non più di uno tra i vari criteri possibili e concorrenti nella risoluzione
delle antinomie.
Nel momento stesso in cui si supera lo schema primordiale per passare
alla complessità dei moderni ordinamenti statali, dove, è noto, operano
diverse categorie di fonti, il criterio cronologico diviene lacunoso, così
come lacunosa diviene una semplice visione logica dei criteri di
risoluzione.
Soccorre, comunemente, in questa evoluzione, il criterio oggetto del
presente studio ossia quello gerarchico.
Tale criterio, muove i passi da una differenziazione di forza od
efficacia riconosciuta alle varie fonti operanti in un ordinamento ed
interviene a limitare la portata del principio della lex posterior,
sottraendo la fonte superiore agli effetti del fenomeno abrogativo.
A ben vedere questo della gerarchia risulta essere un concetto spurio
nel quale confluiscono e coabitano gli spunti della concezione
gradualistica del diritto, elaborata dagli esponenti della “Scuola di
Vienna”, e concezioni radicalmente diverse maturate su piani politico
– ideologici di determinati contesti storici di natura assolutistica.
Mentre nelle elaborazioni della Stufentheorie, il concetto della
gerarchia, acquista una validità logica generale, in una concezione
politica della sovranità diviene diretta e genuina espressione della
volontà di chi detiene il potere.
CAP. I – LA COERENZA DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
ED IL PROBLEMA DELLE ANTINOMIE: PROFILI
GENERALI.
1. Il pluralismo normativo e l’ordinazione delle fonti in sistema.
L’incrementarsi, da un lato, sempre più evidente dei compiti affidati
allo Stato e ai pubblici poteri e l’intensificarsi, quindi, degli interventi
di questi intesi alla regolazione; l’accentuata democratizzazione,
dall’altro, dei paesi più evoluti che ha portato al riconoscimento del
pluralismo sociale anche in ambito costituzionale; le sempre più
frequenti relazioni internazionali, infine, hanno creato i presupposti
per una moltiplicazione degli strumenti normativi.
Questo processo risulta più evidente se si considera il periodo
successivo al secondo conflitto mondiale.
La pluralità delle fonti costituisce, pertanto, la speculare
rappresentazione degli equilibri sociali; vengono in tal modo a
formarsi delle mutue implicazioni tra la c.d. forma di Stato, ed il
sistema delle fonti.
1
Segno evidente di questa spiccata tendenza è la presenza, nei vari
ambiti costituzionali, di numerose varianti allo stesso “tipo” di fonte,
allo scopo di rendere l’ordinamento più flessibile alle esigenze di
rilevanza sociale.
Quanto detto rende palese che l’individuazione stessa delle fonti dia
luogo a diversi problemi specialmente in un contesto così variegato
come quello Italiano.
Di regola può affermarsi che l’individuazione delle fonti (ed in
particolare delle fonti-atto), si attua mediante il ricorso a criteri
formali
2
, che prendono sotto esame in primo luogo il nomen juris,
quindi i procedimenti formativi od altre caratteristiche dell’atto
stesso.
3
Il ricorso a criteri formali risulta sufficiente ogni qual volta si
consideri una legge oppure un decreto governativo; il discorso cambia
in relazione ad atti-fonte che, pur essendo riconosciuti come tali
1
Ruggeri A., Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale,
Torino, Giappichelli,1994, pp. 35 ss.
2
È comune opinione, oggi, ritenere che i criteri formali non siano sufficienti
perché non sempre il sistema delle fonti può essere letto secondo criteri formali
3
Crisafulli V., Lezioni di diritto costituzionale, Padova, Cedam, 1993, pp. 205 ss.;
Balladore Pallieri G., Diritto costituzionale, Milano, Giuffré, 1976; Quadri G., La
forza della legge, Milano, Giuffré,1970.
nell’ordinamento non sono investigabili, se non parzialmente con
criteri formali; si pensi, a tal proposito, ai regolamenti interni del
potere esecutivo adottabili in virtù della L. 400 / 1988.
In questa seconda categoria di situazioni, alle quali oggi è da
aggiungere tutta quella serie di atti frutto della c.d. delegazione
legislativa del Parlamento al Governo, è necessario che i criteri
formali cedano il passo a criteri di natura sostanziale
4
.
La definizione del diritto come insieme di norme e fonti deve essere
integrata con lo studio del come e del da chi queste sono prodotte.
Per fonti di produzione (per distinguerle da quelle di cognizione) si
intendono, con una definizione ormai tacitamente condivisa
dell’illuminismo giuridico, i fatti e gli atti per mezzo dei quali
vengono create modificate ed estinte le norme di un ordinamento
giuridico.
Rispetto al come una produzione normativa puo essere spontanea ,
come la consuetudine, oppure riflessa , come la legge o, negli
ordinamenti del Common law, la decisione del giudice.
Consuetudine e legge sono le due fonti principali del diritto; accanto a
queste troviamo, fin dagli albori del diritto, una fonte di provenienza
4
Paladin L., Diritto costituzionale, Padova, Cedam, 1995.
popolare che si è evoluta dalle leges rogatae del diritto romano
all’odierno referendum.
Questi principi, di estrazione illuministica, pur rimanendo
concettualmente validi, subiscono oggi una contrazione di importanza
a causa di mutamenti velocissimi che sottopongono leggi e fonti a
sollecitazioni tali da essere addirittura inimmaginabili nell’epoca dei
lumi; la necessità di provvedere con urgenza e competenza nei settori
più svariati della vita sociale comporta un frazionamento ed una
specializzazione delle funzioni legislative e quindi una
diversificazione delle fonti
5
.
Questo processo porta, ed ha effettivamente portato, ad uno smisurato
accrescimento di norme e di tipi normativi.
Ciò che ora importa è osservare che al crescere dei tipi normativi,
crescono le difficoltà di una loro composizione in “sistema”,
d’altronde l’ordine e la coerenza di un ordinamento giuridico
appaiono esigenze insopprimibili di qualsivoglia società benché
primitiva.
Nasce quindi la necessità inderogabile di dare un ordine al sistema
normativo. Questo tipo di esigenza nasce dall’evidenza che i possibili
5
Gavazzi G., Elementi di teoria del diritto, Torino, Giappichelli, 1984.
destinatari di norme confliggenti devono essere messi in grado di
determinare a quale di esse prestare ossequio.
È del tutto chiaro che, anche in ordinamenti primitivi che conoscono
un solo tipo di fonte (l’autorità del capotribù), non può farsi a meno di
un criterio ordinatore (in genere negli ordinamenti primordiali a
questo scopo soccorre logicamente il criterio c.d. “cronologico”).
In ordinamenti complessi che, invece, hanno raggiunto un certo grado
di sviluppo, si avverte la necessità di proteggere alcune espressioni di
volontà normativa rispetto ad altre magari più recenti stabilendone
l’inderogabilità e riconoscendone un'espressa superiorità gerarchica.
Si viene, in questo modo a creare, per volontà dello stesso legislatore,
una scala gerarchica corrispondente ad una scala di valori, si può
anche dire che la gerarchia dei valori fa la gerarchia delle fonti.
6
È
quindi la tipicità dei valori che, in ordinamenti come il nostro,
determina una tipicità delle forme.
Il massimo grado di positività giuridica di questa gerarchia si rinviene
laddove è evidente una diversa considerazione tra norme di identica
forma ed estrazione ed in particolare tra quelle costituzionali; alcune
6
Ruggeri A., fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale,
Torino, Giappichelli, 1994.
considerate modificabili con la procedura espressa dall’art. 138 cost.,
altre ritenute immodificabili.
Se dunque è vero che in ossequio ad esigenze evoluzionistiche la
nostra costituzione è destinata a subire modificazioni, è anche vero
che questo non può avverarsi senza l’intercessione della Corte
costituzionale.
Per questi motivi appare fin da ora necessario, almeno per quel che
riguarda la costituzione, integrare la teoria delle fonti con la teoria
della giustizia costituzionale
7
.
Quindi una classificazione gerarchica delle fonti e delle norme
secondo la loro forma appare incompleta nel punto in cui non
considera la possibile interferenza tra due norme strutturalmente
omogenee.
L’evoluzione stessa dell’ordinamento giuridico statale comporta
necessariamente; anche in strutture elementarissime, la possibilità di
avere molteplici conflitti tra norme; il diritto oggettivo non si risolve
in uno statico complesso di norme ma è organismo in continuo
7
Ruggeri A., Op. cit. p.5.
divenire; le antinomie
8
in un siffatto sistema si pongono come il
prezzo minimo da pagare per il naturale ricambio normativo
9
.
Ma se queste antinomie sono possibili è pur vero che debbono essere
risolte venendosi a creare la kelseniana esigenza di “unità dinamico-
formale” dell’ordinamento.
Il diritto oggettivo, quindi, è e deve essere sintesi armonica di ius
conditum e ius condendum; in ogni ordinamento, pertanto, si
rinvengono logicamente o positivamente, accanto agli strumenti
normativi, altri mezzi volti a garantire quest’armonia soprattutto
mediante l’eliminazione delle antinomie possibilmente fin dalle fonti.
Il primo e più semplice di questi strumenti regolanti prende il nome di
criterio cronologico o della “lex posterior” per il quale tra leggi
confliggenti provenienti da fonti omogenee, quella cronologicamente
posteriore ha capacità abrogativa sulla precedente. Questo principio
sebbene esplicitamente espresso solo nell’art. 15 delle disp. prel. deve
8
Si dice che ha luogo un’antinomia quando due norme, entrambe vigenti in uno
stesso ordinamento giuridico, sono incompatibili.
9
Crisafulli V., Lezioni di diritto costituzionale, II, l’ordinamento costituzionale
italiano, Padova , Cedam, 1993, pp. 205-207.
ritenersi costituzionalizzato per via della sua logicità riguardo agli artt.
70, 73 e 138 cost.
10
Questo criterio, come si è già avuto occasione di esporre, trova
applicazione in un contesto di omogeneità tra le fonti; qualora invece
questo presupposto non viga, soccorrono altri criteri quale quello di
specialità, di competenza ed infine quello oggetto della presente
trattazione ossia il criterio gerarchico.
10
Enc. dir., voce Fonti del diritto (dir. cost.), di Crisafulli V. vol. XVII, Milano,
Giuffré, 1968, pp. 925 ss.
2. La struttura gerarchica degli ordinamenti giuridici: teoria
generale del diritto.
Fin dal periodo delle costituzioni ottocentesche venne spontaneo
ragionare riguardo ad una gerarchia delle fonti normative (anche se
tale concetto si deve ad una dottrina più tarda, legata soprattutto al
nome di Hans Kelsen).
I sostenitori della cosiddetta struttura gerarchica degli ordinamenti
giuridici statali, teorizzano appunto la necessaria esistenza di fonti
sovraordinate e di altre che in esse rinvengono il loro fondamento.
11
Le fonti di rango superiore, collocate sul gradino più alto della scala
gerarchica sono cioè condizionanti nei riguardi delle fonti inferiori,
per le quali determinano sia l’autorità competente ad emanarle sia le
procedure da seguire (è il caso specifico dei regolamenti previsti dalla
L. 400 / 1988).
Le fonti di rango inferiore, viceversa, ne risultano condizionate, in
quanto tenute a rispettarne le prescrizioni tanto di carattere
procedurale che sostanziale.
11
Paladin L.; Diritto costituzionale; Padova, Cedam, 1995; pp. 135.
In particolare va detto che di gerarchia può parlarsi in due sensi, l’uno
sostanziale, l’altro formale. Nel primo la gerarchia identifica un
rapporto tra condizionante e condizionato.
Nel secondo senso la gerarchia (detta anche strutturale) attiene
direttamente al rapporto tra le fonti in quanto si ricollega al potere di
una fonte di dettare norme relative al procedimento di formazione di
altre fonti (cosi come, ad esempio, la costituzione detta norme sulla
formazione delle leggi).
12
Il principio gerarchico risulta come naturale conseguenza della
combinazione di altri due principi, affermatisi in tempi e modi diversi
ma entrambi riconosciuti dalla costituzione
13
: il principio di legalità o
della supremazia della legge sugli atti dell’esecutivo che esclude il
fatto che questi possano contraddire la legge
14
ed il principio di
costituzionalità ossia della supremazia della costituzione sugli atti
legislativi.
12
Sorrentino F., Le fonti del diritto, Genova, Ecig, 1994.
13
Zagrebelsky G., Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Milano, Eges,
1984.
14
Per i regolamenti questo principio è enunciato dall’art. 4 disp. prel. cod. civ.: ”I
regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge”.
Per gli atti dell’amministrazione, l’art. 5 L. 20 Marzo 1865 all. E (tuttora in
vigore): “Le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i
regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alla legge”.
Secondo le tesi gradualistiche di stampo kelseniano, al vertice del
sistema, dovrebbe trovarsi sempre la costituzione, concepita come
fonte primaria delle norme sulla normazione ed il rapporto che lega
gerarchicamente le norme è un rapporto di delegazione
15
.
Un simile postulato, esposto nella Teoria generale del diritto, non
trova riscontro in quegli ordinamenti statali in cui vigono costituzioni
di tipo flessibile.
16
Si è già accennato alla potenzialità che fonti di rango superiore
determinino procedure ed autorità per la produzione di leggi.
In questo cenno si è fatto riferimento alla L. 400 / 1988; questo
intervento normativo si colloca in un contesto più ampio che ha, via
via, visto assumere la legge dello Stato a fonte parametro di esistenza
e validità di tutti gli altri fatti ed atti di produzione giuridica.
17
Quanto detto è la conseguenza logica di un ricorso sempre più
massiccio all’uso della legge nella disciplina dei rapporti sociali.
15
Gavazzi G., Elementi di teoria del diritto, Torino, Giappichelli, 1984.
16
Paladin L., Diritto costituzionale, Padova, Cedam, 1995. sulle critiche alla
Grundnorm v. Tammelo I., Drei rechtsphilosophische Aufsätze, Milano, Giuffré,
1976, v. anche Frosini V. La critica italiana a Kelsen, Milano, Giuffré, 1971.
17
Ruggeri A., Gerarchia competenza e qualità nel sistema costituzionale delle
fonti; Milano, Giuffré ,1977; pp. 81 ss.; v. inoltre per la produzione normativa
del complesso Governo - Pubblica amministrazione, Sandulli, L’attività, cit.
Di recente tutto ciò ha causato un inflazione e quindi uno svilimento
di importanza dello strumento normativo in questione.
Si è creata recentemente, proprio allo scopo di ridurre questa
inflazione , la tendenza a rivalutare e potenziare poteri normativi
propri dell’esecutivo ed in particolare di quello regolamentare; questa
rivalutazione costituisce, sul piano delle fonti, un ardito tentativo di
“normativizzazione dell’esecutivo”
18
, che certamente si presenta come
una delle più importanti espressioni di questo orientamento anti-
inflattivo.
18
Ruggeri A., Gerarchia competenza e qualità nel sistema costituzionale delle
fonti normative, Milano, Giuffré, 1997.