7
Altri
22%
Illuminazione
4%
Motori elettrici
74%
Introduzione:
Nella società attuale le macchine elettriche, ed in particolare i motori, sono entrate a far
parte della vita quotidiana e sono sotto gli occhi di tutti in continuazione, anche se ormai non ci si
fa quasi più caso. Esse trovano un vastissimo campo di utilizzo: dalle applicazioni più comuni,
quelle con cui si ha a che fare tutti i giorni, come ad esempio gli elettrodomestici, ad applicazioni
più specifiche, come negli impianti industriali. Gli impianti di incenerimento dei rifiuti non sono
da meno, in essi infatti vengono utilizzate numerose macchine elettriche in ogni comparto, alle
quali sono assegnati i più disparati compiti.
Ancora oggi purtroppo quando si acquista un motore elettrico, il parametro che
maggiormente influenza la scelta di un prodotto, piuttosto che un altro, è il prezzo. Spesso ci si
dimentica, invece, che un motore ha un costo di esercizio molto più elevato di quello di acquisto,
infatti il costo dell’energia consumata da un motore elettrico, durante tutto il suo ciclo vitale è
mediamente il 98% del costo totale del motore, che comprende anche l’acquisto (1,3%) e la
manutenzione (0,7%). Inoltre basti pensare che nel settore industriale italiano quasi il 74% dei
costi di fornitura di energia elettrica è attribuibile ai consumi dei motori e si stima che
nell’Unione Europea sia circa il 65%, comportando elevati costi sia in termini energetici che
ambientali, per rendersi conto che bisogna assolutamente fare qualcosa per ridurre tali consumi.
Nonostante questo ancora si cerca di risparmiare sul costo di acquisto, scegliendo motori
dalle basse prestazioni, ma dal costo sicuramente inferiore, senza pensare che un eventuale
Figura 0.1: Influenza del consumo di energia sul costo
totale di un motore elettrico.
(Fonte:I motori elettrici ad alta efficienza, Gestione energia n.
4/2002)
Figura 0.2: Influenza delle principali cause di
consumo elettrico in ambito industriale.
(Fonte:I motori elettrici ad alta efficienza, Gestione energia n.
4/2002)
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100% Manutenzione 0,7%
Acquisto 1,3%
Energia elettrica 98%
8
sovrapprezzo iniziale per l’acquisto di un motore dalle prestazioni più elevate potrebbe essere
recuperato in tempo relativamente breve, rispetto all’aspettativa di vita di un motore ad alta
efficienza, stimato in circa 2 o 3 anni considerando l’attuale costo dell’elettricità.
Per cercare di migliorare la situazione, dal 1999 è entrato in vigore in Europa il sistema
europeo per la definizione delle classi di efficienza per i motori in corrente alternata, messo a
punto dalla Commissione Europea Centro Comune di Ricerca e dal Cemep (European committee
of manufacturers of electrical machines and power electronics). Questo sistema suddivide i
motori elettrici in tre diverse classi (EFF1 quella con l’efficienza migliore, EFF2, EFF3 quella
con l’efficienza peggiore), in base a due curve di livelli di efficienza per potenza e numero di
poli:
L’esperienza mostra che i motori in classe EFF3 attualmente sono una frazione trascurabile
del mercato, ma lo stesso si può dire anche per i motori in classe EFF1, questo significa che il
mercato è ancora focalizzato principalmente sui motori di classe EFF2.
Implementando l’utilizzo di motori ad alta efficienza, o migliorando quelli già esistenti,
combinati con le “energy efficiency technologies”, cioè le tecnologie studiate appositamente per
migliorare l’efficienza, l’Europa riuscirebbe a risparmiare oltre 200 miliardi di KWh l’anno, che
comporterebbe una significativa riduzione delle centrali elettriche realizzate, una diminuzione dei
combustibili utilizzati con la conseguente riduzione degli inquinanti prodotti ed un non meno
importante risparmio economico. Come esempio si consideri che una così consistente riduzione
Figura 0.3: Curve per la definizione della classe di efficienza.
(Fonte: Efficienza dei motori elettrici, Commissione Europea Centro
Comune di Ricerca/CEMEP, 2003)
9
nei consumi eliminerebbe la necessità di aggiungere 45 GW di capacità di produzione di energia
al sistema europeo, che sarebbe equivalente a evitare la realizzazione di 45 centrali nucleari da
1000 MW o 130 centrali a combustibile fossile da 350 MW. Inoltre il risparmio 200 miliardi di
KWh sarebbe equivalente a circa cinque volte l’energia prodotta da tutti i generatori eolici
installati in Europa nel 2003.
Nel 2000 il consumo elettrico totale dei paesi dell’Unione Europea (allora erano ancora 15)
è stato di circa 2500 miliardi di KWh, dei quali più di 950 usati per l’industria. Di questi, come
già detto, circa il 65% (615 miliardi di KWh) è stato consumato dai solo motori elettrici. E’ stato
calcolato che il risparmio economico potenziale di queste macchine elettriche, se fossero tutte ad
alta efficienza, sarebbe di circa 180 miliardi di KWh, l’equivalente cioè di più del 7% dell’intero
consumo elettrico europeo. Considerando che le politiche energetiche e l’introduzione di
programmi di risparmio energetico sono basati su proiezioni di lungo periodo, e la realizzazione
di impianti impiega diversi anni, è interessante analizzare la relazione “European energy and
transport – trends to 2030”, che stima che il consumo energetico dell’UE (comprendendo tutti i
25 paesi membri attuali) entro il 2020 sarà di oltre 1400 miliardi di KWh. Questo significa che se
la percentuale del consumo di energia dei motori industriali, comparata al consumo totale,
rimarrà invariata e non verranno presi provvedimenti, nel 2020 questi sistemi consumeranno circa
860 miliardi di KWh. Al contrario, se si riuscissero ad applicare tutte le necessarie politiche di
risparmio energetico, il risultato sarebbe un risparmio di oltre 270 miliardi di KWh, pari al 31%
del consumo atteso ed equivalente al consumo totale di energia elettrica della Spagna nell’anno
2000.
La tabella seguente mostra i valori potenziali di risparmio energetico dell’UE utilizzando
motori ad alta efficienza ed inverter ed ottimizzando la tecnologia del sistema:
Oltre agli evidenti benefici economici l’utilizzo di macchine elettriche ad alta efficienza
comporta anche notevoli benefici ambientali, primo fra tutti la riduzione delle emissioni di gas
Tabella 0.1: Potenziali di risparmio energetico dell’UE (Fonte: Energy Efficient Motor Driven Systems, Aprile 2004)
10
serra, che come richiesto dal protocollo di Kyoto, andrebbero ridotte almeno dell’8% rispetto al
valore delle stesse nel 1990.
Esistono quattro sistemi per ridurre le emissioni:
• Incrementare l’uso di energie rinnovabili;
• Incrementare l’uso di energia nucleare;
• Incrementare l’efficienza delle centrali elettriche;
• Risparmiando energia.
Tra questi, il risparmio energetico è quello che offre il maggiore potenziale al più basso
costo.
La tabella seguente mostra i valori potenziali di riduzione delle emissioni dei gas serra
nell’UE, come proporzione tra le emissioni previste e gli obiettivi del protocollo di Kyoto nel
2010 (Kyoto gap):
Visti i numerosi benefici dei sistemi ad alta efficienza, in Europa è nato “The European
Motor Challenge Programme” (MCP), un progetto volontario supportato dalla commissione
europea, volto a migliorare l’efficienza delle macchine elettriche ed alla diffusione delle
informazioni riguardo all’argomento, che redigendo un piano di azione (Action Plan) cerca di far
mettere in pratica le raccomandazioni che il piano stesso riporta. Per il suo scopo il MCP è
supportato da società partner, che non hanno obblighi legali, ma sono considerate di forte
affidabilità, e che con le loro conoscenze aiutano la promozione del programma alle industrie,
ricevendo in cambio un riconoscimento pubblico attraverso la campagna promozionale del
progetto.
Tabella 0.2: Potenziali di riduzione dei gas serra nell’UE (Fonte: Energy Efficient Motor Driven Systems, Aprile 2004)
11
Capitolo 1
Aspetti normativi
1.1 La normativa vigente in ambito gestione rifiuti:
Fino ad Aprile 2006 la gestione dei rifiuti in Italia è stata affidata principalmente al D.lgs. n.
22 del 5 Febbraio 1997 (decreto Ronchi) e successive modifiche ed integrazioni. Questo decreto
recepisce alcune direttive comunitarie:
• direttiva 91/156/CEE sui rifiuti;
• direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi;
• direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
Il decreto Ronchi disciplina la gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi
tramite “disposizioni che costituiscono i principi fondamentali della legislazione statale” [art. 1,
comma 2]. Il suo obiettivo principale è definire un sistema nazionale di smaltimento rifiuti,
assegnando ad ogni ente territoriale (Stato, Regioni, Provincie e Comuni) le proprie competenze
[Titolo I, capo II - “Competenze”]. Regola inoltre l’uso delle discariche e degli impianti di
incenerimento, incentivando una gestione che riduca la produzione dei rifiuti e che ne valorizzi il
riutilizzo, sia come risorsa materiale, tramite raccolte differenziate (RD), recupero e riciclaggio,
sia come risorsa energetica, tramite la termovalorizzazione.
Tra le definizioni riportate dal decreto Ronchi, oltre alla necessaria definizione di “Rifiuto:
qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il
detentore si disfi, abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.”[art. 6, comma 1, lettera a)] ne
compare un’altra di fondamentale importanza: “Gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e
lo smaltimento, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche e
degli impianti di smaltimento dopo la chiusura.” [art. 6, comma 1, lettera d)]. Tale definizione
introduce per la prima volta il concetto di “gestione integrata dei rifiuti”, segnando un’importante
svolta nella concezione delle attività legate ai rifiuti, in quanto in precedenza, col vecchio d.p.r.
915/82 si consideravano del tutto secondarie le attività di recupero e di riciclaggio, preferendogli
12
lo smaltimento. Il decreto Ronchi quindi ribalta completamente la situazione, perché prevede una
riduzione dello smaltimento dei rifiuti, sottolineando che essi non costituiscono semplicemente
sostanze da eliminare, ma rappresentano risorse da riutilizzare. L’art. 4, al comma 1, evidenzia
tale nuova concezione, definendo la priorità degli interventi da compiere sui rifiuti prima di un
eventuale smaltimento finale:
• reimpiego e riciclaggio;
• altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;
• adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che
prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei
materiali medesimi;
• utilizzazione dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per la produzione di
energia.
L’art. 5 si occupa dello smaltimento dei rifiuti, relegandolo a “fase residuale della gestione
dei rifiuti” [art. 5, comma 1] e attuato tenendo conto “delle tecnologie più perfezionate a
disposizione che non comportino costi eccessivi” [art. 5, comma 3], allo scopo di “garantire un
alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica” [art. 5, comma 3, lettera c)].
Rispettando gli obiettivi di cui al comma 3, si incontra il primo accenno alla distruzione dei rifiuti
tramite incenerimento: “A partire dal 1° gennaio 1999 la realizzazione e la gestione di nuovi
impianti di incenerimento possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione
è accompagnato da recupero energetico con una quota minima di trasformazione del potere
calorifico dei rifiuti in energia utile, calcolata su base annuale, stabilita con apposite norme
tecniche”[art. 5, comma 4]. Con l’introduzione di questo comma si è giunti alla nuova
definizione degli impianti di distruzione dei rifiuti tramite incenerimento: da semplice
“inceneritore”, come erano chiamati in precedenza, alla attuale denominazione di
“termovalorizzatore”, più adatta a descrivere l’attività di questo tipo di impianti.
Nell’ambito dei rifiuti ospedalieri, il decreto n°22 del 1997 classificava i rifiuti provenienti
da attività sanitarie come “rifiuti speciali” [art. 7, comma 3, lettera h)] e decretava che gli stessi
“devono essere smaltiti mediante termodistruzione presso impianti autorizzati ai sensi del
presente decreto” [art. 45, comma 3], questo articolo è stato successivamente abrogato dall'art. 16
del D.P.R. n. 254 del 15 luglio 2003, “Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti
sanitari a norma dell'articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179”.
13
L’obiettivo di questo decreto è quello di disciplinare la gestione dei rifiuti sanitari, “allo
scopo di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e della salute pubblica e controlli
efficaci” [art. 1, comma 1]. Secondo tale decreto infatti “le autorità competenti e le strutture
sanitarie adottano iniziative dirette a favorire in via prioritaria la prevenzione e la riduzione
della produzione dei rifiuti. I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la
pericolosità, da favorirne il reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta,
il trasporto e lo smaltimento” [art 1, comma 3] ed inoltre “ai fini della riduzione del quantitativo
dei rifiuti sanitari da avviare allo smaltimento, deve essere favorito il recupero di materia […],
anche attraverso la raccolta differenziata” [art 5, comma 1]. In questo modo anche per questi
rifiuti gli obiettivi principali diventano la diminuzione della produzione della loro pericolosità, il
reimpiego, il riciclaggio ed il recupero, piuttosto che lo smaltimento, includendoli nella
concezione di rifiuto definita dal decreto Ronchi. I rifiuti disciplinati dal decreto 254/2003
vengono elencati nell’art. 1 al comma 5:
a) i rifiuti sanitari non pericolosi: i rifiuti sanitari che non sono compresi tra i rifiuti
pericolosi di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;
b) i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani;
c) i rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;
d) i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;
e) i rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento;
f) i rifiuti da esumazioni e da estumulazioni, nonché i rifiuti derivanti da altre attività
cimiteriali, esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali;
g) i rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano
analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo, con l'esclusione degli assorbenti igienici.
Nel Capo II del decreto vengono espressamente trattati i rifiuti sanitari pericolosi a rischio
infettivo. In particolare con l’art. 8, che si occupa di “Deposito temporaneo, deposito
preliminare, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo”, vengono
fornite indicazioni riguardanti le modalità sulla movimentazione dei rifiuti stessi prima dello
smaltimento: “per garantire la tutela della salute e dell'ambiente, il deposito temporaneo, la
movimentazione interna alla struttura sanitaria, il deposito preliminare, la raccolta ed il
trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere effettuati utilizzando
apposito imballaggio a perdere, anche flessibile, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a
rischio infettivo" e il simbolo del rischio biologico” [art. 8, comma 1]. Per quanto riguarda lo
smaltimento “i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere smaltiti mediante
14
termodistruzione in impianti autorizzati ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”
[art. 10, comma 1], così il decreto 254/2003 modifica l’abrogato art. 45 del decreto Ronchi,
restringendo il campo dello smaltimento mediante termodistruzione da tutti i rifiuti sanitari
pericolosi ai soli rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo.
Da Aprile 2006 la situazione normativa italiana sull’ambiente è completamente cambiata, è
stato infatti introdotto il D.lgs n. 152 del 3 Aprile 2006, “Norme in materia ambientale”, che
sostituisce mediante abrogazione, a partire dalla data della sua entrata in vigore, il 29 Aprile
2006, la maggior parte delle precedenti norme in materia ambientale, tra cui anche il decreto
22/1997. In particolare, come definito dall’art. 1, le materie affrontate da questo decreto sono:
a) nella parte seconda, le procedure per la valutazione ambientale strategica (Vas), per la
valutazione d’impatto ambientale (Via) e per l’autorizzazione ambientale integrata
(Ippc);
b) nella parte terza, la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque
dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche;
c) nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;
d) nella parte quinta, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera;
e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente.
Il decreto legislativo 152/2006 “ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di
qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle
condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” [art. 2,
comma 1].
“La parte quarta del presente decreto disciplina la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti
inquinati” [art. 177, comma 1], “al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e
controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi” [art. 178, comma 1],
rispettando così la linea di principio tracciata dal decreto Ronchi. Proprio questo è l’obiettivo
della quarta parte del D.lgs 152/2006, e cioè rispettare quanto definiva il decreto precedente, ma
integrarlo in maniera da renderlo più consono alla situazione attuale, modificando e completando
i vecchi articoli, aggiungendo qualcosa dove necessario o eliminando qualcos’altro ormai
superfluo. Un esempio si ha dove si afferma che: ”La gestione dei rifiuti è effettuata
conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di
responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella
distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei
principi dell'ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio