto riguarda la circolazione delle acque.
Sequenza 4: Colate laviche della Acquacetosa
Questa sequenza è costituita esclusivamente da lave depostesi quasi
contemporaneamente a quelle nella zona della Acquacetosa a ovest dei Colli Albani,
datate circa 680000 anni. In realtà non si tratta di un episodio unico poiché queste lave,
che tra l’altro determinano la chiusura della I fase Tuscolano Artemisia, sono costituite
dalla sovrapposizione di almeno tre eventi effusivi differenti che comunque hanno
contribuito a coprire i settori meridionali e occidentale dei Colli Albani producendo
delle morfologie particolari. Dal punto di vista idrogeologico questa sequenza
costituisce un ottimo orizzonte acquifero per la sua elevata permeabilità per
fratturazione e per la presenza di soluzioni di continuità tra i vari eventi lavici. Molte
sorgenti sono localizzate all’interno di essa.