Capitolo 1 Introduzione
1
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
1.1 Impiego dei materiali a grana grossa
I terreni a grana grossa costituiscono da sempre un’importante risorsa
del’ingegneria civile, essendo impiegati nella costruzione di numerose
infrastrutture (ad esempio dighe, rilevati stradali, bonifica dei sottofondi). Il loro
vasto impiego è dovuto alle ottime proprietà meccaniche di cui essi godono.
Infatti i terreni a grana grossa garantiscono con ottime prestazioni le funzioni
statiche dei rilevati; la loro elevata permeabilità semplifica la soluzione di
numerosi problemi nella gestione delle opere; la deformabilità delle strutture
realizzate con questi materiali, rispetto a quelle costruite con conglomerati
cementizi, consente di ammortizzare cedimenti differenziali anche rilevanti; essi
inoltre, modellandosi, si adattano al territorio anche quando questo presenta una
morfologia accidentata; infine sono facilmente reperibili e di conseguenza hanno
un costo unitario relativamente basso rispetto ad altri materiali da costruzione.
Tuttavia, a causa delle eccellenti proprietà meccaniche, scarsa attenzione è stata
dedicata alla loro conoscenza, mentre ci si è affidati, nel campo delle applicazioni,
prevalentemente a considerazioni di carattere empirico. I recenti progressi della
ricerca hanno reso disponibili tecniche di indagine sperimentale e modelli teorici
sempre più sofisticati, capaci di effettuare previsioni sul comportamento
meccanico dei terreni molto più accurate che in passato. Tutto ciò ha avuto
l’effetto di migliorare l’utilizzo dei materiali, sfruttandone al meglio le prestazioni
e riducendo i costi connessi alla realizzazione dei manufatti, e al contempo di
favorire affidabili previsioni del grado di sicurezza delle opere a fronte di possibili
situazioni limite.
Capitolo 1 Introduzione
2
Nell’ingegneria geotecnica va oggi assumendo sempre più importanza il problema
del controllo dei requisiti di sicurezza nei confronti dello stato limite di esercizio.
Infatti lo studio delle condizioni tenso-deformative ha messo in evidenza che,
sebbene spesso si focalizzi l’attenzione sulle condizioni limite che portano al
collasso una determinata opera, talvolta desta più preoccupazione il
comportamento che i terreni manifestano nelle condizioni di esercizio, ovvero a
bassi livelli di deformazione. A riprova di ciò basta considerare che le
deformazioni che in campo statico vengono indotte nel terreno dai manufatti sono
contenute, in condizioni di esercizio, in un campo che varia dallo 0.001% all’1%.
Tuttavia l’utilizzo di apparecchiature di laboratorio tradizionali, indagando il
comportamento del terreno a livelli di deformazione ben più alti rispetto a quelle
osservate in sito, porta a sottostimare le rigidezze, comportando errori nella
previsione degli spostamenti del sistema struttura-terreno, con conseguenti
sovradimensionamento dei manufatti e aggravio dei costi. Per tale motivo sono
state sviluppate numerose tecniche di laboratorio, tra cui quelle basate
sull’impiego degli L.D.T. (Traduttore di Deformazione Locale), volte ad ottenere
misure sempre più accurate e precise di tensioni e spostamenti.
1.2 Materiali sabbiosi
Tra le varie tipologie di terreni a grana grossa impiegati nella pratica
ingegneristica, in questa sperimentazione si ci è interessati dello studio del
comportamento dei materiali sabbiosi, i quali dal punto di vista granulometrico
sono caratterizzati da grani di dimensioni comprese tra 0.06 e 2 mm.
Argille Limi Sabbie Ghiaie
grosse fini medi grossi fini medie grosse fini medie grosse
Figura 1.1 – Classi granulometriche.
0,002 0,006 0,02 0,06 0,2 0,6 2 6 20 60
Dimensioni dei grani [mm]
0,0006
Capitolo 1 Introduzione
3
Sebbene nel caso dei terreni sabbiosi, a differenza di quelli argillosi, sia prassi
ricorrere a prove in sito per la determinazione dei parametri meccanici per via
dell’impossibilità di prelevare campioni indisturbati, un inquadramento generale
del comportamento del materiale può aversi solo attraverso prove di laboratorio,
in quanto solo in questo modo è possibile controllare le condizioni al contorno e
conoscere la storia tensionale del provino. Pertanto nel presente lavoro lo studio
del comportamento delle sabbie è stato condotto mediante l’esecuzione di prove
di laboratorio su provini ricostituiti.
I materiali sabbiosi presentano alcuni caratteri peculiari che li differenziano dalle
argille; tra questi due sono quelli che meritano particolare attenzione:
mancanza di un legame univoco tra volume specifico e stato tensionale.
Questo aspetto comporta la possibilità di realizzare campioni di sabbia con
diversi volumi specifici, pur mantenendo la tensione nulla. Ne consegue
che per le sabbie si può supporre l’esistenza di infinite curve di
normalconsolidazione (NCL) nel pano v-lnp’, le quali tra l’altro risultano
meno pendenti di quelle delle argille a causa della bassa compressibilità
che caratterizza le sabbie.
snervamento delle sabbie indotto prevalentemente dall’applicazione di
sforzi deviatorici.
1.3 Contenuto della tesi
La necessità di prevedere, in fase di progetto, il comportamento delle opere
geotecniche correlandolo alle caratteristiche dei materiali adoperati è stato il punto
di partenza della tesi proposta.
Il presente lavoro rientra nell’ambito di un’attività di ricerca mirata a chiarire, sia
da un punto di vista sperimentale che teorico, i caratteri fondamentali del
comportamento meccanico dei materiali sabbiosi. La fase sperimentale dello
studio, svolto presso il laboratorio di Geotecnica e Strade (La.G.S.)
dell’Università degli Studi di Cassino, ha comportato l’esecuzione di numerose
prove triassiali su campioni di sabbia preparati in laboratorio. Il programma di
prove è stato articolato con l’intento di indagare la risposta dei terreni compattati a
diversi livelli di addensamento, sottoponendo questi ultimi a vari livelli di
Capitolo 1 Introduzione
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tensione e a percorsi di carico monotonici in compressione e in estensione. La
notevole precisione della strumentazione di laboratorio adoperata ha consentito di
svolgere tale analisi a partire da piccoli livelli di deformazione. Alla fase di
sperimentazione ha fatto seguito quella di inquadramento teorico dei risultati
sperimentali, volta a sintetizzare le osservazioni sulla risposta tenso-deformativa
del materiale indagato in opportuni modelli costitutivi. A tale scopo si è fatto
riferimento a due modelli costitutivi elasto-plastici, basati sulla teoria dello stato
critico. Il secondo modello, scaturito da una modifica del primo, è stato concepito,
combinando tra loro alcune relazioni ricavate dalla letteratura, per ottenere una
migliore simulazione dei comportamenti osservati sperimentalmente.
Il primo capitolo è dedicato all’analisi della meccanica dei terreni incoerenti.
Dopo alcuni richiami sulla meccanica del continuo, necessari per introdurre le
variabili tensionali e deformative impiegate nelle fasi successive, vengono
riassunte le peculiarità che contraddistinguono il comportamento delle sabbie da
quello dei materiali a granulometria più fine. La restante parte del capitolo è
incentrata sull’inquadramento teorico delle leggi costituenti i capisaldi della
modellazione costitutiva. Nell’ampia casistica di modelli costitutivi disponibili in
letteratura, quelli in grado di riprodurre nel modo più veritiero possibile il
comportamento dei materiali incoerenti sono i modelli elasto-plastici, basati sulla
teoria dello stato critico. Dunque un ampio paragrafo è stato dedicato alla
descrizione dei fondamenti della teoria dello stato critico, così come illustrati dai
vari autori che negli ultimi trent’anni ne hanno permesso lo sviluppo, e alle
implicazioni da essi causati sul comportamento delle sabbie dense e sciolte
sottoposte a prove di rottura. Successivamente vengono presentati due criteri di
rottura, quello di Mohr-Coulomb e quello di Lade e Duncan, proposto negli anni
settanta per superare i limiti del primo. Infine vengono passate in rassegna le
diverse leggi di incrudimento e leggi di flusso messe a disposizione dalla
letteratura.
Nel terzo capitolo viene illustrata l’apparecchiatura utilizzata nella
sperimentazione. Dopo la descrizione delle componenti della macchina e delle sue
modalità di funzionamento, si espongono brevemente i vantaggi derivanti
dall’utilizzo dei trasduttori di spostamento LDT per la misura locale delle
Capitolo 1 Introduzione
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deformazioni. Viene, poi, fissata l’attenzione sul sistema di regolazione delle
pressioni, sul sistema di acquisizione dei dati e sulle modalità con cui il software
gestisce il controllo della macchina (attuazione e misura).
Nel quarto capitolo, una volta esaminato il materiale sottoposto alla
sperimentazione e le sue caratteristiche fisiche, si passa alla descrizione delle
procedure relative alla preparazione dei campioni al minimo e al massimo grado
di addensamento, alla corretta installazione degli LDT assiali, alla saturazione del
campione e all’inizializzazione della prova. Lo scopo è stato quello di definire
delle procedure standardizzate in modo tale da ridurre al minimo gli errori legati
alla procedura di sperimentazione. Viene, inoltre, riportato il programma di prove,
che è stato articolato con l’intento di esaminare la risposta della sabbia compattata
a diversi livelli di addensamento e sottoposta a diversi percorsi di tensione. I
risultati sperimentali ottenuti sono posti a confronto sia relativamente alla fase di
compressione isotropa, sia alla fase di taglio, facendo unicamente riferimento alle
misure di deformazione interne.
Il quinto capitolo è dedicato all’inquadramento teorico dei risultati sperimentali
ricavati. A tale scopo sono stati applicati due modelli costitutivi elasto-plastici, il
modello di Muir Wood e quello di Muir Wood modificato, concepito a seguito
dell’osservazione di una inaspettata dipendenza dello stato critico dai percorsi
tensionali applicati. I due modelli sono stati perfezionati al fine di trovare il set di
parametri in grado di simulare nel miglior modo possibile i comportamenti
osservati sperimentalmente.
Il sesto capitolo riassume i principali risultati della sperimentazione condotta sulla
sabbia di Fossanova e della modellazione costitutiva.
Capitolo 2 Meccanica dei Terreni Incoerenti
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CAPITOLO 2
MECCANICA DEI TERRENI INCOERENTI
2.1 Introduzione
Il comportamento delle terre, strettamente legato alla natura particellare, è di tipo
non lineare, irreversibile e fortemente dipendente dalla storia tensionale e dalla
direzione del percorso di carico. Inoltre le difficoltà di osservare direttamente il
terreno ubicato nel sottosuolo comportano una non corretta determinazione delle
caratteristiche dello stesso, le quali possono essere ricavate esclusivamente
dall’esame di campioni di piccole dimensioni, prelevati in un numero discreto di
punti. La combinazione di tutti i fattori elencati è fonte di difficoltà e incertezze
nella risoluzione dei problemi geotecnici.
Una soluzione alla pressante necessità di prevedere il comportamento dei terreni
consiste nello schematizzare un reale problema geotecnico attraverso un modello
matematico che definisca in maniera adeguata i legami costitutivi dei materiali.
Tali modelli riproducono tanto più fedelmente la realtà quanto maggiori sono le
informazioni e precise le condizioni al contorno a disposizione. Tuttavia la
difficoltà di rappresentare correttamente le reali condizioni dei terreni comporta
l’adozione di modelli semplificati in cui si schematizza il terreno come un mezzo
continuo polifase. I modelli che offrono ampia applicabilità sui terreni incoerenti
sono quelli basati sulla teoria della plasticità, i cui capisaldi sono rappresentati
dal criterio di snervamento, dal criterio di flusso, dalla legge di incrudimento e in
alcuni casi da un criterio di rottura. Questo capitolo, dopo alcuni brevi richiami
sulla meccanica del continuo, sarà dedicato all’analisi delle leggi alla base della
modellazione costitutiva. Il tutto verrà fatto con particolare riferimento ai
materiali granulari. Inoltre, considerato l’impatto che su tutti i modelli di
Capitolo 2 Meccanica dei Terreni Incoerenti
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comportamento sviluppati negli ultimi trent’anni ha avuto la teoria dello Stato
Critico, elaborata all’università di Cambridge, si è ritenuto opportuno dedicare un
paragrafo ai fondamenti di tale teoria.
2.2 Stato tensionale e deformativo
Il completo stato tensionale di un elementino di terreno sottoposto a un sistema
geotecnico può essere descritto attraverso sei componenti di tensione indipendenti
(fig. 2.1). Tali tensioni possono essere tre tensioni normali e tre tangenziali agenti
su tre piani mutuamente ortogonali. Tuttavia per ogni stato tensionale è possibile
individuare una terna di piani, mutuamente ortogonali, sui quali le tensioni
tangenziali sono tutte nulle e le tensioni normali attingono i valori estremi. Le
normali a questi tre piani definiscono tre direzioni principali o assi principali e le
tensioni agenti normalmente a essi sono tre tensioni principali
1
,
2
,
3
(fig. 2.2),
che rappresentano rispettivamente la tensione principale massima (
1
), la tensione
principale intermedia (
2
) e la tensione principale minima (
3
). Dunque le sei
quantità necessarie a descrivere completamente un generico stato tensionale
possono anche essere date dalle tre tensioni principali e dalle direzioni dei tre assi
principali.
Figura 2.1 – Elemento di terreno soggetto a un generico stato tensionale (Wood, 2004).
Figura 2.2 – Assi principali e tensioni principali per un generico stato tensionale.
Capitolo 2 Meccanica dei Terreni Incoerenti
8
Le tre tensioni principali possono essere usate per definire uno spazio
tridimensionale (fig. 2.3(a)), che può essere visto attraverso due proiezioni
bidimensionali. La proiezione più frequentemente usata è quella del piano
deviatorico o piano- (fig. 2.3(c)), una vista dello spazio delle tensioni principali
dalla retta in cui
1
=
2
=
3
(fig. 2.3(b)).
Figura 2.3 – Tensione principale p’ e tensione deviatorica q nello spazio delle tensioni
principali efficaci; (b) cubo con lati definiti dagli assi principali; (c) assegnazione delle
tensioni principali maggiore, intermedia e minima nei settori del piano deviatorico
(Wood, 1990).
Analizzando lo stato deformativo è ugualmente possibile individuare dei piani
principali in cui le deformazioni legate agli scorrimenti angolari sono nulle,
mentre le deformazioni normali attingono i valori estremi. Tali deformazioni sono
definite principali e sono indicate con
Nelle prove triassiali standard le tensioni orizzontali e verticali agenti sono
principali in quanto l’accurata lubrificazione delle basi del campione assicura che
nessuna superficie orizzontale o verticale sia soggetta a tensioni tangenziali.
Capitolo 2 Meccanica dei Terreni Incoerenti
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Per rappresentare lo stato tensionale e deformativo di un terreno si può ricorrere
allo spazio delle tensioni o più semplicemente alla costruzione dei cerchi di Mohr.
Con essi è possibile analizzare lo stato tensionale e deformativo relativo all’istante
di applicazione del carico; tuttavia spesso è necessario rappresentare l’evoluzione
dello stato tensionale del terreno durante il processo di carico.
In generale quando un materiale perfettamente elastico è caricato o ricaricato
entro il suo range elastico, il comportamento del materiale è dipendente
esclusivamente dal punto che individua lo stato tensionale iniziale e finale, e non
dal percorso di carico che ha subìto. Questo non è altrettanto vero per i terreni, il
cui comportamento dipende non solo dallo stato iniziale e finale di tensione, ma
anche da tutta la precedente storia di carico. Allora nel caso in cui si voglia
tracciare il percorso tensionale l’utilizzo dello spazio delle tensioni o della
costruzione dei cerchi di Mohr non rappresenta la soluzione più vantaggiosa (fig.
2.4(a)). Una rappresentazione più soddisfacente rispetto a quella dei cerchi di
Mohr e più semplice rispetto a quella offerta dallo spazio delle tensioni principali
(fig. 2.3) si può ottenere facendo ricorso agli invarianti di tensione p e q (fig.
2.4(b)), in cui p è la tensione totale media, o sferica, definita come:
3 2 1
3
1
ott
p (2.1)
mentre q è la tensione deviatorica definita come:
5 , 0
2
3 2
2
3 1
2
2 1
2
1
2
3
ott
q (2.2)
Figura 2.4 – Rappresentazione dell’evoluzione dello stato tensionale per
1
crescente e
3
costante. Nei due digrammi ciascuno dei punti A, B etc. rappresenta il medesimo stato
tensionale. (a ) Cerchi di Mohr. (b) Diagramma p-q.
Capitolo 2 Meccanica dei Terreni Incoerenti
10
I due parametri p e q sono denominati invarianti di tensione in quanto la loro
entità è indipendente dalla scelta degli assi di riferimento. Infatti, dato un certo
stato tensionale in un punto di un continuo, si ha che a un cambiamento della
direzione degli assi coordinati x, y, z corrisponde una modifica delle componenti
del tensore delle tensioni
xx
,
yy
,
zz
,
yz
,
zx
,
xy
, mentre i valori delle tensioni
principali restano invariati. Ne consegue che una qualunque funzione delle tre
tensioni principali sarà anch’essa indipendente dalla scelta del sistema di
riferimento. Per convenzione si possono definire tre invarianti del tensore degli
sforzi:
p tr I
ij
3 ) (
3 2 1 1
(2.3)
2 1 1 3 3 2
2 2
2
2
1
ij ij
tr tr I (2.4)
3 2 1 3
det
ij
I (2.5)
definiti rispettivamente invarianti del primo, secondo e terzo ordine e in cui
ij
è
il tensore degli sforzi.
Le espressioni (2.1) e (2.2) di p e q si riferiscono ad uno stato tridimensionale; nel
caso in cui il problema oggetto di studio possa essere ricondotto a uno schema
piano assialsimmetrico (
2
3
) le espressioni di p e q possono essere riscritte nel
seguente modo:
1 2
1
2
3
p (2.6)
1 3
( ) q (2.7)
Le prove triassiali standard, a cui generalmente si fa ricorso nei laboratori e i cui
risultati rappresentano la base di partenza per la modellazione costitutiva, sono
proprio basate su uno schema assialsimmetrico. In esse infatti, a differenza delle
apparecchiature triassiali vere, vengono controllate solo due delle tre tensioni
principali e in particolare la tensione principale assiale
z
=
a
e la pressione di
cella
r
a cui vengono uguagliate le due tensioni principali laterali (fig. 2.5):
r y x
(2.8)
Avendo due gradi di libertà, un’apparecchiatura triassiale di questo tipo dovrebbe
essere più propriamente definita prova di compressione o estensione cilindrica.
Capitolo 2 Meccanica dei Terreni Incoerenti
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Tuttavia, poiché l’impiego di apparecchiature triassiali vere è limitato a causa
delle difficoltà di ordine meccanico che il controllo delle tre tensioni principali
comporta, normalmente si fa ricorso alle prove semplificate su descritte alle quali
è ormai uso comune assegnare la definizione impropria di prove triassiali.
Figura 2.5 – Configurazione assialsimmetrica triassiale (Wood, 2004).
Quando
2
=
3
lo stato tensionale di un campione è confinato nel piano indicato
in figura 2.6, denominato piano triassiale.
Figura 2.6 – Piano triassiale (Lancellotta, 1993).
In generale lo stato tensionale di un punto P nello spazio delle tensioni principali
di figura 2.7 può essere descritto tramite i seguenti tre invarianti:
- il segmento OR lungo la diagonale spaziale (retta lungo la quale
1
=
2
=
3
) pari a
ott
' 3 ;
- il segmento RP, che giace nel piano ortogonale alla diagonale spaziale,
pari a
ott
3 ;