2
percezione dell’ambiente sostenibile, che porti ad una maggiore consapevolezza
del problema, affinché le persone siano sempre più coinvolte nella logica della
raccolta.
In questa sede si vuole dal risalto alla complessità del problema “rifiuti” e
delineare strategie di sensibilizzazione volte a favorire azioni di recupero e di
riduzione dei rifiuti urbani.
Il presente lavoro si articola quindi in sei parti:
I. Dopo aver esposto un breve iter evolutivo sulle modalità del
rapporto che lega intimamente l’uomo e l’ambiente, con
particolare attenzione al suo articolarsi dagli anni ’60 ai giorni
nostri, si affronta il problema dei rifiuti connesso alla tematica
dello sviluppo sostenibile e della conseguente considerazione
dell’ambiente urbano, la città, come ecosistema a tutti gli effetti.
II. Si procede ad esporre la definizione e, pertanto, la nozione di
rifiuto, facendo riferimento sia alla normativa comunitaria sia
alla normativa nazionale (con riguardo maggiore al Decreto
legislativo 22/1997, meglio conosciuto come “Decreto Ronchi”, e
al vigente Decreto legislativo 152/2006). Un ulteriore riflessione
è riservata all’immagine che, a livello psicologico e sociologico,
la comunità possiede del “rifiuto”.
III. Il capitolo presenta quella che potremmo definire una «teoria
generale del rifiuto», analizzando come la produzione origini un
output che si distingue in tre sistemi, seppur differenti,
fortemente interconnessi.
IV. Si sviluppa l’aspetto inerente le azioni di prevenzione della
produzione dei rifiuti e le azioni di recupero e di riciclo di
questi. Dopo aver delineato il quadro normativo (comunitario e
nazionale) entro il quale collocare tali strategie, si espongono i
motivi per i quali queste politiche risultano oggi necessarie: la
quantità dei rifiuti prodotta in Italia è cresciuta nel 2005 di 1,6
milioni di tonnellate rispetto al 2003, in totale vantaggio rispetto
al tasso di crescita del PIL riferito allo stesso lasso di tempo;
aumentano i costi economici connessi al problema dei rifiuti (in
3
crescita del 36,5% in soli 10 anni) in contrasto con la percentuale
di raccolta differenziata che rimane ancora troppo bassa (solo
24,3% contro l’obiettivo del 305 stabilito per l’anno 2003).
Vengono quindi individuati, con opportuni strumenti
conoscitivi del territorio, i destinatari “collettivi”, nonché attori,
delle strategie di prevenzione, riciclo e recupero, che necessitano
di opportuna comunicazione e informazione.
V. Il capitolo tratta, in maniera più specifica ed organica, i progetti
di recupero dell’invenduto ai fini della solidarietà sociale,
meglio conosciuti come “Last Minute Market”, attivati, in
maniera sperimentale, a Bologna nel 2003 e a Ferrara e a Modena
nel 2005 dal prof. Segrè (ed attivi tuttora in modo strutturato). Si
analizza la legge n. 155 del 2003, cosiddetta “legge del Buon
Samaritano” che rappresenta il sostegno normativo di questi
progetti.
È poi presentata l’esperienza di stage, tenutasi presso l’ente
“Provincia di Torino” (aprile–luglio 2007), volta ad ipotizzare
l’attivazione di un progetto di coordinamento di iniziative di
Last Minute Market già presenti sul territorio provinciale e di
promozione di nuove. Sono analizzati i dati ottenuti da una
indagine telefonica volta a mappare tali iniziative, è riportata
una prima previsione di strutturazione e attivazione del
progetto e sono evidenziate le difficoltà incontrate che non
hanno reso possibile, per il momento, la realizzazione del
progetto.
VI. L’ultima parte si configura come una sintesi dei punti chiave del
problema dei rifiuti, suggerendo di considerare tutte le variabili
a questo connesso (siano esse sociali, ambientali, economiche,
tecnologiche e legali) e di improntare strategie volte a risolvere,
o almeno alleviare, la crisi dei rifiuti, a tutti i livelli, dal singolo
cittadino alla comunità mondiale.
Seguono bibliografia e sitografia.
4
I
Il Rapporto Ambiente-Sviluppo:
Iter Evolutivo
5
Analizzando l’iter evolutivo che ha caratterizzato il rapporto tra ambiente
e sviluppo a partire dall’ultimo dopoguerra è possibile evidenziare tre stadi che
non sono tra essi contraddittori ma si ritrovano accostati nel definire, nel corso
del tempo, politiche ambientali:
1. fase di riparazione/protezione dell’ambiente, fino agli inizi degli
anni Settanta;
2. fase di prevenzione/previsione del danno, fino agli inizi degli
anni Ottanta;
3. fase di gestione del rapporto ambiente/sviluppo, degli ultimi
decenni.
1.1 Fase di riparazione/protezione dell’ambiente
In questa fase il danno ambientale è considerato una sorta di prodotto
inevitabile dello sviluppo e si coltiva la presunzione di potervi porre rimedio a
posteriori, riuscendo in ogni modo, a mantenerlo entro limiti circoscritti.
In tale periodo la coscienza ambientale non era particolarmente diffusa,
poiché i problemi della ricostruzione postbellica e della ripresa economica
sottraevano risorse economiche, tecnologiche e scientifiche all’ampliamento delle
conoscenze sui processi ecologici e alla messa a punto di sistemi produttivi più
compatibili con l’ambiente.
Fino agli anni Settanta, dunque, le preoccupazioni ambientali restarono
focalizzate su fenomeni di inquinamento puntuali, direttamente osservabili e
imputabili a cause ben identificate, quali: gli effetti dell’inquinamento sulla salute
pubblica, il rischio di estinzione di alcune specie e i danni dell’urbanizzazione
sulla qualità estetica di alcuni ambienti naturali. Parallelamente, sul piano della
ricerca e delle politiche, gli obiettivi erano limitati al trattamento degli scarichi,
alla dispersione/allontanamento degli inquinanti, alla protezione di ambiti
spaziali circoscritti o di specie in via di estinzione.
La lotta contro i rifiuti indesiderati è considerata necessaria, ma non sono
messi in discussione né il ritmo di industrializzazione e urbanizzazione né gli
stili di vita e i comportamenti sociali che sono all’origine della produzione dei
rifiuti stessi; e così tale lotta si traduce spesso nell’allontanamento dei rifiuti dalle
6
aree ritenute più sensibili, anche se la dispersione si è verificato essere uno
strumento estremamente costoso, sia in termini ambientali sia economici.
In termini economici, il danno ambientale è assegnato alla categoria delle
esternalità negative del processo produttivo, ed i costi delle politiche ambientali
sono attribuiti all’intera comunità: in un certo senso, dunque, il danno ambientale
sembra essere un prezzo collettivo da pagare per lo sviluppo economico,
accettando comunque un compromesso fra ecologia e crescita economica.
1.2 Fase di prevenzione/previsione del danno
In questo caso vi è la coscienza della necessità di intervenire prima che il
danno si verifichi, cercando di esercitare un controllo a priori sui danni futuri ed
evitando situazioni di irreversibilità.
Infatti, negli anni Settanta, la percezione della questione ambientale è
andata progressivamente migliorando, sia in termini di conoscenze scientifiche
che di sensibilizzazione pubblica: fondamentale è il contributo di alcuni
avvenimenti di risonanza internazionale, quali la Conferenza delle Nazioni Unite
sull’ambiente (Stoccolma, 1972) e la pubblicazione del rapporto del MIT al Club
di Roma (Meadows, 1972).
Dinanzi all’aggravarsi dei problemi connessi all’urbanizzazione e alla
crescita demografica, il depauperamento delle risorse è giudicato più grave
dell’inquinamento.
L’attenzione delle politiche ambientali si sposta dunque dalla protezione
dei soli oggetti naturali rari o in via di estinzione al mantenimento dell’intero
capitale naturale, riconoscendo dunque un valore economico all’ambiente. Tale
atteggiamento si pone come obiettivo quello di indurre la riduzione del danno o
il minor consumo di risorse in modo indiretto, riportando i costi ambientali
all’interno del meccanismo dei prezzi.
Dalla logica del compromesso ambiente/sviluppo si passa a quella
dell’”ecosviluppo”, ossia alla logica dell’utilizzazione intelligente, efficace e
razionale delle risorse umane e naturali.
Il dibattito di questa «primavera dell’ecologia» mette ben presto in
evidenza che le materie che vengono buttate via sono«rifiuti» soltanto perché
7
l’uomo ha deciso di liberarsene, di «rifiutarle». Di per sé i rifiuti sono «cose»,
molecole e materie che potrebbero ancora venire trasformate in merci utili
[Nebbia 1990: 70].
Le risposte sul piano tecnologico ed organizzativo sono in genere
procedure e dispositivi che consentono il recupero e il riciclaggio dei rifiuti, la
riduzione dei consumi e della produzione di rifiuti, nonché l’aumento della
produttività, ma tale strategia di efficienza incontra un notevole ostacolo nei costi
e nei tempi di sviluppo e adozione delle nuove tecnologie.
1.3 Fase di gestione del rapporto ambiente/sviluppo
In questo stadio prevale un atteggiamento di cautela e attenzione alle
interazioni fra uomo e ambiente, poiché l’instabilità strutturale dei sistemi
naturali e sociali non permette di fondare le decisioni sulla conoscenza certa degli
eventi futuri.
Dalla metà degli anni Ottanta si è cominciato a riconoscere il carattere
onnipresente e relativamente insolubile dell’inquinamento ambientale.
L’attenzione è decisamente spostata dai danni certi e visibili ai rischi probabili,
incerti e spesso controversi, riconoscendo, di fatto, l’impossibilità di circoscrivere
nel tempo e nello spazio tanto le cause quanto gli effetti. Si sfumano di
conseguenza le categorie classiche di “responsabile del danno” e di
“danneggiato”, e si delinea il principio della responsabilità delle generazioni
attuali verso quelle future, sancito dalla dichiarazione della Commissione
Bruntland nel 1987 in merito al concetto di “sviluppo sostenibile”.
I programmi di ricerca inerenti alla questione ambientale sembrano
orientati verso un miglioramento delle capacità di controllo e misurazione dei
fenomeni, ma ciò nonostante il mondo scientifico è chiamato a formulare
previsioni e a suggerire soluzioni rispetto a problemi situati ai limiti delle
conoscenze attuali e comunque caratterizzati da incertezza. Di fronte a
quest’ultima, due atteggiamenti complementari vanno emergendo nel campo
delle politiche ambientali: la cautela nell’azione e la continuità nelle scelte
strategiche.
Un atteggiamento di cautela risulta indispensabile qualora si debba
decidere riguardo a fenomeni di cui non è possibile prevedere l’evoluzione. La
8
continuità temporale nelle scelte è invece una delle condizioni essenziali per
garantire l’efficacia delle politiche.
1.4 La città e lo sviluppo sostenibile
Sempre più frequentemente si parla di sviluppo sostenibile come di una
strategia totale – ovvero di tipo economico, sociale ed ambientale – e di vasta
scala che risolva i problemi di degrado ambientali connessi all’attività antropica.
In un ambito globale spesso ci si accorge che i problemi economici dei
grandi paesi industrializzati soffocano ogni altra iniziativa per avviare una
gestione ambientale mondiale, mirata a reintegrare e conservare equilibri
importanti per la sopravvivenza della specie umana, e per tutte le altre specie
animali e vegetali.
Il termine “sostenibilità” fa confluire, quindi, in se tutta una serie di
fattori che dipendono direttamente dal potere di sviluppo economico che ogni
paese del mondo possiede: la Word Commission on Environment and Developement
(Commissione mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo. Risoluzione ONU n. 228
del 1989) definisce lo sviluppo sostenibile come la “condizione necessaria per cui
la soddisfazione dei bisogni delle generazioni attuali non debba compromettere il
benessere delle generazioni future”. Ma è sul serio possibile uno sviluppo gestito
in modo razionale compatibilmente con l’ecosistema naturale, oppure la società
degli uomini porterà ad un ecosistema artificiale gestito solo in subordinazione
ad esigenze di economie di mercato?
La realtà è che l’uomo è l’unico tra gli esseri viventi a non seguire i cicli
naturali ma, anzi, a modificare questi a seconda delle proprie esigenze e delle
proprie necessità. I risultati di questa azione di assoggettamento sono visibili e
drammatici: dalla desertificazione all’inquinamento, dal depauperamento delle
risorse allo sconvolgimento del clima.
Oggi si danno i limiti, s’inventano i sistemi legislativi di controllo per
cercare di individuare gli obiettivi di sostenibilità, si cerca di acquistar cognizioni
dallo studio dell’ecosistema naturale, attraverso i principi dell’autolimitazione.
Oggi forse ci sono le basi per rendere sostenibile l’attività umana all’interno di un
sistema integrato di gestione di tutte le discipline che si occupano di uno
sviluppo globale durevole in tutte le sue variabili.