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Agostino è rimasto vivo nei secoli attraverso il suo ingente patrimo-
nio di scritti: molti autori e pensatori occidentali si sono rivolti a lui come a
un grande maestro, intere generazioni si sono formate alla sua scuola, il suo
nome ricorre spesso nelle encicliche e nelle omelie liturgiche. La Storia
continua ininterrotta, portando con sé le ricchezze di un passato che non
può ritornare, ma esiste ancora insieme con lui.
All’età di sedici anni, Agostino andò a Cartagine per seguire gli studi
superiori di retorica; lontano dai genitori, che vivevano a Tagaste, era or-
mai cresciuto e sentiva che il mondo era suo.
Nella grande metropoli africana, mentre intorno a lui “rombava la
voragine degli amori peccaminosi”, fu colto da una frenetica ansia di vive-
re, di godersi finalmente la vita: voleva amare, fare le sue esperienze, diver-
tirsi.
L’insoddisfazione, l’inquietudine, il moto febbrile del cuore, l’attra-
zione e insieme repulsione del piacere sessuale, sono esperienze che ogni
adolescente vive, proprio nel momento in sui si sente “grande”.
Nella storia del giovane Agostino, questi naturali moti del cuore si
trasformarono, col tempo, in un grave disagio interiore, tanto da rendergli
la vita impossibile; sullo sfondo, un grande bisogno d’amore. “Che altro mi
dilettava allora, se non amare e sentirmi amato?”
Compiuti i diciannove anni, uscito dalla scuola oratore compiuto, vir
eloquentissimus atque doctissimus, iniziò la sua attività di rètore, prima
nella natìa Tagaste, in seguito a Cartagine; aveva una compagna che gli a-
veva dato un figlio e che lo accompagnava nei suoi viaggi, una madre che
si occupava ancora di lui, tanti amici con cui trascorreva il tempo libero.
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Ormai era sistemato e gli si prefigurava una brillante carriera, la fa-
ma nella sua attività letteraria, le nozze; i suoi desideri di gloria, a cui fin da
piccolo si era appoggiato, stavano per realizzarsi.
Nonostante tutto Agostino non era contento, un grande tormento in-
teriore gli stava rovinando la vita, quel disagio giovanile non si era mai ri-
solto.
Finché un giorno, per un misterioso disegno divino, gli si aprirono
nuove strade che Agostino decise di seguire, fino in fondo. Erano le strade
della sapienza.
Lasciò tutto quello che aveva costruito, con tanto impegno e fatica,
per diventare un instancabile ricercatore della verità.
Questo lavoro si propone di seguire Agostino nel suo percorso incon-
tro alla vita, e di delineare le fasi attraverso cui pervenne, infine, all’ela-
borazione del punto focale della sua dottrina filosofica: il principio
dell’interiorità.
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CAPITOLO PRIMO
IL DRAMMA DI VIVERE
1.1 PREMESSA
Dei tredici libri delle Confessiones, i primi nove raccontano la vita
dell’autore fino alla conversione, all’abbandono dell’attività professionale e
al ritorno nella nativa Tagaste; il X presenta un’ampia riflessione sulla
memoria e sulla relatività del concetto di tempo; gli ultimi tre sono un
commento al racconto biblico della creazione.
In questa apparente varietà di temi trattati, che renderebbero difficile
una catalogazione di qualsiasi genere, è importante individuare gli elementi
che restituiscano all’opera il suo carattere unitario, così com’è nella sua na-
turale concezione.
Le perplessità possono nascere da una lettura moderna, e non solo
perché le biografie e le speculazioni, filosofiche o teologiche che siano, si
trovano ripartite nei rispettivi settori. Il fatto è che si è portati, spesso, a co-
gliere solo gli aspetti che appaiono, piuttosto che quelli che sono, e si guar-
da ai temi passati come appartenenti a un mondo diverso. Si può pensare,
insomma, che a quei tempi “si faceva così”.
Una lettura più informata, e in questo caso gioverebbe una forte di-
mestichezza con i testi sacri, permette di trovare, nella trama delle citazioni
bibliche che sono disseminate in tutta l’opera, il principale elemento di co-
esione.
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Un ulteriore elemento di unità si ricava dal titolo stesso: alla rievoca-
zione del passato vissuto all’insegna della colpa (Confessio peccati), si ac-
costa la professione di fede (Confessio fidei) e la lode a Dio (Confessio
laudis). Riconoscendo le proprie miserie, Agostino rivolge a Dio le sue lodi
e non esiste modo migliore per farlo che quello di celebrarne l’onnipotenza
creatrice, rendendo partecipe di questo l’intera sua Creazione: “Mirando la
creatura e trovandola bella in sé stessa tu lodi Dio. La bellezza del creato è
come una voce muta che si leva dalla terra. Vedi la sua bellezza, che non
può avere da sé e pensi che è lui, il Creatore, ad averla donata.”.
2
È la stessa Creatura che, anche col suo silenzio ma con tutto il suo
esserci, crea un ponte tra noi e Lui, ci rende partecipi, tutti insieme, della
stessa vita.
L’originalità dell’opera, considerata unico e vero esemplare e pietra
miliare nella letteratura occidentale, è proprio nella sua stessa concezione,
in quanto combina l’elemento narrativo con le riflessioni personali e con le
preghiere.
L’autobiografia è un genere letterario poco praticato dall’antichità,
almeno in questa forma: i Greci e i Romani non avevano interesse per
l’evoluzione psicologica dell’individuo; allora si usava scrivere usando lo
stile impersonale, spesso protocollare, per conservare la memoria delle loro
vite e delle loro imprese, non tanto per presunzione o ambizione, quanto
piuttosto per “fiducia morum” cioè in omaggio alla schiettezza dei costumi.
Solo l’abitudine all’esame interiore praticata dal neostoicismo, tra i
primi Marco Aurelio, e le esperienze spirituali e mistiche introdotte con
l’arrivo del Cristianesimo, hanno favorito la prassi degli scritti autobiogra-
fici. In quest’ordine di idee possiamo collocare, senza timor di dubbio, A-
gostino da Ippona.
2
Omelia sul Salmo 144,13
8
Nelle Confessioni, egli ripensa i momenti più significativi della sua
vita, scavando in modo affannato e ansioso, a tratti crudele, nella propria
interiorità, non tralasciando le zone più buie della coscienza e rivisitando
ogni esperienza con l’attenzione volta, non tanto alla sua rilevanza obietti-
va, quanto al più segreto e intimo significato.
La sua opera non racconta le gesta di un eroe, e neppure la carriera di
un personaggio di prestigio, questo sarebbe contrario alle sue conquistate
doti di umiltà; è la vita di un uomo come tanti, con le sue ansie e i suoi
dubbi, con le gioie e le amarezze della vita di ogni giorno: anche gli episodi
più banali, più giornalieri, quelli in cui ognuno potrebbe riconoscersi, sono
scandagliati in profondità perché potrebbero contenere elementi utili alla
piena consapevolezza dei propri limiti.
Per questa sua attitudine alla sincerità con sé stesso, prima ancora
che con il lettore, e per il coraggio profuso nell’operazione tanto dolorosa
quanto pericolosa del “conoscere sé stessi”, Agostino è l’unico dei Padri
della Chiesa che sia riuscito a superare i limiti della sua biografia e della
sua epoca, per affrontare problematiche più largamente umane e generaliz-
zabili: il conflitto tra la carne e lo spirito, così presente nella sua vita, la
scelta tra la vita attiva e quella contemplativa, le domande sul mistero della
nostra esistenza. L’umanità intera aveva bisogno di quelle risposte, Agosti-
no le ha trovate e, con estrema generosità, ha fatto in modo che queste perle
della sua saggezza, tanto sofferte e tanto vissute, arrivassero fino a noi.
Sentiamo le sue stesse parole: “Ma a chi narro questi fatti? Non cer-
to a te, Dio […] li narro ai miei simili, al genere umano, […]. E a quale
scopo? All’unico scopo che io ed ogni lettore valutiamo la profondità
dell’abisso da cui dobbiamo lanciare il nostro grido verso di te...[…]”.
3
3
Conf. 2.3.5
9
1.2 LA PRIMA EDUCAZIONE
Se l’essenziale interesse dell’autobiografia fosse solo nei trascorsi
personali dello scrittore, non si saprebbe come giustificare il posto dato da
Agostino alla sua primissima infanzia, di cui confessa, ed è ovvio, di non
ricordare nulla e di affidarsi ai racconti di altri oppure alle proprie osserva-
zioni sui bambini.
Ciò che più colpisce, proprio in apertura d’opera, è che queste righe
non sembrano introdurre a un testo autobiografico, per giunta antico; l’idea
che mi sovviene è che forse ho aperto un libro di psicologia infantile con-
temporanea.
Infatti la perizia con cui Agostino descrive la sua venuta al mondo
potrebbe istruire chi, magari un po’ velocemente, vuole sapere di più di
quei periodi, uguali per tutti, di cui non può ricordare: “Poi cominciai an-
che a ridere, prima nel sonno, quindi nella veglia. Così almeno mi fu riferi-
to sul mio conto, e io vi ho creduto, perché vediamo gli altri bambini com-
portarsi così […] ed ecco che a poco a poco incominciai ad avere anche
coscienza del luogo dove mi trovavo […] volevo manifestare i miei desideri
alle persone che erano in grado di soddisfarli […]. Perciò mi dibattevo e
strillavo, esprimendo così per analogia i miei desideri, quanto poco potevo,
e come potevo […]”.
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Un bambino come tutti, che sorride, piange, osserva e desidera. Ma
perché Agostino, che aveva deciso di enunciare solo i fatti rilevanti al suo
scopo, si sofferma su queste descrizioni, senza peraltro corredarle con epi-
sodi particolari che lo possano distinguere? Tutti ne abbiamo, ma lui si
ferma alla generalità.
4
Conf. 1.6.8
10
È un dato di tutto rilievo.
Si può dire che non importa essere così generici, quando ciò che av-
viene a qualsiasi bambino è argomento di lode a Dio e di riconoscimento
della misera condizione dell’uomo peccatore.
5
Ma c’è un’altra considera-
zione da fare.
Milleseicento anni ci separano dal giorno della sua conversione. For-
se bisogna chiedersi se non è che tutto il tempo trascorso ci faccia sentire
troppo lontani da lui,
Basta osservare la grandezza del suo operato, gli onori attribuiti al
suo ingegno, i riconoscimenti della Chiesa, la sua Santità: e la distanza è
già più che evidente.
Ma non è solo questo: anche i luoghi e, le tradizioni erano tanto di-
versi da noi, come pure l’educazione, la famiglia, la scuola, lo stile di vita.
“Erano altri tempi” si suol dire nel tentativo di giustificare certe usanze che
ai nostri occhi sembrano assurdità.
Noi siamo cambiati, è vero, e certe cose non ci appartengono più, ci
siamo “evoluti”, nel tempo e col tempo, noi siamo un altro popolo, non più
quello.
Agostino ci viene incontro proprio qui: il bimbetto che apre gli occhi
alla vita, che dorme, piange, sorride, non è solo lui, ma anche ciascuno di
noi, un luogo comune dove ognuno si può rispecchiare, è la nostra realtà
ontologica, che si esprime cosi, nella nostra uguaglianza.
Date queste premesse, credo che sia più facile il mio intento di
leggere, tra le righe dei suoi ricordi, quali emozioni e quali sentimenti
possano aver inciso sulla formazione del suo carattere e del suo pensiero.
Gli odierni studi scientifici ci consegnano un dato nuovo, rispetto ai
tempi di allora: è accreditata, infatti, molta importanza alle prime fasi di
5
M. Pellegrino op. cit. pag: 32
11
vita, con particolare riguardo alle relazioni emotive che si instaurano tra
madre e figlio nei momenti di cure primarie, da cui il piccolo dipende, non
solo per la sopravvivenza fisica ma anche per il suo naturale bisogno
affettivo.
Sono solo le prime basi, ma saranno le linee guida, silenti o
coscienti, che determineranno le nostre scelte future.
In questo senso mi interessano i suoi primi momenti, perché nulla si
perde di ciò che è stato. Agostino l’aveva capito da solo: “Dall’infanzia,
procedendo verso l’età in cui mi trovo ora, passai dunque nella giovinezza,
se non fu piuttosto la fanciullezza a raggiungermi succedendo all’infanzia.
Quest’ultima non si ritrasse certamente: dove svanì?”
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Agostino fu accolto nella vita “dai conforti del latte umano”, e la sua
infanzia era alimentata dalla madre, oppure dalla nutrice: non aveva
importanza se fosse l’una o l’altra a prendersi cura di lui, l’importante era
che una cura ci fosse. E’ solo l’inizio della sua “vita mortale” oppure
“morte vitale”.
Le sue richieste non erano esaudite, non certo per cattiveria, ma per
l’incapacità di cogliere quei segnali: “Volevo manifestare i miei desideri
alle persone che erano in grado di soddisfarli, senza esito alcuno, poiché i
primi stavano nel mio interno, le seconde all’esterno e con nessuno dei
loro sensi potevano penetrare nel mio animo.”.
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Li separava un muro di incomprensione, d’altronde ben poco si
sapeva della vita mentale del neonato.
Agostino imparò a parlare non per insegnamento metodico da parte
degli “anziani”, bensì imitandoli, perché, come dice con amarezza, voleva
manifestare le sue volontà, ma i gemiti, “le molteplici grida e i molteplici
6
Conf. 8.13
7
Ib. 1.6.8
12
gesti degli arti” non erano compresi da nessuno; allora si arrangiò da solo,
in modo, oserei dire, assai perspicace, per un bimbo di quell’età.
“Afferravo con la memoria: quando i circostanti chiamavano con un
certo nome un certo oggetto e si accostavano all’oggetto designato, io li
osservavo e m’imprimevo nella mente il fatto che, volendo designare
quell’oggetto, lo chiamavano con quel suono. Che quella fosse la loro
intenzione, lo arguivo dal movimento del corpo, linguaggio, per così dire,
comune a tutte le genti e parlato col volto, con i cenni degli occhi, con i
gesti degli arti e con quelle emissioni di voce, che rivelano la condizione
dell’animo cupido, pago, ostile, avverso. Così le parole che ricorrevano
sempre a un dato posto nella varietà delle frasi, e che udivo di frequente,
riuscivo gradatamente a capire quali oggetti designassero, finché io pure
cominciavo a usarle, dopo aver piegato la bocca ai loro suoni, per
esprimere i miei desideri.”
8
È notevole questo passo: documenta già l’acutezza del suo ingegno e
un forte spirito di osservazione e di creatività: “fui io il mio stesso maestro,
con l’intelligenza avuta da te”.
Ma c’è anche disperazione, voglia di parlare, comunicare con gli altri
e con il mondo, voglia di essere considerato una personcina anche lui.
Notiamo come i bisogni umani, per quanto possano essere repressi,
esplodono, prima o poi, e scelgono i più svariati modi per farlo.
Oggi diremmo che ciò dipende dalle circostanze ambientali e non
solo, anche dalla forza di carattere, o dalle proprie debolezze e, se
vogliamo, da un pizzico di fortuna, quella che ci permette di incontrarci
con gli eventi giusti, che fanno al caso nostro e alla storia nostra.
Così è, non solo per l’umano bisogno di relazionarsi agli altri, in
quanto mi pare vero che l’uomo sia un essere sociale, ma anche per altre
8
Conf: 1.8.13
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urgenze, quali il senso di libertà, il bisogno di amore reciproco, l’esigenza
di ragionare sulle cose, la voglia di autonomia.
Queste umane esigenze che già ribollono nel suo piccolo cuore,
gradatamente costruiranno il suo “io” più interno e, come vedremo, saranno
la sua guida, inconsapevole, nelle scelte future.
Agostino aveva due fratelli: Navigio, che lo seguirà nel corso del suo
tormentato cammino verso la verità, e una sorella, di cui sappiamo poco.
Anche il padre nella biografia è appena nominato, di lui sappiamo
quel tanto che basta per renderci conto di quale fosse il menage familiare in
cui Agostino imparava a vivere.
Patrizio era un piccolo proprietario terriero e lavorava, in qualità di
funzionario, al municipio di Tagaste; era benestante, ma non ricco. Pagano
per indole e per educazione, non si oppose mai all’educazione cristiana che
sua moglie volle impartire ai figli; per la dolcezza di lei riceverà il
battesimo, morendo appena un anno dopo.
Agostino lo descrive come “un uomo singolarmente affettuoso, ma
altrettanto facile all'ira” poi aggiunge, in dettaglio, un frammento della lo-
ro vita in comune, purtroppo era il pane quotidiano: “Mia madre aveva im-
parato a non resistergli, nei momenti di collera, non dico con atti, ma nep-
pure a parole. Coglieva invece il momento adatto, quando lo vedeva ormai
rabbonito e calmo, per rendergli conto del proprio comportamento se per
caso si era comportato piuttosto a sproposito.”.
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Nelle conversazioni, tutte le amiche deploravano il comportamento
dei mariti, e portavano addosso i segni delle percosse che le deturpava
nell’aspetto. Erano stupite nel notare che a Monica questo non succedesse,
non solo, ma non si sentivano litigi né si vedevano divisioni, neppure mo-
mentanee.
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Conf. 9.9.19