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Capitolo 1: La dipendenza in chiave sistemico relazionale
1. La dipendenza patologica
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la dipendenza patologica come:
Condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una
sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un
bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di
provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione.
1
Con dipendenza fisica si intende uno stato fisiologico alterato causato dalla ripetuta somministrazione
di una o più sostanze psicotrope. Con l’interruzione brusca delle stesse, il consumatore sperimenta la
sindrome dell’astinenza che è una particolare condizione di malessere fisico.
La dipendenza psicologica, invece, è data dal piacere e dall’abitudine dell’assunzione (o dalla
reiterazione del comportamento) ma anche dal craving, cioè il desiderio persistente e irresistibile
verso una sostanza o un comportamento.
La dipendenza comportamentale è, infine, l’attività di ricerca e di utilizzo in maniera patologica della
sostanza o del comportamento.
1.1. Definizione neuroscientifica
Nella lingua inglese sono presenti due termini per definire i meccanismi di dipendenza: con
dependence si fa riferimento alla condizione chimico-fisica per cui l’organismo necessità della
sostanza per funzionare, cioè la dipendenza fisica. Invece, addiction sottintende sia la dipendenza
psicologica che quella comportamentale poiché descrive la ricerca ripetuta della sostanza per dare un
significato all’esistenza dell’individuo che ne fa uso.
L’astinenza si caratterizza per la presenza di sintomi emotivi o fisici quando il soggetto non assume
o, nel caso delle dipendenze comportamentali, quando non mette in atto il comportamento. I sintomi
della crisi d’astinenza sono numerosi, la tipologia e l’intensità degli effetti si differenziano in base
all’elemento da cui dipende la persona.
È importante inoltre definire altri due termini utilizzati nell’area delle dipendenze. Con uso ci si
riferisce all’atto che compie il soggetto autosomministrandosi una sostanza psicoattiva senza subire
effetti negativi. Con abuso invece si intende quando l’assunzione produce danni fisici, psicologici e
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DDL 1765, 10 marzo 2020 “Istituzione della Giornata nazionale sulle dipendenze patologiche”.
5
sociali alla persona. Nel DSM-5 è stata introdotta la categoria del “disturbo da uso di sostanze” che
al suo interno comprende sia l’abuso che la dipendenza
2
. I disturbi così classificati hanno un eziologia
multifattoriale, sono infatti legate a fattori interdipendenti tra loro di tipo genetico, ambientale, neuro
biochimico e psicologico. La modalità soggettiva di sperimentazione degli effetti di una sostanza (o
di un comportamento) e i cambiamenti che essa produce nel Sistema Nervoso Centrale sono molto
variabili e dipendono proprio dalla multifattorialità del disturbo. Inoltre, la somministrazione ripetuta
della sostanza porta l’avvio di numerosi processi biologici legati alla tolleranza, alla dipendenza fisica
e all’astinenza.
La tolleranza è il fenomeno nel quale, a seguito di ripetute somministrazioni, l’assunzione di una certa
dose di una sostanza produce un effetto ridotto e si assiste alla necessità di assumerne una dose
maggiore per ottenere gli stessi effetti provocati da quella iniziale. Con tolleranza comportamentale
invece si intende la capacità del soggetto di svolgere attività consuete nonostante l’effetto della droga.
Le sostanze psicotrope sono eterogenee tra loro e utilizzano meccanismi di azione differenti, possono
essere categorizzate per la loro capacità di indurre un effetto di appagamento. Una caratteristica
fondamentale riguarda il cambiamento che tali sostanze provocano all’interno dei circuiti cerebrali,
una conseguenza dell’assunzione è, infatti, la manifestazione di fenomeni di neuroadattamento. Le
sostanze d’abuso inducono l’attivazione del sistema neuronale del circuito della gratificazione (detto
anche della ricompensa) che è coinvolto nel rinforzo positivo dei comportamenti di assunzione.
All’interno di questo circuito è presente il sistema mesolimbico dopaminergico, è emerso da numerosi
studi in ambito neurologico che, nei soggetti utilizzatori di sostanze, i livelli di attività di tale circuito
sono maggiori. L’aumento della dopamina nel sistema della ricompensa crea quindi a livello cerebrale
la sensazione che la sostanza sia indispensabile per la sopravvivenza. Questo provoca la comparsa di
effetti collaterali organici piacevoli, l’intenso craving per la sostanza e il comportamento di ricerca
compulsivo della stessa, le conseguenze sono finalizzate al mantenimento degli effetti fisiologici.
Dagli studi, inoltre, risulta che questi processi neurofisiologici siano presenti sia nei disturbi da
addiction di sostanze che nelle dipendenze comportamentali (ad esempio il gioco d’azzardo
patologico, la sovralimentazione patologica e l’ipersessualità) questo perché il circuito della
ricompensa è responsabile anche degli effetti piacevoli della gratificazione naturale e perciò può
svilupparsi una compulsione nel reiterare il comportamento per ottenere piacere. Con il
neuroadattamento il circuito dopaminergico si altera diventando meno responsivo agli stimoli naturali
2
Bressi C., Invernizzi G., Manuale di psichiatria e psicologia clinica, Mc Graw Hill Education, 5 edizione, Milano, 2017,
pp. 325-326.
6
della gratificazione, che vengono vissuti come meno piacevoli rispetto a prima. Si sviluppa perciò la
tolleranza.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità:
Sono da considerare sostanze stupefacenti tutte quelle sostanze di origine vegetale o sintetica che
agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza fisica e/o psichica, dando
luogo in alcuni casi ad effetti di tolleranza (bisogno di incrementare le dosi con l'avanzare
dell'abuso) ed in altri casi a dipendenza a doppio filo e cioè dipendenza dello stesso soggetto da
più droghe
3
.
Le sostanze stupefacenti possono essere classificate in base ai loro effetti farmacologici e alle loro
azioni sugli individui:
Figura 1 Schema che classifica le sostanze psicotrope in classi legate alle azioni e agli effetti che hanno sull'individuo
4
Un'altra modalità per classificarle, si concentra invece sul rapporto tra danno fisico e dipendenza:
3
Governo italiano – Dipartimento delle politiche antidroga < https://www.politicheantidroga.gov.it/it/normativa/le-
sostanze/informazioni-utili-sulle-droghe/informazioni-sulle-
droghe/#:~:text=Secondo%20l'Organizzazione%20Mondiale%20della,bisogno%20di%20incrementare%20le%20dosi >
cons. 26/01/22
4
Società Svizzera di medicina delle dipendenze < https://www.praxis-suchtmedizin.ch/praxis-
suchtmedizin/index.php/it/82-fosumos/designerdrogen-i?start=15 >, cons. 26/01/22
7
Figura 2 Diagramma a punti che classifica le sostanze psicotrope in base al livello di dipendenza e il danno fisico sull’individuo
5
Negli ultimi quindici anni la letteratura scientifica ha inserito nelle dipendenze comportamentali
riconosciute: gioco d’azzardo patologico, acquisti compulsivi, cleptomania, coazione ai
comportamenti a rischio, sessualità compulsiva, videogiochi, uso eccessivo di internet e dei cellulari
ma anche i particolari legame con il lavoro e lo sport. Tutte queste, infatti, sono forme di eccitamento
coatto che la persona con dipendenza ripete senza potersi contenere e in maniera progressiva.
Il GAP (gioco d’azzardo patologico) produce nella persona con dipendenza manifestazioni tipiche
dei disturbi da addiction: assuefazione da gioco, crisi di astinenza, riorganizzazione della propria vita
in funzione del gioco, isolamento dal contesto sociale e adozione di strategie di occultamento della
problematica. Il gambler (cioè il giocatore compulsivo) attraverso il gioco d’azzardo riceve rinforzi
maniacali che compensano la percezione di vuoto emotivo ed emozionale, il gioco ha anche la
funzione di depotenziare l’angoscia percepita. Nel giocatore prevale il pensiero magico, cioè la
presenza di meccanismi cognitivi che negano l’intervento del caso nei giochi d’azzardo; è invece
presente l’idea megalomaniaca di poter determinare, controllare e prevedere quello che succederà
5
Nutt D. e altri, Development of a rational scale to assess the harm of drugs of potential misuse, in “The Lancet”,
24/03/2007.
8
influenzando il risultato del gioco. Il giocatore sente di avere quindi un ruolo attivo, questo
meccanismo lo fa riconoscere come fondamentale per la buona riuscita del gioco, egli si sente
coinvolto. Sono presenti altre caratteristiche comuni tra i giocatori: una alto livello di sensation
seeking
6
, cioè la ricerca di forti sensazioni, e un alto livello di risk taking
7
, cioè l’assunzione di rischio;
la combinazione dei due fattori porta alla sovrastima delle proprie possibilità di intervenire sul gioco
modificandone l’andamento a proprio favore. Il gioco però non per forza è legato allo sviluppo di una
dipendenza patologica; si può individuare un continuum che permette di comprendere l’evoluzione
del gioco da momento ludico a addiction, esistono tre tipologie di giocatore d’azzardo
8
:
- Social gambler. Sono persone che scommettono in modo occasionale o abituale ma che sono
in grado di interrompere il gioco quando desiderano, sono ancorati alla realtà e sono in grado
di scegliere lucidamente quando smettere senza far affidamento su un illusorio senso di
onnipotenza. Il gioco non interferisce nella vita quotidiana, il suo fine può essere quello del
“salto economico” ma la persona ha ancora intatto l’ancoraggio con la realtà.
- Problem gambler. Queste persona non hanno il pieno controllo sul gioco che inizia ad
infrangere la loro sfera familiare e sociale danneggiandola. Il tempo dedicato all’azzardo è
sempre maggiore, aumentano le giocate e il denaro investito. Nella vita quotidiana il gioco
inizia ad avere un ruolo sempre più di primo piano.
- Pathological gambler. Sono le persone che hanno ormai sviluppato la patologia del gioco,
sono spinti dalla compulsione nel reiterare il comportamento senza riuscire a fermarsi.
1.2. L’evoluzione storica e sociale del fenomeno in Italia
Poiché le dipendenze patologiche hanno eziologia multifattoriale, ritengo importante soffermarmi
sulle connessioni tra uso delle sostanze e cambiamenti storico-sociali in Italia, con una particolare
attenzione all’evoluzione della legislazione e degli interventi statali negli anni. Visto che non sono
molti i testi che si occupano di delineare l’evoluzione storica della dipendenza in Italia, per ricostruire
le tappe fondamentali ho fatto riferimento all’articolo pubblicato da Matteo Pasetti sulla rivista “Italia
Contemporanea” dal titolo “Droghe e tossicodipendenze nella storia d’Italia”
9
.
6
Zuckerman ha elaborato una scala nel 1983 chiamata “Sensation Seeking Scale”, serve a calcolare i differenti livelli
ottimali di attivazione degli individui nella ricerca di sensazioni. Nei glambers il livello di attivazione è tendenzialmente
elevato (“ricerca di forti sensazioni”).
7
Il risk taking cresce con l’aumentare della familiarità del giocatore con il gioco, è un meccanismo attraverso cui il
giocatore sovrastima le probabilità soggettive rispetto a quelle oggettive.
8
Picone F. (a cura di), Il gioco d’azzardo patologico. Prospettive teoriche ed esperienze cliniche, Carrocci, Roma, 2010,
p. 24.
9
Pasetti M., Droghe e tossicodipendenza nella storia d’Italia in “Italia contemporanea”, 2020, fascicolo 294, pp. 163-
184.
9
In Italia fino alla Prima Guerra Mondiale l’utilizzo di sostanze avviene prevalentemente in campo
medico e il consumo voluttuario di oppio, eroina e cocaina è molto raro, solo la cannabis è
leggermente più diffusa. Un ruolo importante lo riveste l’alcol, che è fortemente radicato nei consumi
alimentari e sociali, per questo nel 1913 viene varata la prima legge sulle sostanze d’abuso che ha
come obiettivo la regolamentazione della vendita di alcolici per limitarne la diffusione. L’alcol però
difficilmente viene riconosciuto dalla società in quanto sostanza psicotropa che crea dipendenza, il
grado di tolleranza nei suoi confronti è alto e le campagne proibizioniste sono sporadiche, gli
interventi legislativi sono indirizzati alla riduzione del consumo e non alla sua repressione. Questo
perché l’alcol costituisce un’abitudine alimentare e sociale, inoltre, è presente nell’immaginario
culturale e anche nei riti religiosi.
Durante la Grande Guerra la cocaina e la morfina vengono utilizzate dai combattenti al fronte per
diminuire la sofferenza. Terminato il conflitto, le due sostanze iniziano a circolare per uso voluttuario,
circoscritto prevalentemente negli ambienti in cui si cercavano esperienze nuove, inebrianti ed
eccitanti (ad esempio tra i legionari di Fiume e nello squadrismo fascista). Michael Taussig ricorda
che da sempre la cocaina è legata nell’immaginario culturale alla ricchezza e al potere
10
. Infatti, fin
da prima della scoperta dell’America Latina, era vista come una sostanza ambivalente, importante
quanto l’oro ma legata alla sfera del malefico: in grado di dare potere e trasgressione ma anche
alienazione e schiavitù. Questi elementi hanno caratterizzato, e lo fanno tuttora, la cocaina in quanto
sostanza “differente” che può essere assunta facilmente: nell’immaginario collettivo non è pericolosa
per la salute (se non addirittura innocua) ed è un mezzo per raggiungere il potere
11
.
Tra il 1921 e il 1923 ha inizio un iter legislativo per definire provvedimenti repressivi verso i detentori
(sia trafficanti che consumatori) di cocaina, morfina e i loro derivati. Negli anni successivi avviene
un inasprimento degli interventi legislativi: essi prevedono il ricovero coatto e limitazioni giuridiche
per morfinomani e cocainomani. In questo modo si muovono i primi passi di emarginazione del
tossicodipendente. È però durante il Ventennio fascista che il narcotraffico prende maggiormente
piede articolandosi attraverso l’uso di canali clandestini e diventando un mercato appetibile per la
malavita organizzata. L’Italia si colloca al centro dei traffici internazionali di stupefacenti a causa
della sua posizione geografica strategica quale ponte di collegamento tra l’Asia, l’Africa e l’Europa.
Inoltre, la mafia italoamericana la collega agli Stati Uniti d’America in cui il mercato dell’eroina è
molto fiorente. Il Paese, perciò, si trova ad avere una bassa domanda di stupefacenti nel mercato
10
Cfr. Taussig M., My cocaine museum, University of Chicago Press, 2004, Chicago; trad. It. Cocaina. Per
un’antropologia della polvere bianca, tr. It Mondadori, Milano, 2005.
11
Rigliano P., Bignamini E. (a cura di), Cocaina. Consumo, psicopatologia, trattamento, Raffaello Cortina, Milano, 2009,
p. 100.
10
interno ma un ruolo di primaria importanza nella rete del narcotraffico internazionale. Come reazione,
l’Italia acquisisce un ruolo sempre maggiore nella costruzione di un sistema internazionale di
controllo dei traffici illegali al fianco di paesi del calibro degli Stati Uniti d’America e della Gran
Bretagna.
Nell’ottobre 1954 viene varata una nuova legge che rafforza la repressione delle norme precedenti; il
tossicodipendente continua ad essere considerato una persona viziosa, la sua problematica viene
analizzata principalmente nella dimensione giuridica punitiva.
I primi segnali di cambiamento iniziano tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta quando
nel mercato interno aumenta la richiesta di eroina, il cui consumo si diffonde soprattutto tra i giovani.
L’uso della sostanza raggiunge tutta l’Italia in maniera capillare, sia nelle grandi città che in provincia,
portandosi dietro una scia di decessi legata alle overdosi. Nel dibattito pubblico compare la
preoccupazione per la diffusione di sostanze stupefacenti.
Nel 1975 l’attenzione mediatica per il fenomeno inizia a crescere sensibilmente; a causa di un
aumento impressionante nel consumo di droghe viene varata la legge n. 685/1975. Al suo interno
troviamo per la prima volta la classificazione delle sostanze psicotrope, aggiornamenti circa le
disposizioni per la repressione dei traffici illeciti e interventi preventivi, curativi e riabilitativi.
L’elemento centrale di questa legge è che la tossicodipendenza viene vista come una patologia; si
adotta il punto di vista clinico e non più quello giuridico-penale. Questo porta alla nascita di servizi
ampiamente istituzionalizzati che utilizzano strumenti della clinica medica per l’intervento. La
principale critica che viene mossa nei confronti di questa legge riguarda la sua attuazione: infatti nella
maggioranza dei casi, la persona e la propria famiglia non ricevono una risposta di supporto adeguata
alla problematica e ai bisogni presentati. Dal punto di vista scientifico-clinico la sua applicazione è
stentata, riduttiva ed estremamente differenziata. A livello culturale invece il dibattito è caratterizzato
da una forte polarizzazione tra le differenti fazioni. Questo porta alla mancanza di dialogo tra le varie
posizioni mantenendo uno scontro tra estremi opposti: liberazione delle sostanze contro terapia coatta.
Esplode l’antagonismo tra risposta pubblica e privata, accoglienza comunitaria e sedazione della
sofferenza, tra rieducazione con il fine dell’emancipazione e accesso a sostanze sostitutive legali (ad
esempio il metadone) che possono portare alla cronicizzazione. Altro elemento importante che
emerge dall’analisi della legge riguarda la presenza di numerose incongruenze. Vanessa Roghi, nel
testo “Piccola città: Una storia comune di eroina”
12
, mette in risalto queste ambiguità. Il
tossicodipendente da una parte viene riconosciuto come malato, differenziandolo dal consumatore,
12
Roghi V., Piccola città: Una storia comune di eroina, Laterza, terza edizione, Bari, 2018, pp. 98-103.
11
dall’altra il processo di emarginazione nei suoi confronti continua poiché lo strumento di recupero
individuato prevede che il soggetto frequenti forzatamente strutture escludenti: centri antidroga,
presidi medici per la somministrazione del metadone e comunità terapeutiche. Inoltre, il consumo di
eroina, al tempo molto diffuso, porta al cambiamento della percezione sociale verso la figura del
tossicodipendente. A causa degli effetti associati al suo utilizzo la collettività percepisce l’eroinomane
come un “corpo estraneo che si isola e quindi da isolare”, qualcuno “con cui è impossibile
convivere”
13
, aumentando perciò la sua marginalizzazione nella società.
Per tutti gli anni Ottanta il “problema droga” rimane all’ordine del giorno anche a causa
dell’esplosione mondiale dell’Hiv che vede maggiormente a rischio gli omosessuali e i
tossicodipendenti. Sia a livello nazionale che globale il tema rimane al centro dell’agende politiche
fino agli anni Novanta; l’uso di sostanze e la dipendenza hanno intriso per tutto il periodo il tessuto
sociale e l’immaginario culturale. Il consumo di sostanze ha anche una forte ricaduta sulle
organizzazioni malavitose. Il profilo dell’imprenditore criminale si modifica allargando gli interessi
economici delle mafie, potenziando le loro capacità finanziarie e portando nuova clientela e nuove
maestranze di lavoratori facilmente sostituibili e con carriere brevi.
Bisogna arrivare al 1990 per vedere modificato il decreto 685/1975. Il 26 giugno esce la legge
n.162/1990 che persegue l’obiettivo di combattere la produzione e il commercio di stupefacenti
scoraggiando i consumatori attraverso l’introduzione di sanzioni. Inoltre, prevede interventi in ambito
sociale, psicologico e medico per chi fa uso di sostanze. L’effetto prodotto è, ancora una volta, quello
di aumentare la marginalizzazione dei tossicodipendenti rinforzando l’immagine sociale che li
criminalizza. Aumenta il numero di persone con dipendenze in carcere, contesto in cui è molto facile
venire in contatto con le sostanze e avere ricadute. Tutto ciò porta a una deresponsabilizzazione del
contesto e il conflitto tra le parti si acuisce.
Sempre nel 1990, è promulgato il Testo Unico in materia di disciplina di stupefacenti attraverso il
Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre n. 309/1990. Esso prevede l’introduzione di
sanzioni amministrative per uso personale (nella forma di sospensione del passaporto, della patente
di guida e del porto d’armi) e l’obbligo di seguire percorsi terapeutici e socioriabilitativi. Questo
Decreto venne abrogato nel 1993 grazie a un referendum, la conseguenza è la depenalizzazione della
detenzione per uso personale.
13
ivi, p. 32
12
Altra normativa importante dello stesso periodo è il decreto n. 444 del 30 novembre 1990 con cui
vengono creati i Ser.T. (Servizi per la Tossicodipendenza) e vengono definiti i criteri che le comunità
terapeutiche devono seguire per collaborare con gli enti pubblici.
Con l’inizio degli anni Novanta avviene un cambiamento nell’uso di sostanze: il consumo di eroina
diminuisce per lasciare spazio nel mercato a nuove droghe. Ci sono state, e ci sono tuttora, continue
trasformazioni in merito alle sostanze prevalenti, alle modalità d’assunzione e alla percezione dei
rischi. Questo porta anche ad un immaginario culturale poco definito rispetto al profilo del
tossicodipendente influenzando la percezione sociale del consumo di droga e della devianza.
Rispetto alla dipendenza alcolica invece è necessario aspettare il Decreto Ministeriale del 3 agosto
1993 per il riconoscimento della rilevanza del fenomeno nella società. Vengono definite, a livello
locale e regionale, le linee per gli interventi di prevenzione, cura e reinserimento sociale delle persone
con alcol dipendenza.
Negli anni successivi la legislazione si occupa prevalentemente di riorganizzare a livello nazionale,
regionale e locale i servizi del Sistema Sanitario Nazionale. Con la legge n.45 del 18 febbraio 1999
viene istituito l’Osservatorio permanente sulla tossicodipendenza e alle Regioni viene versato il 75%
del Fondo Nazionale di Intervento per la Lotta alla Droga.
Il dibattito sulle sostanze psicotrope continua ad essere caratterizzato da una forte radicalizzazione su
posizioni opposte e da una mancanza di dialogo tra le varie parti. Le politiche che vengono messe in
atto sono di stampo prevalentemente proibizionista: il 21 febbraio 2006 viene varata la legge n. 49
(comunemente conosciuta col nome “Fini-Giovanardi”). Il decreto prevede un forte inasprimento
nelle sanzioni relative alle condotte di produzione, traffico, detenzione illecita ed uso di sostanze
stupefacenti. Viene abolita ogni distinzione tra droghe leggere e pesanti. Da molti tale decreto è
considerato un passo indietro nella storia legislativa italiana, poiché il tossicodipendente viene
nuovamente dipinto come un criminale. Da questa legge è nato un grande dibattito che ha portato
nuovamente alla ribalta mediatica il tema della dipendenza patologica. La legge è stata poi dichiarata
illegittima dalla Corte costituzionale il 12 febbraio 2014.
Riguardo alla dipendenza da gioco d’azzardo patologico, sono presenti dei riferimenti fin dai tempi
del Vecchio Testamento ma le normative che regolano il fenomeno sono molto più recenti. Le prime
leggi, che risalgono al 2005, si concentrano principalmente sulla regolamentazione del gioco
d’azzardo; ma è solo nel 2012, con il decreto-legge n. 158 del 13 settembre, conosciuto come
“Decreto Balduzzi”, che viene riconosciuta la sua dimensione patologica. Vengono così introdotti i
Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per la prevenzione, l’assistenza e la riabilitazione delle persone
13
con ludopatia. Grazie a questo passaggio cruciale il GAP (gioco d’azzardo patologico) viene
compreso tra le patologie con esenzione, è vietata la rappresentazione dei minori nei messaggi
pubblicitari e infine è imposto l’uso di comunicazioni, attraverso i media, che avvertano del rischio
di dipendenza. Inoltre, è istituito un Osservatorio per valutare la diffusione del GAP. Il 12 gennaio
2017 è stato introdotto un nuovo DPCM che ha aggiornato i livelli essenziali di assistenza, inserendo
il percorso in comunità terapeutiche tra gli interventi di riabilitazione delle persone con ludopatia.
Rispetto al gioco d’azzardo c’è una preoccupante tendenza di abbassamento dell’età dei giocatori;
infatti, il fenomeno tra gli adolescenti è incrementato.
Infine, riguardo alla dipendenza da sostanze alcoliche è importante essere coscienti dell’ambiguità
con cui la nostra società vede l’alcol. Il bevitore occasionale o moderato viene esaltato, ad esempio
nelle pubblicità o nei film, la bevanda alcolica viene presentata come lo strumento per agevolare lo
scambio relazionare, eliminare l’imbarazzo alle feste e dedicarsi un momento di pausa
14
. Dall’altra
parte invece l’alcolista viene emarginato e colpevolizzato, la patologia sembra legata ad una scelta
compiuta dal soggetto. Inoltre, non viene considerata la difficoltà che ha il singolo nell’individuare il
limite tra uso moderato ed eccessivo. La linea di confine non è fissa, questo porta ad un continuo
spostamento del limite da parte del bevitore così da avere l’impressione di non superarla anche
quando la dipendenza è ormai instaurata. La difficoltà ad individuare un limite è comprensibile poiché
è legata al rapido sviluppo della tolleranza da parte del bevitore.
2. La famiglia in quanto sistema
Secondo l’approccio sistemico relazionale la famiglia è un microcosmo composto da individui, dalle
loro caratteristiche personali e dai rapporti che intercorrono tra le parti, non può quindi essere definita
come un semplice insieme di persone.
14
Nel luglio 2020 l’Ufficio regionale europeo dell’OMS ha pubblicato un rapporto dal titolo: “Alcohol marketing in the
WHO European Region: update report on the evidence and recommended policy actions”. All’interno del rapporto emerge
una correlazione tra l’esposizione della società alle pubblicità sull’alcol e le abitudini di consumo. In particolare, ci sono
forti associazioni tra l’esposizione dei giovani al marketing dell’alcol e l’inizio del consumo alcolico. Inoltre, sono state
rilevati chiari collegamenti tra esposizione, consumo rischioso e consumo episodico eccessivo.
Altro elemento centrale che emerge dal rapporto riguarda le pubblicità online per la commercializzazione di bevande
alcoliche, solo negli ultimi anni, infatti, il fenomeno ha portato ad aggiornare le legislazioni includendo il canale online.
Inoltre, attraverso l’utilizzo dei social media i consumatori si stanno trasformando in promotori, il marketing coinvolge e
incoraggia i consumatori a interagire con i contenuti social e a generarne a propria volta promuovendo i prodotti. Questo
utilizzo aumenta sempre di più l’accettazione culturale dell’alcol, specialmente tra gli utenti più giovani, normalizzandone
il consumo.
fonte: Epicentro. L’epidemiologia per la salute pubblica. Istituto Superiore di Sanità.
< https://www.epicentro.iss.it/alcol/politiche-marketing-report-oms-2020 >, cons. 27/01/22.