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INTRODUZIONE
Oggetto del presente lavoro è lo studio del rischio di credito collegato con
il finanziamento delle aziende cooperative, con particolare riferimento agli aspetti
quantitativi della valutazione stessa.
Si tratta di un argomento da sempre fonte di dibattito all’interno del
movimento cooperativo stante la dimensione solitamente molto limitata delle
singole realtà produttive e la conseguente cronica difficoltà nel reperimento delle
risorse finanziarie. Negli ultimi anni tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore nel
2007 della nuova regolamentazione bancaria in attuazione dall’accordo “Basilea
2”, il dibattito ha subito un’ulteriore accelerazione.
Il tema centrale è stabilire se l’applicazione dei nuovi strumenti di gestione
del rischio di credito che la predetta normativa ha introdotto ed in particolare i
processi operativi di assegnazione dei rating alle realtà produttive costituite in
forma “classica” (s.n.c., s.a.s, S.R.L, S.p.A, S.a.p.A) siano coerenti anche con la
forma aziendale cooperativa.
Le principali linee d’indagine su cui si sono concentrati gli sforzi fino ad
ora sono due:
da un lato ci si è domandati se la forma cooperativa evidenzi
elementi sistemici tali per cui la sua rischiosità media, (in questo
studio misurata dalla Probability Default), diverga da quella delle
aziende private;
dall’altro lato sono stati fatti dei tentativi
1
per verificare la
possibilità di modificare la struttura di ingegnerizzazione dei
rating, utilizzati poi dal sistema bancario, al fine di recepire nel
processo valutativo alcuni elementi tipici della forma cooperativa.
Ci si riferisce nel dettaglio agli istituti della “Mutualità
Prevalente”, delle “Riserve Indivisibili”, del “Prestito Sociale” e
1
Solo per citare i due più significativi ricordo la costituzione in seno a Legacoop della società
BASEL 2 S. R. L. (promossa da CCFS, COOPFOND, GENERALFOND, CFI, CCC e CNS) che
avrebbe dovuto avere il compito di fornire consulenza alle associate al fine di verificare le possibili
attività mirate ad un miglioramento del rating bancario e il tentativo di CARIPARMA
FRIULADRIA di strutturare al suo interno una procedura di generazione dei rating che tenesse
conto di alcune specificità delle cooperative.
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del “Ristorno Cooperativo”. In effetti un sistema di rating avanzato
che riesca a tenere in debita considerazione tali specificità sarebbe
utile sia alla cooperativa, che otterrebbe una valutazione più
accurata, sia alla banca che, attribuendo tendenzialmente un rating
migliore ai propri clienti, ne beneficerebbe a livello di
assorbimento di capitale.
Le motivazioni alla base della scelta dell’argomento oggetto di questo
studio nascono in ambiente professionale. Chi scrive ha svolto la sua, fino ad ora
quindicennale, attività lavorativa in vari Istituti di Credito ricoprendo
praticamente tutti i ruoli di filiale compreso quello di responsabile.
Ad oggi sto seguendo un nuovo progetto di sviluppo sul mondo
cooperativo che la mia attuale azienda, UNIPOLBANCA SPA, ha tradotto
operativamente attraverso la creazione di una nuova Divisione Cooperative che si
affianca alle classiche Divisione Persone (o Retail) e Aziende (o Corporate) sul
cui modello sono organizzate praticamente tutte le banche di interesse nazionale.
L’esperienza appare singolare nel panorama bancario italiano, anche perché non si
rivolge solo alla cooperazione sociale o al “terzo settore”, target di riferimento di
altre iniziative come BANCA ETICA e BANCA PROSSIMA, ma alla
cooperazione tutta e quindi anche a quelle realtà produttive che, costituite in
forma cooperativa, si confrontano quotidianamente sul mercato in condizioni di
concorrenza in tutti i settori economici.
Dal 1 gennaio 2012, all’interno della nuova Divisione, il mio ruolo è
quello di sviluppare il mercato di riferimento (la Lombardia) ampliando la base
clienti. In questi mesi quindi mi sono trovato ad interfacciare moltissime realtà
produttive costituite nella forma oggetto del presente studio e ho riscontrato che
molto spesso i loro amministratori lamentano, rispetto al rapporto con gli enti
finanziatori, due aspetti che ricorrono in maniera costante. Il primo inerisce
l’attribuzione del rating (e quindi anche l’applicazione conseguente del pricing) da
parte degli istituti finanziatori, assegnazione ritenuta dai cooperatori generalmente
inadeguata in quanto non strutturata per tenere conto delle loro particolarità. In
secondo luogo della scarsa conoscenza da parte del personale bancario della loro
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struttura sociale e della mancanza della consapevolezza dell’effettiva rischiosità di
una cooperativa rispetto ad un’azienda costituita nelle forme più classiche.
In particolar modo, rispetto a quest’ultimo aspetto, la circostanza risulta
essere ancora più incomprensibile se si considerano alcuni dati relativi al mondo
cooperativo citati in occasione della presentazione dell’Alleanza delle
Cooperative Italiane il 20 marzo 2012 al Parlamento Europeo dei quali riporto una
breve sintesi:
“nel 2010 l’occupazione nel settore cooperativo ha registrato un aumento
del 3% a fronte di una diminuzione complessiva dell’1%; le cooperative hanno
un’aspettativa di vita più lunga: un terzo di quelle create tra il 1970 ed il 1989
esiste ancora, mentre per gli altri tipi di impresa la proporzione è di una su
quattro. Anche il tasso di mortalità è inferiore: tra il 2006 ed il 2009 ha cessato
l’attività il 4% delle cooperative, rispetto al 6% delle altre tipologie di impresa”.
Obbiettivo del presente lavoro è quello di indagare il rischio di credito
delle aziende cooperative attraverso:
1. uno studio comparato della Probability Default delle stesse rispetto
al mercato di riferimento in cui operano;
2. uno studio andamentale sui principali indicatori economici,
patrimoniali e finanziari per il triennio 2008, 2009, 2010 delle
aziende appartenenti al campione di riferimento.
Il capitolo 1 contiene un breve richiamo ai concetti utilizzati nel prosieguo
del lavoro e alla normativa di riferimento. Non c’è, nel capitolo in oggetto,
nessuna pretesa di esaurire un argomento che richiederebbe ben più delle poche
pagine dedicate, ma si è ritenuto necessario contestualizzare, almeno nei tratti
principali, il quadro di insieme.
I risultati dello studio di cui al precedente punto 1 vengono analizzati nel
capitolo 2 attraverso la dinamica aggregata nazionale e per le seguenti
classificazioni: settoriale, regionale, dimensionale, per anzianità. Solo per la
regione Lombardia inoltre si procede ad un’analisi di maggior dettaglio.
Quanto emerso invece dall’analisi di cui al punto 2 viene esposto nel
capitolo 3. In questo caso il livello di dettaglio comprende, ovviamente il dato
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aggregato nazionale, ma è successivamente limitato alle categorie settoriali e
dimensionali.
Per entrambi gli studi si è redatta un’apposita Nota Metodologica con
l’indicazione delle fonti utilizzate e delle procedure seguite nell’estrazione e
nell’elaborazione dei dati. Inoltre è stato effettuato un apposito studio sulla
rappresentatività del campione utilizzato, effettuando confronti con alcuni dati
ottenuti da studi recenti di organismi riconosciuti a livello nazionale (per esigenze
che verranno chiarite nelle Note i campioni utilizzati per i due studi divergono per
alcuni aspetti, di qui la necessità di redigerne una per ogni studio).
Infine, in considerazione del fatto che il corpo principale del lavoro si
sostanzia in una serie molto consistente di dati commentati solo nei valori più
significativi per non appesantire troppo l’esposizione, nel capitolo 4 si riepilogano
i principali risultati ottenuti.
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1. IL RISCHIO DI CREDITO: ASPETTI
GENERALI
1.1. Cenni al quadro normativo di riferimento: Basilea 2
e 3
L’accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche
denominato Basilea 2 viene descritto generalmente come fondato su
un’architettura basata su tre pilastri.
Il Primo Pilastro definisce i criteri di calcolo dei requisiti patrimoniali
minimi, riforma quindi la regola dell’8% statuita dall’accordo di Basilea I,
rendendola più sensibile al rischio delle singole posizioni e completandola con
ulteriori norme inerenti in particolare, l’effetto di garanzie reali e personali, oltre
che al cosiddetto “rischio operativo”. Per la misurazione del rischio di credito
sono previsti sostanzialmente 2 differenti approcci: il metodo standardizzato
(Standard Approach), ed il sistema basato sui rating interni distinto a sua volta in
metodo di base (Foundation Approach) e metodo avanzato (Advanced Approach).
L’approccio Standard si basa essenzialmente su una serie di ponderazioni che
meglio articolano il tradizionale approccio building block già introdotto nel primo
Accordo di Basilea, infatti, l’applicazione dei pesi per le ponderazioni di rischio,
prevede la considerazione dei rating esterni delle controparti, prodotte da
organismi riconosciuti dalle autorità di vigilanza, le cosiddette External Credit
Assessment Institution (ECAI). Gli approcci Foundation e Advanced si basano
invece sui modelli interni di valutazione del merito creditizio IRB, e
rappresentano la sostanziale evoluzione proposta dal Nuovo Accordo nella
determinazione dei presidi di capitale a fronte del rischio di credito. Questi
approcci sono articolati, per gradi crescenti di sofisticazione, fino a ricomprendere
una stima della PD delle singole controparti, una stima dell’esposizione al
momento dell’inadempienza (EAD), della perdita in caso di inadempienza (LGD)
e la scadenza effettiva (maturità M); EAD e LGD sono definite da parametri
fissati dal Comitato per l’approccio Foundation, dai modelli interni della banca
nei modelli Advanced. Le banche possono accedere all’uno piuttosto che all’altro
in funzione del livello di sofisticazione del proprio sistema di analisi se
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preventivamente autorizzate dall’Autorità di Vigilanza (è notizia di questi mesi,
maggio 2012, che sono stati autorizzati due grandi gruppi italiani: UBI BANCA e
BANCO POPOLARE).
Il Secondo Pilastro mira ad accrescere i poteri ispettivi e discrezionali
delle singole autorità di Vigilanza nazionali, affiancando ai requisiti minimi basati
su un puro calcolo algebrico un insieme di vincoli operativi e organizzativi sulle
procedure poste in essere dagli enti creditizi in merito alla misura e al governo dei
propri rischi. Ciascuna Autorità di Vigilanza deve accertare che le banche
predispongano e utilizzino delle corrette procedure interne di valutazione dei
rischi e di calcolo della corrispondente e opportuna copertura patrimoniale. Il
Comitato di Basilea ha ritenuto necessario esplicitare che i rating interni e le stime
di insolvenza e di perdita assumono una portata fondamentale nell’ambito delle
funzioni di analisi e valutazione del rischio di credito, di gestione dei rischi, di
determinazione della dotazione patrimoniale e corporate governance delle banche
che adotteranno approcci IRB. Dal 2° pilastro deriva che le banche siano dotate di
un processo di valutazione della loro adeguatezza patrimoniale in relazione al
livello dei rischi assunti ed alle scelte strategiche.
Il Terzo Pilastro tratta della“disciplina di mercato” e parte dalla premessa
che il pubblico degli investitori ha un interesse immediato a monitorare la quantità
di rischi insiti nel bilancio di una banca e la loro qualità. L’accordo impone
dunque ai gruppi creditizi di fornire più informazioni al mercato rispetto al
passato, confidando che esso provvederà a “punire” le banche troppo rischiose
chiedendo loro tassi più alti, o rifiutandosi di finanziarle. I principi contenuti
riconoscono come fondamentale una maggiore trasparenza informativa delle
banche sul processo di controllo e gestione dei rischi, sull’adeguatezza e sulle
tecniche di allocazione del proprio capitale. Lo scopo di questo pilastro è quello di
integrare i requisiti patrimoniali (primo pilastro) ed il processo di controllo
prudenziale (secondo pilastro).
I tre pilastri ora ricordati hanno un “peso” non uniforme all’interno
dell’Accordo di Basilea 2. In particolare, il primo risulta preponderante e viene
trattato in modo molto dettagliato. In base alle regole descritte da questo
“pilastro”, il requisito patrimoniale totale è dato dalla somma di tre distinti
fabbisogni legati a: 1) rischio di credito; 2) rischio di mercato; 3) rischio
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operativo. Se da un lato il calcolo dei requisiti a fronte del rischio di mercato resta
sostanzialmente invariato rispetto a quanto statuito dalla normativa precedente,
dall’altro il nuovo Accordo ridefinisce in profondità le regole per il calcolo del
requisito a fronte dei rischi creditizi, mentre introduce per la prima volta un
requisito a fronte di quelli operativi.
Da ricordare infine, sempre per grandi linee, anche l’accordo stipulato il
12 settembre 2010 sempre in seno al comitato di Basilea sulla vigilanza bancaria
che ha dato il via libera tecnico al “Nuovo accordo Basilea 3” per rafforzare
ulteriormente il patrimonio delle banche e finalizzato ad evitare nuove crisi
globali come quella tutt’ora in corso. L’ulteriore rafforzamento dei requisiti
patrimoniali concordato viene attuato essenzialmente secondo due modalità:
in primo luogo si chiede una decisa ricomposizione dei requisiti
patrimoniali verso strumenti finanziari di qualità più elevata, si
potenzia cioè il cosiddetto Common Equity composto da capitale
più riserve. L'attuale requisito minimo per il patrimonio
complessivo non cambia e resta all'8% in rapporto alle attività
ponderate per il rischio, ma le banche che oggi stanziano il 2%
come Common Equity nel regime Basilea 3 dovranno portarlo
almeno al 4,5%; inoltre il Tier One, cioè il requisito del patrimonio
di base che include altri strumenti di qualità rafforzata, passa dal
4% al 6 per cento;
in secondo luogo verrà richiesto alle banche di mantenere un
cuscinetto ("buffer") di capitale aggiuntivo sopra i minimi, pari al
2,5% che potrà aumentare nelle fasi di surriscaldamento del
credito. Il buffer dovrà essere composto di capitale di elevata
qualità .
La nuova calibrazione dei requisiti è quindi più severa di quella prevista
attualmente. In merito alle tempistiche di attuazione, al fine di non compromettere
la ripresa in corso , è prevista molta gradualità, in modo da permettere alle banche
di continuare ad assicurare i adeguati flussi di credito all'economia reale. In
sostanza l’entrata in vigore è prevista in tre fasi successive: in primo luogo ci sarà
un’entrata in vigore graduale dei minimi e dei buffer per la conservazione del
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capitale (al 2013 requisiti più bassi, poi innalzamento graduale
2
); in secondo
luogo, le nuove e più severe regole sulle deduzioni dal patrimonio di vigilanza
entreranno in vigore progressivamente; infine, gli strumenti di capitale oggi
ammessi verranno esclusi gradualmente. Come effetto di questi meccanismi, i
nuovi requisiti saranno pienamente a regime solo nel 2020, cioè tra 7 anni e gli
strumenti non più computabili nel patrimonio saranno completamente esclusi solo
a partire dal 2023.
In questo mutato contesto normativo la misurazione del rischio di credito
di una determinata controparte diventa quindi di importanza fondamentale non
solo per ciò che attiene le decisioni operative relative alla filiera di Concessione
del Credito, ma anche a livello strategico nella misura in cui l’Alta Direzione
debba decidere quali siano i segmenti di clientela da considerare l’obbiettivo
dell’attività creditizia e quali invece tralasciare perché non graditi.
UNIPOLBANCA SPA non dispone ancora di un sistema basato su rating
interni. Tuttavia in prospettiva, la scelta di focalizzare la propria attenzione sul
mondo cooperativo (un mercato molto affine all’istituto tenuto conto che la
proprietà del gruppo fa capo ad un gruppo di cooperative di emanazione
Legacoop) potrebbe rivelarsi vincente in termini di riduzione della rischiosità
media del portafoglio clienti e quindi tradursi in un miglioramento dei requisiti
patrimoniali a lungo termine.
1.2. Perdita attesa
La perdita attesa (EL, expected loss) è la media della distribuzione delle
perdite che un’istituzione creditizia si attende di subire su un determinato
portafoglio prestiti. In pratica essa rappresenta la perdita, ovvero il costo, che
l’istituzione si attende (ex-ante) di dover sostenere a fronte dell’esposizione in
oggetto.
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cfr. aprile 2012, “Rapporto sullo stato di avanzamento nell’attuazione di Basilea 3”, Comitato di
Basilea per la vigilanza bancaria.
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1.2.1. La valutazione del tasso di perdita in caso di
insolvenza
La perdita attesa, come tale, può essere prevista nel suo ammontare prima
che la stessa si verifichi. La stima si basa sostanzialmente su tre parametri:
L’atteso valore dell’esposizione in caso di insolvenza (EAD,
exposure at default), che può essere stimato partendo dall’entità
dell’esposizione corrente e modificando tale valore con la
variazione che si ritiene l’entità del prestito possa subire nel lasso
di tempo intercorrente tra il giorno della stima e quello
dell’eventuale default;
La probabilità di insolvenza della controparte (Probability Default)
che indica la possibilità che una controparte sia inadempiente entro
un arco temporale di 12 mesi (si ricorda che, dal 1 gennaio 2012,
90 giorni di ritardo su un pagamento costituiscono titolo per
l’apposizione di una partita creditoria nello stato di “Incaglio
Oggettivo”);
Il tasso di perdita atteso in caso di insolvenza (LGD, loss given
default). Si tratta della percentuale dell’esposizione che l’istituto
ritiene di perdere effettivamente in caso di default della
controparte. In altri termini si tratta del complemento a 1 del tasso
di recupero (RR, recovery rate). Queste ultime grandezze sono
quelle che maggiormente sono influenzate dalla presenza di
garanzie collaterali alla posizione, ma dipendono anche dalla forma
tecnica di fido utilizzata, dal grado di liquidità delle garanzie, dal
livello di efficienza ed efficacia delle procedure per la gestione del
contenzioso e dal costo del recupero.
In forma analitica si può tradurre la perdita attesa come:
EL = EAD * PD * LGD
Il calcolo della PD è la sfida più impegnativa in quanto richiede la previa
costruzione di un sistema di rating interno. Una volta assegnato un rating ai
debitori resta comunque ancora il problema di tradurre tale rating in una
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probabilità di default. Esistono fondamentalmente tre approcci. Ne dò breve
contezza al solo fine di inquadrare il metodo utilizzato da KFECONOMICS per la
costruzione degli indici di PD che verranno utilizzati nel successivo capitolo.
Molto sinteticamente per la traduzione di un rating in una PD possiamo
utilizzare:
L’approccio statistico che prevede che la PD venga calcolata per
ogni debitore considerando il punteggio attenuto con un modello di
scoring;
L’approccio attuariale che prevede che il tasso di insolvenza
passato registrato nelle diverse classi di rating venga
successivamente utilizzato per eseguire una stima della PD futura
dei debitori assegnati alla varie classi. In pratica se l’evidenza
empirica mostra che nell’anno precedente il 3% degli emittenti con
rating A è risultato insolvente, per l’anno successivo alla classe di
rating A verrà assegnata una PD del 3%. E’ l’approccio seguito
generalmente dalle principali agenzie di rating;
L’approccio del mapping consente alle banche di stabilire una
corrispondenza tra i propri rating interni e quelli di agenzie
internazionali e di conseguenza di assegnare ai propri rating interni
le probabilità di default dei corrispettivi rating “esterni”.
Nella Nota Metodologica al capitolo 2 verrà approfondito specificatamente
il modello utilizzato da KFECONOMICS che ricalca in sostanza la metodologia
di calcolo utilizzata dalle agenzie di rating internazionali.
1.3. Perdita inattesa
Altro importante fattore da ponderare per la determinazione del rischio di
credito è la perdita inattesa (UL) che in termini generali può essere definita come
la variabilità della perdita effettiva attorno al suo valore medio EL. Da un punto di
vista economico, la fondamentale differenza tra EL e UL è che mentre la perdita
attesa consente all’istituzione creditizia di cautelarsi, in sostanza inglobando nel
costo del finanziamento anche il costo derivante da EL (e quindi anche a livello di
politiche di bilancio appostare opportuni accantonamenti), la perdita inattesa è un
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rischio non ponderabile a priori, che deve essere coperto attraverso l’allocazione
di capitale (il cui costo differenziale, rispetto al costo del finanziamento, dovrebbe
rientrare nel pricing attuato in logica “risk adverse”).