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Introduzione
La relativa abbondanza di risorse idriche in molti paesi industrializzati ha consenti-
to, fino a tempi molto recenti, un uso di fatto libero delle acque.
Lo sviluppo industriale ed urbano è stato fortemente favorito a discapito di inve-
stimenti nella depurazione e della salvaguardia delle risorse idriche , portando ad
un peggioramento della qualità delle acque superficiali e sotterranee e un conse-
guente aumento dei costi per i trattamenti delle acque per l’approvvigionamento
di popolazioni ed industrie.
Oggi, in molte regioni europee, l’offerta di risorse idriche sarebbe quantitativa-
mente sufficiente a far fronte alle domande, a prescindere da scarsità locali, abba-
stanza compensabili con trasferimenti (acquedotti) e con la razionalizzazione dei
consumi (riciclaggi). Il problema principale dell’economia delle acque è di natura
qualitativa, poiché le qualità idriche necessarie per le più importanti forme di uti-
lizzazione non sono più disponibili in misura sufficiente [1].
L’aumento della richiesta di acqua potabile sia per usi civili, sia per usi produttivi
nelle industrie alimentari, farmaceutiche, allevamenti ittici, ha portato a conside-
rare con maggiore attenzione fonti di approvvigionamento alternative alle sorgenti
sotterranee. Da qui il ricorso sempre più esteso al riciclo delle acque nelle indu-
strie, e il maggiore utilizzo di acque superficiali e freatiche negli acquedotti per la
produzione di acqua potabile. Questa tendenza è più sensibile negli altri Paesi eu-
ropei dove le risorse idriche superficiali costituiscono il 50%
dell’approvvigionamento complessivo [2], mentre in Italia la frazione è solo del 10%
[3].
L’inquinante più diffuso nelle acque destinate alla produzione di acqua potabile è
l’azoto, nelle forme inorganiche di ammoniaca, ione nitrato e ione nitrito, la
rimozione dei quali richiede processi a volte complessi e costosi, che possono
comportare l’inconveniente della formazione di composti indesiderati tossici o
addirittura nocivi per l’uomo.
Le sorgenti principali di inquinamento da azoto sono le attività agricole e zootecni-
che e, in misura molto minore, il metabolismo umano.
4
Nel settore agricolo vengono usati fertilizzanti e concimi animali e vegetali ad alto
contenuto di azoto. I fertilizzanti azotati sintetici contengono azoto nelle forme di
nitrato, ammoniaca e urea. L’urea presente nel suolo si trasforma in ammoniaca e
questa successivamente in nitrato. I fertilizzanti organici vengono distribuiti sotto
forma di letame e liquame animale. Nel momento in cui viene distribuito sul terre-
no, il letame contiene, in genere, una certa quantità di azoto inorganico sotto for-
ma di ammoniaca (fino al 50% del suo azoto totale), ma poco nitrato che si forma
gradualmente dopo la distribuzione del letame sul terreno [4].
Le acque meteoriche e quelle di irrigazione convogliano questi composti in fossati o
altri corpi d’acqua superficiali, mentre la filtrazione attraverso il suolo agrario por-
ta ad un inquinamento delle falde sotterranee. Quest’ultimo processo è molto più
lento del precedente, con effetti tangibili sull’inquinamento riscontrabili dopo de-
cenni, e interessa soprattutto i nitrati che sono più solubili nell’acqua.
Gli allevamenti intensivi praticati ad esempio in alcune zone della Pianura Padana,
costituiscono sorgenti puntiformi di alti carichi di inquinamento da azoto.
La presenza di ammoniaca nelle acque sotterranee non è sempre associata ad atti-
vità antropiche in atto. In alcune zone della Pianura Padana caratterizzate dalla
presenza nel sottosuolo di materiali torbosi ed umici che cedono sostanza organica
all’acqua, l’ammoniaca è da considerarsi di origine geologica. L’assenza in queste
acque di indici di contaminazione fecale e la presenza di ferro e manganese nor-
malmente associati a valori del potenziale redox negativi ne confermano la prove-
nienza [5].
L’elevata concentrazione di azoto e fosforo nelle acque porta al fenomeno
dell’eutrofizzazione che colpisce soprattutto i laghi e consiste in uno squilibrio dei
normali processi vitali promuovendo la fioritura di alghe color verde-blu che non
sono facilmente utilizzate come cibo dallo zooplancton, e rendono l’acqua torbida
e sgradevole, inutilizzabile sia per approvvigionamenti idrici che per balneazione.
Inoltre se la crescita è eccessiva la successiva decomposizione del materiale orga-
nico può portare a riduzioni del tasso di ossigeno disciolto tali da rendere difficol-
tosa la vita acquatica superiore.
I composti azotati hanno inoltre effetti tossici per l’uomo.
In particolare la presenza eccessiva di nitrati nelle acque causa la metoemoglobi-
nemia. Nell' intestino dei bambini, particolarmente fra i sei e i sette mesi di età, il
nitrato può essere ridotto a nitrito il quale viene assorbito dal sangue, ossigenando
il ferro in emoglobina: questa interferisce con le azioni dell’ossigeno nel sangue; il
5
bambino assume da ciò un aspetto cianotico. La diagnosi tempestiva della metoe-
moglobinemia consente di risolvere il problema praticando immediate iniezioni en-
dovenose di metilene. L’adulto è invece in grado di sopportare quantità ben più e-
levate di nitrati presenti nell’acqua potabile senza che si verifichino inconvenienti
[6]. Questo si spiega con il fatto che la riduzione dei nitrati a nitriti avviene per
mezzo di microrganismi che proliferano meglio negli intestini dei bambini dove
l’ambiente è meno acido [4].
I nitriti (e indirettamente i nitrati) possono reagire con le ammine e gli amidi per
formare nitrosammine e nitrosamidi. Più dell’80% di tra oltre un centinaio di com-
posti N-nitroso, si sono dimostrati cancerogeni in animali da esperimento, provo-
cando tumori in molti organi anche attraverso la placenta. E’ molto probabile che
questi composti siano cancerogeni anche per l’uomo [4].
L’ammoniaca, a basse concentrazioni, non costituisce un problema diretto per la
salute dell’uomo, ma la sua presenza nelle reti di distribuzione è in grado di altera-
re le caratteristiche organolettiche dell’acqua favorendo lo sviluppo microbico con
conseguente innalzamento della carica batterica.
I trattamenti chimici di clorazione per la rimozione dell’ammoniaca dalle acque,
portano alla formazione di prodotti secondari per via della reazione del cloro con i
composti organici costituiti da acidi umici e fulvici, tra cui gli organoalogenati e i
trialometani, che hanno provati effetti cancerogeni sull’uomo. Per evitare la for-
mazione di questi composti è possibile limitare le quantità di cloro usate, dimi-
nuendo la concentrazione di azoto ammoniacale con pretrattamenti di tipo biologi-
co.
I metodi biologici, infatti, presentano i vantaggi di non portare alla formazione di
composti secondari, e di comportare ridotti costi di impianto e di esercizio. Questo
li rende preferibili ai metodi chimico-fisici di rimozione dei nitrati, che sono molto
costosi soprattutto per quanto riguarda la conduzione dei processi, che richiedono
notevoli quantità di energia e comportano il problema di smaltimento degli eluati,
e della rigenerazione dei materiali usati.
La difficoltà di gestione dei processi biologici è legata alla loro forte sensibilità alle
condizioni ambientali, alla scarsa adattabilità alle variazioni di carico, ai lunghi
tempi di avvio al funzionamento. Recentemente trovano sempre più larga applica-
zione nei trattamenti di potabilizzazione delle acque, i processi che combinano i
rispettivi vantaggi dei metodi biologici e chimico-fisici, evitando la formazione di
composti tossici e permettendo di avere processi più economici e sufficientemente
6
affidabili. Da qui la necessità di sperimentare questi sistemi di rimozione biologica
per poterli utilizzare al meglio delle loro possibilità.
7
1. Alcuni aspetti della normativa sulla tutela delle acque
1.1 L’evoluzione della normativa dal 1976 ad oggi
Il primo provvedimento organico nazionale in materia di tutela delle acque è la
legge 10 maggio 1976, n.319, nota come “legge Merli”.
Essa prevedeva [7]:
• il censimento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, con rilevamento di dati
relativi a [8]:
- caratteristiche idrologiche, fisiche, chimiche e biologiche e loro anda-
mento nel tempo,
- tutti gli usi diretti o indiretti in atto: utilizzazioni o derivazioni degli sca-
richi;
• la fissazione dei limiti di accettabilità degli scarichi, intesi come concentrazione
massima di inquinamento allo scarico, classificati in base:
- alla derivazione (civile, produttiva),
- al recapito finale (suolo, sottosuolo, corpo idrico, pubblica fognatura);
• la pianificazione nel contesto di un unico strumento, il Piano Regionale di
Risanamento delle Acque (PRRA), dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura e
depurazione, con indicazioni di ambiti territoriali ottimali per la loro gestione,
la cui formulazione è affidata alle singole regioni.
Questa legge, all’atto della sua emanazione presentava alcune lacune sia per quan-
to riguarda le suddivisioni delle competenze e delle organizzazioni, sia per la com-
pletezza nella tutela dell’inquinamento [9].
Riguardo a questo secondo aspetto, si può evidenziare come la legge prenda come
unico elemento di giudizio la concentrazione delle sostanze elencate, ignorando
l’elemento quantitativo e l’elemento oggettivo di capacità autodepurativa e della
portata del corpo recipiente [10].
Inoltre nella legge non viene fatto alcun riferimento alle fonti di inquinamento co-
me scarichi civili ed agricoltura.
8
Altro limite della legge Merli è la rinuncia ad impostare la tutela delle acque sulla
dimensione del bacino idrografico.
In seguito il parlamento ha dato il via ad una serie di provvedimenti che, oltre a
fornire numerose proroghe e slittamenti dei termini stabiliti, miravano a corregge-
re alcuni aspetti della legge. Ricordiamo la legge n.833 del 23 dicembre 1978 con
cui viene istituito il servizio sanitario nazionale, che prevedeva organi ai quali do-
vevano essere attribuiti compiti di vigilanza e controllo su tutti gli scarichi, che la
legge 319/76 demandava ai laboratori di igiene e profilassi, creando così problemi
tecnici ai laboratori e ad agli organi amministrativi. Segnaliamo inoltre la “Delibera
del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento “ del 4 luglio
1977 e la legge n.650 del 24 dicembre 1979 “integrazioni e modifiche delle leggi
16/73 n.171 e 10/5 n.319, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento”, la
“legge Merli bis” [9]. A questi provvedimenti nazionali si dovrebbero aggiungere le
numerose leggi regionali in materia, che hanno contribuito ad appesantire ancora
di più nel tempo il quadro legislativo.
Il primo documento legislativo in materia di acque potabili è la Direttiva CEE
75/440 del 16 giugno 1975 “concernente la qualità delle acque superficiali destina-
te alla produzione di acqua potabile” [11], attuata in Italia con il DPR n.515 del 3
luglio 1982. In questo provvedimento si provvede alla classificazione di questa ca-
tegoria di acque in tre diversi gruppi, in base alla loro originaria qualità e per ogni
gruppo viene indicato un processo differenziato per il trattamento. Nella Tabella
1.1 sono indicati i parametri relativi ai composti azotati e la divisione nei tre grup-
pi:
- alla categoria A1 corrisponde un trattamento fisico semplice e disinfezione;
- alla categoria A2 corrisponde un trattamento fisico e chimico normale e disinfe-
zione;
- alla categoria A3 corrisponde un trattamento fisico e chimico approfondito,
affinazione e disinfezione.
Per ciascuno dei tre gruppi vengono indicati “valori imperativi” (I) e “valori guida”
(G).
In aggiunta a questo provvedimento, viene emanato il DM 15/2/1983 del Ministero
della Sanità che recepisce la DIR CEE 79/869 “relativa ai metodi di misura e alla
frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali destinate alla
produzione di acqua potabile” [13].
Tabella 1.1 – Caratteristiche di qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di
9
acqua potabile [12].
A1 A2 A3
G I G I G I
Nitrati
mg NO3/l
25 50 0 50 0 50
Ammoniaca
mg NH4+/l
0.05 0 1 1.5 2 4
Azoto Kjeldahl 1 - 2 - 3 -
Le problematiche relative all’acqua per uso potabile sono affrontate sotto il profilo
qualitativo nella DIR CEE 80/778 del 15/7/1980. In essa viene introdotta per la pri-
ma volta la definizione di “acque destinate al consumo umano” e non più di “acque
potabili”, con due conseguenze fondamentali [14]:
- l’acqua diventa un bene di consumo e quindi deve essere trattata come un ali-
mento;
- non si considera solo l’acqua da bere, ma anche quella usata per la produzione
di alimenti.
Questa direttiva trova attuazione con il DPR n.236 del 24 maggio 1988, che fissa:
• norme di tutela delle risorse idriche sotterranee con azioni preventive di indivi-
duazione e delimitazione in tutto il territorio nazionale, di [15]:
- “zone di tutela assoluta”, di raggio non inferiore a 10 metri, adibita
esclusivamente ad opere di presa ed a costruzioni di servizio;
- “zone di rispetto”, con estensione di raggio non inferiore a 200 metri ri-
spetto il punto di captazione;
- “zone di protezione” da delimitare in base alle diverse condizioni
idrogeologiche, morfologiche, e pedalogiche degli acquiferi destinati al
consumo umano [9];
• livelli qualitativi minimi per le acque destinate al consumo umano (già espressi
nel DPCM del 8 febbraio 1985, che viene abrogato dall’articolo 22 dello stesso
DPR 24/5/1988). Nella Tabella 1.2 sono riportati i livelli qualitativi indicati dal
DPR, relativamente ai composti azotati.
10
Tabella 1.2 – Requisiti di qualità per le acque destinate al consumo umano [15].
Parametri Espressione dei risul-
tati
VG CMA
Nitrati mg/l NO3 5 50
Nitriti mg/l NO2 0 0.1
Ammoniaca mg/l NH4+ 0.05 0.5
Azoto Kjeldahl * mg/l N 0 0.1
*tranne NO2 e NO3
Per ogni parametro indicato vengono indicati “valore guida” (VG) e “concentrazio-
ne massima ammissibile” (CMA). Inoltre nell’allegato III per ogni parametro vengo-
no indicati i metodi analitici di riferimento per l’analisi.
Una legge importante per la gestione delle risorse idriche, è la n.183 del 18 maggio
1989, che si prefigge lo scopo di “assicurare la difesa del suolo, il risanamento del-
le acque, la funzione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sv i-
luppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essa connessi”
[16]. L’aspetto più rilevante consiste nel fatto che per la prima volta viene consi-
derata una visione dell’intero ciclo delle acque; infatti, l’art.1 della legge conside-
ra “per acque: quelle meteoriche, fluviali, sotterranee e marine” [16]. Inoltre si
cerca di creare una cultura unificata della gestione territoriale, ambientale e idrica
[9].
L’attività di programmazione, pianificazione, attuazione degli scopi prefissati dalla
legge, viene inquadrata nel “piano di bacino”, la cui messa in atto viene affidata
alla ”autorità di bacino”.
Un passo fondamentale verso la costruzione di “un quadro organico per la riorga-
nizzazione dei servizi idrici in conformità a fondamentali criteri e valori economici”
[13], è promosso con l’emanazione della legge n.36 del 5 gennaio 1994 “Disposizio-
ni in materia di risorse idriche”, la cosiddetta “legge Galli”.
L’acqua è considerata non solo come bene primario di consumo ma come risorsa
strategica per lo sviluppo della società e dell’economia del Paese [9].
L’intento del legislatore è quello di superare l’estrema frammentarietà delle ge-
stioni, che si è venuta a creare in seguito alla sovrapposizione di provvedimenti na-
zionali e regionali, e che ha portato ad una mancanza di una gestione efficiente ed
efficace [7].
11
A tale scopo viene introdotto il concetto di “servizio idrico integrato”, inteso come
insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua e usi
civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue in applicazione del concetto
di gestione del ciclo completo dell’acqua.
Si prevede una riorganizzazione dei servizi idrici in ambienti territoriali delimitati
secondo disegni coordinati dalla Regione nel rispetto dei vincoli degli atti di piani-
ficazione in materia dei criteri adottati dall’autorità di bacino.
La Regione è chiamata inoltre a definire le forme di collaborazione tra Comuni e
Provincie per la costituzione di Autorità locali, le quali sono chiamate ad esercitare
le funzioni di governo del servizio idrico, affidandone la gestione ad imprese (pub-
blica, privata, mista, speciale, secondo le decisioni degli enti locali) [7].
Altri aspetti importanti messi in evidenza dalla legge Galli sono:
• la considerazione di tutte le acque superficiali e sotterranee come una risorsa di
interesse pubblico, che va salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solida-
rietà;
• la necessità di promuovere il contenimento dei consumi e delle perdite e il
riutilizzo dell’acqua;
• la priorità data agli usi potabili dell’acqua.
Un’altra fondamentale novità della legge 36/94 riguarda la riorganizzazione del si-
stema tariffario, tuttora in vigore.
Prima della legge 36/94 esistevano due diverse tariffazioni rispettivamente per i
servizi di acquedotto e per i servizi di fognatura e depurazione, secondo quanto
stabilito dalla legge Merli. In seguito il DPR del 24 maggio 1977 ha provveduto a
fornire formule di calcolo delle tariffe diverse per le acque provenienti da usi civili,
industriali e acque meteoriche riguardanti gli insediamenti di ogni tipo. In seguito
la legge n.153 del 29 aprile 1981 ha stabilito gli importi dovuti per metro cubo di
acqua scaricata sia per il servizio di fognatura che per quello di depurazione [7].
La legge 36/94, in correlazione con il “servizio idrico integrato” ha istituito la “ta-
riffa del servizio idrico”, da determinarsi in modo che sia assicurata la copertura
integrale dei costi di investimento e di esercizio.
La legge prevede che i Ministri dei Lavori Pubblici e dell’Ambiente elaborino un
metodo per stabilire la “tariffa di riferimento”, articolata in fasce di utenza e ter-
ritoriali. Sulla base della “tariffa di riferimento” gli enti locali determinano la tarif-
fa del servizio.
12
Il ruolo che viene dato alla tariffa in questa legge è quello di elemento di misura e
di riferimento per una gestione efficace, efficiente ed economica della risorsa idri-
ca, intesa come “servizio idrico integrato”, gestione dell’acqua dalla tutela delle
fonti alla sua restituzione all’ambiente.
Si vuole così fare in modo che tale gestione fuoriesca dall’ambito della finanza
pubblica, e che la tariffa serva da sola a coprire i costi e a remunerare il capitale
investito nel sistema di gestione globale dell’acqua.
1.2 Il decreto legislativo n.152 del 11 maggio 1999
Il DL 11 maggio 1999, n. 152 pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Uf-
ficiale 29 maggio 1999,n.124, ed entrata in vigore il successivo 13 giugno, contiene
una complessa revisione della disciplina per la tutela delle acque.
Questo provvedimento è stato comunemente chiamato “Testo Unico sulle Acque” e
si presenta come una “Legge Quadro per la Tutela delle Acque dall’Inquinamento”
[18]. Esso ha abrogato e sostituito gran parte della normativa precedente in mate-
ria, ma costituisce parte integrante di un corpo normativo più ampio, nel quale
convive in particolare con:
• la legge 36/94 (“disposizioni in materia di risorse idriche”)
• il DPR n.236 del 1988 (“attuazione della DIR CEE n.80/778 concernente la quali-
tà delle acque destinate al consumo umano”).
Il presente decreto recepisce inoltre alcune direttive emanate dalla Comunità eu-
ropea, come la DIR 91/271/CEE del 21 maggio 1991, concernente la raccolta e il
trattamento delle acque reflue urbane, che riporta i limiti temporali entro cui tutti
gli insediamenti urbani devono prevedere un trattamento secondario dei reflui civi-
li, e la direttiva 98/83/EC del 3 novembre 1998 concernente la qualità delle acque
destinate al consumo umano, che sostituisce la 778/80/CEE fornendo standard qua-
litativi più restrittivi in rapporto al progresso tecnologico e scientifico, e imponen-
do il rispetto dei valori limite nel punto in cui le acque sono messe a disposizione
del consumatore (articolo 6 della direttiva).
E’ un provvedimento che dà seguito all’intento con cui è stata concepita la legge
36/94, e cioè quello di mettere ordine nella infinita sequela di provvedimenti
precedentemente emanati e di organizzare in maniera organica ed efficace la
13
cedentemente emanati e di organizzare in maniera organica ed efficace la gestione
delle risorse idriche del Paese.
Gli aspetti più importanti affrontati in questo provvedimento sono [18]:.
• L’individuazione di obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici;
• la tutela quantitativa e qualitativa dei corpi idrici con relativo sistema di con-
trolli e sanzioni;
• la prescrizione dei valori limite degli scarichi;
• l’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione degli scarichi;
• l’individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento
nelle aree sensibili;
• l’individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed
al riciclo delle risorse idriche.
Mettiamo ora in evidenza alcuni aspetti del nuovo quadro normativo vigente, vale a
dire i limiti qualitativi delle acque, con particolare attenzione ai composti
dell’azoto, e il riutilizzo dell’acqua nei cicli produttivi.
1.2.1 Limiti di emissione degli scarichi idrici
I valori dei limiti di emissione degli scarichi idrici a cui occorre fare riferimento so-
no riportati nell’Allegato 5 del DL n.152/99.
Tale allegato è così suddiviso:
• Scarichi in corpi d’acqua superficiali. Si distinguono:
- limiti di emissione per le acque reflue urbane, riportati nella Tabella 1.3;
nella Tabella 1.4 sono indicati i limiti di emissione per lo scarico in aree sen-
sibili limitatamente ai composti azotati;
- limiti di emissione per le acque reflue industriali, riportati nella Tabella 1.5
limitatamente ai composti azotati.
• Scarichi sul suolo. I limiti relativi ai composti azotati sono riportati nella Tabella
1.6.
Nell’articolo 28 comma 2 dello stesso decreto, si affida alle Regioni, “tenendo con-
to dei carichi massimi ammissibili, delle migliori tecniche possibili” [19], la defini-
zione dei valori limite di emissione (che non possono essere meno restrittivi di
14
quelli indicati nell’Allegato 5) sia in concentrazione massima ammissibile, sia in
quantità massima per unità di tempo (Kg/tempo) per ogni sostanza inquinante.
Nell’articolo 31 comma 3, vengono indicate le scadenze temporali entro cui gli sca-
richi provenienti da impianti di trattamento già esistenti di acque reflue urbane
devono uniformarsi ai limiti indicati. In particolare [19]:
- entro il 31 dicembre 2000 per gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre
15.000 abitanti equivalenti;
- entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi provenienti da agglomerati con un
numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000 e 15.000;
- entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi in acque dolci e in acque di transizio-
ne, provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso
tra 2.000 e 10.000.
Tabella 1.3 – Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane [19].
Potenzialità impianto in A.E. (abitanti equivalenti)
2.000 – 10.000 > 10.000 Parametri
(media giornaliera)
Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione
BOD5* (mg/l) 25 70 - 90 25 80
COD (mg/l) 125 75 125 75
Solidi sospesi (mg/l) 35 90 35 90
*senza nitrificazione
Tabella 1.4 – Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree
sensibili [19].
Potenzialità impianto in A.E. (abitanti equivalenti)
10.000 – 100.000 > 100.000 Parametri
(media annua))
Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione
Azoto totale (mgN/l) 15 70 - 80 10 70 - 80
15
Tabella 1.5 – Valori limite di emissione in acque superficiali e in fognatura per le acque re-
flue
industriali [19].
Sostanze Unità di misura Scarico in acque su-
perficiali
Scarico in pubblica
fognatura
Azoto ammoniacale
(come NH4)
mg/l 15 30
Azoto nitroso
(come N)
mg/l 0.6 0.6
Azoto nitrico
(come N)
mg/l 20 30
Tabella 1.6 – Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano
sul
suolo [19].
Parametri Unità di misura valore
Azoto totale (mg N/l) 15
Azoto ammoniacale (mg NH4/l) 5
1.2.2 Limiti di qualità per le acque destinate al consumo umano
Nel decreto 152/99 vengono riportati (Alllegato 2, Tabella 1/A) le caratteristiche di
qualità per le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, e per
l’azoto i valori limite sono gli stessi indicati nel DPR n.515 del 3 luglio 1982, e che
abbiamo riportato nella Tabella 1.1.
Nell’Allegato 2 della 152/99 vengono riportati anche i criteri di qualità delle acque
idonee alla vita dei pesci salmonidi e ciprinidi, che riportiamo nella Tabella 1.7.
Tabella 1.7 – Qualità delle acque idonee alla vita dei pesci salmonidi e ciprinidi [19].
Acque
per salmonidi
Acque
per ciprinidi Parametro Unità di misura
G* I** G* I**
Nitriti mg NO2/l 0.01 0.88 0.03 1.77
16
Ammoniaca
non ionizzata
mg NH3/l 0.005 0.025 0.005 0.025
Ammoniaca tota-
le
mg NH4/l 0.04 1 0.2 1
* valore guida o indicativo; ** valore imperativo o obbligatorio
Per quanto riguarda i limiti dei composti azotati relativi alle acque destinate al
consumo umano, rimangono validi nel nostro Paese i limiti indicati nel DPR 236/88,
mentre altri valori vengono indicati nella direttiva della Comunità europea
98/83/EC. Nella Tabella 1.8 sono riportati i valori indicati in questi due documenti
legislativi.
Tabella 1.8 – Valori limite per le acque destinate al consumo umano
Parametri Unità di misura DPR 236/88 DIR 98/83/EC
Nitrati mg/l NO3 50 50
Nitriti mg/l NO2 0.1 0.5
Ammoniaca mg/l NH4+ 0.5 0.4
1.2.3 Riutilizzo delle acque
Il riutilizzo e il risparmio idrico vengono trattati per la prima volta in Italia nella
legge 36/94; il DL 152/99 riprende l’argomento negli articoli 25 e 26, facendo rife-
rimento agli articoli 5 e 14 della 36/94 per specificarne alcuni aspetti e per asse-
gnare maggiori responsabilità alle Regioni per quanto riguarda i provvedimenti da
adottare in materia.
In particolare, per quanto riguarda il riutilizzo dell’acqua, le Regioni sono invitate
ad adottare misure volte a favorire il riciclo dell’acqua e il riutilizzo delle acque
reflue depurate, mediante incentivi ed agevolazioni alle imprese che adottano im-
pianti di riciclo o riutilizzo. Inoltre, riportando l’articolo 26 comma 1 della 152/99,
“la tariffa per le utenze industriali è ridotta in funzione dell’utilizzo nel processo
produttivo di acqua reflua o già usata. La riduzione si determina applicando alla ta-
riffa un correttivo che tiene conto della quantità di acqua riutilizzata e della quan-
tità delle acque primarie impiegate” [19].
17
Dal quadro normativo presentato emerge l’importanza del problema della
depurazione dei reflui da composti azotati, non solo negli impianti di trattamento
di reflui urbani, ma anche nei cicli produttivi di aziende come per esempio le
aziende alimentari, o gli allevamenti ittici.
L’inserimento di impianti di depurazione per il riutilizzo delle acque in tali azien-
de, richiede l’impiego di impianti per la rimozione degli azotati in grado di ottene-
re rendimenti molto elevati, visti i limiti restrittivi imposti alle acque destinate al
consumo umano o idonee alla vita dei pesci. E’ evidente la necessità di investire in
impianti affidabili, che non richiedano alti costi di impianto e di esercizio.
I processi biologici, rispetto a quelli chimico-fisici, richiedono costi energetici e di
conduzione più bassi, e non portano alla produzione di composti indesiderati, come
ad esempio gli organo-alogenati che sono altamente tossici e la cui rimozione ri-
chiede trattamenti ulteriori.