II
Come conseguenza, poi, del ruolo che stanno rivestendo gli
enti no profit, sorge l’esigenza di individuarli e definirli. Per
questo motivo nella seconda parte del capitolo si è cercato di
darne una definizione giuridica e fiscale ed una loro
classificazione. Ma la eterogeneità di forme che caratterizza il
settore, spiega la difficoltà, tuttora esistente, di inquadrare tali
organizzazioni, non solo sul piano giuridico, ma anche su quello
fiscale (sebbene su quest’ultimo aspetto ha preso da poco
corpo una normativa di semplificazione dell’attività senza scopo
di lucro). Per un più approfondito studio del fenomeno, si è resa
necessaria la ricerca di una definizione precisa di no profit, per
identificarne, poi, le componenti principali. In particolare, nella
parte terza, viene data una dimostrazione della difficoltà
incontrata da chi cerca di rendere questo settore maggiormente
individuabile e comprensibile, visto che, oltre al termine “no
profit”, esistono ben otto diversi modi per indicare la realtà di cui
si sta parlando.
Per una maggiore comprensione del crescente sviluppo degli
enti no profit, nel secondo capitolo viene messa in evidenza la
dimensione quantitativa di questi enti e vengono elencate le
maggiori organizzazioni no profit in Italia e all’estero.
III
Successivamente, nel capitolo terzo, abbiamo analizzato quelli
che sono i meccanismi di funzionamento degli enti no profit ed
in particolare sono stati esaminati gli aspetti economico
aziendali, sottolineando l’importanza dell’adozione di una
struttura aziendale negli stessi. Inoltre, viene esaminato il
concetto di marketing e di management applicato alle aziende
no profit e i vantaggi che questi offrono, soprattutto riguardo
all’intensa attività di fund raising (raccolta di capitale di rischio)
svolta da queste ultime. Sempre riguardo alla struttura
aziendale degli enti no profit, nella terza parte di questo capitolo
viene evidenziata la necessità dell’adozione di un sistema
informativo e contabile con il quale sarà possibile trasmettere
maggiore affidabilità e garanzia, soprattutto al pubblico, con il
quale il terzo settore ha un rapporto di “dipendenza”. La sua
adozione dovrà comunque tenere conto delle specifiche
caratteristiche di questi enti. Per meglio comprendere le risorse
che utilizzano le aziende no profit vengono poi esaminate le
principali voci del loro bilancio, e in particolare viene mostrato il
bilancio di un determinato ente.
A questo punto è possibile, nel quarto capitolo, analizzare il
ruolo svolto dal “Risk management” in tutte le realtà aziendali e
le metodologie e tecniche da questo adottate, per una più
IV
appropriata gestione dei rischi e, nel quinto capitolo, esaminare
i rischi aziendali tipici delle no profit, per poi integrarli con quelli
comuni a tutte le aziende ed infine, nel sesto capitolo,
individuare gli strumenti di copertura di entrambi. Viene poi, in
ultimo, evidenziata la necessità anche per le aziende no profit
di garantirsi un equilibrio economico, in quanto qualsiasi attività
organizzata deve, per sopravvivere in autonomia, mantenersi in
equilibrio economico.
Nel settimo capitolo vengono messi in evidenza i rapporti che le
organizzazioni no profit hanno con le imprese di assicurazione,
soprattutto per una maggiore sicurezza dei loro aderenti e per
un più adeguato svolgimento dei compiti a loro attribuiti, e i
principali contratti assicurativi che stipulano con queste, con
particolare riguardo alle organizzazioni di volontariato e
volontariato protezione civile, che meglio rappresentano la
realtà no profit. Viene poi, in ultimo, fornito un esempio di
contratto assicurativo stipulato da un ente no profit.
1
CAPITOLO 1: Aspetti generali del fenomeno no profit
1.1 Origini delle no profit
Gli studi riguardanti l’alternativa Stato/mercato per la gestione
di attività economiche e non, comprendono un vastissimo
insieme di contributi e si estendono altresì a molte aree
disciplinari, dall’economia al diritto, alla sociologia. Tuttavia le
più influenti risalgono alla legislazione Americana, la quale
considera il “Terzo Settore” come attività residuale rispetto al
resto dell’economia ed al mercato.
1
Le spiegazioni che vengono date alla nascita del Terzo Settore
sono differenti a seconda che si consideri il punto di vista degli
economisti, dei politologi o dei sociologi.
2
Secondo gli economisti, iI settore del no profit ha le sue origini
perché copre quelle aree di bisogni sociali e civili in cui il
mercato e lo Stato hanno fallito
3
:
fallimento del mercato che non è riuscito a mantenere le
promesse di corretta ed efficiente allocazione delle risorse
1
Da un articolo pubblicato su Internet: “Nuova concezione dello Stato sociale e la
ratio legis nella definizione della proposta di legge sulle ONLUS”.
2
Da “Una solidarietà efficiente. Il terzo settore e le organizzazioni di volontariato”,
di Colozzi e Bassi.
3
Vedi nota 1
2
ed è stato incapace di affrontare il problema con gli
strumenti tipici dell’impresa capitalistica (tanto meno se è
improntata, come quella Americana, anche alla
speculazione e al profitto di breve periodo);
fallimento dello Stato che non riesce più a soddisfare e
garantire le attese di benessere dei cittadini.
Per quanto riguarda i temi del fallimento dello Stato, essi
appaiono, almeno nei loro aspetti più teorici, strettamente
collegati alla scuola di “public choice” (economia delle scelte
pubbliche), la quale, benché nata negli anni Cinquanta, ottenne
la sua definitiva legittimazione di disciplina economica solo
nello scorso decennio
4
.
In linea di principio, la public choice non si pone contro
l’intervento dello Stato, ma contesta i meccanismi decisionali
che lo precedono. Infatti, per i suoi teorici (che qui saranno
sintetizzati nella figura del caposcuola Buchanan) le ipotesi alla
base dell’economia del benessere (in altre parole del primo
studio economico che abbia in qualche modo considerato le
istituzioni pubbliche) sono irrealistiche e di limitata applicazione:
4
Si veda l’introduzione di Domenico Da Empoli all’antologia dedicata a J.M.
Buchanam (1989). A quest’ultima si farà riferimento per tutte le citazioni riguardanti
l’economista americano.
3
in primo luogo, perché vi si sostiene che l’economista possa
correttamente supporre quali sarebbero le scelte degli individui
di fronte a un dato schema di scelte; in secondo luogo, perché
concetti come quello di “benessere sociale” o di “utilità sociale”
sono troppo vaghi per un’analisi dell’intervento pubblico.
Pertanto, all’onniscienza dell’economista, che dovrebbe
misurare gli incrementi di benessere nelle diverse proposte di
intervento pubblico, la public choice sostituisce l’asettica
rilevazione delle effettive preferenze manifestate dai cittadini.
Con una visione che si può definire contrattualistica, Buchanan
sostiene che lo Stato ha la sua ragion d’essere finché soddisfa
le esigenze dei propri membri, a prescindere dal fatto che
queste conducano o no ad un punto di ottimo. E’ evidente allora
che la soddisfazione di tali esigenze sarà assicurata non certo
dal grado di benessere sociale dell’intervento pubblico (che non
indica, ad esempio, come i singoli beneficiano di tali vantaggi),
ma piuttosto dalla garanzia che le scelte dello Stato siano
basate sul consenso.
A tale scopo il processo che porta dalla manifestazione delle
preferenze individuali alla definizione di una politica statale è
distinto in due livelli: il livello costituente, che definisce le
cosiddette “regole del gioco”, i criteri di formazione delle norme
4
operative; il livello operativo, dove, sulla base dei parametri
stabiliti al livello superiore, si prendono le decisioni concrete.
Mentre per il momento costituente occorre l’unanimità dei
pareri, nella fase operativa si preferisce la regola della
maggioranza, con quorum varianti secondo il tipo di scelte.
L’economia delle scelte pubbliche non tralascia, in effetti, di
mettere in luce le difficoltà di funzionamento dei meccanismi di
voto, con particolare riguardo a quello unanimistico che, se
adottato in qualsiasi situazione, rischia di condurre alla paralisi
decisionale.
Viene quindi a delinearsi un modello di costituzionalismo
economico in cui:
1) nel livello costituente, i consociati non conoscono con
certezza il rapporto causa-effetto fra le preferenze
manifestate e i propri interessi privati, e ciò garantisce
l’obiettività delle loro scelte e il consenso in merito anche a
decisioni poco gradite (quali ad esempio quelle riguardanti
l’imposizione fiscale);
2) nel livello operativo, le regole “impopolari” acquisite in
precedenza, garantiscono la collettività contro
5
comportamenti opportunistici, qui, invece, molto rischiosi,
perché gli effetti delle scelte sono di più agevole stima.
Come si vede, l’idea che lo Stato svolga i propri compiti in
maniera inefficiente e/o inefficace, rappresenta solo un aspetto
della teoria della public choice, la quale si è limitata, dal punto
di vista dell’efficienza, a descrivere situazioni di ipotetica
paralisi decisionale e, dal punto di vista dell’efficacia, a negare
l’opportunità di un giudizio sul merito delle scelte determinatesi.
Ciò, è però bastato perché ne traessero spunto le teorie sul
Terzo Settore più orientate verso l’osservazione dei
comportamenti dei soggetti pubblici.
Si consideri, ad esempio, il lavoro svolto da Estelle James
(studiosa pioniera nelle indagini comparate sul Terzo Settore)
5
:
essa s’inserisce all’interno di una corrente di pensiero
6
che fa
dipendere la necessità di un’offerta privata di beni collettivi
(offerta che, secondo gli economisti, definisce le attività non
lucrative) dalle caratteristiche delle procedure decisionali
pubbliche, così come descritte negli studi di public choice.
5
Da “Non-profit marketing e valore sociale” di Paola Milanese: pag.49
6
In particolare si fa riferimento ai lavori che Weisbrod B. cominciò a pubblicare
nella seconda metà degli anni Settanta. In seguito, tuttavia, Weisbrod ha
progressivamente rivisto la propria impostazione includendo anche l’ipotesi del
“fallimento del contratto”. Da “Non-profit marketing e valore sociale” di Paola
Milanese: pag.66, nota 40.
6
Un significativo merito della public choice deriva dall’aver
liberato da una sorta di alone mitico definizioni quali quelle di
“benessere sociale” e di “utilità sociale”, mettendole in diretto
collegamento con i soggetti destinatari di quel benessere e di
quelle utilità.
Di più: se il benessere sociale non è determinato attraverso un
giudizio di efficienza economica (che, sostiene Buchanan, ha il
mero valore di un consiglio specialistico), bensì per effetto delle
scelte democraticamente effettuate da una collettività, è
evidente che le sue accezioni ed i suoi contenuti varieranno
secondo i contesti.
In modo analogo a quanto avvenuto per la teoria del fallimento
dello Stato, “anche i contributi in tema di fallimento del mercato
7
vengono di solito ricondotti ad un preciso filone di studio
dell’economia. Si tratta del filone dell’economia del benessere”.
Entrando nello specifico, l’espressione “fallimento del mercato”,
sintetizza il giudizio cui gli economisti del benessere,
pervennero lungo il percorso che doveva portarli a soddisfare
l’obiettivo della propria analisi: la definizione dell’ottimo sociale.
Tale giudizio conosce diverse varianti, di cui la più famosa
7
Da “Non-profit marketing e valore sociale” di Paola Milanese: pag. 58
7
appartiene a K. Arrow
8
.
Lo studioso americano descrive il fallimento del mercato, come
l’incapacità di quest’ultimo di condurre ad allocazioni efficienti
9
.
Tale incapacità deriverebbe da tre cause:
1) impossibilità di praticare l’esclusione, eliminando così i rischi
di free- riding;
2) mancanza di informazioni necessarie al sorgere di uno
scambio;
3) incontro della domanda e dell’offerta ad un livello nullo
(quando cioè il prezzo massimo che si è disposti a pagare è
inferiore al prezzo minimo cui si è disposti a vendere).
Arrow sostiene, infatti, che in condizioni di incertezza, sempre
più frequenti nel mondo reale, l’equilibrio economico generale
sarebbe raggiungibile solo se esistesse un insieme completo di
mercati futuri (in cui sono acquistati beni che verranno ad
esistere in un momento successivo) e di mercati contingenti
8
Premio Nobel per l’economia nel 1972, deve il proprio prestigio e la propria fama
agli studi sulle scelte sociali e, nell’ambito dell’economia del benessere,
all’impostazione di una teoria rigorosa dell’intervento pubblico.
9
Per tutte le citazioni su Arrow si fa riferimento al suo volume: “Equilibrio,
incertezza, scelta sociale”.
8
(dove si scambiano somme di denaro contro la promessa di
una determinata prestazione, condizionata, quest’ultima, al
verificarsi di un certo evento)
10
.
L’esistenza di alti costi di transazione, rende tuttavia poco
attrattiva la gestione di simili mercati, limitandone perciò lo
sviluppo.
Per illustrare il problema, Arrow propone un esempio di mercato
contingente molto interessante per chi studia il settore no profit:
il mercato dell’assistenza medica. Nel settore dell’assistenza
medica, secondo Arrow, può facilmente verificarsi un fallimento
di mercato a causa dell’asimmetria informativa fra assicurato e
assicuratore. In particolare, i problemi più comuni sono quelli
del “moral hazard”, ossia di un comportamento doloso
dell’assicurato che aumenta le dimensioni del danno, e della
selezione avversa, che occorre quando l’assicuratore non
riesce a distinguere fra individui ad alto e basso rischio. Nel
campo medico, l’azzardo morale si traduce nell’aumento dei
cosiddetti “malati immaginari” e nell’abuso di farmaci, con un
effetto moltiplicativo sulla domanda di assistenza sanitaria,
10
Il mercato futuro serve a eliminare le incertezze riguardo all’estensione nel
tempo delle preferenze, il mercato contingente ha la funzione, per chi desideri
farlo, di trasferire i rischi.
9
mentre la selezione avversa provoca un trasferimento di risorse
da chi ha una bassa propensione alla malattia a chi, al
contrario, possiede un’alta propensione ad essa.
Sulla scorta di simili considerazioni parrebbe evidente che
l’economia del benessere, pur non smentendo del tutto
l’efficienza dei meccanismi allocativi di mercato, indichi una
serie non trascurabile di casi in cui non solo quei meccanismi
falliscono, ma addirittura faticano a prendere forma.
Si tratta, come appena esposto, del caso dei beni pubblici puri,
che presentano il requisito della non-escludibilità, e di tutti quei
beni che comportano asimmetrie informative e alti costi
transazionali.
Sembra inoltre che, l’economia del benessere, abbia tracciato
una linea di demarcazione piuttosto chiara fra ciò che
appartiene alle strutture di mercato e ciò che invece ne è in
tutto o in parte estraneo: con un approccio che potrebbe essere
definito di tipo residuale, si afferma che il mercato può gestire
ogni genere di attività, fuorché quelle in cui si verificano i
cosiddetti “fallimenti”. I lavori di Arrow però, pur manifestando la
necessità di meccanismi correttivi in caso di allocazioni di
mercato inefficienti, non suggeriscono l’intervento di soggetti
alternativi; egli piuttosto concentra la sua attenzione sui
10
meccanismi di comportamento sociale che potrebbero
compensare le suddette inefficienze.
Comunque, i contributi in tema di fallimento del mercato si
avvicinano molto ad una lettura di tipo economicista sulle cause
di sviluppo del Terzo Settore
11
.
Anzi, si potrebbe ipotizzare un’identificazione quasi completa
fra gli uni e l’altra, poiché entrambi basano le loro analisi sul
concetto di asimmetria informativa. Infatti, le teorie di
ispirazione economica
12
si rifanno appunto al concetto di
“asimmetria informativa”, ossia allo squilibrio fra produttore e
consumatore (a vantaggio del primo) nella conoscenza del
bene oggetto di scambio. Poiché tale asimmetria si traduce
spesso in una fonte di profitto per le imprese, la scelta di
escludere lo scopo lucrativo, può diventare un fattore critico di
successo per le organizzazioni che lo adottano: agli occhi del
consumatore, infatti, l’opzione no profit rappresenterà una sorta
di garanzia, del fatto che la controparte contrattuale non intenda
approfittare della propria posizione di vantaggio informativo.
11
In particolare gli studi pionieristici di H. Hansmann.
12
Per tutti si citino i lavori pionieristici (primi anni Ottanta) di Henry Hansmann, cui
apertamente si contrappone la James, considerata infatti un’esponente del filone
istituzionalista (Anheier,1995).
11
Ne consegue che lo sviluppo del Terzo Settore dipenderebbe
dall’ampiezza con cui il mercato sfrutta gli eventuali squilibri
informativi fra domanda e offerta e, dagli effetti che tale
comportamento ha sul consumatore in termini di costi reali o
anche di semplici percezioni (più che di fallimento del mercato
si deve parlare di fallimento del contratto, poiché nel rapporto di
scambio fra consumatore e impresa quest’ultima sfrutterebbe i
vantaggi informativi di cui dispone per realizzare maggiori
profitti). Ecco quindi che il cliente, intravedendo nell’obiettivo
lucrativo la principale causa che spinge la controparte
contrattuale ad appropriarsi di quei vantaggi, cerca di difendersi
scegliendo organizzazioni che escludono l’obiettivo medesimo:
dunque, le no profit.
I politologi, invece, sostengono che le organizzazioni volontarie
costituiscono una versione privata del governo in quanto, non
essendoci una sola volontà della popolazione, grazie ad esse e
alle sue relazioni con tali realtà, il governo riesce ad essere
insieme e contemporaneamente, ad esempio, laico e cattolico,
abortista e antiabortista e così via.
Per quanto riguarda i sociologi, manca un paradigma comune
di riferimento e gli approcci adottati sono differenti. Secondo
alcuni studiosi non esiste una “teoria generale delle
12
organizzazioni no profit” e quindi è necessario concentrarsi
verso una comprensione più approfondita delle origini e del
comportamento delle singole forme organizzative.
W. Seibel, invece, sostiene che il settore no profit è un esempio
di nicchia organizzativa, cioè di tolleranza per comportamenti
organizzativi con un basso livello di efficienza e di efficacia, che
si giustifica perché riduce un dilemma di legittimazione che è
proprio dei sistemi politici democratici. Le organizzazioni no
profit servono cioè allo Stato in quanto affrontano i problemi
senza risolverli e senza che la loro mancata soluzione possa
venire imputata allo Stato stesso.