INTRODUZIONE
La questione delle riforme amministrative e della produttività delle pubbliche amministrazioni
ha tornato, recentemente, a riempire le pagine dei giornali e a scuotere il mondo politico e
sindacale. Il dibattito creatosi attorno al libro di Ichino sui nullafacenti e ai recenti e discussi
provvedimenti intrapresi da Brunetta, attuale ministro della Pubblica Amministrazione e
dell’Innovazione, hanno destato, e per certi versi riacceso, un crescente interesse al tema del
lavoro pubblico, un’attenzione rivolta soprattutto alla questione dei nullafacenti di Ichino o,
dir si voglia, dei fannulloni di Brunetta.
Sebbene il tema di cui ultimamente si parla tanto sembra limitarsi talvolta al solo problema
dell’assenteismo nei pubblici uffici, la questione è ben più complessa, e non è stata inventata
né dal ministro né dal senatore, ma ha precedenti storici di straordinario rilievo.
La vexata questio, che ancor oggi sembra non aver trovato soluzione, dell’inefficienza della
Pubblica Amministrazione, dei fannulloni e dell’enorme costo che grava pesantemente sulle
casse dello Stato – e quindi dei cittadini – trova un illustre esponente già alla fine degli anni
Settanta, quando il ministro della Funzione Pubblica Massimo Severo Giannini trasmette alle
Camere una lettera aperta in cui affronta per punti, uno a uno, i mali dell’Amministrazione e
dello Stato. E al lettore dei giorni nostri dovrebbe risultare sorprendente notare come i mali di
allora siano gli stessi di oggi, a distanza di quasi trent’anni di dibattiti, riflessioni e riforme.
Quello che questo lavoro vuole far risaltare è il sostanziale fallimento dei tentativi di riforma e
rinnovamento intrapresi in tre decenni di storia italiana, attraverso un’analisi storica e critica
delle cause e dei risultati dei processi di cambiamento.
Riforme incompiute e orientamento al risultato
Riformare un intero sistema, e in particolare l’Amministrazione dello Stato, è un’impresa
ardua e fa alzare numerose critiche e dissensi – come, del resto, ogni riforma che meriti tale
appellativo, se riforma è sinonimo di rinnovamento e quindi cambiamento. E se gli strumenti
per cambiare ci sono, allora vuol dire che non sono stati impiegati nel modo giusto, o che è
mancata la volontà di farlo.
La contrattualizzazione del pubblico impiego, la valutazione dei risultati, i nuovi strumenti e
le nuove politiche di gestione delle risorse umane – introdotti nella lunga stagione di riforme
degli anni Novanta – avrebbero dovuto incentivare il nascere di un nuovo modo di pensare
l’Amministrazione, una nuova forma mentis plasmata da concetti quali l’efficienza, l’efficacia,
la produttività, il merito e da logiche di libero mercato di stampo privatistico. Un nuovo
orientamento al risultato difficile da attuare – e forse anche da accettare – ma necessario, in
grado di permettere enormi risparmi di spesa – se si guarda a quello che nel tempo è stato
perso – e un recupero della competitività e dell’efficienza, anche a livello internazionale.
Questi capitoli fotografano, dunque, una situazione a tratti drammatica e a tratti ciclica. Le
promesse di cambiamento nel tempo fatte hanno contribuito ad alimentare false illusioni e
speranze, senza del resto portare ad un concreto rinnovamento dell’Amministrazione.
Qualunque impresa gestita come è (ed è stata) governata la Pubblica Amministrazione,
vedrebbe vicina l’ombra del fallimento. E qualunque dipendente che non si meriti il posto di
lavoro che occupa verrebbe, nella maggior parte dei casi, licenziato. Ma perché allora la
Pubblica Amministrazione corre per un binario tutto suo? E, soprattutto, perché l’annosa
questione delle riforme amministrative non riesce a trovare soluzione? La tesi cercherà di
rispondere a questi e altri interrogativi.
Il lavoro si articola in tre capitoli. Il primo capitolo offre un repertorio storico di trent’anni di
riforme amministrative, da Giannini a oggi, analizzando le fasi della progressiva
“privatizzazione” (o contrattualizzazione) del pubblico impiego.
Al termine del capitolo vengono illustrate le dimensioni del fenomeno e la sua evoluzione nel
tempo, facendo ricorso anche ad alcuni indicatori macroeconomici.
Nel secondo capitolo si parla del contratto come autentico strumento della riforma
amministrativa.
Dopo un focus introduttivo sui metodi e sulle forme della concertazione e sui meccanismi
della contrattazione, si ha modo di vedere nel dettaglio quali siano le innovazioni
organizzative, gestionali e retributive che il mezzo contrattuale ha introdotto. Al termine sono
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Introduzione
presentati i risultati della contrattazione collettiva, in riferimento alle ultime quattro tornate
contrattuali.
Il terzo capitolo parla dell’orientamento al risultato, che avrebbe dovuto fungere da stimolo
alla produttività, all’efficienza e all’economicità come conseguenza delle riforme degli anni
Novanta.
E’ affrontato, quindi, il tema della valutazione dei risultati e del suo percorso evolutivo, con
una parentesi sulla proposta di Ichino. Si parla poi di come i sistemi di valutazione e di
incentivazione siano stati legittimati dai contratti, con particolare attenzione alle politiche
retributive.
L’ultima parte del capitolo offre un resoconto del confronto fra governo e sindacato sulla
questione delle riforme e del cambiamento. Nel seguito sono esaminati nel dettaglio i risultati
concreti e i problemi irrisolti del rinnovamento annunciato.
In conclusione un’analisi sulle contraddizioni e sui mali della nostra Amministrazione, e una
lunga sezione che riporta un’ampia rassegna delle costanti e ridondanti promesse dei
rappresentanti delle istituzioni, offre molteplici punti di riflessione e conclude, con spirito
critico, la trattazione.
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1. PRIMO CAPITOLO
LE TAPPE DELLA RIFORMA:
DAL RAPPORTO GIANNINI AI GIORNI NOSTRI
E’ certo causa di amarezza constatare che lo Stato non sa di se stesso
ciò che il più semplice imprenditore sa della propria impresa.
Massimo Severo Giannini
1.1 Premessa
Sempre di più, ultimamente, si sente parlare di riforma amministrativa, una riforma percepita
come necessaria e prioritaria. Ma da dove nasce tale bisogno, e perché la Pubblica
Amministrazione va riformata? Quali sono i precedenti storici di un intento così ardito ed
importante? Prima di affrontare nel dettaglio le ultime vicende e i recenti intenti di riforma del
pubblico impiego è opportuno ripercorrere le principali tappe che hanno cercato di innovare
negli anni la struttura e il funzionamento della Pubblica Amministrazione. Solo esplorando
pedetemptim tale lungo percorso si coglieranno le vere motivazioni e le reali esigenze alla
base del cambiamento radicale che viene prospettato in tempi recenti dalle dichiarazioni dei
politici e dalla stampa nazionale.
In questo capitolo vengono delineate le vicende storiche della riforma amministrativa
in Italia, esaminando ed analizzando le fasi più rilevanti. Tale excursus abbraccia un lasso di
tempo lungo trent’anni, che va dal celeberrimo Rapporto Giannini, primo vero intento di
riforma della Pubblica Amministrazione, fino ai giorni nostri, nei quali si ravvisa un’accesa
attenzione al tema del pubblico impiego e della produttività delle amministrazioni pubbliche,
nel contesto di una più ampia lotta agli sprechi di denaro pubblico di cui i cosiddetti
fannulloni si rendono, per loro parte, responsabili. Leggendo attentamente queste pagine si
Riforme incompiute e orientamento al risultato
nota come il pluridecennale percorso della riforma amministrativa porti con sé tematiche
ricorrenti, che a partire dal Rapporto contraddistinguono questo lungo iter di riforme,
conducendo prima ad una privatizzazione-contrattualizzazione del pubblico impiego – rimasta,
ai fatti, ancora incompiuta e imperfetta – e poi, attraverso il sistema della contrattazione
collettiva, ad un sempre più acceso interesse verso il tema del merito e dell’efficienza.
Analizzando il dispiegarsi di tale percorso si capisce come la Pubblica Amministrazione
venga progressivamente considerata non più come mero strumento della burocrazia ma come
ente dotato di propria autonomia, interfaccia e gestore dei rapporti fra lo Stato e il cittadino.
Anche se il cammino risulta ancora lungo e la Pubblica Amministrazione continua a
necessitare di importanti cambiamenti e di un doveroso ri-assetto organizzativo e gestionale,
si osservano, da più punti, i segnali della volontà di cambiamento, un rinnovamento
necessario per l’ammodernamento del paese e lo stimolo alla crescita.
1.2 Il Rapporto Giannini
Gli anni ’70 dello scorso secolo furono segnati da profondi mutamenti sociali e politici. La
crisi del Welfare State, la crisi finanziaria, la necessità di ridimensionare e contenere gli
sperperi dello Stato e spinte riformistiche provenienti da più parti diedero impulso e resero
necessaria una fase di riordino generalizzata. Gli sprechi e le inefficienze della Pubblica
Amministrazione, che caratterizzavano da numerosi anni la storia italiana, determinarono un
ripensamento dell’intera organizzazione statale, messa in discussione dal profondo, in
riferimento sia alla sua funzione primaria che agli strumenti utilizzati per il raggiungimento di
scopi di pubblica utilità.
Uno storico passo avanti, nonché una marcata presa di posizione, fu quella dell’allora
ministro della Funzione Pubblica Massimo Severo Giannini, il quale, il 16 novembre 1979,
trasmise alla Camere quel documento che rimarrà, di lì in poi, memorabilmente conosciuto
come Rapporto Giannini, dal titolo Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione
dello Stato. Tale documento ha una portata storica notevole e di fondamentale importanza,
giacché rappresenta il primo caso di progetto di riforma organica della Pubblica
Amministrazione elaborato da un ministro della Repubblica. L’intento di Giannini, precursore
di ogni moderna riforma dell’Amministrazione dello Stato, è quello di redigere un documento
“volto solo a presentare al Parlamento materiali per una discussione e per delle indicazioni
d’indirizzo” [Giannini 1979, p. 31]. In realtà il suo è un accorato appello con il quale chiede al
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Le tappe della riforma: dal Rapporto Giannini ai giorni nostri
Parlamento di procedere prontamente ad una riforma sistematica della Pubblica
Amministrazione. Leggendo le pagine del Rapporto si coglie un profondo intento riformista,
una vera e propria idea di ristrutturazione dell’intero assetto dello Stato; il ministro fornisce
infatti argomentazioni complete, passaggi chiari e soluzioni concrete orientate al recupero di
un’Amministrazione in declino e vittima delle sue stesse inefficienze. Tale documento
rappresenta il risultato di almeno due decenni di querelle politica sull’argomento e, soprattutto
un disegno generale, originale, e ambizioso di riforma dello Stato, continuamente rievocato
negli anni a seguire e preso a riferimento come modello e spunto di riflessione. Lo stesso
ministro scrive: “Vi sono, ovviamente, molte altre cause, talune anche assai lontane, che
hanno concorso a produrre l’attuale situazione di grave disfunzionamento delle
amministrazioni pubbliche, globalmente prese, e a suscitare per più parti di esse angoscianti
preoccupazioni di ingovernabilità” [Giannini 1979, p. 4].
Secondo Costa e De Martino [1985, pp. 115-116] la proposta di Giannini si presenta in
due aspetti:
• “il primo, relativo all’organizzazione della Pubblica Amministrazione, sottolinea come
una serie di branche deputate alla produzione di beni o all’erogazione di servizi
debbono essere gestite con una logica diversa da quelle d’ordine e che tale condizione
sia conseguita più efficacemente attraverso “aziende” dello Stato, autonome nella
gestione, responsabili dal punto di vista della prestazione e della spesa”;
• “il secondo aspetto, legato al primo, è la possibilità offerta ai privati, sotto il controllo
dello Stato, di offrire servizi “competitivi” con quelli pubblici, per cui il cittadino
possa scegliere tra più soluzioni sulla base della qualità delle prestazioni e dei servizi
aggiuntivi”.
Il Rapporto Giannini si articola dunque in cinque capitoli: introduzione, tecniche di
amministrazione, tecnologia delle amministrazioni, il personale, riordinamento
dell’Amministrazione dello Stato. Passiamoli in rassegna, al fine di comprenderne meglio i
tratti e i principi cui si ispira.
IL PRIMO CAPITOLO: INTRODUZIONE
Nel primo capitolo, dopo una prima nota introduttiva nella quale si fa accenno agli obiettivi
per i quali lo stesso ministro si proponeva di scrivere il Rapporto, si parla del c.d. “torso
regionale” [Giannini 1979, p. 4], dove si affronta la questione della riforma degli ordinamenti
degli enti infraregionali, dal punto di vista dei costi amministrativi e degli sprechi da essi
generati.
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