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Tutti questi elementi, la luce, il colore, il tempo ed altri sono un tratto distintivo di
tutta la filmografia viscontiana, ma noi analizzeremo quattro film in particolare (Senso, Il
Gattopardo, Morte a Venezia e Gruppo di famiglia in un interno) che, a nostro avviso,
meglio di tutti valorizzano l’utilizzo della pittura da parte del regista: la pittura come
oggetto estetico e contestualizzatrice, ed il dipinto come fonte d’ispirazione per il
soggetto che rappresenta.
7
1.
Cinema e Pittura: un rapporto possibile
“L’esperienza storica che più presupponeva il
cinematografo non poteva non essere quella
figurativa e pittorica. La pittura è l’antecedente
esperienza del cinematografo, perché il pittore
ed il regista hanno dinnanzi a sé alcuni elementi
comuni: lo spazio, la luce, la linea ed il colore”.
(Claudio Varese, “Bianco e Nero” n. 8-9, 1950)
Da sempre esistono relazioni tra le arti visive in ragione dell’omologia di linguaggi
o della contiguità di collocazione e intercambiabilità di ruoli. Evidente, ad esempio, è
l’insieme d’influssi e condizionamenti reciproci tra pittura e fotografia, a partire dalle
origini stesse del nuovo mezzo fino alla pop-art ed oltre. Nell’età contemporanea, una
relazione molto forte si ha tra pubblicità e pittura: l’iconografia della pubblicità è entrata
a far parte dell’universo pittorico, mentre la pubblicità utilizza spesso delle citazioni
pittoriche. Il cinema, “sintesi vera e suprema di tutte le manifestazioni artistiche, diventa
lo stadio contemporaneo della pittura”
2
.
Al suo nascere il cinema non venne affatto considerato forma d’Arte, ma puro
intrattenimento, quanto fenomeno da baraccone, al pari della lanterna magica e del
panorama, suoi antenati. L’unico modo che il cinema aveva per legittimarsi come Arte,
era di accostarsi alla pittura ed utilizzarne gli strumenti.
Soltanto dopo la prima guerra mondiale, il cinema cominciò ad affermarsi come
Arte e nacquero le prime riviste specializzate. Il cinema attirò gli interessi d’intellettuali e
grazie ad un critico, Ricciotto Canudo, fu preannunciato l’avvento della “Settima Arte”.
Molti critici e studiosi sostengono che un legame tra le due arti si trovi solo nella
somiglianza tra il quadro e l’inquadratura. In realtà cinema e pittura sono parenti, la storia
del cinema non ha senso se si scinde da quella della pittura.
2
Cfr. Ejzenstein Sergej Michailovic, Il Montaggio, Marsilio, Venezia, 1981.
8
1.1 Lo sguardo
Il comune denominatore tra le due arti è la rappresentazione prospettica. L’occhio,
sia per il cinema sia per la pittura, è un punto di riferimento, dal momento che devono
rivolgersi entrambi allo spettatore.
La prospettiva usata dai due mezzi espressivi è quella quattrocentesca di
Brunelleschi
3
, meglio definita prospettiva lineare unicentrica. Brunelleschi attraverso
l’uso di specchi riuscì a percepire le immagini nella loro interezza: lo specchio riflette il
soggetto, che si vuole rappresentare, su un ulteriore specchio, così si riescono a percepire
il punto di fuga e quello di distanza. Il punto di fuga di un’immagine è la parte, del
quadro o dell’inquadratura, in cui lo sguardo tende a confluire. Infatti, l’attenzione dello
spettatore di fronte ad un quadro e ad un’inquadratura tende a guardare al centro,
lasciando alla pura percezione ottica non focalizzata, le zone periferiche dell’immagine.
Questa peculiarità dell’occhio umano ha portato ad ulteriori studi nel campo
dell’ottica. Tra i tanti dispositivi ottici che sono nati, quello che unisce la storia della
pittura con quella del cinematografo, è la camera
obscura. La camera obscura, oppure ottica, era di norma
costituita da una cassetta provvista di un foro con lente,
all’interno uno specchio inclinato di 45° riceveva
l’immagine e la rifletteva raddrizzandola, su una
superficie di vetro posta sulla parete superiore della
camera; lo stesso fa la retina dell’occhio, che percepisce
un’immagine capovolta di ciò che è visibile all’esterno e, poi, il cervello ha il compito di
raddrizzarla.
Tutti questi studi hanno permesso di migliorare la resa di una realtà tridimensionale
in un’immagine bidimensionale, e hanno cercato di rendere sempre più realistiche le
immagini pittoriche. Questo processo evolutivo ha portato alla nascita dapprima della
fotografia e poi del cinema. Il cinema è la fine del processo evolutivo grazie alla sua
capacità di riprodurre la realtà, non solo a livello spaziale, ma anche a livello temporale;
3
Brunelleschi Filippo (Firenze 1377-1446), architetto fiorentino, la cui opera fu fondamentale per lo sviluppo del
Rinascimento italiano. Il recupero delle forme classiche, la pratica di un'architettura basata su proporzioni
matematiche e la conoscenza scientifica della prospettiva fanno di lui una delle figure principali nella transizione dal
Medioevo all'età moderna.
9
infatti, la pittura non è mai riuscita a riprodurre la realtà nella sua interezza, ma è riuscita
solo ad “imitarla”, mentre la fotografia è si riuscita a duplicare il reale, ma solo a livello
spaziale e non anche temporale. Secondo André Bazin
4
, il cinema sarebbe riuscito a
riscattarsi dal “peccato originale” della prospettiva, ma altri critici non condividono per
nulla la sua opinione (vedi i critici materialisti dei Cahiers du Cinéma e di Cinétique),
ritengono anzi che i due mezzi siano legati da un vincolo inestricabile, la prospettiva,
dalla quale non riusciranno mai a liberarsi.
5
Un ulteriore dispositivo che accomuna la pittura ed il cinema è il Panorama.
Tecnicamente, il Panorama rientra nella pittura. I Panorami erano delle enormi tele
raffiguranti grandi soggetti (battagli, incoronazioni di re, fenomeni naturali) e per
realizzarli erano assoldati tanti pittori. Ma, nello stesso tempo, fa già parte dello
spettacolo e quasi del cinema, a parte il movimento.
In conclusione, si può affermare che il cinema e la pittura hanno l’interesse comune
della gestione dello sguardo, cercando di dominarlo in modo da far confluire l’attenzione
dello spettatore sugli elementi che più interessano il pittore ed il regista. In fondo, si può
affermare che il pittore è il regista del suo quadro e che il regista con il suo film si
comporta come un pittore. Entrambi sanno attirare l’attenzione sulle zone periferiche del
quadro e dell’inquadratura, attraverso la gestione del colore e, soprattutto, della luce.
Nell’arte figurativa, è noto come in tanti esempi, il pittore cerchi di attrarre
l’attenzione con particolari tonalità luminose. Per esempio in un olio di Gerard David
6
,
che rappresenta l’adorazione dei Magi, la principale attenzione appare concentrata sul
volto della Madonna, dal momento che esso è contornato da un copricapo bianchissimo,
tale da risaltare nell’assieme realizzato con prevalenza da toni scuri.
Negli anni dello star-system, anche il cinema utilizzava la luce o il contrasto di
colore per focalizzare l’attenzione, soprattutto sul volto del divo o della diva di turno che
sembrano emanare luce propria, quasi avessero l’aureola. Ora, il cinema si è evoluto e,
per la stessa funzione utilizza di preferenza lo zoom. Di fronte ad un’inquadratura, lo
spettatore è attratto dal centro, ma il regista può successivamente indirizzarne lo sguardo,
avvicinando lo spettatore al personaggio o all’oggetto con lo zoom.
4
Cfr. Bazin André, “Ontologia dell’immagine fotografica” in Qu’est ce que le cinéma? (tr. it. Che cos’è il
cinema?, Garzanti, Milano, 1999, pp. 3-10.
5
Cfr. Costa Antonio, Cinema e Pittura, Loescher, Torino, 1991, pp.31-34.
10
Vi è un’unica grande differenza: il punto di vista. Mentre, il cinema ha la possibilità
di mostrarci la realtà da molteplici prospettive e soprattutto può passare da un punto di
vista ad un altro, la pittura non ha questa possibilità, è limitata ad un solo possibile
sguardo sull’immagine.
6
David Gérard (Oudewater 1460 ca. - Bruges 1523), pittore fiammingo. Assieme a Memling fu il massimo pittore
attivo a Bruges a cavallo tra il XV e il XVI secolo: i due sono considerati inoltre gli ultimi illustri rappresentanti
della scuola fiamminga del Quattrocento.
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1.2 La cornice
La cornice è una struttura che isola e delimita un’immagine. Si è soliti considerare
quest’elemento com’esclusivo di un’opera d’arte, ma in realtà lo possiamo trovare anche
al cinema.
Prima di tutto, quando andiamo al cinema vediamo il film al buio, e questo circonda
l’immagine, isolandola e delimitandola. Inoltre, in alcuni paesi, come la Francia, si usano
i sipari che vengono aperti all’inizio del film e lo inquadrano durante la proiezione. Il
buio e il sipario possono essere considerati delle cornici.
La cornice non è soltanto strumento d’unione tra le due arti, ma anche di divisione,
poiché la cornice influisce diversamente sullo sguardo: nel cinema è centrifuga, induce a
guardare fuori del centro, mentre nella pittura è centripeta, costringe lo sguardo a tornare
sempre verso il centro.
Il cinema è un mezzo mobile e il suo movimento porta l’occhio umano a guardare
già verso la prossima inquadratura, quindi fuori del centro, ai margini. La pittura, invece,
è un mezzo immobile e questo influisce sulla sua modalità di fruizione. Lo spettatore
nell’osservare un quadro è libero di dedicargli tutto il tempo che desidera, mentre al
cinema lo spettatore deve sottostare al tempo cinematografico.
La cornice oltre ad avere la funzione di delimitare l’immagine, è anche un punto di
riferimento, per il pittore ed il regista, per la composizione dello spazio: la cornice può
essere usata per accentrare o decentrare l’immagine.
Il fenomeno della centratura unisce cinema e pittura. Con la nascita della
prospettiva quattrocentesca, i pittori hanno cominciato ad organizzare tutti gli elementi
della rappresentazione, attorno ad un centro di simmetria, o più comunemente chiamato
punto di fuga, in modo da rendere tutto più simmetrico, ma non solo, bidimensionale. Il
cinema delle origini, come si è evidenziato in precedenza, ha sfruttato al massimo le
potenzialità figurative della rappresentazione prospettica; si pensi al cinema classico
hollywoodiano, dove tutte le scene erano studiate nei minimi dettagli per renderle il più
possibili simmetriche, dall’arredamento agli stessi protagonisti. Questo fenomeno ha
trovato anche delle varianti: la sovrinquadratura, un’inquadratura nell’inquadratura, in
altre parole è il caso in cui l’occhio dello spettatore si trova a dover passare attraverso
l’inquadratura e una porta, per vedere la scena. In realtà, questo tipo di centratura si trova
12
anche in alcuni quadri del Settecento e dell’Ottocento, come le vedute che si scorgono
attraverso una finestra, procedimento che prende il nome di mise en abîme.
Con la nascita della fotografia, molti pittori hanno cominciato a rappresentare
soggetti non più ripresi da una prospettiva centrale, ma da scorci obliqui o dall’alto.
Questo a causa della concorrenza che la fotografia faceva all’arte figurativa, quest’ultima
doveva cercare di distinguersi e superare il suo limite: l’incapacità di riprodurre la realtà.
Ecco che il passaggio ad una composizione decentrata dell’immagine fu la soluzione.
Si pensi ai famosi quadri di Dègas, dove le sue ballerine sono riprese con scorci
molto azzardati, dall’alto, in obliquo. Questo procedimento accomuna la pittura ed il
cinema moderno, non più interessati ad un’illusione diegetica. Il cinema crea
quest’effetto di decentramento con le inclinazioni e le angolazioni della macchina da
presa.
Infine, la cornice distingue cinema e pittura nell’uso del fuori campo. È possibile
creare il fuori campo sia con un’inquadratura sia con un quadro, ma in quest’ultimo
l’effetto è meno immediato. Noel Burch
7
sostiene che il cinema può utilizzare un fuori
campo immaginario, che si basa sull’immaginazione, e uno concreto, che si basa sul
ricordo. La pittura può utilizzare solo quello immaginario, e non quello concreto, dal
momento che il pittore non può fare riferimento ad un fotogramma precedente.
7
Cfr. Burch Noel, Praxis du cinéma, Paris, Gallimard, 1969 (tr. it. Prassi del cinema, Parma, Pratiche, 1980) in
L’occhio interminabile, Marsilio, Venezia, 1991, p.93
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1.3 Il colore
Alle origini del cinema muto molti esteti (vedi Dulac, Gance, Epstein) erano soliti
accostare il colore pittorico con quello filmico: ad esempio il cinema in bianco e nero
veniva paragonato alle incisioni, mentre il cinema a colori con le avanguardie
(espressionismo, pop art, ecc.…). Questo accadeva perché i critici degli anni venti e
trenta erano ossessionati dalla ricerca delle origini, ed accostare il cinema alla pittura, era
per loro la cosa più naturale. In realtà questi confronti sono molto semplificati, dal
momento che il colore in pittura e nel cinema assume un valore diverso.
La pittura supera il cinema nella gestione del colore perché ha la possibilità di
controllarlo maggiormente. In pittura si possono usare i colori in un’infinità di sfumature,
ma soprattutto attraverso la giustapposizione di colori è possibile creare un sistema
d’emozioni più diretto. La pittura può avere un controllo assoluto su ciascun pigmento,
può realizzare qualsiasi cosa: alberi verdi, cavalli blu, realtà che il cinema nemmeno si
sognava di poter realizzare sino all’avvento dei pixel.
Molti registi hanno studiato diversi modi per avere un controllo “pittorico” sugli
oggetti, come Michelangelo Antonioni
8
in Deserto Rosso (1964), per il quale si dice che
il regista abbia fatto ridipingere porzioni di strade, tratti di paesaggio, persino della frutta
esposta su una bancarella, per arrivare ad un controllo assoluto degli effetti cromatici.
Nell’utilizzo del colore bisogna prestare attenzione all’effetto simbolico che
produce; ad esempio il blu in pittura significa spiritualità, e poteva essere usato solo per
rappresentare la Madonna e i santi. Nell’arte figurativa, un pittore doveva conoscere il
significato simbolico che ogni colore aveva e l’uso che n’era consentito. Molti di questi
effetti simbolici si sono tramandati anche nel cinema, si pensi al contrasto tra il buono,
vestito di bianco e il cattivo, vestito di nero. Inoltre, si può ottenere dalle varie tonalità un
differente effetto psicologico: il blu trasmette calma, il rosso innervosisce e crea
eccitazione. Sono tutti aspetti che deve conoscere non solo il pittore, ma anche il regista.
8
Antonioni Michelangelo (Ferrara 1912), regista italiano. Dopo un apprendistato come critico e quindi
sceneggiatore (lavorò per Rossellini, De Santis, Fellini), iniziò la sua attività di regista con il documentario Gente
del Po (1943), nel quale seppe individuare nel paesaggio un valore estetico fondamentale. Il debutto nel
lungometraggio avvenne con Cronaca di un amore (1950)
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1.4 La luce
La luce è un ulteriore elemento di congiunzione tra cinema e pittura grazie a tre
funzioni:
- Una funzione simbolica, che attribuisce alla luce un significato. Nella pittura di
argomento sacro, di solito, la luce è utilizzata per rappresentare il raggio divino,
ad evidenziare la chiamata di Dio, l’ascensione al cielo o semplicemente la
presenza della divinità. Nel cinema questo tipo di funzione viene molto spesso
camuffata perché molti registi ritengono che la pittura abbia già esaurito tutte le
possibili applicazioni.
- Una funzione drammatica, legata all’organizzazione dello spazio. La luce
nell’arte figurativa serve ad organizzare lo spazio su diversi livelli oppure ad
evidenziare alcune zone sensibili dello spazio. Riguardo a questa funzione il
cinema si è trovato di fronte ad un problema: il tipo di luci che bisogna utilizzare
in una scena rendono la realtà rappresentata piatta, ecco che uno dei compiti del
direttore della fotografia è quello di cercare di creare una profondità spaziale.
- Una funzione atmosferica, legata alla capacità della luce d’influenzare le
superfici. La pittura per secoli ha cercato di studiare come la luce influenzasse le
superfici nella forma e nel colore, si pensi all’Impressionismo, al Pointillisme,
con i loro studi en plein air. Il cinema, invece, ha snobbato molto questa
funzione, se non in rari casi (vedi i film di J. Godard
9
).
I due mezzi espressivi hanno assimilato tutte e tre le funzioni, ma in tempi diversi.
La pittura si è interessata dapprima alla funzione simbolica (vedi pittura del Duecento e
del Trecento: Duccio di Buoninsegna, il Masaccio), poi a quella drammatica, con
Caravaggio, La tour, e infine a quell’atmosferica. Al contrario, il cinema ha
padroneggiato tutte e tre le funzioni sin dalla sua nascita, seppur non senza difficoltà.
Infine, il cinema coglie la luce fin troppo bene, vista la sua natura tecnica, e questo
lo porta a non doverci lavorare, mentre la pittura deve crearla, con un duro studio e
lavoro
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.
9
Godard Jean-Luc (Parigi 1930), è un regista francese molto attento ai giochi di luce, ad esempio era molto preciso
nel riprendere il sole che si riflette sull’acqua.
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Cfr. Aumont Jacques, L'oeil interminable. Cinéma et peinture (tr. it. L’occhio interminabile. Cinema e pittura,
Marsilio, Venezia, 1991).