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IL MATRIMONIO EBRAICO
I. LE FONTI
Esistono tre periodi fondamentali per la storia del diritto
ebraico.
Primo periodo: dalla Bibbia alla distruzione del Secondo Tempio.
Il testo basilare del diritto ebraico è la Bibbia. Il diritto
biblico è contenuto nei 5 libri del Pentateuco (Toràh). Per la
tradizione ebraica nella Toràh sono presenti 613 precetti positivi e
negativi che ogni ebreo è tenuto ad osservare. I libri che fanno
parte del canone biblico ebraico sono: la Toràh, i Profeti, gli
Agiografi. Nella Bibbia sono pure contenuti i 7 precetti noachidi di
cui 6 sono divieti (idolatria, bestemmia o blasfemia, omicidio,
incesto e adulterio, furto e rapina, mangiare un arto da animale
vivo) e un obbligo (stabilire un tribunale per l’ordine, la giustizia e
il rispetto dei precetti). Tali precetti si suddividono in molte
ramificazioni e valgono come un comando divino. Il padre ha il
diritto di dare in sposa le sue figlie dietro un compenso in denaro o
dietro un’azione anche senza il consenso della figlia. Nella Bibbia
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gli adulteri, una volta provata la loro colpevolezza, vengono
condannati a morte e ciò vale anche per la ragazza fidanzata che
si è prostituita. Il giudizio dell’adulterio è riservato al tribunale
degli anziani. Nella Toràh esistono poi regole riguardanti gli
animali smarriti e il comportamento che gli uomini devono tenere.
Abbiamo poi il diritto dell’epoca del Secondo Tempio, che inizia dal
ritorno dall’esilio babilonese con l’Editto di Ciro (538 a.E.V.) fino
alla distruzione del Santuario di Gerusalemme da parte di Tito (70
E.V.). Un periodo di più di 600 anni diviso in 5 periodi di difficile
ricostruzione. In questo periodo si formano alcune sette: i Farisei,
i Sadducei, gli Esseni, i Qumram, i Samaritani, gli Ellenizzanti e
poi i primi Cristiani.
Secondo periodo: epoca della Mishnà e del Talmud (II-VI secolo)
In tale periodo avviene la perdita di indipendenza ebraica
con la conseguente diaspora e si pone il problema di mettere per
iscritto le tradizioni orali. La Mishnà (ripetizione, studio) è la più
vasta raccolta di legge orale, detta anche “fonte classica” del
diritto ebraico. La Mishnà è divisa in 6 ordini che comprendono 60
trattati e sono:
1 Zeraim (11trattati) sull’agricoltura
2 Mo’èd = feste (12 trattati) sul sabato / festività
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3 Nashim = donne (7 trattati) sulla famiglia e matrimonio
4 Nezhikin = danni (10 trattati) sul diritto civile-penale
5 Kodashim = cose sacre (10 trattati) sul Santuario di
Gerusalemme
6 Tahoròt = cose pure (12 trattati) sui modi di purificazione
Accanto alla Mishnà esistono altre raccolte di fonti come:
Tos Eftà “Aggiunta” (III Secolo) Baraità (testi non inseriti nello
Mishnà) che fissa 13 regole di interpretazione della Toràh. Questi
13 principi sono: I. Per ragionamento a fortiori (per deduzione:
inducendo da un caso di minor importanza per uno maggiore); II.
Per uguale espressione (per analogia); III. Per costruzione base
(regola generale), derivata da un versetto o da due (sillogismo);
IV. Per ragionamento da generale a particolare; V. Per
ragionamento da particolare a generale; VI. Per ragionamento da
generale a particolare a generale: puoi applicare solo a ciò che è
analogo al particolare; VII. Per (categoria) generale che richiede
una (categoria) particolare e per (categoria) particolare che
richiede una (categoria) generale; VIII. Ogni concetto che era
compreso in una espressione generica e si è staccato da essa per
insegnare, non se n’è staccato per insegnare solo a proposito di se
stesso, ma a proposito di tutto il gruppo; IX. Un concetto che era
compreso in un’espressione generale e se n’è staccato per
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insegnare un punto affine al concetto generale, se n’è staccato
(solo) per facilitare e non per aggravare; X. Un concetto che era
compreso in una espressione generica e se n’è staccato per
insegnare un punto nuovo, se n’è staccato sia per facilitare, sia
per aggravare; XI. Un concetto che era compreso in
un’espressione generica e se n’è staccato per essere sottoposo ad
una nuova norma, non lo si può far tornare all’espressione
generica, se non lo fa tornare esplicitamente il testo; XII. Un
soggetto che si chiarisce dal suo contesto o un soggetto che si
chiarisce da un testo seguente; XIII. Due versetti che si
contraddicono fino a che un terzo non li chiarisca.
Midrash tratta di una ricerca di significato del verso biblico.
Dopo lo Mishnà segue il Talmud che si basa sulla discussione viva
alla quale segue la decisione formale quale commento alla Mishnà.
Vi è un principio fondamentale deciso dai saggi per cui le cause tra
gli Ebrei dovevano essere decise dai tribunali ebraici ovunque.
Nelle Università c’è l’esigenza di continui approfondimenti per
rendere vivo il Talmud nella vita contemporanea.
Terzo periodo: Il diritto ebraico dopo il Talmud
Dopo la chiusura del Talmud viene meno l’autorità centrale e
l’attività creativa è meno intensa. Il Talmud è sempre la fonte
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autoritativa da seguire e con cui non si può essere in disaccordo.
L’autorità in materia giuridica passa ai maestri Saboraim e da essi
ai Gheonìm (capi delle accademie talmudiche di Babilonia).
L’attività giuridica di questo periodo va da Erez Israel, che sono
raccolte di riassunto di decisioni dei tribunali rabbinici aventi
principalmente carattere pratico. Il periodo delle eccellenze vede
invece una grande attività nel campo dei commenti e dei
Responsa. Altra opera importante in questo periodo è il Rif
composto a Fes, in Marocco, da un saggio spagnolo, in cui si
afferma che sono possibili varie divergenze tra la parti del
Talmud, rimandando quindi al decisore la regola a cui attenersi.
Addirittura entrerà a far parte dello Shulchan Haruch che è il
codice del popolo ebraico.
Ci sono state poi importanti interpretazioni del Talmud e della
Bibbia da parte di Rashì , che ha cercato di dare un significato
semplice e letterale in grado di essere compreso anche dal lettore
meno esperto. Nel XII secolo si affermerà la scuola del Tosafot che
cercherà di superare le contraddizioni dei vari passi del Talmud
con un approccio critico e dialettico.
Il più importante filosofo Ebreo del Medioevo è Maimonide, che,
rispondendo all’esigenza di avere una summa dei vari testi creò
un’opera nuova che riportava le conclusioni in modo sistematico e
logico. Oggi nelle Università si studiano insieme il Talmud e
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Maimonide che è considerata la più grande interpretazione del
Talmud.
Fondamentali sono poi i Responsa che danno risposte di ordine
pratico ai diversi problemi delle varie epoche storiche che hanno
contribuito alla risoluzione di molte problematiche.
Altra opera importante è la Arbaa Turim di Asher (1270-1343) che
consiste nella codificazione di tutti i risultati fino ad allora raggiunti
conferendo una grande importanza al diritto civile.
Vi è poi il codice di diritto ebraico di Josef Caro (1488-1575) che,
vista la situazione delle varie diaspore degli ebrei, propone un
metodo per uniformare l’applicazione del diritto. Una volta stabilito
che esistono tre pilastri dell’insegnamento della Halakhà: Rif,
Maimonide, Asher, si dovrà procedere così: qualora due di loro
siano d’accordo ci si baserà sulla loro opinione; se uno non si
pronuncia e gli altri due sono divisi, ci si rivolgerà ad altre autorità
così come nel caso che tutte e tre le autorità non si siano espresse
nel merito. L’opera di Caro divenne famosa grazie soprattutto alle
Glosse di Isserles (1525 CA) conosciute con il nome di Mappà’.
Veniamo poi al diritto ebraico nell’epoca moderna. Tre
fenomeni fondamentali hanno determinato la vita ebraica:
emancipazione, diritto di cittadinanza e di uguaglianza, carattere
statuale del diritto. Questo comportò un sempre maggior
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allontanamento dal diritto ebraico al diritto dello Stato in cui
vivevano. Da tutto ciò, si sviluppa il problema di quale diritto
avrebbe dovuto essere adottato il futuro Stato ebraico. Nel
Novecento il diritto ebraico si sviluppa con i Responsa. I problemi
trattati sono: rapporti tra i singoli e la comunità ebraica o fra le
comunità e lo Stato, vita e morte nel periodo dell’Olocausto,
problemi di conversione. Alla nascita dello Stato di Israele si
accese il dibattito se esso dovesse o no recepire il diritto ebraico
tradizionale. Ci sono state 4 posizioni: una favorevole, un’altra
favorevole a una “secolarizzazione” e laicizzazione, un’altra
contraria e infine una maggioranza contraria per timore di una
ingerenza religiosa. Al di là delle posizioni sopra citate è stata
redatta una lex sui fondamenti del diritto (1980) in cui si afferma:
”Quando un tribunale deve risolvere una questione giuridica, che
non trova risposta nella legge, o in precedenti o per analogie,
deciderà in base ai principi di libertà, giustizia, equità e pace
dell’eredità d’Israele”.
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II. LA CELEBRAZIONE
Il matrimonio nel diritto ebraico
La famiglia è il centro dell’ebraismo. L’ebraismo ha avuto il
suo sviluppo partendo dalla famiglia di Abramo a quella di Isacco e
infine a quella di Giacobbe - Israel fino al formarsi delle 12 tribù.
Il primo precetto è “crescete e moltiplicatevi”. Il matrimonio è
visto secondo una visione divina, sia come “dovere”, sia come
“complemento” tra un uomo e una donna, che, vivendo assieme,
assicureranno continuità al genere umano con la procreazione.
Il matrimonio si basa sul principio di “libertà” per cui anche se le
parti si fidanzano scambiandosi promessa di matrimonio, non vi
può essere la pretesa del mantenimento di tale promessa non
essendo mutata la condizione delle parti. Al più le conseguenze del
mancato mantenimento della promessa potranno essere di
carattere economico e cioè un risarcimento delle spese sostenute
o, qualora il mancato matrimonio sia senza colpa dell’altra parte, il
pagamento di una somma come compenso per il dolore e la
vergogna subiti. Per la legislazione biblico-talmudica, il matrimonio
occupa un posto di primo piano, tanto che i Profeti lo comparano
al legame esistente tra il popolo di Israele e Dio. Il matrimonio e
la famiglia sono alla base della vita sociale (*)(**), e il Talmud
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attribuisce alla donna un ruolo di rango non inferiore all’uomo,
sebbene lo stesso Talmud la considerasse frivola e leggera, troppo
loquace, dedita alla passione per il misterioso e l’occulto e per
l’abbigliamento. Di contro, lo stesso Talmud, ammira nella donna
l’istintiva saggezza ed insiste sulla sua missione essenziale
dell’”armonia e felicità nella coppia”. È la donna che, accendendo i
lumi nelle festività ebraiche, simboleggia il desiderio umano di luce
spirituale.
(*) Il matrimonio nel diritto islamico.
Il matrimonio costituisce un obbligo per il musulmano che abbia i mezzi
per sposarsi. Sposandosi egli si conforma all’ordine di Dio; perciò i fuqaha
(dottori del diritto islamico) spesso considerano il matrimonio un atto di culto.
Allo stesso tempo il matrimonio è un rapporto tra persone che sorge da un
contratto. Essendo un contratto, è necessario il consenso delle parti, ma le
parti, secondo il Fiqh (fonti del diritto in senso tecnico) non sono
necessariamente gli sposi. Qui ogni persona può avere la titolarità del rapporto
come, ad esempio, un tutore nel caso di un matrimonio precoce, che ha quindi
il potere di costrizione matrimoniale. Oggi le leggi in vigore vietano i matrimoni
precoci, fissando un’età minima di 18 ani per l’uomo e di 17 anni per la donna.
Anche il potere di costrizione matrimoniale è scomparso. Il matrimonio è oltre
che l’unione di due vite, l’alleanza tra due famiglie. Ciò è chiaro se si considera
il fatto che occorre un Wali (tutore matrimoniale) che dia in sposa la donna e
vagli l’adeguatezza dello sposo. L’adeguatezza è così rilevante che il Wali può
provocare la separazione dei due. Il Wali può essere il padre, il nonno paterno,
il figlio, il figlio del figlio e così sino all’agnato più prossimo ed infine al sultano.
L’adeguatezza è disciplinata secondo le regole tradizionali da molti legislatori.
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Qualcosa però si muove. Nella nuova legge marocchina l’adeguatezza non
esiste più, si stanno avviando quindi a un grosso cambiamento.
(**) Il matrimonio nel diritto canonico.
Anche il matrimonio canonico fonda le proprie radici nella tradizione
espressa dall’Antico Testamento fin dalle prime pagine della Genesi: “Non è
bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Il
matrimonio canonico si basa sui concetti, risalenti ad Agostino d’Ippona, di
esclusività del vincolo, indissolubilità, generazione ed educazione della prole.
Questi ultimi due sono il fine primario del matrimonio. I tratti distintivi del
matrimonio cristiano divennero, assai presto, l’unità e l’indissolubilità contro la
possibilità di matrimoni poligamici, divorzi, ripudi e nuove unioni. Nella
prospettiva cristiana, infatti, la comunione dei coniugi viene radicalmente
contraddetta dalla poligamia: questa, infatti, nega in modo diretto il disegno di
Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché contraria alla pari dignità
personale dell’uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore
totale e perciò stesso unico ed esclusivo. Altra nota differenziante il matrimonio
canonico da altri tipi matrimoniali è il suo carattere sacramentale. La
sacramentalità del matrimonio dei battezzati è il caposaldo della dottrina
cattolica sul matrimonio ed è ribadita, in polemica con la diversa concezione
protestante, dal Concilio di Trento del 1563. La sacramentalità, peraltro,
attribuisce al matrimonio canonico un’indissolubilità che non limita i suoi effetti
ai due coniugi ma si espande fino a rendere il matrimonio simbolo dell’unità
della Chiesa cattolica e della sua perenne unione con il Cristo. Individuati i beni
del matrimonio nella fedeltà, nell’indissolubilità e nella prole, sorse presto una
domanda: che cosa legittimava in definitiva il matrimonio? Il desiderio di
comunione, l’istinto procreativo o tutti e due? Sia Papa Leone XIII che Papa Pio
XI ritenevano che il fine primario fosse la procreazione. Sarà il concilio Vaticano