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INTRODUZIONE
Questo studio riguarda il sistema bancario di Polonia, Ungheria
e Repubblica Ceca e cioè di quei tre paesi dell‟Europa centro –
orientale che, compresi nella sigla PECO 3, sono considerati quelli
più progrediti nel processo di transizione dall‟economia pianificata
a quella di mercato, che ha avuto inizio al principio degli anni “90.
In questo periodo i PECO 3, come del resto tutti gli altri PECO,
stavano attraversando un periodo di recessione produttiva (infatti i
tassi di crescita del PIL furono negativi almeno fino al 1993) e per
i rappresentanti governativi responsabili della politica economica,
la ragione principale di questa crisi andava individuata nel crollo
del commercio estero tra i paesi appartenenti al COMECON che
ebbe luogo nel 1990. Tuttavia tale crollo ha esercitato effetti di
breve periodo, infatti già nel 1991 il commercio estero di Polonia
ed Ungheria cominciava a migliorare (Boffito 1996) in quanto il
flusso degli scambi commerciali era maggiormente orientato verso
le economie occidentali, mentre la durata della crisi economica è
stata ben maggiore (vedi tabella 1.1). Le vere cause di questa
profonda e lunga recessione in realtà possono essere spiegate
dalle condizioni economiche ereditate dal comunismo e più in
particolare dall‟arretratezza di un sistema finanziario che non era
in grado di sostenere la ristrutturazione e la crescita dell‟apparato
produttivo di queste economie. Da una parte vi era praticamente
l‟inesistenza di un mercato dei capitali e dall‟altra vi era la
presenza di banche fortemente condizionate dall‟esistenza di
crediti inesigibili superiori al loro capitale e non in grado di
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provvedere alla raccolta ed all‟allocazione del risparmio per gli
impieghi più produttivi.
Nel sistema economico pianificato l‟intero settore bancario era di
proprietà dello stato e il suo ruolo era passivo, cioè non orientato
verso una determinazione delle condizioni del credito; nel contesto
di questo sistema si può cioè parlare delle banche come di
strumenti del controllo statale esercitato soprattutto nei confronti
delle imprese affinché queste si attenessero al piano. In tal senso
il ruolo amministrativo del sistema bancario, sebbene passivo, non
poteva certo essere considerato trascurabile dato che esso
costituiva l‟interfaccia tra la volontà del pianificatore e
l‟adeguamento a questa da parte delle imprese. I problemi
iniziarono appunto quando le banche, come tutti gli altri operatori
del sistema economico, dovettero adeguarsi alle regole proprie di
un‟economia di mercato. Tali problemi erano dal punto di vista
quantitativo la non solvibilità delle banche a causa dell‟enorme
misura di sofferenze ereditate dal comunismo e create nel nuovo
ambiente della transizione mentre dal punto di vista qualitativo
consistevano nel nuovo modo di operare delle banche
commerciali. Se nel contesto della monobanca , la concessione
del credito alle imprese era un atto amministrativo che rendeva
operante una decisione stabilita dal pianificatore , ora essa
richiede tutta una serie di capacità e competenze :
1) il rischio rappresentato dal prenditore deve essere
accuratamente e professionalmente valutato
2) la concessione di un prestito non deve essere motivato da
relazioni speciali tra debitore e banca né deve essere il risultato di
una decisione di erogazione del credito presa in precedenza
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3) il ricorso alle procedure fallimentari deve essere la conseguente
sanzione per chi non onora i debiti alla scadenza.
Il personale della monobanca si è trovato ad un certo punto a
dover imparare un‟ “arte” che non aveva mai praticato quando la
valutazione del rischio era assente , la relazione con l‟impresa
beneficiaria del credito strettissima e il fallimento escluso dal
sistema.
A fronte di tutto questo si è presentata la necessità di
ristrutturare il sistema bancario nei PECO 3 ed in tal senso la
risposta di ognuno di essi fu diversa. Nel caso della Polonia e, in
parte, dell‟Ungheria il governo ha seguito una strategia
decentralizzata, nel contesto della quale esso ha puntato sulle
banche (che dunque si configuravano come agenti del
cambiamento) per amministrare il processo di ristrutturazione del
debito delle imprese, mentre nel caso della Repubblica Ceca il
governo ha contato sul trasferimento dei prestiti inesigibili ad
un‟agenzia centrale pubblica (approccio centralizzato). In entrambi
i casi ciò che avvenne fu una ricapitalizzazione delle banche
effettuata attraverso il trasferimento di titoli con una determinata
scadenza; questo risultava essere una modalità meno onerosa per
il governo rispetto al semplice ma costoso trasferimento di denaro.
L‟esperienza polacca è quella che, pur avendo avuto un limitato
successo, ha suscitato il maggior interesse; infatti il programma di
ristrutturazione finanziaria riguardante allo stesso tempo banche e
imprese, lanciato nel marzo del 1993, ha rappresentato un valido
punto di riferimento per altri paesi di quest‟area. Esso spiccava per
la sua complessità e per la struttura di incentivi che vi era
costruita: da un lato le banche ricevevano titoli di stato che in parte
sostituivano le sofferenze che su di esse gravavano, dall‟altro
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erano le stesse banche a doversi occupare dell‟eliminazione di
queste sofferenze attraverso la creazione di dipartimenti la cui
unica attività consisteva nella ristrutturazione delle imprese che si
trovavano nell‟impossibilità di poter ripagare i prestiti di cui
avevano beneficiato in passato. La cosa importante è che in
questo modo le banche potevano costruirsi un bagaglio di
esperienze e conoscenze che in futuro avrebbe loro permesso di
poter svolgere un‟attività realmente orientata al mercato.
Il caso ungherese da questo punto di vista si è rivelato meno
efficace: la politica di risanamento delle banche attuata dal
ministero delle finanze e dalle altre organizzazioni preposte a tal
compito fu decisamente più confusa e dispendiosa in quanto vi
furono, nel periodo compreso tra il 1991 ed il 1994, molteplici
ricapitalizzazioni delle banche e diverse cancellazioni dei debiti
che le imprese pubbliche avevano verso le prime. Tutto ciò non ha
fatto altro che indurre nelle banche e nelle stesse imprese un
atteggiamento di “moral hazard”, cioè data la loro grande
importanza soprattutto dal punto di vista dell‟occupazione e nel
contesto dell‟intero sistema finanziario (da qui l‟espressione
comunemente usata dalla letteratura “too big to fail”), entrambe
erano sicure che lo stato le avrebbe sostenute soprattutto
finanziariamente ogni volta che la loro situazione proprio dal punto
di vista finanziario si aggravava.
In relazione alla Repubblica Ceca l‟esperienza più importante,
che fa capire anche quale sia stato l‟atteggiamento delle autorità
ceche in riferimento al problema dei crediti inesigibili, è stata la
creazione di un‟agenzia pubblica che in seguito divenne una vera
e propria banca (Konsolidacni Banka) alla quale vennero trasferiti i
crediti inesigibili che rendevano difficile la situazione di bilancio di
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quelle banche nate dalla dissoluzione della monobanca; i risultati
non furono significativi: da un lato un processo di risanamento di
questo tipo non motivava le banche ad eliminare queste
sofferenze e rispetto all‟esperienza polacca non induceva le stesse
a confrontarsi direttamente con le loro difficoltà e quindi ad
accumulare quell‟esperienza utile affinché la loro attività fosse
realmente orientata al mercato; dall‟altro, c‟è da sottolineare che
già nel 1994 tutte le più importanti banche ceche erano state
protagoniste di quelle privatizzazioni che hanno destato notevole
perplessità dato che in esse la presenza dello stato risultava
essere ancora dominante.
Proprio per quel che riguarda il processo di privatizzazione
(consistente nel trasferimento del diritto di proprietà ad un “core
investor” che potesse realmente ed indipendentemente esercitare
un controllo sulla banca) esso è stato scarsamente collegato alle
precedenti esperienze di risanamento; in altri termini le banche
non sono state privatizzate grazie al processo di risanamento ma
per altre ragioni (ad esempio l‟intervento delle banche estere,
analizzato nel capitolo 5, nel processo di privatizzazione è stato
motivato soprattutto dal fatto che esse hanno molti ed importanti
clienti esteri che investono in questa regione). In Ungheria la
privatizzazione delle grandi banche ha voluto proprio indicare una
rottura con quel passato rappresentato dai ricorrenti finanziamenti
elargiti da diverse organizzazioni pubbliche; sono stati molteplici i
successi da questo punto di vista, infatti diverse banche estere
hanno rilevato quote azionarie delle grandi banche ungheresi
apportando quei capitali di cui esse hanno urgente bisogno. La
loro situazione quindi è migliorata dal punto di vista del capitale ed
inoltre sono state anche in condizione di poter usufruire del know –
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how (utile ad esempio per valutare meglio la redditività e la
credibilità di alcuni progetti da finanziare) posseduto dai loro soci
esteri.
In Polonia la ricerca di investitori strategici (soprattutto esteri)
disposti ad apportare nuovi capitali alle banche è stata più
complessa e in più di qualche caso essa ha suscitato perplessità
nei confronti dell‟opinione pubblica, in relazione soprattutto al
basso prezzo a cui le azioni di queste banche sono state vendute
agli investitori esteri, ma nonostante questo alcuni successi hanno
avuto luogo.
In Repubblica Ceca il processo di privatizzazione delle banche è
stato più veloce; a differenza di Polonia ed Ungheria non si è posto
infatti il problema della determinazione del prezzo di vendita delle
azioni. Conseguentemente all‟adozione di uno schema di
privatizzazione basato sulla distribuzione ai cittadini cechi di
voucher, vi è stato nell‟arco di quattro anni un repentino, quanto
inutile, cambiamento della struttura di proprietà anche per quel che
riguarda le banche. Il fatto è che se in Polonia e soprattutto
Ungheria è stata chiara la presenza di un “core investor” nella
proprietà delle banche lo stesso non si può dire per la Repubblica
Ceca dove il metodo dei voucher ha implicato una notevole
frammentazione della proprietà ed una presenza ancora
dominante dello stato. In questa situazione è emerso il ruolo
chiave dei fondi di investimento, molti dei quali sono stati creati
dalle stesse banche dando origine ad un conflitto di interessi che a
sua volta ha implicato l‟esistenza di una situazione poco
trasparente, in cui la vigilanza nei confronti delle banche si è
rivelata carente e nel contesto della quale si è assistito a diversi
scandali e fallimenti riguardanti le stesse banche. Solo a partire dal
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1996 hanno cominciato ad aver luogo reali privatizzazioni di
alcune grandi banche ceche ad opera soprattutto di investitori
esteri.
Questo studio è organizzato come segue: nel primo capitolo vi è
una breve descrizione del ruolo del sistema bancario
nell‟economia pianificata ed una spiegazione dei problemi che
esso ha ereditato dal comunismo; nei successivi tre capitoli
vengono considerati i tre diversi approcci di risanamento delle
banche che sono stati seguiti in ognuno dei PECO 3, mentre
nell‟ultimo capitolo sono analizzate le diverse strategie di
privatizzazione riguardanti questi stessi stati e l‟impegno delle
banche estere in questa regione.
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CAPITOLO 1
PROBLEMATICHE RIGUARDANTI IL SISTEMA
BANCARIO ALL’INIZIO DELLA TRANSIZIONE NEI
PECO 3: EREDITA’ DAL COMUNISMO
1.1 Il sistema bancario nel periodo della pianificazione
Nel sistema economico pianificato l‟intero settore bancario era di
proprietà dello stato e il suo ruolo era passivo, cioè non orientato
verso una determinazione delle condizioni del credito ; nel
contesto di questo sistema si può cioè parlare delle banche come
di strumenti del controllo statale (aventi quindi un ruolo
amministrativo e non politico) esercitato soprattutto nei confronti
delle imprese affinché queste si attenessero al piano. Questo
controllo era esercitato grazie al fatto che la banca di stato era
presente con i suoi uffici in tutto il territorio i quali, insieme alle
diverse banche specializzate, dipendevano da una sede centrale
che dirigeva dunque l‟attività di una banca di risparmio, di una
banca di investimento, di una banca commerciale ecc.. e proprio in
questo senso si configurava il sistema della “monobanca”.
Anche per quel che riguarda il rapporto con la clientela questo
non poteva che essere unicamente di natura amministrativa dato
che i risparmiatori non avevano alternative (almeno legalmente) al
fatto di effettuare depositi presso la monobanca; per le imprese,
d‟altra parte, ricorrere a dei conti bancari non era tanto il risultato
di un calcolo di convenienza ma piuttosto un obbligo che implicava
il rispetto di vincoli e regole di comportamento istituiti perché
l‟attività dell‟impresa potesse conformarsi ai dettati del piano
11
redatto dal centro. In tal senso la monobanca esercitava la sua
attività di controllo: i fondi raccolti, sborsati, presi a prestito dalle
imprese dovevano coincidere con le cifre che figuravano nel piano;
la monobanca era dunque in una vantaggiosa posizione in quanto
si configurava come un enorme centro contabile in cui il deposito
di moneta era la traccia di un avvenuto flusso reale e questo le
consentiva di avere un continuo e completo panorama di ogni
impresa e dei suoi progressi nell‟aderire agli obiettivi del piano.
La posizione della monobanca era ancora più strategica per il fatto
che un‟impresa poteva usare i propri fondi, così come quelli presi a
prestito, solo per specifici propositi dettagliati nel piano produttivo
e finanziario che la riguardavano. Il controllo che la monobanca
doveva effettuare a tal fine si traduceva nell‟istituire diversi
sottoconti corrispondenti ad una specifica funzione: il denaro
destinato a coprire l‟acquisto di materiali e semilavorati, ad
esempio, non poteva essere usato per pagare i salari e viceversa;
tra questi diversi sottoconti non vi poteva essere un libero flusso di
denaro e ciò da una parte dava origine ad un particolare tipo di
inconvertibilità interna che rafforzava la rigidità dell‟attività
economica
1
(e la moneta non era riconosciuta come universale
mezzo di scambio), dall‟altra permetteva di essere sicuri che i
fondi fossero sborsati per l‟obiettivo specifico per cui il credito era
ottenuto.
Qual‟ era la natura del credito bancario concesso alle imprese? Si
trattava soprattutto di credito a breve termine che nel bilancio
1
Un altro tipo di inconvertibilità interna della moneta faceva riferimento al sistema dei
pagamenti: il denaro per le famiglie era diverso da quello delle imprese nel senso che la
popolazione sfruttava il contante come mezzo di pagamento e vi era dunque un‟effettiva
circolazione di denaro; per quel che riguarda le imprese questa circolazione era più virtuale
nel senso che vi erano trasferimenti automatici da un conto bancario di un‟impresa a quello di
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dell‟impresa si traduceva nella dotazione di capitale circolante; ora,
questa dotazione di circolante da parte della banca era minima,
cioè il credito era concesso per un fine particolare o in altri termini
vi era una compartimentazione dei prestiti per obiettivo. La ragione
di questo risiedeva nel fatto che era compito della monobanca
rafforzare la disciplina finanziaria dell‟impresa; minimizzando la
dotazione di capitale circolante le imprese erano ripetutamente
costrette a chiedere prestiti alla prima offrendole così una
possibilità di influenzare la loro attività quotidiana. Per quel che
riguarda il credito a lungo termine questo si traduceva nella
concessione e dotazione di fondi da parte del bilancio; quando ciò
non accadeva erano le banche specializzate (soprattutto la banca
per gli investimenti) a fare queste concessioni sulla base di quello
che era stato deciso nel piano oppure perché il pianificatore non
aveva considerato una particolare esigenza di finanziamento.
Il costo del credito, cioè il tasso di interesse, era trascurato nel
senso che era trattato semplicemente come una spesa accessoria
per coprire i costi operativi del sistema bancario e il reddito che da
questo tasso derivava era considerato di tipo parassita. Proprio
per questo negli anni della pianificazione si è notata una sua
rigidità e non sono stati fatti, di norma, tentativi di usare il livello del
tasso di interesse sia per influenzare il volume aggregato o la
distribuzione dei prestiti e degli investimenti reali, sia per arrivare
all‟equilibrio tra domanda e offerta degli stessi prestiti.
un‟altra. La convertibilità tra questi due tipi di monete aveva luogo in pochissimi casi, ad
esempio per il pagamento dei salari.
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1.2 Eredità dell’economia pianificata per i PECO 3
I problemi che si presentarono ai PECO 3, nell‟ambito del
settore bancario all‟inizio della transizione, erano dal punto di vista
quantitativo, la non solvibilità delle banche a causa dell‟enorme
misura di prestiti inesigibili (o sofferenze)
2
ereditati dal comunismo
e create nel nuovo ambiente della transizione mentre dal punto di
vista qualitativo il problema era il nuovo modo di operare delle
banche commerciali (nate con l‟istituzione del sistema bancario a
due livelli). Se nel contesto della monobanca , la concessione del
credito alle imprese era un atto amministrativo che rendeva
operante una decisione stabilita dal pianificatore , ora essa
richiede tutta una serie di capacità e competenze :
1) il rischio rappresentato dal prenditore deve essere
accuratamente e professionalmente valutato
2) la concessione di un prestito non deve essere motivato da
relazioni speciali tra debitore e banca ne deve essere il risultato di
una decisione di erogazione del credito presa in precedenza
3) il ricorso alle procedure fallimentari deve essere la conseguente
sanzione per chi non onora i debiti alla scadenza.
Il personale della monobanca si è trovato ad un certo punto a
dover imparare un‟ “arte” che non aveva mai praticato quando la
valutazione del rischio era assente , la relazione con l‟impresa
beneficiaria del credito strettissima e il fallimento escluso dal
sistema. In pratica si trattava di elevare la redditività delle banche.
All‟inizio della transizione il problema delle sofferenze non era
2
Questi prestiti inesigibili rappresentano l‟esposizione per cassa nei confronti di soggetti in
stato di insolvenza indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate
dall‟impresa; per definizione quindi le sofferenze che gravano sulle banche fanno riferimento
non tanto ad una crisi di liquidità delle imprese ma ad un loro stato di insolvenza che è
logicamente più grave (Onado 1996).
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neanche così grave dato che gli alti tassi di inflazione (vedi tabella
1.1) caratterizzanti ciascuna delle economie sotto esame, rendeva
i tassi di interesse reali molto bassi se non addirittura negativi; il
problema era invece l‟adattamento ad una situazione del tutto
nuova.
A fronte di tutto questo si è presentata quindi la necessità di
ristrutturare il sistema bancario nei PECO 3 in modo tale che fattori
come la solvibilità e la redditività divenissero sue caratteristiche
qualificanti. Sebbene il raggiungimento della solvibilità si configura
come un fine di breve periodo, mentre quello della redditività
come un fine di lungo periodo ciò non significa che essi siano due
obiettivi totalmente distinti; infatti l‟esistenza dell‟enorme quantità
di prestiti inesigibili può essere vista come la difficoltà da parte dei
sistemi bancari dei PECO 3 di adattarsi alle mutate condizioni
(oltre che come la conseguenza di alcuni shock macroeconomici
come il crollo del commercio tra i paesi appartenenti al
COMECON). In tal senso la risoluzione del problema relativo alla
solvibilità delle banche è necessaria ma non sufficiente per
migliorare la situazione nel suo complesso. Il vero problema è il
miglioramento della loro redditività che è associata profondamente
al loro comportamento; infatti rendere una banca solvibile, come si
vedrà nei successivi capitoli, pur implicando notevoli sacrifici (in
termini ad esempio di investimenti potenzialmente realizzabili ma
che non potevano essere fatti per la difficile situazione di bilancio),
non ha richiesto abilità particolari: bastava che questi prestiti
inesigibili gravassero su altre organizzazioni pubbliche piuttosto
che sulle banche per migliorare la loro situazione di bilancio. Il
fatto è che in tal modo il problema si è riproposto anche con
maggiore gravità in quanto le banche e le imprese, come gli eventi
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hanno dimostrato, hanno assunto un atteggiamento di “moral
hazard” cioè hanno atteso dal governo altri aiuti per quel che
riguarda la loro situazione di bilancio.
Dunque il problema vero per i governi dei PECO 3 è stato, ed è,
quello di far cambiare l‟atteggiamento delle banche facendo capire
loro che sostegni di questo tipo non è possibile considerarli
ripetitivi e spetta ad esse sviluppare tutta una serie di capacità e
competenze a fronte delle mutate condizioni economiche. La
grave contraddizione risiedeva nel fatto che all‟inizio della
transizione era lo stesso governo ad indurre nelle banche un
comportamento di moral hazard in quanto il legame tra di essi
ricalcava quello tipico dell‟era della pianificazione; anche nei
PECO 3, come in tutte le economie in transizione, erano esercitate
forti pressioni politiche sulle banche per sostenere le imprese
pubbliche (soprattutto quelle grandi) dato che i governi erano
molto più preoccupati di perseguire obiettivi sociali come quello
dell‟occupazione al fine anche di minimizzare i costi associati ad
una sua riduzione.
E‟ in tal modo che sono stati rinnovati dalle banche commerciali
statali i prestiti verso le imprese di stato o che ha avuto luogo una
capitalizzazione degli interessi: se una banca presta 100 ad
un‟impresa ad un interesse del 10% ciò che questa deve restituire
alla scadenza è 110; nei PECO ciò che si è verificato è stato il
mancato rimborso da parte dell'impresa verso la banca ed essa a
sua volta ha assunto che il capitale prestato non fosse più 100 ma
110 e su questo è stato applicato nuovamente l‟interesse del 10%,
ma il suo livello avrebbe potuto essere anche più alto. A questo
punto l‟impresa, proprio per il fatto che gli interessi precedenti
sono stati trasformati in capitale si è trovata a dover restituire una
16
somma pari a 121, la quale in futuro avrebbe potuto ulteriormente
aumentare.
1.3 Sistema bancario e condizione macroeconomica nei
PECO 3
Benché la condizione macroeconomica nei PECO 3 fosse
migliore rispetto a quella degli altri PECO ciò non significava
un‟assoluta assenza di instabilità. Come si può notare dalla tabella
1.2 all‟inizio delle riforme l‟inflazione era alta (fattore che poteva
nascondere il problema dei crediti inesigibili) e
TABELLA 1.1 PRODOTTO INTERNO LORDO, 1990-95 (SAGGI ANNUI PERCENTUALI DI VARIAZIONE A
PREZZI COSTANTI)
1990 1991 1992 1993 1994 1995
POLONIA -11,6 -7 2,6 3,8 5,1 7
REPUBBLICA CECA -0,4 -14,2 -7,1 -0,9 2,6 4,8
UNGHERIA -3,9 -11,1 -5 -1,5 2,5 1,5
SLOVACCHIA -3,3 -17,8 -7 -4,1 4,8 7,4
BULGARIA -9,1 -11,7 -7,3 -2,4 1,4 2,6
ROMANIA -5,6 -12,9 -13,7 1,3 3,5 6,9
ALBANIA -13,1 -27,7 -9,7 11 7,4 11,3
SLOVENIA -4,7 -8,1 -5,4 1,3 5,5 3,5
CROAZIA -8,5 -20,9 -9,7 -3,7 0,8 -1,5
ESTONIA -8,1 -10 -14,2 -8,6 -3,2 0,8
LETTONIA 2,7 -10,4 -34,9 -14,9 0,6 -1,6
LITUANIA -6,9 -13,1 -39,3 -27,1 1 3
RUSSIA -18,6 -12,0 14,0 4,3
FONTE: BOFFITO 1996 (STATISTICHE NAZIONALI)
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TABELLA 1.2 TASSI D‟INFLAZIONE, 1990-95 (VARIAZIONI % ANNUE)
1990 1991 1992 1993 1994 1995
POLONIA 585,8 70,3 43,0 35,3 32,2 27,8
REPUBBLICA CECA 15,2 56,7 11,1 20,8 10,0 9,1
UNGHERIA 29,4 34,2 22,9 22,5 18,8 9,9
SLOVACCHIA 10,4 61,4 10,0 25,1 11,7 28,2
BULGARIA 23,8 438,5 79,4 56,1 87,1 62,8
ROMANIA 5,1 174,5 210,4 256,1 136,8 32,3
ALBANIA 104,1 236,6 85,0 22,6 7,0
SLOVENIA 117,7 201,3 32,3 19,9 12,6
CROAZIA 123,0 665,5 1517,5 97,6 1,7
ESTONIA 283,0 1073,0 89,8 47,6 28,9
LETTONIA 172,2 949,7 109,0 35,8 25,0
LITUANIA 216,4 1020,0 410,7 72,0 39,7
RUSSIA 2318 841 203,0 131,0
FONTE :UNECE, 1994-95, E STATISTICHE NAZIONALI (BOFFITO “96).
il problema della crescita (tabella 1.1) era senz‟altro urgente,
dato che fino al 1993 i relativi tassi, in linea con quelli delle altre
economie in transizione, erano negativi.
Nel periodo considerato i PECO 3, oltre che in un clima di
instabilità, erano anche in clima di recessione le cui cause erano
individuate nel crollo del commercio tra i paesi appartenenti all‟ex
COMECON (responsabile della diminuzione della produzione da
un lato e dei consumi e degli investimenti dall‟altro) ma ancor più
nelle condizioni ereditate dal comunismo: i governi adottando
politiche economiche rivolte ad un cambiamento che fosse il più
rapido possibile, si attendevano da parte del sistema economico
una reazione paragonabile a quella propria delle economie di
mercato. Il sistema economico in transizione ha invece rivelato