3
Non dunque le copie pedisseque di un sentire e di un immaginario, bensì ciò che
devia dalla “normalità” (identificando come “normali” quelle tendenze che vanno
per la maggiore, più consolidate).
E’ possibile un atteggiamento che non si limiti a pregiudizio anti-moderno e
sappia sottrarsi al kitsch, alla sovrapposizione sconclusionata di stili e linguaggi?
E’ possibile un atteggiamento che stigmatizzi le mode ossessive senza trincerarsi
in un’aura nostalgica e regressiva? Sì, esiti del genere sono perseguibili
sottraendosi all’esercizio della mera narcotizzazione cerebrale e allo stordimento
dei sensi, dicendo altro, insinuando il dubbio, stimolando la riflessione sul
rapporto realtà-finzione in uno spettatore che sia consapevole del suo
incantamento e coscientemente partecipe del gioco dialogico che si appronta per
lui e con lui tra le pieghe di un testo de-strutturato.
La tesi fa riferimento ad opere che registrano l’invasione di una sottocultura di
massa, ma che tentano di discuterla più che di eliminarla.
Unico modo, senza dubbio, di essere più forti, o più maligni, della sottocultura di
massa: sapere perché essa funziona (vale a dire: perché se ne fruisce), al fine di
trovare i mezzi per isolare questo perché, ed eventualmente utilizzarlo su un altro
registro,
1
trattandolo al secondo grado: attraverso la dissociazione delle forme dalle loro
funzioni, la loro esasperazione, caricatura, sovversione, riscrittura.
Per intervalla insaniae germinano nel contesto culturale odierno enunciati lucidi e
consapevoli dei processi di cambiamento che li sottendono a livello sia di forma
che di contenuto, capaci di offrire un riflesso problematico delle odierne strategie
comunicative.
1
G. SCARPETTA, L’impuro. Letteratura, musica e pittura: analisi della creatività contemporanea,
SugarCo Edizioni, Milano, 1985, p. 88.
4
Gli esempi sono tratti dall’ambito cinematografico, della videoarte, della
televisione. Ma come si vedrà l’analisi sarà di tipo trasversale in quanto le opere
selezionate sono campioni di quell’afflato plurilinguistico estraneo alla logica
della suddivisone anacronistica per generi e media; opere inequivocabilmente
postmoderne. Spiccano per la loro emblematicità; questa e nessun altra
motivazione né di gusto personale né tanto meno assiologica ha dettato la scelta
degli esempi.
La tesi è articolata in maniera modulare: i capitoli che la compongono, al di là
dei rimandi reciproci, sono leggibili autonomamente. Dopo aver fatto un breve
punto sull’estetica postmoderna, segue una parte dedicata all’analisi di opere
cinematografiche.
La vita è bella (in maniera velata ma incisiva) e The Truman show (più
esplicitamente), denunciano il problema del lager mediatico sublimandolo
attraverso l’ironia.
A. I. e Minority report pongono l’accento rispettivamente sul problema della
deriva dell’umano soppiantato dal residuo tecnologico e sulla crisi del visibile ad
opera della pre-visione simulacrale.
Le Iene, Pulp Fiction testimoniano in maniera ingegnosa della crisi dei generi,
della frammentazione e della commistione in luogo della linearità e della
consequenzialità narrativa.
Segue poi un sezione dedicata alla videoarte dopo che in un breve capitolo
intermedio si è fatto riferimento alla storia, ai fini e all’estetica della pubblicità.
La trilogia Me/We, Okay, Gray, infatti, attraverso la risignificazione dei topoi
televisivi, specificatamente pubblicitari, si fa latrice di contenuti altri e insoliti
come quelli della deriva dell’identità e la sua rimodulazione.
5
If 6 was 9 problematizza l’altra estetica dominante in tv: quella dei talk show. Il
video denuncia lo svuotamento della personalità parodizzando gli stilemi dei
salotti televisivi e non offrendo alcun punto di vista se non ambiguo.
La terza parte è dedicata alla televisione; è quella conclusiva e riassuntiva.
Permette di sviluppare un parallelismo tra un certo linguaggio televisivo
(denotato, continuo, fluido) e un certo linguaggio cinematografico (connotato,
ipertestuale).
Nel capitolo dedicato alla personal tv (frutto della confluenza di informatica e
telecomunicazioni in un unico medium), si discute sulle eventualità e le
conseguenze derivanti dalla possibilità di creare in tutta autonomia un palinsesto
rizomatico e individuale. Il desiderio lodevole di un’apertura significante e
significativa dei percorsi immaginativi, si scontra però col pericolo di aperture
irrelate e più meccaniche di quelle tradizionali.
Il fenomeno televisivo Blob pone l’accento sull’isteria del frammento e del
dettaglio che muove dalla pretesa di riflettere integralmente il reale cogliendo,
però, solo i legami superficiali e osceni cioè ipervisivi. Blob è un testo mobile e
ipertestuale che sa raccogliere le schegge impazzite del quotidiano in specchio
ludico. E può farlo solo tendendo verso lo specifico filmico, in ultima analisi il
montaggio. La trasmissione dunque si configura come un esperimento di
“cinematograficizzazione” della televisione.
In conclusione non posso esimermi da alcuni doverosi ringraziamenti rivolti in
primis alla relatrice prof.ssa Antonella Ottai e al correlatore prof. Giacomo
Daniele Fragapane che hanno emendato il lavoro e dispensato spunti e consigli
utili. Inoltre un sentito omaggio a quanti, amici e familiari, non hanno mancato di
6
instillarmi entusiasmo e fiducia anche inconsapevolmente, semplicemente con la
loro presenza e vicinanza affettiva. A costoro dedico la tesi.
7
IL POSTMODERNO.
Strategie e motivi ricorrenti; analisi trasversale ai generi.
Fra due strade senza via d’uscita, quella di un passato stereotipato e idealizzato
e quella di un futuro senza passato (vedasi le avanguardie ossessionate e
imbrigliate dal mito del progresso continuo negli anni ’60-’70), c’è una terza via
che si apre per la cultura dei nostri tempi.
La fuga in avanti, il radicalismo, la rottura col passato ha creato in ogni ambito
artistico una situazione di stallo che ha portato sovente a sostituire il dogma dei
divieti con l’improvvisa, ma pur prevedibile, rincorsa all’abolizione di ogni tabù e
al sovvertimento delle regole. O ci si trincera nell’accademismo e nel passato, o si
spalancano le porte all’invasione di una sottocultura di massa di cui è emblema il
trionfo del kitsch mediatico.
La terza via di cui si diceva, porta sì alla rottura dei dogmi avanguardistici, senza
rinunciare all’innovazione
cosa che d'altronde non implica obbligatoriamente la negazione pura e semplice del
passato, e nemmeno quella del kitsch dove siamo sprofondati, ma piuttosto una
maniera di trattarli al secondo grado senza innocenza, per sottrazione,
sovracodificazione, corruzione, denaturalizzazione. In altre parole, qualcosa come
un’estetica dell’impuro.
2
Quest’estetica vira decisamente in direzione del meticciato e dell’ibrido
sistematico accantonando il sogno di purezza da sempre alla base di qualsiasi
violenza perpetrata nel passato nel nome dell’arte e/o dell’ideologia. C’è sempre
2
G. SCARPETTA, L’impuro..., cit. p. 15.
8
stato, difatti, un legame obbligato tra i vari –ismi delle rivoluzioni artistiche e le
rivoluzioni politico-ideologiche: futurismo italiano e fascismo, futurismo russo e
bolscevismo, surrealismo e utopia rivoluzionaria. Tutti movimenti che aderiscono
alla chimera del culto della Modernità, che coltivano una passione per l’amnesia
storica riproponendosi di cominciare da capo, da zero. Quest’epoca s’è chiusa
congiuntamente al crollo delle grandi utopie che l’avevano connaturata. E’
implosa anche per fisiologica stanchezza culturale:
allorché l’estetica della radicalizzazione sfocia nel trionfo, in pittura, di monocromi
bianchi (minimal art); nella promozione, in musica, del rumore puro e semplice, o
dei pezzi di silenzio (Jhon Cage); nella feticizzazione, in poesia, di due o tre parole
sparse su una pagina (presumendo che la parte essenziale del messaggio sia presente
nei bianchi); nella riduzione dell’arte cinematografica a un’inquadratura fissa di
diverse ore su un grattacielo newyorkese (Warhol) o a un semplice infinito
movimento circolare di una macchina da presa (La regione centrale di Michael
Snow); allora è chiaro che non è possibile andare più lontano: a forza di
radicalizzazioni arrivano lo stallo, l’estinzione.
3
Sembrava andare da sé che ogni arte dovesse sbarazzarsi delle proprie
impurità, sottraendosi al giogo delle arti concorrenti per tendere verso una sempre
maggiore specificità. Ma dopo un periodo di ascesi e tabù, si riscopre il senso del
gioco, del piacere di trasgredire le regole teoriche, sbrigliare la fantasia in derive
impulsive eterogenee e rizomatiche. Postmodernismo, dunque, come
transavanguardia; ecco una prima definizione del fenomeno.
Ma sorgono dei problemi perché all’interno del sentire postmoderno
convergono molte tendenze anche in contrasto tra loro. Se si tratta di fare l’esatto
contrario del periodo precedente (paradossalmente ciò non è affatto lontano dalla
logica della rottura portata avanti dalle avanguardie), allora tutto può essere
permesso acriticamente e questa conclamata liberazione può coincidere con una
crisi della creatività. Oppure si tende puramente e semplicemente al ritorno
3
Ivi, p. 20.
9
indietro abusando di stereotipi classici considerando l’avventura della modernità
nulla e inutile.
4
A noi interessa analizzare quel tipo di recupero di tendenze passate e attuali
che si nutra sistematicamente e creativamente (a mo’ di sublimazione) della
distanza critica, del gioco, dello humor, dell’ironia. <<Uno dei tratti caratteristici
dell’epoca è l’uso smodato del secondo grado>>
5
che permette di problematizzare
miti, fantasie, paure, archetipi con una sostanziale abolizione delle gerarchie
culturali tra ciò che è “maggiore” e ciò che è “minore” in tutti i campi estetici. Ma
soprattutto abolizione delle gerarchie tra media e generi differenti, quasi una
necessità (cosciente o meno) della commistione. Si esaurisce il mito (moderno)
della specificità o purezza delle arti a favore di un’estetica dell’interazione.
Contemporaneamente si etichettano come postmoderne attitudini pre-moderne
o anti-modrene. La parola postmoderno non mette capo ad una filosofia o scuola
di pensiero. Postmoderno in senso lato: né come manifesto, né come stato
d’animo (visto che è troppo incerto e contraddittorio), ma semplicemente come
sintomo di una crisi generata dalla fine di un’epoca. Un altro tratto connotativo
della postmodernità, infatti, non può che essere individuato nella sua intrinseca
contraddittorietà. <<Dunque, l’et et al posto dell’aut aut: non più tesi e antitesi,
opposizioni ed esclusioni, ma inclusione, convivenza, contaminazione>>.
6
Non si
tratta di mera giustapposizione bensì di una coesistenza dinamica e flessibile.
Del termine, dunque, conviene fare uso allusivo, leggero.
Forse cominciamo a percepire nozioni con le quali non si può che flirtare: trattarle
senza inchiodarle alle loro connotazioni, né ai sistemi che si presume debbano
4
Dietro tale logica si nascondono spesso fascinazioni quantomeno equivoche e ambigue per il recupero di
certi fermenti. Come se la critica al darwinismo delle avanguardie sprigionasse il semplice opposto: un
programma di palingenesi restaurativa.
5
G. SCARPETTA, L’impuro…, cit. p. 22.
6
G. CANOVA, L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Studi
Bompiani, Milano, 2000 p. 6.
10
veicolare. In un certo senso, impiegare la disinvoltura contro lo spirito di sistema –
insomma, una maniera postmoderna di comportarsi con la parola postmoderno.
7
Come sempre accade, in ogni fase di transizione emergono spinte antiunitarie,
disgreganti, dispersive, disarmoniche. Per quanto concerne più specificatamente
l’ambito dell’audio-visivo (il tema di cui trattiamo) esso, tra gli anni ’80-’90
soprattutto, si presenta proprio in qualità di antisistema; una forma aperta entro
cui ogni elemento (cinematografico, televisivo, digitale) opera in rapporto
all’altro.
8
All’interno di questo panorama si possono delineare alcuni atteggiamenti, forme,
strategie, modelli che, per quanto in trasformazione, sono ricorrenti e distintivi
della sensibilità estetica e culturale del postmoderno:
-racconti imperfetti. Un fatto ineludibile <<è il ritorno della narrazione, del
desiderio-piacere di raccontare storie, liberi da preoccupazioni para-ideologiche,
da sperimentalismi tipici delle avanguardie artistiche e dall’ossessiva ricerca del
novum che ha caratterizzato la modernità>>.
9
Le teorie avanguardiste riguardanti
il cinema portavano alla condanna della teatralità, della narrazione, del
personaggio. Il cinema della modernità, per esempio, implicava la presenza di un
punto di vista ideologicamente forte capace di mettere capo a veri e propri saggi.
Il cinema postmoderno manifesta invece un ritorno della narrazione che però
perde ogni caratteristica del racconto classico suddiviso per generi per votarsi alla
leggerezza, dispersione, commistione, frammentazione. Si ritorna sui divieti
reintroducendo il teatrale e lo spettacolare, il racconto e pure il romanzesco,
rifocalizzando anche il cinema sull’effetto star.
7
G. SCARPETTA, L’impuro…, cit. p. 25.
8
Un esempio di convergenza e sinergia fra media, linguaggi e tecnologie audio-visive è offerto
dalla produzione e diffusione di film dal contenuto high-tech da abbinare a cd-rom interattivi per
videogames costruiti in parallelo sul tema e la trama del film.
9
A. NEGRI, Lucidi disincanti. Forme e strategie del cinema postmoderno, Bulzoni, Roma, 1996, p.
19.
11
-Frammentazione, riciclaggio, intertestualità. Stereotipi vecchi, attinti dalla
memoria-archivio dell’immaginario culturale, sono miscelati e snaturati
all’interno di testi pastiche, in una cornice nuova perché non via sia mero ritorno
indietro, ma al secondo grado. Il frammento reperto si presta, proprio per la caduta
di un contesto che lo lega, ad essere perennemente riutilizzato e mescolato con
altri reperti. In queste condizioni l’intertestualità diventa l’orizzonte inevitabile.
-Superficialità. L’insistenza sul particolare e il frammento attiene ad una cultura di
vivisezione della superficie. Tutto deve essere colto nei minimi particolare, non
esistono sguardi e punti di vista impossibili; la molteplicità e la serialità
provocano frammentazione schizofrenica. <<Gli oggetti, come i testi, sono lì:e si
mostrano allo sguardo nella frivolità gratuita della loro superficie decorativa>>.
10
-Derealizzazione o artificializzazione. Il limite tra naturale e l’artificiale, tra reale
e rappresentazione si sfuma sempre più in virtù di una tecnocultura esasperata. Il
senso del messaggio svanisce dietro effetti di autoreferenzialità. I media creano gli
avvenimenti; <<in altri termini: l’avvenimento è l’emissione; il referenziale è
soppiantato dalla performance>>.
11
Se più nulla è da prendere sic et sempliciter, se
il referenziale svanisce dietro la simulazione e la seduzione, alla fine della fiera è
l’idea stessa di “reale” ad entrare in crisi.
-Ostentazione del simulacro. Tutto è spettacolo o memoria e il reale smette di
sollecitarci direttamente. Nell’epoca del doppio permanente l’immortalità del
simulacro diviene succedaneo dell’eternità metafisica. Tutto è sempre già
nell’ordine del riflesso, del sembiante.
-Atemporalità. L’era del simulacro mette capo all’anacronismo generalizzato, alla
temporalità (e quindi spazialità) mischiata e aggrovigliata dove la morte stessa
cessa di essere pertinente. Con le immagini sintetiche, è per esempio, possibile far
10
G. CANOVA, L’alieno e il pipistrello…, cit. p. 11.
11
G. SCARPETTA, L’impuro…, cit. p. 61.
12
recitare attori morti o crearli ex abrupto
12
. Lo spazio scompare a favore della
velocità di trasmissione, della demoltiplicazione degli schermi.
-Condensazione e densità. Giacché ogni durata è stimata in termini di intensità,
assistiamo al trionfo della velocità, delle vibrazioni immediate, delle forme
brachilogiche e guizzanti.
-Componente ludica ed eccesso. C’è la possibilità di deviare dai codici
uniformatori in chiave ironica e critica giocando liberamente con i cliché
convocandoli e distanziandoli allo stesso tempo con lo humor e/o l’eccesso a
seconda dei casi.
-Plurilinguismo. Intendendo con ciò una miscela eterogenea di registri
compresenti con tutte le possibili modalità che ne conseguono: dall’antagonismo
alla continuità. Si riconoscono sì delle gerarchie di massima, ma per il piacere di
scavalcarle; si suppongono sì linee di demarcazione, ma per spostarle
infinitamente e indefinitamente.
-Euforia. Il soggetto può reagire alla dispersione che lo circonda con forme
allucinatorie. Trattasi di <<euforia (…) dominata da un’intensità di alti e bassi:
alla piattezza e mancanza di profondità del contesto culturale postmoderno
l’individuo reagisce sviluppando un’emotività molto simile a quello dello
schizofrenico o del drogato>>.
13
-Disincanto. Storie, situazioni, personaggi non sono più specchiati ma accolgono
all’interno diverse sfumature, gradazioni, un surplus di elementi parodistici. Non
c’è più l’eroe classico ed eroico in quanto ogni possibile riferimento tragico è
12
Vedasi su tutti il caso del film Il corvo (1994). Morto durante le riprese, colpito da una pallottola
vera invece che a salve, il protagonista, figlio di Bruce Lee, è sostituito in alcune scene dalla sua
immagine virtuale, creata in laboratorio con tecniche digitali. Di questi attori sintetici sempre più
spesso si nutre il cinema: dai protagonisti di Final Fantasy (2001) al golum de Il Signore degli
Anelli (2001). Del resto non è certo una casualità che queste virtualità tecniche giungano nel
momento in cui la tecnica medica permette la fecondazione assistita o la clonazione. La
concezione del Tempo non si può nemmeno dire superata, poiché non è detto che esista ancora.
13
G. CANOVA, L’alieno e il pipistrello…, cit. p. 11.
13
minato alla radice e gli stessi antagonisti sono più che altro caricature
fumettistiche. Non si tratta più di proibire gli effetti d’illusione, ma neppure di
assumerli innocentemente: c’è la tendenza a pervertire l’illusione dall’interno
combattendola per eccesso, distruggendola con la sua stessa sistematizzazione.
-Narratore autodelegittimato. Il narratore postmoderno acquista spesso un corpo e
una voce, ma allo stesso tempo il suo è un ruolo defunzionalizzato in quanto non
garantisce per l’unità semantica del testo. Sa intervenire in prima persona (anche
rivolgendosi direttamente allo spettatore), ma il suo sapere è ammantato di
ambiguità, è debole. Ipostatizza una figura di dubbio, di errore, di contraddizione.
L’io narrante è consapevole di una inadeguatezza: quella di poter rappresentare
una visione coerente del mondo.
Queste alcune delle forme e delle strategie postmoderne. Molte, abbiamo detto,
coesistono e danno vita a idiosincrasie e aporie. Un elenco completo (ove fosse
possibile) richiederebbe molto più spazio e pazienza. Si sono elencate quelle
peculiarità che tornano utili all’estrinsecazione del discorso che si intende seguire.