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la crescita dei soggetti sieropositivi colpiti da HIV/AIDS e patologie correlate,
che rappresentano circa il 15%; dati peraltro non attendibili in quanto almeno il
50% dei detenuti non accetta di sottoporsi volontariamente al test HIV.
Come se non bastasse vi è un incremento delle malattie a trasmissione
sessuale, quali TBC, forma di epatiti, ecc.; si assiste così alla crescita di gesti
auto ed eterolesionistici e di problemi di natura mentale.
Un tipo di utenza difficile da tutelare psicologicamente e fisicamente. che
deve indurre a salvaguardare l'integrità psico-fisica del detenuto almeno come
quella di ogni altro cittadino.
È possibile realizzare un'efficiente opera di prevenzione, di informazione se
ciò. oltre alla amministrazione carceraria, investe altre istituzioni, enti, branche
mediche per una migliore assistenza ai detenuti.
Questa è una occasione drammatica nella quale si potrà dimostrare, in modo
tangibile, la sensibilità, la capacità, la solidarietà, l'efficacia di cui la nostra
civiltà è capace.
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INTRODUZIONE
CONCETTO DI SALUTE
E DIRITTO INALIENABILE DI SALVAGUARDIA
Salute non è solo assenza di malattia, ma è il piacere e la soddisfazione di un
benessere complessivo psico-fisico-sociale dell'uomo che entra in rapporto con il
suo ambiente e con gli altri uomini.
Il promuovere la salute comporta una risposta globale, efficace e responsabile
da parte di chi offre salute (istituzioni, servizi, discipline, ecc.), in relazione ad
una domanda sempre più insistente di salute (diritto inalienabile universale).
Il concetto di salute implica un vero e proprio progetto globale di benessere
individuale e collettivo che fa ricorso a competenze, strutture, servizi, strumenti
informativi: dunque un campo di attività poliedrico non all'insegna di una logica
ripartitiva, ma di una vera e propria strategia preventiva, tesa a salvaguardare,
con la salute, le condizioni migliori che la rendano possibile.
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Ogni essere umano ha paura della malattia, perché essa comporta e porta con
sé il motivo della perdita di un bene essenziale: la salute e, con essa, il perdere
l'autonomia, la libertà e persino la vita.
Trovarsi di fronte ad una malattia considerata incomprensibile, non
dominabile, mortale è ancora più spaventevole e tenibile. Succede, allora, che i
provvedimenti, rientranti nella norma, a tutela della conservazione della salute
sono ingigantiti, dilatati, da logici diventano irrazionali, spesso dominati più
dall'emozione che dal consapevole raziocinio.
Nel caso di malattie infettive e, specificatamente dell'AIDS (Sindrome di
Immunodeficenza Acquisita), può essere comprensibile un'aria di panico, paura
terribile, tanto da causare una generale sollevazione dettata da un'ansietà che
rappresenta e costituisce una cattiva base per approntare mezzi e metodi, dal
punto di vista legislativo e comportamentale, miranti a circoscrivere le modalità
di trasmissione.
L'estremo grado dell'ansietà è il panico che scaturisce dall'attacco sferrato alla
propria incolumità, conservazione per paura dell'ignoto, per terrore di un evento
che non sembra essere dominabile; di conseguenza ciò porta a formulare giudizi
comportamenti ed atti irrazionali ove entrambe le cose sono dominate
dall'emozione.
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Le reazioni al terrore, all'ignoto, possono percorrere due strade: non
affrontare il pericolo e fuggire di fronte ad esso, oppure rivolgersi all'esterno ed
aggredire, con l'intento di ricercare una valvola di scarico, un capro espiatorio.
L'operazione di base per organizzare le difese è capire, comprendere le
motivazioni che conducono all'ansietà generalizzata e al panico. È cruciale avere
delle informazioni, il più precise possibili, sulla contagiosità, sulla diffusione,
sulle misure precauzionali da adottare nei riguardi dei singoli, delle comunità
(caserme, ospedali, carcere, ecc.). Pochi elementi, definiti con chiarezza semplice
ed elementare, possono dare migliori risultati di innumerevoli estesi proclami.
La malattia non è una colpa. La colpa vera è di non salvaguardare la salute. Il
malato non è un diverso, è invece una persona che ha bisogno di attenzione, di
cura, di rispetto e anche di un pizzico d'amore. Che essa si chiami AIDS o no, la
malattia è una sfida che va ben oltre gli steccati medico-specialisti.
Bisogna dirlo chiaramente: non si può sconfiggere l'AJDS limitando la libertà
degli individui, mediante le schedature, la demarcazione, l'isolamento del
paziente colpevolizzato, bensì insegnando a ciascun individuo a far progredire di
pari passo la propria libertà con la consapevolezza dei gesti che compie. Non si
può favorire mediante l'ostracismo, la non diffusione della malattia in quanto,
nelle persone a rischio, aumenterebbe la riservatezza e la paura nel cercare aiuto
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nelle situazioni dubbie e precoci; nello stesso tempo li porterebbe a non assolvere
il proprio dovere nel salvaguardare gli altri e la società.
Non si possono sconfiggere le malattie sessualmente trasmesse (MST)
castrando gli individui e colpevolizzando la sessualità: bensì educando ad una
sessualità che sia libera, ma, nello stesso tempo, cosciente, responsabile,
umanizzante.
Non si può sconfiggere l'epatite da siero sopprimendo il tossicomane: bensì
una nuova comprensione del fenomeno, non in termini repressivi che porterebbe
inevitabilmente al fallimento, ma con una nuova concezione della solidarietà.
Una solidarietà che si esprime nel combattere la malattia.
Scrive Calvaruso: «... ci si accorge oggi che questa società non produce
solidarietà, ma produce emarginazione sociale; il fatto che alcuni gruppi siano
esclusi socialmente dipende dai meccanismi di funzionamento della società nel
quotidiano...» (Rivista Volontariato, 1994).
La storia non è tanto nuova: non c'è difficoltà, con seicentesca memoria, nel
ripensare ai tempi in cui i poveri, gli emarginati, i malati e i vagabondi venivano
nascosti, per salvare l'immagine della città, in ghetti o in lazzaretti.
Anche se questo pericolo non sembra imminente per i soggetti con infezione
HIV, i malati terminali ed i tossicodipendenti, rimane pur sempre il vero pericolo
che è quello dell'esclusione, un pericolo che può diventare un meccanismo
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sociale per debellare non la malattia, non la tossicomania, ma abolire il rispetto
della dignità umana che costituisce uno dei diritti fondamentali.
Scrive ancora Calvaruso: «... gli esclusi ce li abbiamo dentro casa... sono i
nostri giovani... sono i malati di AIDS, i malati terminali; la loro situazione di
emarginazione mette in causa profondamente il nostro vive-re quotidiano; è
nella quotidianità dei nostri comportamenti... che è presente il processo della
esclusione sociale». (Rivista Volontariato, 1994).
Da ciò possiamo semplicemente dedurre: è importante confrontarsi,
continuamente, con il nostro vivere quotidiano, con le nostre paure, ansie, per
potere allontanare quella ombra greve e cupa che aleggia sulla sanità pubblica.
Confrontarci quotidianamente significa educarci: un'educazione che parta dai
soggetto e sfocia nel sociale, in modo regolare con fare metodico, non
sporadicamente, non da mettere in pratica nei momenti di emergenza e di paura,
ma che deve essere costantemente in conoscere, un momento di previsione che,
utilizzando le informazioni e le notizie sugli avvenimenti, prepara, o, almeno
tenta, di adottare una modalità di condotta tale da non permettere la
compromissione, o la distruzione del rapporto umano.
La salute non è un benessere che ci arriva da chissà dove, non è una specie di
utopia che si realizza chissà dove: è semplicemente quell'equilibrio che si
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instaura dentro le persone ed i propri valori vissuti e da vivere; tra le persone e
l'ambiente sociale fatto di slancio umano e solidaristico.
Un equilibrio che può essere alterato dalle decisioni e comportamenti di una
persona, da scelte negative e cattiva condotta di vita che conducono ad una serie
di malattie che mettono a repentaglio la vita stessa. L'obiettivo primario,
comunque, non è quello di far prediche o di redarguire le persone per il loro
comportamento, per le scelte sbagliate, ma è quello di promuovere la salute e
prevenire la malattia; un concetto di salute che, per dirla con parole di Staehelin
(1969), deve significare e significa: «... essere speranzosi, significa assoluta
disponibilità verso le prove e le vicissitudini individuali, indipendentemente da
come questa avvengono...».
Il problema non è di uccidere questo o quel virus, ma quello di assicurare una
qualità della vita che sia in grado di prevenire le malattie e' promuovere la salute
eliminando emarginazione, esclusione coatta, rafforzando i legami di solidarietà
nella società. Anche questa è una forma di prevenzione e di innegabile diritto alla
salute. Non può essere delegato tutto alle istituzioni, organizzazioni ed
associazioni scientifiche e non: «... è cosa troppo seria perché la si possa
affidare solo ai medici... né il filosofo, né il teologo possono sottrarsi... questi
problemi... chiamano al dialogo tutti coloro cui è affidata l'assistenza umana,
come impegno del pensiero, della ricerca e dell'azione». (Thielicke, 1970).