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2
suoi risultati, in quanto le teorie etiche e le regole morali si occupano proprio
di queste ultime cose.
La scelta, infatti, tra cosa si deve fare e cosa no, comporta delle nozioni
diverse di “dovere”, dovendo distinguere tra l’obbligo deontologico, ossia il
dovere che dobbiamo compiere, e le conseguenze che ne derivano. Il legame
tra questi due elementi è importante e una loro dissociazione è un errore,
secondo l’economista indiano A. K. Sen, perciò occorre anche distinguere tra
le correnti definite deontologiche, seguite tra l’altro da Kant, il quale
attribuisce un ruolo importante al concetto di dovere, e quelle chiamate
consequenzialiste, che deducono il dovere sul fondamento delle sue
conseguenze4.
Nell’idea di molti materialisti francesi, affermando che “uno stato di cose o
un’esperienza è buona o cattiva non facciamo altro che esprimere i nostri
desideri e le nostre avversioni”: una posizione questa che, nella formulazione
più estrema, proposta da Alfred Ayer, implica che “sia le norme morali che i
giudizi di valore, sono “esclamativi”, privi di significato e la loro funzione è
quella di esprimere emozioni5.
La legge, infatti, è un sistema che stabilisce delle regole di condotta umana e
ne impone il rispetto attraverso la minaccia di sanzioni, ma in campo giuridico
non assume molta importanza il motivo per il quale si è portati ad obbedire ad
un comando giuridico, se per paura di una punizione o per altre ragioni, a
differenza di ciò che accade se consideriamo le regole morali, per le quali una
condotta è considerata moralmente giusta, per definizione, solo se ispirata da
considerazioni morali.
Non è perciò sostenibile la posizione di coloro che tentano di identificare
l’etica con un discorso prettamente cristiano, inteso come “proprio della
Chiesa”, così come non si può totalmente appoggiare la posizione di Kantiana,
secondo la quale “l’etica non solo potesse, ma dovesse essere convalidata
4
Paolo Baffi definisce il dovere come “un impegno fermo a promuovere il progresso
economico e sociale, accompagnato dalla partecipazione alle difficoltà dei meno favoriti”.
Cfr. A. K. SEN, Denaro e Valore: Etica ed Economia della Finanza, Roma, PBL, 1991.
5
“L’etica è soggetta all’obiezione che le sue distinzioni sono vuote se non si dispone di
metodi di riscontro (…), ma sembra assai mal concepita un’etica che, nell’emissione dei suoi
verdetti, escluda dalla considerazione l’azione stessa”. Cfr. L. KOLAKOWSKI, Etica, op.
ult. cit.,p. 929 e anche A. K. SEN, Etica ed economia, Oxford, Laterza,1986, p.43.
3
3
senza fare appello alla volontà di Dio o ai comandi di Dio”; questo comporta il
rischio di non avere una legge morale in senso proprio, vale a dire l’etica non
sarebbe stata autonoma, quindi non sarebbe stata, propriamente, affatto
un’etica”6.
Secondo Rawls, “l’etica può essere individuata nel problema della giustizia
sociale, che è assicurata se la costituzione del sistema politico e le principali
scelte avvengono secondo il principio di diversità: un’iniziativa è giustificata
solo se migliora la situazione dei più deboli”7.
Ciò implica la presenza di un soggetto terzo, consapevole delle sue scelte, tese
al mantenimento del principio di moralità dell’intero sistema; essendo la
giustizia vista come equa distribuzione del benessere, è interessante definire il
benessere come “ben-essere”, ossia la capacità di affermare la propria
personalità.
Nella storia dell’etica ci sono stati diversi tentativi di fondare le norme e i
valori etici, poiché è proprio l’assunzione di questa diversa prospettiva che
consente di compensare tutte le diverse esigenze, le quali riescono a trovare
una loro regola se considerate singolarmente, ma non raggiungono un punto di
equilibrio generale. A volte, infatti, si va da una concezione di etica come
“correttezza”, alla valutazione di questa alla luce del sistema di regole
normative, al giudizio di utilità fondato sull’efficacia.
Seguendo una concezione utilitarista, “le azioni che accrescono la felicità sono
giuste, e il loro fine generale da cui dipendono tutte le nostre valutazioni è la
massima felicità per il maggior numero”, ma questa è una posizione spesso
assoggettata a critiche, non essendo possibile ridurre il piacere o la felicità ad
una qualità omogenea.
Da ciò segue che tutte le volte che un individuo pone come scopo del suo
comportamento la realizzazione di un piacere, non si limita a realizzare
6Cfr. L. KOLAKOWSKI, Etica, op, ult, cit, p. 944. Vedi anche nella stessa opera p. 953,
dove si afferma che l’applicazione delle regole morali non può non essere, in molti casi,
provata da conflitti, dato che le persone umane hanno diritto di avanzare pretese che sono in
conflitto tra loro, per ragioni empiriche, non logiche.
7
Cfr. L. LOMBARDINI e A. TRIPOLI (a cura di), L’economia al servizio dell’uomo , op.ult.
cit, p.86.
4
4
semplicemente un piacere, ma è moralmente lodevole, dato che accresce la
massa totale di felicità.
Nella valutazione morale sono considerati, infatti, estremamente importanti gli
effetti delle azioni, perciò un’azione produttiva di felicità è ugualmente buona,
sia che rientri nell’intenzione del soggetto produrre quell’effetto, sia che egli
realizzi qualcosa di buono per caso o per errore.
Il criterio della massima felicità, potendosi considerare un fine ultimo e non
una mera premessa, per il conseguimento di un altro fine, assume così il valore
di “criterio etico”; ciò che è importante e significativo per l’uomo etico, va ben
al di là di ciò che è sotto gli occhi e l’etica si ritiene in tal modo
scientificamente fondata8.
1.2 Riavvicinare l’etica e l’economia: nasce l’econometica.
L’etica costituisce un elemento talmente rilevante da essere considerato
inseparabile dall’economia e dal funzionamento del mercato, perciò “non è
possibile dissociare lo studio dell’economia da quello dell’etica”9, il cui
rapporto, chiamato etica economica, suscita svariati interrogativi non solo
nella società attuale, ma anche nei numerosi dibattiti che si sono succeduti nel
corso della storia economica, essendo stato sempre un tema di vivo interesse e
di profonda divisione.
Il primo tentativo di conciliazione risale già al ‘700 quando Voltaire, nel suo
libro “L’ingenuo, l’uomo dei quaranta scudi”, esprime un’opinione forte circa
la povertà, celata sotto “rivestimenti verniciati”, risultando così basata su
un’etica alzata di “scudi”, contro l’ipocrisia e la povertà della società di quel
tempo.
8
Non c’è alcuna prova né dell’asserzione che la massimizzazione dell’interesse personale
fornisca la migliore approssimazione possibile al comportamento umano effettivo, né che
esso porti necessariamente alle condizioni economiche ottimali. (A. K. SEN, Etica ed
Economia, op. ult. cit, ma vedi anche S. LOMBARDINI e A. TRIPOLI, L’economia al
servizio dell’uomo, op. cit., p. 82 e S. LOMBARDINI, La morale, l’economia e la
politica,Torino, UTET, 1993).
9
Cfr. A. K. SEN, Etica ed Economia, op.ult.cit., p. 10.
5
5
Solamente con Sen si riesce finalmente a teorizzare il legame esistente tra
etica ed economia10: egli propone un concetto di ricchezza che si discosta dalla
comune definizione, secondo la quale è misurata in base alla consistenza del
patrimonio mobile ed immobile di un individuo o di un paese nel suo
complesso. La ricchezza viene ora vista come tutto ciò che produce felicità e
non solo benessere economico, perciò anche la qualità della vita rientra tra le
variabili importanti da valutare a tale proposito.
Di conseguenza il mercato è capace di produrre ricchezza e di soddisfare le
attese ed i valori etici, che comportano lo spostamento dell’attenzione sulle
conseguenze non economiche degli atti e su quelle derivanti dalle azioni
economiche.
L’economia etica, o meglio l’econometica, non giustifica l’arricchimento
derivante dal possesso e dal commercio di denaro, ma rappresenta una
disciplina che insegna a fare un buon uso dei beni nell’interesse e nel rispetto
di sé e degli altri, trasformando in tal modo anche la concezione di credito in
un nuovo diritto umano, dalla parte di chi è socialmente più svantaggiato.
Nel corso dello sviluppo di tale rapporto ci sono sempre state delle posizioni
scettiche sulla possibilità che l’elemento etico possa inserirsi, in modo tanto
profondo, nel mondo economico: basti pensare a Marx che, nel capitolo VII de
“Il Capitale”, afferma che “il tempo per una educazione da esseri umani, per
lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento delle funzioni sociali, per rapporti
sociali (…), sono per il capitale puri e semplici fronzoli”. E’ grazie a queste e
ad altre simili posizioni che si è attuato il distacco tra etica ed economia,
comportando l’emergere di forti lacune che si sono poi verificate
nell’economia moderna.
Le argomentazioni avanzate da Sen a difesa della possibilità di un’interazione
tra questi due importanti elementi, sono basate sulla consapevolezza che
l’economia può essere resa più produttiva, prestando maggiore e più esplicita
10
A. K. Sen è un professore indiano, Premio Nobel per l’Economia nel 1998, considerato
uno “specialista delle disuguaglianze, del welfare, delle carestie e delle privazioni”, ed è
anche per queste caratteristiche, oltre che per la presenza costante nel suo pensiero
dell’elemento etico (un fattore spesso dimenticato o ignorato nel mercato del denaro), che
viene spesso definito “un economista anomalo”.
6
6
attenzione alle considerazioni di natura etica, le quali influenzano fortemente
il comportamento e il giudizio di ogni essere umano; inoltre, bisogna tenere in
considerazione la strana discordanza tra il carattere spesso “non etico”
dell’economia moderna e la sua evoluzione come branca proprio dell’etica11.
Storicamente, infatti, l’economia ha avuto due distinte origini, di cui una
connessa all’ingegneria12, l’altro più all’etica e risalente ad Aristotele che,
nella sua Etica Nicomachea, stabilisce una connessione tra l’economia e i fini
umani, per cui la ricchezza è considerata un mezzo per giungere alla
realizzazione di qualcos’altro, stimolando una riflessione negli economisti, per
allargare l’abituale visione dell’etica13.
Il primo libro scritto con un titolo simile a quello di “Economia” è lo
Arthas’astra che, tradotto dal sanscrito significa “istruzioni riguardo alla
prosperità materiale”, attribuito a Kautilya, contemporaneo di Aristotele, che
muove dall’assunto che il benessere del regno dipende dalla natura delle
transazioni14.
La relazione che si cerca di stabilire tra l’economia e l’etica muove,
comunque, dall’avere assunto la presenza di un particolare scopo da
raggiungere, facendolo però, e in questo è la particolarità, interagire con altri
scopi cui noi assegniamo un valore diverso da quello direttamente legato con
la massimizzazione dell’interesse personale.
Tali scopi, divergenti dall’assunto tipicamente razionale, spesso portano a
definire un qualsiasi allontanamento dall’obiettivo puramente egoistico
dell’interesse personale come irrazionale, per cui si giunge alla negazione
dell’importante ruolo che ricopre l’etica nei processi decisionali.
11
Un esempio di ciò si ritrova considerando il fatto che Adamo Smith, padre dell’economia
moderna, era professore di Filosofia Morale all’Università di Glasgow e a Cambridge
l’economia rientrava nel programma di insegnamento del corso di Scienza morale.
12
Questo approccio, caratterizzato dall’interesse rivolto a temi esclusivamente logistici, in
cui i fini sono ipotizzati dati e l’impegno è finalizzato tra gli altri da Léon Walras,
economista francese del XIX secolo, che pone in rilievo i numerosi problemi tecnici nei
rapporti economici, soprattutto quelli connessi al funzionamento del mercato.
13
Su questo argomento vedi A. K. SEN, Etica ed Economia , cit., p. 16-17.
14
Kautilya riflette su uno dei problemi tanto antichi e tanto nuovi, quali le attività usuraie,
per cui egli auspica un intervento dello stato al fine di fissare dei limiti massimi per i tassi di
interesse, in modo da avere validi strumenti per combatterla. Su questo vedi anche A. K.
SEN, Denaro e Valore, ecc, op. cit., p.10.
7
7
Infatti, accettare la validità dell’ipotesi su cui è basata tutta la teoria
economica, cioè un comportamento razionale degli individui, non implica
necessariamente che le persone si comportino in tal modo, determinando inter
alia un netto rifiuto della motivazione etica. In economia si assume che il
comportamento del cosiddetto “uomo economico” sia un’approssimazione
abbastanza fedele del comportamento effettivo di ogni individuo15; la
considerazione etica della persona, invece, è del tutto particolare, in quanto è
basata sulla facoltà di agire, che riconosce e rispetta, in pratica, la volontà di
ogni soggetto a voler conseguire obiettivi, impegni, valori, anche in termini di
benessere, ma con la possibilità di potersi indirizzare verso considerazioni non
riguardanti, o comunque non esclusivamente, il conseguimento del benessere.
Svariate sono le ragioni che possono spingere un individuo a comportarsi in tal
modo, basando il benessere su fondamenti più ampi del consumo personale; lo
stesso teorema fondamentale dell’economia del benessere16, giustifica un
comportamento mosso da interesse personale per un soggetto, solo in presenza
di una distribuzione iniziale di beni adeguata all’obiettivo da conseguire.
In realtà, le transazioni economiche perderebbero gran parte della loro
importanza, se non prendessero in considerazione l’interesse personale, ma lo
sforzo maggiore consiste nel riuscire ad individuare ed accettare la presenza di
ulteriori motivazioni come guida ad un processo decisionale e quando il valore
strumentale di certe regole sociali diventa tanto rilevante da essere basilare per
il conseguimento di determinati obiettivi individuali, si sente l’esigenza di
considerare tutte le circostanze sociali contingenti nella definizione del
concetto di razionalità sociale.
15
Stigler sostiene che i valori etici costituiscono oggetto di ampia adesione solo da un punto
di vista verbale, sono delle teorizzazioni senza alcun fondamento empirico, per cui nella
realtà delle cose è la massimizzazione dell’interesse personale che riesce ad imporsi.
16
Tale teorema è il risultato più importante cui è giunta la moderna teoria dell’equilibrio
economico generale: essa si basa su alcune ipotesi date, che conducono ad una situazione di
ottimalità paretiana, ossia uno stato di cose per cui nessun individuo può migliorare la
propria posizione, senza che ciò comporti il peggioramento della situazione di qualche altro
soggetto.
8
8
Ciò porta ad una rivisitazione del concetto di “economia di mercato”17,
abbandonando quella concezione su cui era basato il famoso principio della
mano invisibile, elaborato da Smith, secondo il quale ogni individuo cerca di
dare il massimo valore al suo prodotto, mirando a conseguire esclusivamente il
proprio guadagno18.
Molti economisti si sono posti di fronte a questo problema e tra questi
Zamagni sostiene che, su certi problemi, la coscienza morale ci avverte che si
deve evitare di seguire la logica di mercato, poiché ciò condurrebbe a
soluzioni eticamente inaccettabili, ma bisogna affiancare all’economia
pubblica e privata, un’economia “civile”, la cui caratteristica principale risiede
nel principio di reciprocità, secondo il quale il soggetto economico mira a
conseguire la massimizzazione dell’utilità collettiva19.
Il profitto è stato da sempre visto, secondo la teoria dominante affermata a suo
tempo da Keynes, come la forza che crea le opportunità economiche e
conduce allo sfruttamento, per cui “il motore che muove l’impresa è il profitto
e non la parsimonia”, ma l’efficacia della massimizzazione del profitto come
strumento per raggiungere l’efficienza dipende anche dal soddisfacimento di
ulteriori condizioni stringenti.
Bisogna a tal proposito, tenere presente l’aspetto positivo che si riscontra nella
funzione assegnata al profitto, sia come incentivo, sia come fonte di efficienza
economica, unitamente al riconoscimento di perdite di benessere sociale e di
possibili disuguaglianze che potrebbero essere accresciute in conseguenza di
comportamenti egoistici o opportunistici20.
17
Per “economia di mercato” s’intende un sistema economico in cui le risorse possono
essere utilizzate in base all’operare del libero mercato. Vedi AA VV., Dizionario di
Economia , 1981.
18
Smith ha contribuito a chiarire il funzionamento del meccanismo di mercato, i cui segnali
possono essere fuorvianti e quindi comportare sprechi di risorse sociali, dovuti a
comportamenti guidati unicamente dal godimento immediato da parte dei cosiddetti
“prodighi”.
19Vedi Dall’economia dell’interesse all’economia civile , disponibile sul sito internet:
http://www.citinv.it/altrafin/af296/p23.htm.
20
E’ questo il caso di comportamenti di insider trading, in cui l’uso di informazioni riservate
è giudicato con disapprovazione morale, perché lucrare abusando della fiducia altrui, non è
un atteggiamento lodevole. E’ un aspetto interessante affrontato, tra gli altri, anche in F.
BELLI, Ripensando la banca, ecc., cit., e in A. K. SEN, Denaro e Valore, ecc., op. cit.,
p.119
9
9
E’ evidente, quindi, che etica ed economia si scontrino, per la presenza di un
inevitabile conflitto tra queste due aree ma, in alcuni casi, o sotto particolari
aspetti, il massimo profitto può diventare un dovere etico (per es: il caso del
dovere manageriale nei confronti degli azionisti, che trova i suoi maggiori
sostenitori in Berle e Means).
I due aspetti della ricerca del profitto che abbiamo preso in considerazione
possono rivelarsi distinti e spesso distanti, non è difficile vedere la stretta
connessione tra etica ed economia, ma spesso “è difficile difendere la
possibilità di separarle e di praticare l’economia come una scienza sociale
oggettiva”21.
Le considerazioni di natura etica hanno, quindi, per l’economia del benessere
una ricchezza che forse non è stata mai adeguatamente valutata, perciò alcuni
elementi di fondamentale importanza nell’analisi economica vengono a
perdere il loro carattere indispensabile, grazie ad alcune restrizioni imposte dal
welfarismo e da esigenze di limitazione delle decisioni razionali.
Il ritorno di interesse per l’argomentazione etica e per il suo rapporto con
l’economia, implica quindi non solo un distacco dall’idea di attenersi
totalmente all’ipotesi basilare della tradizione economica, ma la trasforma in
un incentivo per uno studio attento del comportamento umano, allo scopo di
analizzarne i rapporti economici ed i relativi risultati, creando un rapporto tra
azione e condotta, obiettivi, scopi e valori.
21
“Il meccanismo di mercato fondato sulla ricerca del profitto merita una “lode moderata”:
nulla di meno e neppure molto di più (Cfr. A. K. SEN, Denaro e Valore, ecc., op. cit., p.112-
113)”, per cui è importante la considerazione della funzione positiva del profitto, nel
generare efficienza economica, ma bisogna anche tenere conto dei limiti. Vedi D. M.
HAUSMAN e M. S. McPHERSON, Economia, razionalità ed etica, Piacenza, 1994, p.6.
10
10
1.3 La domanda di finanza etica.
1.3.1 Il difficile rapporto tra etica e banca.
La rinascita di interesse per i principi etici non può risparmiare ai suoi effetti
un campo delicato e particolare come quello della finanza.
Spesso, infatti, si sente dire che l’attività bancaria, e in generale finanziaria,
non può avere nessun legame con l’etica, per la difficoltà che presenta il
tentativo di avvicinare l’etica al mondo bancario e per la conseguente
“dissonanza22 tra la cattiva fama di cui gode la pratica dell’attività finanziaria
e il ruolo sociale altamente positivo che indubbiamente essa assolve”. Ciò
comporta la necessità di non prescindere da questa diffusa opinione comune,
ma non si può nemmeno dimenticare il ruolo creativo svolto dalla finanza,
come sostegno indispensabile per lo sviluppo economico e del benessere.
La considerazione dell’elemento etico contribuisce alla formazione di una
visione positiva dell’attività finanziaria, perché esalta la missione
dell’intermediario creditizio nel sistema economico e, allo stesso tempo,
determina una considerazione dell’etica come componente essenziale del
contesto bancario.
La visione negativa dell’attività finanziaria deriva, invece, dalle antiche
condanne nei confronti dell’usura, che si pone alla base della nascita delle
banche; il discorso intorno a questo tema ha attraversato secoli di storia
economica, dal XII al XVII secolo fino ai nostri giorni, intendendo l’usura
come “ogni interesse, frutto del capitale”, incluso anche il prestare capitale a
interesse, non distinguendo tra la natura lecita o meno dello stesso, per la
concezione del denaro che ormai si era radicata nella coscienza del tempo.
Secondo Aristotele, infatti, l’usuraio agisce contro natura, costringendo un
bene, per sua natura infruttifero, a produrre frutti; egli inoltre, dà poco ed esige
molto.
Notevole è anche la forte avversione manifestata da sempre da parte del
mondo cristiano nei confronti di tale fenomeno e, infatti, sono numerosi i passi
della Bibbia che ce ne danno un esempio, soprattutto nell’Antico Testamento,
22
Cfr. A. K. SEN, Denaro e Valore, ecc., cit., p.84; sul ruolo della moneta vedi anche K.
POLANYI, La sussistenza dell’uomo. Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Torino,
1983, p. 183, anche se la letteratura circa questo argomento e vastissima.
11
11
in cui viene condannato come un “enorme delitto” la pratica di prestare denaro
tra ebrei, essendo invece ammessa tra stranieri, per cui si crea un concetto di
“etica tribale”23.
Jacques Le Goff, invece, offre una spiegazione di tale fenomeno basata sulla
considerazione che l’usura sia un fenomeno caratteristico dell’economia
chiusa, in cui la circolazione e l’uso della moneta sono scarsi ma, in realtà, a
ciò si può obiettare, perché la finanza è stata ripetutamente sottoposta a
numerose critiche di ordine morale, dovute all’ormai consolidato rapporto di
amore- odio che da sempre lega l’umanità al denaro, che nella concezione di
Marx è visto non come una merce, ma come un rapporto sociale.
Preliminarmente allo sviluppo di questa tematica è importante dare alcune
precisazioni circa il significato di alcuni termini chiave.
Per banca si intende l’impresa, o meglio l’ente o il soggetto, che fa del
commercio bancario l’oggetto esclusivo o principale della sua attività.
L’art. 10 del Testo Unico Bancario afferma che le banche sono “soggetti che
esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la
disciplina propria di ognuna, nonché attività connesse e strumentali”.
La parola credito, entrata a far parte del linguaggio finanziario, trae origine in
realtà dal verbo “credere”, la cui importanza è un elemento fondamentale nelle
relazioni umane, le cui caratteristiche potrebbero offrire utili spunti di
riflessione nello svolgimento dell’attività finanziaria.
23
Con lo sviluppo delle attività finanziarie, diventa ancora più importante l’interrogativo che
Aristotele si poneva circa talune attività creditizie e d’affari, che potrebbero produrre scarsi
guadagni sociali, o addirittura causare notevoli perdite (vedi A. K. SEN, Denaro e
Valore,ecc., cit., p.96). La condanna dei fenomeni usurai esisteva già dal tempo dei concili
del 305 e 306 d. C., quando si tendeva a differenziare tra il chierico e il laico. Su questo
argomento vedi la trattazione fatta in G. RAGAZZINI- M. RAGAZZINI, Breve storia
dell’usura, Bologna, 1995. L’usura è un male di cui troviamo testimonianze lontane: nel 200
a. C., Catone il Vecchio, nel De Agri Cultura, già si rifaceva agli antenati per ricordare che
essi condannavano il ladro al doppio, ma l’usuraio al quadruplo del danno. Consideravano,
cioè, quest’ultimo più riprovevole del ladro. Nel corso del tempo, si cercarono soluzioni
diverse per questo problema: la fissazione di un livello massimo del tasso di interesse (il
10% delle XII tavole, 450 a.C.); la restrizione dei mezzi di rivalsa attuabili dall’usuraio verso
il debitore inadempiente (legge Patelia del 300 a.C.); l’abbattimento del debito (legge Flacca,
80 a.C.). L’usura, che definisco come il prestito a tassi multipli di quelli di mercato, traendo
profitto dalle condizioni di bisogno del debitore, è oggi un reato, ma ha in ogni tempo
meritato la riprovazione delle società civili (Cfr. A. MARZANO, Etica e Denaro, in L’etica
nella società del denaro, a cura di I. RIZZI, Banca Europa, Stampa inedita, 1995).
12
12
Infine, il termine usura, alla cui storia è stato brevemente accennato in
precedenza, subisce nel passare dei secoli una trasformazione nel suo
significato originario, passando da “compenso per l’uso di capitale altrui,
senza alcun riferimento al fatto che fosse lecito o meno”, ad una definizione
che la considera come “il non dover essere del credito”.
La cultura del debito e dell’usura è, però, ancora lontana dall’essere superata:
attraverso vari strumenti preventivi e divulgativi è importante che si diffonda
“la cultura dell’antidebito” (la felice definizione è di Padre Massimo
Rastrelli), che si arrivi cioè ad una responsabilizzazione in materia di denaro e
di gestione di questo, evitando di incorrere in inopportune situazioni debitorie,
non sempre facili da sostenere24.
L’attività bancaria, come afferma J-F. Daigné in L’éthique Financiére, diventa
sempre più complessa per la presenza di innumerevoli e, allo stesso tempo,
complicati rapporti e interessi in gioco, spesso anche in contraddizione tra
loro, per cui le regole che le banche sono chiamate a rispettare, richiedono
valutazioni oculate, che comportano la presenza di un sempre più labile
confine tra norme etiche e non.
1.3.2 Nascita, sviluppo e caratteri della finanza etica.
Non è difficile scorgere nei risparmiatori una insoddisfazione, che spesso fa
fatica ad esprimersi, per i risultati dell’attività bancaria, una esigenza di
conoscenza degli effetti delle decisioni finanziarie, di indagare sul
comportamento umano, perché non esiste “una terza via”25: in poche
paroleuna sempre più crescente domanda di finanza etica26.
24
Cfr. A. PARENTE e L. RUSSO (a cura di: ), Speciale Sud, Le Fondazioni contro l’usura,
disponibile sul sito internet:http://www.bancaetica.com/speciale_sud.htm.
25
Centesimus Annus, Lettera Enciclica di Papa Giovanni Paolo II, Casale Monferrato, 1991,
p.177.
26L’aggettivo etico si trova ormai dappertutto, a volte è usato in modo invadente e scorretto,
esprimendo un desiderio di riferimento e di valori che vanno al di là, che si presuppongono
ma che non escono dai mercati, oppure “dire etico ti serve perché tappezzare di etico
un’operazione di vendita può costituire una buona chance per poter fare qualche cliente in
più” (Cfr. Dott. A. SODARO, Incontro- dibattito: “Dal dire al fare: Banca Etica e Consumo
13
13
Le sue origini risalgono agli anni ’60, negli Stati Uniti dove, a causa della
guerra nel Vietnam e per la presenza del problema dell’apartheid in SudAfrica,
le principali istituzioni religiose si cominciarono ad interrogare circa il
possibile uso dei loro risparmi da parte degli intermediari finanziari.
Questa situazione si trasforma nella creazione di movimenti ed associazioni
che, nello svolgere la loro attività, si pongono scopi ed obiettivi mirati a
combattere la disoccupazione, l’esclusione sociale, a promuovere la diffusione
di una cultura del rispetto dell’ambiente, per cui emerge il bisogno di trovare e
sperimentare delle alternative al sistema economico: nasce così l’alternativa
del Terzo Settore27.
Varie e differenti sono state le teorie elaborate a giustificazione della nascita
del Terzo Settore ed esse sono:
- fornitura di beni pubblici (Weisbrod, 1986), secondo cui, a causa della
elevata eterogeneità delle esigenze economiche dei consumatori, lo Stato
non riesce a soddisfarle tutte;
- fallimento dei contratti (Hansmann, 1987), per cui è impossibile per il
consumatore valutare la qualità del bene da acquistare e quindi la
differente conoscenza di questi elementi da parte dell’impresa potrebbe
condurre le stesse a sfruttare le cosiddette asimmetrie informative;
- caratteristiche dell’offerta (James, Rose- Ackerman, 1986), riguardante il
caso di imprenditori che non hanno come unico obiettivo la
massimizzazione del profitto;
- collaborazione nei servizi pubblici (Salomon, 1981), per il rapporto di
concertazione tra lo stato che si limita a formulare un quadro di interventi e
il terzo settore che sfrutta le efficenze in termini di gestione privata28.
Critico”, Trieste, 25 giugno 1995, disponibile anche sul sito
internet:http://www.spin.it/sodaro.htm).
27
Il terzo Settore, o settore non profit, raggruppa enti ed associazioni che svolgono attività
non a scopo di lucro. Esso è stato a lungo trascurato sia da parte dell’opinione pubblica, che
dal legislatore italiano, forse perché irrilevante dal punto di vista economico o forse perché si
pensa che la tutela spetti unicamente ed esclusivamente allo Stato.
28
A. CALOJA, Tra efficienza e solidarietà: la cosiddetta finanza etica come strumento di
crescita dell’impresa sociale, in S. ZAMAGNI, Mercato, Stato e giustizia sociale, Giuffré,
Milano, 1997, p.15.
14
14
Nel panorama legislativo italiano manca, però, la figura dell’ente non profit,
per cui solo recentemente si è avuta una produzione normativa specifica per
tale campo: la legge 11 agosto 1991 n. 266 sul volontariato, che ne riconosce
il valore sociale, in modo da consentirne una regolamentazione di favore; la
legge 8 novembre 1991 n. 381 sulle cooperative sociali, allo scopo di
stimolarne le potenzialità nel raggiungimento degli interessi generali della
comunità (art.1);il disegno di legge messo a punto dalla Commissione
Zamagni nel 1995, in cui si dà per la prima volta una definizione di ONLUS,
come enti con scopi solidaristici, che svolgono esclusivamente attività rivolte
al conseguimento dell’utilità sociale.
Le prime esperienze in questo campo provengono dal mondo americano; in
Europa si cominciano ad avere solo intorno agli anni settanta, sotto la spinta di
esigenze di tutela dei diritti umani; tale ritardato sviluppo è stato
probabilmente dovuto, perlomeno nel caso italiano, alle difficoltà di questo
settore nell’accreditarsi agli occhi del mondo economico come una realtà
imprenditoriale specifica, prevalendo un contesto in cui l’offerta di beni e
servizi solidaristici è a completo appannaggio di organizzazioni religiose o di
volontariato.
L’esigenza di strumenti di finanza etica spesso non trova attuazione, per cui è
necessaria una disciplina organica, che è stata oggetto di un disegno di legge
circa le “Norme per il riordino della disciplina civilistica e fiscale delle
fondazioni bancarie e per la regolamentazione della Finanza Etica”.
La prima parte di questa proposta di legge si propone di attuare una
sistemazione di quei soggetti finanziari costituiti dalle fondazioni bancarie,
che ancora residuano dall’applicazione della cosiddetta legge Amato del
199029, allo scopo di farle diventare entità non profit, impegnate nella
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La legge 218 del 1990, c. d. legge Amato, prevede tra le altre cose che le Fondazioni
subiscano uno sdoppiamento in fondazioni e società per azioni (vedi d. lgs.356/90 di
attuazione della l.218/90, art. 11, comma 2),diventando un soggetto giuridico “ibrido”, in cui
contrastano gli aspetti organizzativi, regolati dal diritto pubblico, e quelli di esercizio
dell’attività, disciplinati da norme di diritto privato.
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promozione dei settori di rilevanza sociale, così come richiede la vocazione
alla base del loro sorgere
30
.
Il termine “non profit” deve essere inteso non solo come senza scopo di lucro,
ma anche come un’altra finalità, un’attenzione diversa e una consapevolezza
responsabile per le conseguenze sociali ed umane delle azioni economiche
31
.
Tali caratteristiche si tramutano in grandi difficoltà per le organizzazioni che
fanno parte di questo settore nell’accesso ai finanziamenti presso il sistema
bancario tradizionale, per il tipo di attività svolta, i metodi organizzativi, ma
spesso anche per le garanzie minime che vengono richieste, diversamente da
quelle più consistenti necessarie alla finanza tradizionale.
Il Terzo settore, infatti, si propone di rispondere ad un bisogno sociale, a
finalità diverse o ulteriori rispetto alla sola ricerca del profitto, pone un
rimedio all’insoddisfazione proveniente dall’offerta di beni pubblici
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da parte
dello Stato, al desiderio di voler aiutare gli altri da parte di persone che però
non vogliono farlo direttamente di persona; inoltre, il vincolo della non
distribuzione degli utili crea un certo grado di fiducia più elevato nei confronti
di tali enti, che non verso le strutture solitamente considerate.
In Italia, pur essendo una realtà tutt’altro che irrilevante, questo settore è di
dimensioni sicuramente ridotte, rispetto a quelle di simili realtà, presenti in
altri paesi, come risulta da una ricerca condotta dall’IRS e dall’Università
Cattolica del Sacro Cuore, nel 1994.
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Il disegno di legge Ciampi, approvato dal consiglio dei ministri il 30 Gennaio 1997,
conferma che “le fondazioni bancarie dovranno operare in particolare nei settori della ricerca
scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della sanità e dell’assistenza alle categorie sociali
deboli”. Cfr. P. DONATI, I. COLOZZI, Nuove vie per l’altruismo. Il privato sociale in
Italia, Monti, Saronno(VA), 1998.
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Vedi L’utile socialmente utile , disponibile sul sito
internet:http://www.citinv.it/equo/qbe/utile.htm, I finanziamenti privati al non profit in
Italia , disponibile sul sito internet:http://www.citinv.it/equo/corsi/salvato/cap3.htm.
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Per “bene pubblico” si intende un bene caratterizzato dalla indivisibilità e dall’impossibilità
di esclusione. Cfr. F. ROMANI, La società leggera, Venezia, 1995,p.78.