CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
2
Nelle ossa spugnose, le lamelle si intrecciano, formando una rete
tridimensionale di trabecole ossee, che delimita degli spazi, detti
midollari, contenenti il midollo osseo rosso (che produce le cellule del
sangue: globuli bianchi, globuli rossi e piastrine). Nelle ossa compatte, le
lamelle sono strettamente addossate, stratificate, formando dei particolari
sistemi, disposti intorno ai vasi (sistemi di Havers delle ossa lunghe), alla
superficie esterna o interna dell’osso (sistemi fondamentali o
circonferenziali esterno ed interno). Va ricordata un’altra varietà di
tessuto osseo: la dentina, costituente principale del dente.
In base alla loro forma, al loro aspetto macroscopico, le ossa vengono
divise in 3 gruppi: ossa lunghe, brevi (o corte) e piatte. Le ossa lunghe
(fig. 1.2) presentano un corpo o diafisi, piuttosto allungato e di forma
cilindrica, e due estremità, le epifisi, ingrossate, provviste di superfici
articolari per la connessione con le altre ossa.
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
3
Le ossa brevi (o corte), sono formate da tessuto osseo spugnoso (che
contiene midollo rosso), rivestito da un sottile strato esterno di osso
compatto e da cartilagine ialina sulle superfici articolari. Le ossa piatte
sono costituite da due lamine di tessuto osseo compatto, separate da un
sottile strato di osso spugnoso, che può, talora, mancare.
Tutte le ossa sono rivestite esternamente da un sottile strato connettivale,
il periostio, riccamente vascolarizzato ed innervato, le cui cellule
intervengono nella riparazione delle fratture, trasformandosi in
osteoblasti. Dal periostio partono le fibre collagene dette fibre di
Sharpey, che lo fissano all’osso sottostante.
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
4
1.1.1 CELLULE OSSEE
Nel tessuto osseo ritroviamo 3 tipi di cellule: osteociti, osteoblasti ed
osteoclasti. Gli osteociti sono contenuti in cavità o lacune ossee, scavate
nella matrice, tra una lamella e l’altra o anche nello spessore delle stesse
lamelle. Sono cellule appiattite, con un corpo a forma di mandorla, da
cui si dipartono degli esili prolungamenti citoplasmatici, che percorrono
sottili canalicoli che originano dalle lacune ossee. Tali prolungamenti
permettono scambi di sostanze tra sangue ed osteociti, che, altrimenti,
non potrebbero avvenire, poiché la matrice calcificata ne impedisce la
libera diffusione. Gli osteociti non sono attivi produttori della matrice
ossea; tuttavia essi intervengono nel regolare i fenomeni di deposizione e
riassorbimento dei sali di calcio nell’osso.
Gli osteoblasti sintetizzano la matrice organica dell’osso che,
successivamente, subisce il processo di calcificazione. Essi si
dispongono alla superficie del tessuto osseo, strettamente accollati tra
loro, così da dare l’impressione di un epitelio semplice. Di forma cubica,
anch’essi dotati di sottili prolungamenti, vengono progressivamente
circondati dalla matrice ossea da loro stessi prodotta, vi rimangono
intrappolati dentro e si trasformano in osteociti.
Gli osteoclasti sono cellule giganti multinucleate, mobili. Esse
intervengono nel processo di riassorbimento osseo: dobbiamo
sottolineare, infatti, che l’osso modifica continuamente la sua struttura,
rispondendo alle sollecitazioni meccaniche cui è sottoposto; demolisce
alcune lamelle per ricostruirne altre, orientate diversamente, per poter
sopportare più agilmente il carico cui è sottoposto. Gli osteoclasti sono
incaricati dell’opera demolitiva, mentre sarà compito degli osteoblasti la
ricostruzione del tessuto osseo.
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
5
1.1.2 FUNZIONI DEL TESSUTO OSSEO
Come tutti i tessuti connettivi, anche il tessuto osseo svolge funzioni
preminentemente di tipo meccanico: le ossa, infatti, sostengono e
proteggono le parti molli (l’encefalo nella scatola cranica; i polmoni e il
cuore nella gabbia toracica etc.); agendo come leve, permettono la
trasformazione delle forze meccaniche generate dalla contrazione dei
muscoli (che si inseriscono sulle ossa mediante i tendini) in movimento.
Inoltre nelle ossa è contenuto il midollo osseo, che produce le cellule del
sangue, ha cioè funzione ematopoietica; infine, il tessuto osseo partecipa
al metabolismo del calcio e del fosforo, dei quali rappresenta la
principale forma di deposito per il nostro organismo [1].
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
6
1.2 IMPIANTI ENDOOSSEI
La sostituzione e rigenerazione dei tessuti ossei è da tempo discussa e
studiata e riguarda la chirurgia ortopedica, la neurochirurgia, la chirurgia
ricostruttiva e la chirurgia dentistica e maxillo-facciale. Nella chirurgia
ortopedica, gli impianti ossei sono largamente usati nell'artoplasia
dell'anca e del ginocchio (osteoartrite, fratture osteoporotiche e
traumatiche, artrite reumatoide), chirurgia neoplastica, osteomielite
(ematogenica, fratture aperte, impianti metallici), chirurgia spinale
(erniazione discale, tumori, spondilodischiti).
Attualmente l'obiettivo standard, in presenza di perdite ossee, sono gli
innesti ossei.
Gli autoinnesti hanno il vantaggio di non essere immunogenici e, cosa
ancor più importante, sono i migliori per indurre la neoformazione di
tessuto osseo nell'ospite. Gli svantaggi sono la quantità disponibile
limitata e la resistenza, forma e dimensioni che non sono in grado di
duplicare con precisione l'osso da sostituire. Essi richiedono interventi
chirurgici aggiuntivi, più sofferenza per il paziente, rischi di infezione e
costi addizionali per i più lunghi tempi chirurgici.
Gli alloinnesti, d'altro canto, sono disponibili in quantità elevate, possono
essere resistenti e duplicare le mancanze, presentano però certi problemi
biologici: sfortunatamente sono immugenici e non sono così
osteoinduttivi come gli autoinnesti, generando talvolta problemi di
saldatura. Inoltre i problemi di trasmissione di malattie (HIV, epatiti)
sono ben documentati. L'osso proveniente dalle cosiddette "banche" non
è sempre pronto e disponibile: l'immagazzinamento è costoso e per di più
altera le proprietà meccaniche ed il responso biologico, oltre che essere
limitato nel tempo. Si deve altresì tener conto del fatto che le infezioni
ossee postoperative aumentano grandemente la necessità di impianti e
sostitutivi ossei.
Un approccio innovativo per risolvere il problema di fornitura degli
impianti ossei ed allo stesso tempo quello della rigenerazione ossea, è
quello di sviluppare dispositivi costituiti di materiali a base di fosfati di
calcio (osso artificiale, innesti simulanti l'osso naturale), caricati dei
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
7
farmaci necessari attraverso una matrice polimerica biodegradabile per
ottenere un dispositivo da impianto capace di avere caratteristiche tali da
sostituire l’osso e contemporaneamente essere in grado di effettuare un
rilascio modulato di farmaco.
Per definire il volume del problema, i dati di mercato mostrano che il
numero totale di sostituzioni di giunti, articolazioni, insieme alle
emiartoplastiche eseguite per fratture del collo femorale, ammontano nel
mondo ad 1 milione all’anno. Negli Stati Uniti vengono eseguite ogni
anno approssimativamente 400.000 sostituzioni totali di giunti,
l’incidenza delle infezioni è stimata 3.500-4.000 (dati 1994). In
complesso l’incidenza di infezioni ammonta all’1-2%. Il rischio di
infezione balza a 3-6% nella chirurgia di revisione ed è aumentata da
varie affezioni collaterali. Pertanto risulta di estremo interesse progettare
un materiale che sia sostitutivo dell’osso con funzioni di bioattività e che
agisca contemporaneamente da sistema per il rilascio controllato in situ
di farmaci antiinfiammatori o altri. L’utilizzo annuale di impianti nel
Regno Unito si calcola a circa 7.800 teste di femore, 24 kg di osso a
granuli e 55 ossa intere. Le procedure di revisione ora rendono conto fino
al 30% di tutte le operazioni del comparto e spesso richiedono quantità
sostanziali di alloimpianti unitamente alla somministrazione di
antiinfiammatori.
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
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1.3 RISPOSTA DEI TESSUTI AGLI IMPIANTI
L’impiantazione di materiali nel tessuto vivo causa ferite e reazioni al
corpo estraneo. Come risultato di queste reazioni, le cellule
infiammatorie (granulociti e fagociti mononucleari) inizialmente
migreranno verso l’impianto, infine si formerà un essudato. Se,
comunque, l’impianto è soggetto a dissoluzione, si formeranno dei
prodotti di degradazione e l’infiammazione acuta evolverà in una
cronica. Di conseguenza, macrofagi e cellule multinucleate giganti
rimarranno attive sull’impianto. Il continuo rilascio dei prodotti di
degradazione, la liberazione di enzimi litici e la produzione di fattori
chemotattici, da parte dei macrofagi, attireranno nuove cellule
infiammatorie. Queste nuove cellule produrranno agenti nocivi, che
contribuiranno alla distruzione del tessuto circostante ed infine al
fallimento dell’impianto.
L’ideale impianto costituito di fosfati di calcio è quello per sostituzioni
ossee, in quanto questi materiali sono gli stessi presenti nel tessuto osseo.
Particelle e blocchetti di idrossiapatite impiantati nell’osso, sono stati
utilmente utilizzati, per la ricostruzione di mancanze ossee, per la sua
non tossicità, biocompatibilità ed osteoconduttività [2].
Osteoconduzione
I materiali osteoconduttivi non sono in grado di indurre la formazione di
nuovo osso, ma la facilitano. Essi mettono a disposizione delle cellule
ossee (preesistenti) il calcio ed il fosforo che sono necessari per il
processo di mineralizzazione.
Osteoinduzione
Proprietà per cui un elemento è in grado di indurre un tessuto a
mineralizzare. Nessun materiale fino ad ora studiato possiede tale
caratteristica, a meno che esso non venga “caricato” con cellule ossee o
con molecole, quali la proteina morfogenetica dell’osso (BMP), la
calcitonina o l’ormone della crescita (GH) [3].
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
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1.4 SISTEMI IDONEI COME DISPENSATORI
DI FARMACI
Per la progettazione di un congegno capace di adsorbire e poi rilasciare
un farmaco o un’altra sostanza è indispensabile conoscere le
caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e strutturali di:
1) tessuto su cui andrà applicato il dispensatore
2) carrier (o impianto) della sostanza che verrà rilasciata
3) farmaco opportuno per quel problema
4) legami chimici tra carrier e farmaco, carrier e tessuto
5) meccanismo e cinetica di rilascio del farmaco
In letteratura, soprattutto negli ultimi anni, si trovano un numero sempre
crescente di questi sistemi, i quali utilizzano una vasta gamma di
sostanze curative (antibiotici, antitumorali, proteine, ormoni, etc.). In
base alla composizione chimica, i carrier vengono distinti in :
1.4.1 POLIMERI NATURALI
Il chitosano è un polisaccaride biodegradabile cationico composto di
residui N-acetilglucosamino che possiede caratteristiche strutturali simili
ai glicosaminoglicani, non è tossico e facilmente riassorbibile. Viene
correntemente utilizzato come dispensatore di farmaco: microgranuli per
somministrazione orale [4], sistemi spugnosi che rilasciano il fattore
della crescita [5], microsfere che rilasciano agenti antineoplastici [6].
La gelatina è un polimero naturale (vedasi capitolo 3), non tossico,
ottenuta mediante idrolisi controllata di una proteina insolubile, il
collagene, che si trova abbondantemente nei tessuti connettivi, è il
maggior costituente della pelle, ossa e tessuto connettivo molle. La
gelatina presenta dei vantaggi rispetto al collagene, perché è
estremamente difficile preparare una soluzione concentrata di collagene
nativo, perciò la gelatina è molto più economica del collagene [7]. La
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
10
gelatina è stata utilizzata in microsfere come dispensatore dell’ormone
della crescita (GH) [8],[9], nel trattamento di infezioni (gentamicina) e
recupero del tessuto osseo (ormone della crescita) [10], nei reni artificiali
come carrier dell’enzima ureasi [11].
Questi due polimeri naturali possono essere più o meno reticolati (cross-
linked) usando degli opportuni agenti reticolanti come la formaldeide o la
glutaraldeide. La cinetica di rilascio può essere così influenzata anche da
questo parametro.
1.4.2 POLIMERI SINTETICI
Sono stati effettuati studi di sistemi con rilascio controllato di farmaci
sfruttando una vastissima gamma di polimeri sintetici. Ciò grazie al fatto
che questi composti, immersi in liquidi fisiologici, subiscono un lento
processo di erosione, portando così in soluzione il farmaco
eventualmente miscelato al polimero. Alcuni networks polimerici
tridimensionali tenuti assieme da legami covalenti e deboli forze coesive
come i legami idrogeno (idrogel), possono essere utilizzati, ad esempio,
come interfacce tra l’osso e l’impianto, con lo scopo di fornire un
meccanismo di fissaggio della protesi alla cavità intramidollare. Fanno
parte degli idrogel quella grande classe di materiali polimerici idrofilici
che possiedono una grande abilità nel rigonfiarsi in acqua e altri solventi
opportuni, capaci di imbibirsi e ritenere più del 10% del loro peso di
acqua all’interno della struttura gelatinosa [12].
Esempi di carrier polimerici utilizzati sono: dischetti di poli acido lattico
(PLA) per il rilascio del chinolone pefloxacina [13],
tetraidrofurfurilmetacrilato / poli etilmetacrilato (THFM/PEM) per il
rilascio della clorexidina [14], microsfere di copoli (acido lattico / acido
glicolico) / poli( Η-caprolattone) (PLGA/PCL) per il rilascio del fattore di
crescita dei nervi (NGF) [15], poli idrossietilmetacrilato (PHEMA) per il
rilascio di farmaci antiinfammatori non-steroidei (FANS) come
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
11
l’ibuprofene ed il ketoprofene [16], cemento a base di poli
metilmetacrilato (PMMA) per il rilascio dell’ormone della crescita [17],
impianti ossei a base di copoli acido lattico / acido glicolico (PLA/PGA)
per il rilascio del fattore di crescita osseo (BMP) nei casi di fratture non
unite [18], congegni monolitici di poli etilenossido (PEO) per il rilascio
dell’etofillina [19], dischetti di poli idrossietilmetacrilato (PHEMA) per
il rilascio del farmaco antitumorale citosin arabinosidato (ara-C) [20].
1.4.3 BIOVETRI
Vetri porosi formati mediante processo sol-gel sono stati usati come
applicazioni diagnostiche ed anche come sostituti ossei. Da una idrolisi
del poli etossisilossano si possono infatti ottenere strutture simili a quelle
di una spugna. Impianti costituiti sia da vetri sinterizzati con processo
sol-gel (Na
2
O-CaO-SiO
2
) contenenti l’85% di silice ed anche xerogels di
silicio che contengono il 100% di SiO
2
sono biocompatibili e bioattivi.
Nei tessuti molli o nelle ossa essi incrementano la formazione di
fibroblasti o osteoblasti, con un conseguente aumento della formazione di
collagene, che farà poi da legante tra il vetro e l’osso o il tessuto molle
[21]. Xerogels di silicio sono stati utilizzati allo scopo di adsorbire poi
rilasciare, in vitro ed in vivo, toremifene citrato (un anti-estrogenico)
[21]; granuli di xerogels di silicio per il rilascio dell’inibitore della
tripsina (TI) [22]; cemento a base di vetro ionomerico (polialchenoato)
(GICs) per il rilascio di proteine del siero [23].