migratorie successive influendo sul paesaggio e l’economia locale, e che ora
costituisce uno dei fattori di attrattività su cui punta il progetto di
rigenerazione. Gli spazi pubblici diventano così finestra per esaminare la
coesistenza di economie di nicchia e di culture, e la loro
integrazione/esclusione in un progetto unitario.
Un lavoro d’archivio ha permesso di ricostruire - attraverso i progetti di
pianificazione per le due aree dagli anni Sessanta ad oggi, i giornali del tempo,
alcune testimonianze raccolte in loco e su internet - le continuità e i
cambiamenti negli usi e funzioni, nonché nell’immagine pubblica, dei due spazi
pubblici principali, Wembley Park e Wembley High Road, e il loro differente
ruolo all’interno della regione metropolitana.
Un periodo di osservazione e interviste con attori coinvolti nel progetto di
rigenerazione e con esponenti della comunità locale, integrato dall’analisi del
progetto, dei piani e di parte dei documenti che ne testimoniano l’evoluzione, ha
permesso di evidenziare i processi in atto a livello di governance e partnership e
la situazione dei piccoli esercenti, etnici e non, all’interno della strategia di
sviluppo locale, e di dare una valutazione del progetto in relazione alle istanze
di sviluppo e di inclusione, privilegiando il punto di vista della valorizzazione
locale.
4
Capitolo 1
I CONTENUTI
1.1 LA FORMA DELLA CITTÀ CONTEMPORANEA E LO SPATIAL PLANNING
“Si deve vivere in una città e parlare con i suoi abitanti per poterla criticare”
(Lynch, 1996, p.359)
I discorsi sulla forma della città contemporanea oscillano spesso tra
interpretazioni funzionaliste e nuovi paradigmi, che cercano di trovare chiavi di
lettura e terminologie appropriate. I cambiamenti epocali che caratterizzano le
analisi della città contemporanea sono l’emergere del soggetto, della
concentrazione e dispersione urbana, del quotidiano (De Certeau, 2001), della
progressiva democratizzazione dello spazio.
Il confronto fra le teorie e pratica ha prodotto un dibattito sulla forma della città
in relazione alla sostenibilità, che ha comportato una revisione delle prime e la
sitematizzazione, precaria, delle direttive della pianificazione a livello delle
politiche per il territorio sia dell’Unione Europea che, per il caso specifico, del
governo inglese. Questo quadro serve ad individuare i principali cambiamenti
che hanno influito sull’area e sul progetto di rigenerazione in esame negli ultimi
trenta anni.
Per l’Unione Europea i documenti principali di riferimento in materia di
gestione dello sviluppo urbano sono stati la Green Paper dell’European
Commission on the Urban Environment del 1990 e i successivi reports (EU
Working Group on Sustinability, 2003), mentre per la realtà inglese la Urban
Task Force diretta da Richard Rogers (Rogers e Power, 2000) ha prodotto
analisi e indicazioni che hanno dato avvio a tutte le successive Planning Policy
Guidance del governo Blair, come verrà esaminato in seguito.
Due fenomeni apparentemente contraddittori sono stati registrati rispetto
all’evoluzione della forma della città: la riscoperta della città, soprattutto da
parte di specifici gruppi sociali (singles, giovani, con occupazione nel settore
5
dei servizi avanzati) e una persistente tendenza alla suburbanizzazione, con
variazioni che arrivano fino alla rurbanizzazione, e un allargamento dell’area
urbana verso l’esterno, soprattutto lungo le direttrici principali di traffico, con
raggi di gravitazione sulla città sempre più ampi (Graham e Marvin, 1996).
“(…) la città contemporanea, nelle sue forme estreme di megacity e di città
diffusa ed ovviamente in tutte le sue forme intermedie, non coincide con il
dissolvimento della città. Ciò che si sta dissolvendo non è la città, quanto alcuni
concetti e le loro tradizionali declinazioni. “Nella mixitè di attività e soggetti
che connota la città contemporanea, si dissolve il concetto di funzione ed
emergono concetti come quelli di compatibilità e incompatibilità. Nella
molteplicità e diversità delle situazioni si dissolve il concetto di zona omogenea
e di gerarchia; lentamente sta emergendo quello di porosità. Nella dispersione si
dissolvono i concetti di densità e prossimità; lentamente sta emergendo quello di
giusta distanza” (Secchi, in Mazzeri, p.261). Nelle condizioni di forte
competizione della regione londinese, e per centralità a forte valenza globale
come Wembley però purtroppo le vecchie istanze hanno ancora, e forse oggi più
che in altri periodi dell’immediato passato, una rilevanza che è stata abbracciata
dai sitemi di pianificazione britannici. Quello che si sta tentando di fare è
aumentare la flessibilità nella gestione delle risorse, per adattarsi alla
molteplicità di istanze che partecipano alla costituzione dei luoghi.
Questi sono temi ricorrenti nelle analisi sulla forma urbana sin dalle prime
forme di suburbanizzazione alla fine del XIX secolo, quello che cambia sono
l’intensità, la durata del fenomeno e le sue specificità sociali, e di conseguenza
la scala a cui le politiche afferenti devono agire.
Le politiche di limitazione della città nel caso inglese si possono far risalire al
Piano di Londra di Abercrombie del 1948, un primo tentativo di rispondere
all’allarme per un’espansione della città infinita e informe.
Il dibattito sulla dimensione ottimale della città, risalente alle teorie organiciste
e ancor prima al terrore della fine della campagna, così radicato
nell’immaginario inglese, che lo hanno alimentato, risulta alla fine priva di
senso. Gli argomenti a favore di una dimensione ottimale si basano sugli effetti
che essa avrebbe sui rapporti sociali, sul controllo politico e sociale, sulla
vitalità dell’ambiente in rapporto all’inquinamento, sui tempi di spostamento e
6
sull’economicità generale della città, ma risultano spesso sterili e troppo
generalistici nel momento della vera e propria applicazione (Lynch, 1996).
Il discorso si può ridurre spesso a quello su densità e distribuzione. Molti dei
problemi associati alla dimensione dipendono da altri fattori: la congestione da
traffico ad esempio dipende dalla concentrazione di attività e si ridimensiona in
città con una struttura policentrica.
I Piani per la città di Londra cercano di andare in questa direzione fin dal 1976,
e sarebbe quindi un errore parlare di politiche innovative del governo Blair,
mentre si dovrebbe più precisamente parlare di una graduale raffinazione di
linee guida e tendenze che si sono sviluppate negli ultimi trenta anni, come si
approfondirà nel capitolo tre e nel caso di studio in esame.
Due principi di organizzazione dello spazio, diversamente coniugati, hanno
effetti su densità e distribuzione nei tentativi di pianificarle nel modo più
efficiente possibile: la replicazione di unità indipendenti, variegate al loro
interno, in forme più o meno compatte della città, e l’organizzazione in forma
gerarchica di centralità a seconda del rango di funzioni ospitate.
L’idea di gerarchia sembra insita nella pianificazione urbana, come metodo per
ordinare l’inordinabile. Una gerarchia che può essere ferrea come nella teoria
delle centralità di Lösch o più complessa come nei bacini di utenza che si
sovrappongo di Alexander (Lynch, 1996; Hajer, in Madanipour, 2001), ma che
alla realtà dei fatti è comunque difficile da mantenere in organizzazioni
complesse come le città.
I limiti del modello gerarchico-funzionale si riconducono al fatto che la
domanda non è riferibile più solo all’area circostante, senza tenere in
considerazione il come si forma e cambia la domanda, le funzioni quaternarie, la
specializzazione e l’aumento di mobilità che rendono i centri meno dipendenti
dalla distanza e le relazioni gerarchiche fra luoghi centrali sostituite da relazioni
di specializzazione-complementarietà. La regione non gravita più su un centro,
ma su un reticolo di centralità collegate tra loro. Quello che è avvenuto è un
salto di scala: le relazioni di interdipendenza che una volta esistevano tra i
quartieri di una città e poi tra i comuni di un’area metropolitana si vanno ora
estendendo alla scala di intere regioni (Dematteis et al., 2001).
Sulle centralità alcuni modelli si rincorrono nella storia dell’urbanistica e della
geografia. Alcune forme ideali di città escludono in toto le centralità, come le
7
ipotesi di Melvin Webber
1
o di città lineari
2
, o le relegano a elementi della città
di poca importanza, come il modello della forma a griglia. Eppure il centro
continua ad avere una valenza importante in termini psicologici e di leggibilità
della città, che ne hanno decretato il ritorno alla popolarità nelle politiche di
pianificazione odierne. Basti esaminare quanto spesso i progetti di rigenerazione
urbana siano associati alla creazione o al ripristino di vecchie e nuove centralità.
Molte città europee di grandi dimensioni si sviluppano attorno ad un unico
centro
3
. A questo modello si contrappone la visione di una città organizzata in
varie zone multinucleari. Lynch così definisce quest’ultima opzione: “…cioè le
città dovrebbero essere dotate di tutta una serie di centri in cui le aree di servizi
si integrino fra loro. Molti dei più importanti possono servire l’intera zona per
alcuni scopi e contemporaneamente servire zone più limitate per altri scopi.
Nessuna area può essere assegnata in esclusiva ad un singolo centro, benchè
ogni centro possa avere un suo bacino d’utenza” (Lynch, 1996, p.401). A
differenza della pianificazione gerarchica delle centralità questa accezione
prevede più flessibilità di usi e minore determinismo sociale.
I centri possono poi ospitare funzioni differenti, che vengono quindi separate
spazialmente a favore di una loro specializzazione. Lo svantaggio di tale
concezione è un aumento della mobilità totale per raggiungere funzioni diverse
e l’eccessiva concentrazione di persone in alcuni centri in determinate fasce
della giornata.
I recenti discorsi sulla sostenibilità, sulla sicurezza, e le paure che i fenomeni di
ghettizzazione americani si diffondano, come se fossero un virus, anche in
Europa, nonché la celebrazione in positivo dell’esperienza urbana come
1
Secondo questo autore i trasporti, e lui scrive negli anni Sessanta, permetterebbero di avere
una distribuzione di attività in tutta l’area cittadina, evitando i problemi di congestione. Idea che
può restare valida per alcune attività commerciali routinarie che non vivono di clienti di
passaggio.
2
Il più famoso teorico di questa città è Soria Y Mata, ma lo sviluppo lineare è stato usato
ampiamente in maniera ibrida, anche da Le Corbusier nel Plan Obus e ha caratterizzato
l’urbanizzazione dopo la seconda Guerra Mondiale, quando viene abbandonata la crescita
concentrica pura.
3
Ma già Sisto IV nella Roma del Seicento pianificava una serie di spazi pubblici collegati sia da
vie di traffico che visivamente per incentivare il movimento tra essi e la spettacolarizzazione del
potere rappresentato in essi (Sennett, 1992) e Unwin parla di una città policentrica basata
sull’equilibrio delle funzioni comunitarie, in perfetta versione organicista: “Vi dovrebbe essere
un punto in cui possono essere raggruppati gli edifici pubblici di minore importanza, e in cui
creare un perfetto effetto centrale in scala minore (…) A garanzia che questi saranno dei centri
autentici, dove la gente si radunerà, dovremo scegliere i punti focali delle principali direttrici del
traffico” (Unwin, 1995, p.157).
8
contraddistinta dal sovrapporsi di stimoli diversi
4
, associati principalmente ma
non solo alla diversità sociale e alla multiculturalità, hanno reso predominanti
invece discorsi in favore della mixitè urbana, del giustapporsi in uno stesso
luogo di funzioni diverse e complementari, che se estremizzato porta ad una
perdita dei vantaggi della concentrazione di attività simili e di identità forti e
particolari.
Il reale equilibrio che si crea nei centri esistenti oscilla chiaramente fra questi
due estremi. Qualsiasi discorso sulla specializzazione comunque non ha senso
se separato dalle considerazioni sulla scala corrispondente. E’ chiaro che
un’assoluta specializzazione può forse essere praticabile solo se si considerano
centri regionali o nazionali, e a sicuro discapito di qualsiasi attività che non
abbia la possibilità di pagare affitti alti creati dall’aumento dei valori del suolo
che la specializzazione induce. Compito della pianificazione è elaborare queste
scelte nella considerazione della situazione regionale complessiva e il caso di
Londra mostra un tentativo di andare, da decenni a questa parte, in questa
direzione, anche a volte a discapito di aree che non assumono alcun ruolo nel
quadro complessivo dello sviluppo regionale, come si vedrà in seguito.
Oltre a quelle sulla centralità, altre concezioni urbanistiche hanno notevolmente
influenzato la pianificazione del tessuto urbano. L’unità di vicinato
5
, che al suo
interno comprende servizi primari di uso quotidiano, è stata da un secolo a
questa parte una delle idee più influenti. Il concetto è nato come unità di analisi
dei primi sociologi urbani ed è poi stata usata per l’implementazione delle
politiche di Welfare soprattutto nei periodi di fervore per i gruppi di mutuo aiuto
e di gestione comunitaria.
Gli urbanisti lo hanno usato per la sua praticità e comodità come unità base di
pianificazione, abusando della semplificazione che richiede il presupporre
bacini d’utenza fissi e regolari, come quelli che caratterizzano l’unità. Il
concetto di unità spaziale circoscritta non aderisce infatti alla rete degli scambi
reali e ha spesso prodotto creazioni stereotipate. Abbandonata dagli urbanisti, ha
ripreso vigore più come idea politica di unità di partecipazione alle decisione
pubbliche, soprattutto quelle riguardanti una località specifica, all’emergere di
problemi comuni o di contrasti tra cittadini e amministrazione.
4
A partire dagli scritti di una teorica come I.M.Young.
5
Nata con Clarence Perry, esponente organicista.
9
Il modello degli Urban Villages
6
(UV – Aldous, 1992), ultimo esito della
riflessione sull’idea di vicinato come base della città, recentemente incorporato
nelle direttive di pianificazione (Planning Policy Guidance) del Governo
inglese (DoE, 1997A) è spesso contrapposto all’idea di città metropolitana
multicentrica e integrata, che pone invece l’enfasi sui collegamenti più che sulla
formazione di distretti semiindipendenti/autosufficienti (UV, comunità miste
tradizionali con il proprio centro città).
L’integrazione fra i sottocentri presuppone la complementarietà, e di
conseguenza un lavoro di costruzione di un’identità locale precisa, che è infatti
diventato obiettivo strategico di qualsiasi progetto di rigenerazione o di sviluppo
locale.
I centri cittadini, come luogo di concentrazione dei servizi quotidiani, come
teorizzato negli UV, hanno mantenuto un ruolo fondamentale per le relazioni
faccia faccia e la visibilità, diventando poi l’obiettivo di politiche culturali e
progetti di rigenerazione basati sull’arte, la cultura e la comunicazione.
La pianificazione del Secondo Dopoguerra in Gran Bretagna è stata finalizzata
principalmente a prevenire l’urban sprawl lungo le direttrici di traffico, non solo
come fenomeno residenziale, ma anche di centri suburbani monofunzionali
separati dall’ambiente circostante.
La decentralizzazione, oltre che residenziale già a partire dalla fine del XIX
secolo, ha infatti più recentemente riguardato in successione le industrie a
partire dagli anni Sessanta, soprattutto lungo le direttrici di traffico principali in
uscita dalle città, in secondo luogo il commercio, in centri monofunzionali
(retail parks) accessibili in auto o shopping malls (vd. Par. 1.3.1), in centri per
le funzioni superiori come ospedali, uffici e campus universitari, più
recentemente i parchi tecnologici e per finire anche le funzioni di
intrattenimento. Confrontato con questo modello generale, il caso di Wembley
costituisce un eccezione, come si vedrà meglio in seguito, in quanto è nato come
centro ricreativo e solo con il suo fallimento è stato trasformato, soprattutto ad
opera delle compagnie di trasporto, in località residenziale suburbana ambita
dalla classe medio alta perché situato tra la città e la campagna.
6
Inizialmente teorizzati da Leon Krier, Cfr. Par. 1.2 e oggi sia dall’English Partnerships che
dall’Urban Village Forum, cfr. English Partnership, Making Places: a guide to good practice in
understanding mixed use development schemes, London, 1999.
10
Oggi la concentrazione di funzioni decentrate in siti specifici ha spesso dato
origine ad agglomerati monofunzionali, denominati nella letteratura americana
Edge Cities (Garreau, in Madanipour, 2001), la cui composizione sociale
corrispondente sembra essere caratterizzata, in maniera differente dai classici
suburbs, dalla femminizzazione della forza lavoro e conseguente struttura
familiare con entrambi i coniugi lavoratori, e un ascensionismo sociale sorretto
dalla mobilità basata sullo sviluppo delle infrastrutture di trasporto che
collegano questi centri sia al centro principale, che fra loro (un po’ come
avveniva per le council estates della Londra anni Trenta).
Gli spazi pubblici corrispondenti si sono quindi diversificati, passando dai
tradizionali centri città, o downtown per gli Stati Uniti, a questi spazi, spesso
privatizzati e concentrati all’intersezione delle direttrici di trasporti così
delineatesi, con problemi e nuove sfide di accessibilità da parte dei settori di
popolazioni non automuniti.
Nel tentativo di gestire lo sviluppo di nuove centralità, punti di convergenza ed
elementi riconosciuti della città, luoghi famosi o utili a tutti, strade
particolarmente utilizzate da persone provenienti da diverse parti della città,
sono i nodi dovrebbero essere il cuore delle politiche di pianificazione,
valorizzazione e ridefinizione della forma urbana sostenibile, a vantaggio di una
sua maggiore e nuova “leggibilità” e che uniscono nella loro definizione sia
aspetti funzionali che simbolici.
Questi nodi, nel senso inteso anche da Lynch di “componenti della città di
pubblica utilità” (Lynch, 1996, p.188), collegati in maniera nuova tra loro e in
aggiunta ai centri storici, costituiscono ciò che Hajer riprendendo altri, definisce
“armatura” della forma della città post-moderna (Hajer, in Madanipour, 2001).
Gli spazi pubblici hanno quindi gradualmente cambiato conformazione e
caratteritiche, come verrà analizzato in maggior dettaglio e con particolare
riferimento per la Gran Bretagna nel paragrafo 1.3. Quelli che una lunga
letteratura ha negativamente definito non-luoghi, fanno ormai parte del bagaglio
sulla nozione di spazi pubblici quanto le strade e le piazze tradizionali. E sempre
maggiori spazi di proprietà privata, ma uso pubblico o semipubblico (malls,
multiplex cinema, leisure centres), con aspetti sia negativi che positivi e
variazioni locali, contribuiscono a creare nuovi centri nella città.
11
Centralità così sviluppatesi, comprendenti spazi pubblici in questa accezione in
evoluzione e funzioni miste, collegate fra loro nell’armatura cittadina
(comprendente in prospettiva tutta l’area metropolitana per riconciliare le
nozioni un po’ superate per certi aspetti di centro e periferia) sono caratterizzate
da diversi fattori, che ne configurano la variabilità.
I tipi di attività che concentrano sono sia di carattere locale che sovralocale
7
,
come le loro catchment areas variano a seconda delle attività prese in
considerazione e si sovrappongono. Il fatto di essere in relazione le une con le
altre, sebbene non in modo univoco come la precedente relazione fra centro e
periferia a causa della maggior frammentazione sociale e di stili di vita della
popolazione, ne aumenta la complementarietà. E’ questa complementarietà che
distingue questo modello da quello spesso utilizzato degli Urban Villages, che
pensa ai centri sparsi nell’area metropolitana più come a nuclei di aree semi-
autosufficienti che riducano la generale necessità di mobilità fra settori
differenti della città. In questo modello di policentrismo la connessione fra i
centri non è ridotta, ma aumentata e resa più efficiente e coordinabile, attraverso
il sistema di trasporti pubblici.
Il carattere culturale oltre che funzionale dei sotto-centri, collegato all’essere
non solo mete utili, ma segni nell’armatura cittadina, luoghi conosciuti in
generale e parti delle mappe mentali degli abitanti, come l’aumento
dell’informazione disponibile su eventi e attività e la frequentazione di luoghi
pubblici in queste occasioni fa pensare a una crescente importanza di tali centri
per le città nonostante una possibile diminuzione di mobilità dovuta ad attività
virtuali come il teleshopping e il lavoro da casa.
La percezione e conoscenza di tali posti, sia diretta che attraverso i mezzi di
comunicazione è fondamentale per vivacità dei centri e la leggibilità della città
quanto le attività di base che ospitano.
7
“Local transactions are such as might occur between small enterpreneuers and their
customers in face-to-face interactions – for example the activities associated with a tabacconist
or a small print shop. Those which he terms foreign transactions are asssociated with inter-
regional or national exchanges of information – for example the placing of an order with a
foreign bank” (Hajer in Madanipour, 2001, p.112). Anche se questa identificazione di
locale/fisico, e sovralocale/virtuale non è fondamentalmente giustificabile, poiché si possono
avere per esempio transazioni internazionali che si configurano però in relazioni faccia a faccia,
come nel caso di fiere e conferenze internazionali, è utile questa unione di attività di tipologia
varia in una stessa definizione di spazio pubblico.
12
I luoghi sono sempre stati rappresentazioni culturali dalla multipla identità e
rappresentabilità (soft aspects – Raban, in ibid. p.116) prima che semplici spazi
teatro di attività fisiche (hard aspects), ma questa multiplicità delle
rappresentazioni dei luoghi, che anche da questo diventano centrali, acquista
oggi sempre maggiore importanza e “istituzionalizzazione” (nella brutta
espressione di marketing territoriale), che rischia di avere l’effetto perverso di
renderli uguali e stereotipati.
Da qui l’aumento di offerte di informazione (fanzines per i vari centri, siti web,
tour guidati…) e la diminuzione dei contenuti da pubblicizzare, in termini di
reale attrattiva del luogo è uno dei punti di maggiore criticità nella rigenerazione
delle aree in declino. Questo sarà uno degli aspetti fondamentali per l’analisi e
la valutazione del progetto di rigenerazione del caso di studio, dove politiche di
valorizzazione troppo calate dall’alto non avranno mai una base sufficiente per
una sostenibilità di lungo periodo.
Se le tendenze sono queste il ruolo degli urbanisti come di tutti i soggetti che in
vario modo, si auspica sempre più integrato, influenzano lo sviluppo della città
si dovrebbe concentrare sull’efficienza (in termini di traffico e vivibilità) ed
efficacia (livelity, ovvero il fatto di essere attraenti, Lynch, 1996) di questi nodi,
che dipenderà anche da fattori come l’accessibilità e i modelli di governance
attuati.
In questo senso, come già accennato, il modello radiale di città, come è anche
quello di Londra, con vie di comunicazione che collegano il centro con la
periferia suburbana residenziale e sulle quali si situano nuclei di attività
accessibili solo con l’automobile, va ripensato non solo in direzione di una
limitazione dell’espansione (città compatta), ma di una accessibilità dei singoli
centri e di connessione reciproca più flessibile (anche attraverso connessioni
trasversali) e più “democratica” (uso dei sistemi di mezzi pubblici integrati per
evitare la dimensione di mobilità di fenomeni di esclusione sociale)
8
.
L’attenzione dei city designer si deve quindi ampliare dal singolo sito o piazza
alla struttura di una tale metropoli integrata, gestendo in maniera proattiva i
cambiamenti in atto o limitandone gli effetti negativi, quali possono essere
un’organizzazione del territorio eccessivamente basata sull’uso dell’automobile,
8
Vedi anche The ABC Strategy del governo olandese e la sua idea di una gerachia urbana.
Per una critica della città compatta cfr. Vigano P., New Territories, Officina ed., giugno 2004.
13
l’urban sprawl e i conseguenti problemi di inaccessibilità e mancanza di
integrazione fra le parti, che non si limitano a centro e periferia, ma inglobano
un sempre maggior numero di centri sviluppatesi in un’area regionale piuttosto
che esclusivamente cittadina.
Per andare in questa direzione il momento successivo della gestione è
fondamentale quanto quello iniziale del progetto o intervento di rigenerazione, e
per questo assumono particolare importanza anche le reti di governance che nel
tempo si prefiggono di mantenere l’efficacia dei nodi.
1.1.1 Compact City Strategy vs. Short Cycles Strategy. Il London Plan.
I discorsi fin qui descritti, che includono modelli normativi e cambiamenti già in
atto nella realtà, hanno trovato una formulazione sintetica ed una
sistematizzazione in una serie di documenti a livello di comunità europea e di
singoli stati nazionali. In questo paragrafo tracceremo le linee guida formulate
dall’UE e il recepimento da parte della Gran Bretagna.
L’Unione Europea concluse un lungo dibattito sui problemi della città iniziato
dall’Earth Summit di Rio del 1992 con gli accordi di Agenda 21 Locale e la
conferenza Habitat di Istanbul del 1996 sancendo, già nella Green Paper della
Commission on Urban Environment del 1990, alcuni principi guida per uno
sviluppo urbano sostenibile centrati principalmente sui problemi ambientali, di
lotta alla segregazione di usi del suolo e alla crescita dimensionale incontrollata
della città, di rispetto della preservazione ambientale circostante la città e di
limitazione dell’automobile come mezzo primario di trasporto. Questi principi
venivano tradotti e diffusi attraverso il modello della Compact City, che
prevedeva mixitè di usi e classi e alte densità di costruzione.
Nell’“EU Report on Design for Sustinability” del 2003 (EU Working Group,
2003) si è preso atto che, nonostante fenomeni di controurbanizzazione portino
ad un abbandono delle città verso zone rurali sempre più lontane, il fenomeno
dell’urbanizzazione continua e sta portando alla formazione di quella regione
policentrica delineata nel paragrafo precedente. Di conseguenza le linee guida
per un urban design finalizzato alla sostenibilità si fondono sempre di più con
quelle della European Spatial Development Strategy, di scala più regionale che
14