INTRODUZIONE
Il 2010 è l’Anno europeo della lotta alla povertà e
1
all’esclusione sociale, come designato dalla
Commissione Europea per portare avanti con decisione
l’impegno assunto nel voler “imprimere una svolta
decisiva alla lotta contro la povertà”. In quanto tale,
quindi, il 2010 rappresenta un anno fondamentale per
soffermarsi sul tema della povertà, sensibilizzando sull’esclusione sociale e
promuovendo l’inclusione attiva nei Paesi membri, affinché nessun Paese si sottragga
alle conseguenze della crisi economica e finanziaria che dall’estate 2007 ha piegato le
economie mondiali, peggiorando la situazione già precaria di molte persone, per non
parlare di quelle più povere.
Come vedremo in dettaglio successivamente, sradicare la povertà presente nel mondo è
anche uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, stabiliti dai massimi responsabili
delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e
dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nella Dichiarazione
del Millennio dell’8 settembre 2000.
Non solo per questioni etiche, ma anche per la stabilità economica e politica globale,
raggiungere questa meta diventa una priorità a livello mondiale, mediante il
coinvolgimento di tutta la comunità internazionale.
Il presente elaborato evidenzierà le Politiche di Cooperazione allo Sviluppo,
definendole e delineando la loro evoluzione storica e in particolare riportando l’esempio
del microcredito e delle politiche regionali attuate dalla Regione del Veneto.
Successivamente verrà inquadrato all’interno della cooperazione il volontariato, con
un’analisi dei dati relativi all’Italia e alla Regione del Veneto.
Infine, verrà presentato l’esempio dell’Operazione Mato Grosso, in quanto
organizzazione di volontariato attenta alle esigenze dei più poveri dell’America Latina,
nella sua struttura, gestione delle risorse, ma soprattutto nei suoi progetti concreti.
1
Commissione Europea Occupazione, Affari sociali, e pari opportunità, L’Europa unisce le forze per
combattere la povertà e l’esclusione sociale, <http://www.2010againstpoverty.eu>, (2010-04-28).
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12
1. LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
1.1 La politica di cooperazione allo sviluppo
1.1.1 Definizione
A livello internazionale, la cooperazione avviene mediante l’attuazione della politica di
cooperazione allo sviluppo (Pcs), vale a dire l’insieme delle politiche attuate da un
governo, o da un’istituzione multilaterale, che hanno l’obiettivo di creare le condizioni
necessarie per uno sviluppo economico e sociale in un altro paese che perduri nel tempo
e che sia sostenibile. L’attuazione di tali politiche può essere realizzata da vari attori,
quali le organizzazioni governative, nazionali o internazionali, o da organizzazioni non
2
governative, come esamineremo meglio in seguito.
1.1.2 Evoluzione storica
L’origine della Pcs viene fatta coincidere con le politiche attuate all’interno della
ricostruzione avvenuta a seguito della Seconda Guerra Mondiale e con la creazione del
sistema delle Nazioni Unite e, in particolare, con il Piano Marshall, il piano di aiuti
economico-finanziari stanziato per l’Europa dagli Stati Uniti d’America.
Negli anni ’50 del secolo scorso l’obiettivo dello sviluppo era la mera crescita del
reddito, da raggiungere attraverso l’industrializzazione, mediate l’utilizzo a tale scopo di
tutte le risorse disponibili. Come definito da W. W. Rostow nel suo “The Stages of
Economic Growth”, tale processo avverrebbe in modo lineare secondo vari “stadi” dello
sviluppo. Affinché questo processo possa innescarsi e auto-sostenersi, si necessita di
risorse ingenti e di costanti investimenti che nei Paesi in via di sviluppo (Pvs) mancano.
Il trasferimento di risorse da parte dei donatori dei Paesi avanzati garantirebbe questo
decollo mediante un “big push”, una grande spinta cioè che colmerebbe il gap in un arco
limitato di tempo. In questa fase assume un ruolo centrale lo stato, attraverso
l’elaborazione di piani pluriennali, che alloca le risorse alle industrie nascenti, da
proteggere dalla competizione internazionale.
Negli anni Sessanta (nominata “Decade dello sviluppo” dall’Organizzazione delle
Nazioni Unite), la decolonizzazione favorisce la nascita di programmi di aiuto bilaterali
tra potenze coloniali ed ex colonie, sostituendo assistenza economica allo sfruttamento
precedente. Nel 1960 nasce l’Associazione internazionale per lo sviluppo (Ida), affiliata
2
F. Bonaglia, V. de Luca, La cooperazione internazionale allo sviluppo – Nord e sud del mondo: insieme
per ridurre la povertà e garantire i diritti umani, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 10.
13
alla Banca Mondiale (Bm), con lo scopo di finanziare, attraverso prestiti a lungo
termine a condizioni particolarmente vantaggiose, lo sviluppo dei paesi meno sviluppati
tra i Pvs. Nel 1961 nasce il Dac (comitato di aiuto allo sviluppo), organo di discussione
e confronto dei principali paesi donatori, facente capo all’Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Programmi di cooperazione vengono
avviati anche da donatori multilaterali come le istituzioni internazionali. In generale,
però, gli aiuti di quest’arco di tempo, come durante tutta la Guerra fredda, sono
considerati uno strumento utile strategicamente a contenere la diffusione del
comunismo.
Negli anni Settanta (la seconda “Decade per lo sviluppo” dell’Onu) la parola chiave che
regola la Pcs è il cosiddetto approccio dei “basic human needs” (bisogni essenziali), al
fine di ridurre la povertà e migliorare le condizioni di vita nei Pvs, promuovendo in tal
modo un’attenzione maggiore alla dimensione umana, generalmente trascurata in
precedenza. La crescita del reddito non è più sufficiente a ridurre la povertà, ma gli aiuti
devono focalizzarsi su azioni e risultati concreti, a beneficio diretto dei poveri, e devono
essere recepiti in modo efficiente, pertanto vengono indirizzati verso quegli attori più
inclini al perseguimento dello sviluppo come fine, come le istituzioni multilaterali.
Emergono anche le Ong quali nuovi attori, che si affermano progressivamente nella
scena internazionale. In questo decennio, però, è ravvisabile un deterioramento delle
condizioni economiche di molti Pvs, che si trovano a ricorrere all’indebitamento in
maniera massiccia, a causa dello shock petrolifero del 1973.
Negli anni Ottanta (la c.d. “decade perduta”) vi è una concomitanza di fatti: lo scoppio
della crisi del debito in molti Pvs, il persistente divario di sviluppo tra Nord e Sud del
mondo, la disillusione crescente per quanto riguarda l’efficacia degli aiuti,
amministrazioni conservatrici al governo dei paesi occidentali e l’avvicendamento al
vertice della Bm e del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) di economisti liberisti.
Tutto questo porta a considerare il mercato come centrale per lo sviluppo economico e
sociale e i paesi creditori propongono un piano di ristrutturazione del debito, a seguito
dell’adesione del paese debitore a un programma di aggiustamento strutturale, riassunto
nel “Consenso di Washington” come definito da J. Williamson, che prevede come
riforme da attuare, per poter accedere ai fondi: rigore macroeconomico, apertura al
commercio e all’investimento estero, svalutazione del tasso di cambio e privatizzazioni.
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Nonostante l’avvio di questi programmi, i paesi dell’America Latina permangono in
condizioni di arretratezza e povertà, mentre l’aggiustamento strutturale ha efficacia solo
in un numero limitato di paesi (es. Sud Corea, Thailandia). A seguito del rapporto
Brundtland (1987), entra nel dibattito internazionale anche il tema della sostenibilità
ambientale e sociale nei processi di sviluppo.
A tal proposito, nel 1992 nel summit di Rio de Janeiro, viene adottata l’Agenda 21,
documento programmatico per la tutela ambientale e l’eliminazione della povertà. Negli
anni Novanta, alcuni studi effettuati sulla crescita economica e sull’efficacia degli aiuti
dimostrano il collegamento tra la qualità delle istituzioni e la capacità di un’economia di
crescere più rapidamente e di rendere gli aiuti più efficaci. Le riforme, quindi, devono
essere discusse preventivamente con coloro che le dovranno sopportare, attraverso un
coinvolgimento nel processo decisionale da parte degli attori locali e dei soggetti
3
interessati (“stakeholders”).
Nel settembre 2000 viene adottata da parte dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione del Millennio,
risoluzione che recepisce i risultati delle varie conferenze degli
anni precedenti, traducendo per la prima volta le finalità dello
sviluppo in termini quantitativi, da raggiungere entro il 2015,
attraverso l’indicazione di otto “Obiettivi di sviluppo del
4
millennio” (Mdg), suddivisi in 18 traguardi e contenenti 48
indicatori per il monitoraggio dei progressi compiuti. Gli stati
membri delle Nazioni Unite, pertanto, si impegnano a:
1- dimezzare il numero di persone che vivono con meno di
un dollaro al giorno e dimezzare la percentuale di
persone che soffrono la fame;
2- garantire che i bambini di tutto il mondo abbiano accesso
alla scuola elementare e la completino;
3- eliminare le disuguaglianze tra sessi, nell’accesso a tutti i livelli di istruzione;
4- ridurre di due terzi il tasso di mortalità infantile al di sotto dei 5 anni;
3
F. Bonaglia, V. de Luca, La cooperazione internazionale allo sviluppo – Nord e sud del mondo: insieme
per ridurre la povertà e garantire i diritti umani, cit., pp. 15-25.
4
United Nations, Millennium Development Goals, <http://www.un.org/millenniumgoals>, (2010-04-28).
15
5- ridurre di tre quarti il tasso di mortalità materna;
6- fermare e invertire la diffusione del virus Hiv/Aids e di altre malattie diffuse
come la malaria e la tubercolosi;
7- integrare i principi di sviluppo sostenibile nei programmi e nelle politiche di
ogni Stato, dimezzare la quota di persone che non ha accesso all’acqua potabile,
migliorare significativamente le condizioni di vita degli abitanti dei quartieri
degradati;
8- sviluppare un sistema commerciale e finanziario non discriminatorio al servizio
dello sviluppo, affrontare i problemi dei paesi meno sviluppati, dei Pvs il cui
territorio non ha accesso al mare o è costituito da un’isola, rendere sostenibile il
debito dei Pvs, sviluppare strategie per l’occupazione giovanile, collaborando
con i Pvs, assicurare l’accesso ai medicinali essenziali nei Pvs, collaborando con
le industrie farmaceutiche, rendere disponibili a tutti i benefici delle nuove
5
tecnologie, collaborando con il settore privato.
Aspetti della discussione attuale
Negli ultimi anni, naturalmente, la discussione in letteratura circa la migliore soluzione
da adottare per eliminare la povertà continua. Un interessante dibattito che riportiamo è
6
quello avvenuto tra Sachs e Easterly.
Sachs, nel suo libro “The End of Poverty: Economic Possibilities for Our Time”, per
mettere fine alla povertà nel mondo propone il “Big Push”, vale a dire enormi aumenti
di aiuti per finanziare un pacchetto di investimenti complementari, come già detto in
precedenza. Questa visione si scontra con la visione di Easterly, che invece sostiene
l’approccio “piecemeal”, che consiste nel gradualismo di piccole riforme fatte un po’
alla volta.
Il Big Push attrae perché sembra promettere una veloce fine alla tragedia della povertà
nel mondo. Il principale elemento di questa proposta per i paesi poveri sarebbe un
raddoppiamento degli aiuti esteri, di circa 100 milioni di dollari all’anno,
5
F. Bonaglia, V. de Luca, La cooperazione internazionale allo sviluppo – Nord e sud del mondo: insieme
per ridurre la povertà e garantire i diritti umani, cit., pp. 90-93.
6
W. Easterly, The Big Push Déjà Vu: A Review of Jeffrey Sachs’s The End of Poverty: Economic
Possibilities for Our Time”, Journal of Economic Literature, 2006, Vol. XLIV, pp. 96-105.
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successivamente da raddoppiare ancora entro il 2015, in modo da colmare il “gap
finanziario” tra ciò di cui necessita un paese e quello che può permettersi da solo.
Un ulteriore elemento per porre fine alla trappola della povertà è un pacchetto completo
di interventi che riguardino tutti i bisogni delle persone povere. Questo viene proposto
da Sachs perché secondo lui ci sono aree di sottoinvestimento particolarmente critiche,
come ad esempio la presenza di una spesa insufficiente nel campo sanitario o nella
fertilità del suolo.
Sachs, infatti, presenta una checklist di 54 barriere allo sviluppo da superare con
l’attuazione degli interventi. Inoltre, il libro di Sachs discute molti dei 449 interventi
elencati nel Millennium Project delle Nazioni Unite, poiché l’autore crede questi
debbano essere applicati sistematicamente, diligentemente e congiuntamente affinché si
rinforzino l’un l’altro.
Secondo Sachs, poi, è necessaria una pianificazione a livello centrale da parte dei
governi e delle agenzie di aiuto per far sì che vengano applicati questi interventi. Nella
sezione “Planning for Success” del suo libro, Sachs propone:
- il Segretario Generale dell’Onu per sorvegliare e assicurare l’operatività degli
interventi;
- cinque piani per ogni paese, compreso un “Piano di investimento” che mostri la
grandezza, il tempo e i costi degli investimenti richiesti;
- un team del paese Onu efficace, che coordini il lavoro delle agenzie Onu
specializzate, del Fmi e della Bm.
Sachs nel suo libro riprende le tesi di economisti dello sviluppo degli anni ’50 e ’60, che
dichiaravano necessari per far uscire i paesi dalla “trappola della povertà”:
- un “Big Push”,
- aiuti esteri che colmassero il “gap finanziario”,
- azioni su tutti i fronti tramite una pianificazione completa.
Sachs riprende, quindi, quanto detto da Rostow nel suo “The Stages of Economic
Growth”, secondo il quale i paesi potrebbero passare dalla stagnazione a una crescita
auto-sostenuta grazie all’aumento di aiuti internazionali necessari per gli investimenti,
che consentono il passaggio da uno stadio di progresso all’altro (Rostow ha individuato
infatti 3 stadi di sviluppo nei processi di modernizzazione e crescita economica: la
17
società tradizionale basata sulla sussistenza, l’industrializzazione e l’interdipendenza
delle attività terziarie).
Sachs, poi, riprende di quegli anni anche la “promessa di grandi risultati”, sostenendo
che “la fine della povertà è a portata di mano […] ma solo se afferriamo la storica
opportunità di fronte a noi”.
Nel libro di Sachs si trovano anche le esperienze di successo in Bolivia e Polonia che
hanno visto la stabilizzazione dell’elevata inflazione attraverso la cosiddetta “shock
therapy”, un’immediata cioè liberalizzazione commerciale, comprendente anche la
privatizzazione su larga scala di beni precedentemente di proprietà pubblica.
L’inflazione è stata controllata attraverso azioni “top-down”, ad esempio fissando il
tasso di cambio, senza emettere nuova moneta nel mercato. Queste esperienze sono
indice di una fiducia nella potenza dei policymaker.
Nei paesi ex-comunisti, però, questa politica è stata deludente, con crolli di output,
elevata inflazione e reazioni politiche violente, poiché non è stato possibile fare tutte le
riforme complementari in una sola volta. Un fallimento simile è avvenuto nei Pvs con il
tentativo del Fmi e della Bm di attuare “aggiustamenti strutturali” completi.
Anche considerando questo, Easterly alla “shock therapy” preferisce il gradualismo
delle riforme incrementali, indicando come scelta migliore quella delle piccole riforme
parziali, rispetto alle grandi riforme parziali, preferenza supportata dagli economisti che
studiano i cambiamenti marginali dei sistemi esistenti o le politiche che generano
miglioramenti marginali.
Secondo Sachs, la trappola della povertà avviene perché:
- le persone povere non risparmiano abbastanza, dato che necessitano di tutto il
loro reddito (se non addirittura di più) anche solo per sopravvivere. Non possono
quindi risparmiare per il futuro e accumulare quindi il capitale che li tirerebbe
fuori dalla loro miseria attuale (cosiddetto “saving-gap model” di Sachs);
- c’è una trappola demografica, che ha luogo quando le famiglie impoverite
scelgono di avere molti bambini. La crescita della popolazione è così elevata che
corre più in fretta del risparmio;
- la funzione di produzione non è convessa: raddoppiando lo stock di capitale
umano e fisico il livello di reddito più che raddoppierebbe, almeno a livelli
molto bassi di capitale pro-capite.
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Questo implica che gli aiuti avrebbero effetti molto positivi nei paesi poveri,
aumentando lo stock di capitale abbastanza da permettere di superare il livello-soglia di
povertà, se l’assistenza estera è sufficientemente sostanziale e se dura abbastanza a
lungo.
I maggiori fatti stilizzati non supportano, però, la tesi di Sachs, cioè che gli aiuti
comportino grandi effetti di crescita. È evidente soprattutto se si guardano i paesi
dell’Africa:
- gli aiuti sono stati più alti in percentuale al reddito, ma la crescita africana è
minore di ogni altro continente;
- gli aiuti sono aumentati nel corso del tempo in percentuale al reddito dei paesi
poveri, ma il loro tasso di crescita è diminuito nello stesso tempo.
Ealderly critica Sachs perché considera i fatti stilizzati che avvengono a partire dal 1980
(crescita pro-capite dei paesi poveri attorno allo zero, in contrasto con la crescita
positiva dei paesi ricchi) e perché, quindi, non vengono presi in considerazione anche i
dati antecedenti, riguardanti il periodo 1950-1980.
Prendiamo in considerazione i paesi che hanno i peggiori indici di corruzione e
democrazia e chiamiamoli “malgoverni”: l’evidenza dimostra come i 24 paesi con
malgoverni nel 1984 hanno la minore crescita dal 1985 ad oggi. Questo induce Ealderly
a pensare che sia il malgoverno la spiegazione della minore crescita e questo viene
confermato anche se si limita la definizione di malgoverno alla sola corruzione. Inoltre,
è estremamente forte la correlazione tra reddito pro-capite e corruzione, tanto da essere
la corruzione stessa la causa del reddito basso, come molti economisti sostengono.
Sachs intende rassicurare i potenziali donatori di aiuti, affermando che i paesi poveri
sono pronti anche a gestire gli aiuti responsabilmente, assicurando che ogni aiuto
ricevuto venga usato per i benefici del gruppo e non venga detenuto da individui
potenti. Questo lascia intendere la preoccupazione di Sachs di incitare i potenziali
donatori, o addirittura celare (promuovendo) la corruzione, dato che questa non viene
presa in considerazione come causa della mancata crescita.
Secondo Sachs, la povertà sembra essere un problema tecnico, che può essere fissato
con interventi dalle scienze naturali. Ad esempio, reputa la medicina non solo come una
soluzione in sé stessa, ma anche come un modello per tutte le economie in via di
sviluppo, nello sviluppo della scienza sottostante e nella sistematizzazione della pratica
19
clinica. Questa visione del problema porta Sachs a proporre soluzioni amministrative
alla questione.
Secondo una ricca letteratura economica e delle scienze politiche, le cause della povertà
sono, invece, sociali: cattive istituzioni, cattive politiche, politiche sbagliate, reti
commerciali che escludono i poveri, elevati costi di transazione nei mercati e inefficaci
donatori di aiuti. In quest’ottica (i fattori socio-culturali, cioè, sono i veri impedimenti al
progresso) si pone anche la teoria della modernizzazione, che vede Rostow tra i suoi
principali esponenti.
La visione della povertà come un problema tecnico e quindi le soluzioni amministrative
necessarie a debellarla, comportano una serie di difficoltà:
(1) I piani possono essere decretati al vertice, ma devono essere implementati alla
base: purtroppo, però, le azioni alla base sono spesso inosservabili dagli
amministratori al vertice.
(2) Gli amministratori al vertice non hanno sufficienti informazioni circa le realtà
alla base per poter progettare i giusti interventi, nel giusto posto, nel giusto
tempo.
(3) Obiettivi multipli e più agenti indeboliscono gli incentivi per questi ultimi a
raggiungere i primi: l’agente che ha più capi (e quindi più obiettivi) ha meno
incentivi perché è confuso e demoralizzato o può portare avanti solo
parzialmente ogni obiettivo, sperando che qualcun altro faccia lo sforzo,
diminuendo la sua necessità di sforzarsi costosamente. Per Sachs la soluzione a
questo problema è avere un capo molto potente al centro (il Segretario Generale
dell’Onu secondo lui, ma questo non ha la necessaria potenza politica sui
governi per poter essere efficace), anche se questo incorrerebbe nelle prime due
difficoltà.
L’alternativa, quindi, proposta da Easterly al “Big Push” di Sachs è l’approccio
“piecemeal”, concentrando gli aiuti per trovare particolari interventi che funzionino e un
po’ alla volta abbiano successo.
Banerjee e He elencano numerosi interventi del genere:
- sussidi alle famiglie per l’educazione e input sanitari per i loro bambini;
- riduzioni delle dimensioni delle classi, insegnamento correttivo, uniformi e libri
di testo, buoni scolastici;
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- medicine contro i vermi, supplementi nutrizionali;
- vaccinazioni, prevenzione dell’HIV;
- fertilizzanti;
- acqua pulita.
Questo approccio richiede miglioramenti degli incentivi per le agenzie di aiuto,
attraverso maggiori feedback per chi intende fare beneficienza e maggiore
responsabilizzazione delle agenzie in caso di feedback negativi.
1.2 Attori nella cooperazione internazionale
1.2.1 Donatori bilaterali
I governi dei paesi sviluppati e sempre più paesi emergenti, che insieme costituiscono i
donatori bilaterali, attuano politiche che mirano alla cooperazione allo sviluppo. I
principali donatori sono i 22 membri del Dac, rappresentando globalmente il 95% di
tutti i flussi di Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). Tra i donatori non-Dac troviamo
principalmente i paesi arabi.
In generale la responsabilità dell’attuazione della Pcs viene attribuita o a un ministero
della Cooperazione o a un’agenzia specializzata, non necessariamente autonoma,
7
oppure a un dipartimento all’interno del ministero per gli affari esteri.
1.2.2 Donatori multilaterali
Altri organismi che operano per la cooperazione allo sviluppo sono rappresentati dai
donatori multilaterali, tra i quali troviamo le agenzie delle Nazioni Unite, la
Commissione europea e le istituzioni finanziare internazionali (come la Bm o il Fmi, ma
8
non solo). Esamineremo ora nel dettaglio, tra queste ultime, proprio le due Istituzioni
di Bretton Woods.
Il Gruppo della Banca Mondiale
Il Gruppo della Banca Mondiale è costituito da cinque istituzioni: la Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Ibrd), l’Associazione Internazionale
per lo Sviluppo (Ida), la Società Finanziaria Internazionale (Ifc), l’Agenzia per la
7
F. Bonaglia, V. de Luca, La cooperazione internazionale allo sviluppo – Nord e sud del mondo: insieme
per ridurre la povertà e garantire i diritti umani, cit., pp. 36-37.
8
F. Bonaglia, V. de Luca, La cooperazione internazionale allo sviluppo – Nord e sud del mondo: insieme
per ridurre la povertà e garantire i diritti umani, cit., pp. 37.
21
Garanzia degli Investimenti Multilaterali (Miga) e il Centro Internazionale per la
soluzione delle controversie sugli investimenti (Icsid).
La Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo è frutto degli accordi di
Bretton Woods del 1944 ed è stata creata per supportare il riavvio dei processi
economici nazionali dei Paesi, appena usciti dalla Seconda Guerra Mondiale,
promuovendo la ricostruzione postbellica attraverso trasferimenti di capitale per
garantire un nuovo equilibrio delle bilance dei pagamenti degli Stati. Con l’evolversi del
quadro economico internazionale, la Ibrd si è adattata e ha cambiato le proprie modalità
d’intervento, divenendo la principale istituzione in campo di sviluppo al fine di dare
assistenza tecnica e finanziaria, favorendo in tal modo il progresso dei Pvs. In
particolare, finanzia tutti quei bisogni sociali e umani di lungo periodo per i quali i
creditori privati non sono disposti ad esporsi:
protegge le capacità finanziarie dei paesi mutuatari anche nei periodi di crisi;
promuove politiche chiave e riforme istituzionali (lotta alla corruzione);
crea un ambiente favorevole per l’attrazione di investitori privati;
ma soprattutto
fornisce attività di assistenza tecnica e consulenza analitica in modo tale da
fornire la conoscenza necessaria per l’elaborazione delle “strategie di assistenza”
ai singoli paesi, al fine di migliorare globalmente la qualità di vita.
L’Associazione Internazionale per lo Sviluppo è nata a seguito delle modificazioni delle
priorità di intervento della Ibrd, nel momento in cui sono stati individuati come
destinatari dei progetti da essa predisposti i Pvs (79 paesi, nei quali risiedono 2,6
miliardi di persone, di cui 1,5 miliardi sopravvivono con $2 al giorno o meno,
destinatari diversi rispetto a quelli della Ibrd), per poter quindi semplificare la procedura
di finanziamento per questi progetti. Il suo accordo istitutivo è entrato in vigore il 15
settembre 1960. Essa quindi finanzia i paesi più poveri al mondo, concedendo crediti
privi di interessi e sovvenzioni volti a favorire la crescita, prevedendo un rimborso a
lungo termine, a partire da 10 anni successivamente alla concessione del credito. I
principali progetti da essa proposti sono:
politiche economiche sane, sviluppo rurale, sostegno ai privati e all’ambiente;
investimento nelle persone (sanità ed educazione);
ricostruzione post conflitti e guerre civili;
22
promozione del commercio e integrazione regionale;
espansione della capacità di auto-soddisfazione dei bisogni;
oltre a fornire un’attività consultiva per promuovere la crescita economica e la
protezione dei soggetti dai vari shock. Inoltre, insieme al Fmi, si è fatta promotrice
dell’iniziativa “Heavily Indebted Poor Countries”, per la riduzione del debito pubblico
ad un livello sostenibile, alla condizione che i governi lottino efficientemente contro la
povertà, impegnandosi a utilizzare le risorse liberate in spese tese alla riduzione della
povertà.
La Società Finanziaria Internazionale è stata istituita a seguito di un accordo entrato in
vigore nel luglio 1956. Essa completa il funzionamento del Gruppo, promuovendo i
processi finanziari internazionali che coinvolgono il settore privato, attraverso:
promozione di mercati più aperti e competitivi nei Pvs;
aiuto alle imprese e ai loro partner a crescere;
creazione di nuovi posti di lavoro;
distribuzione dei servizi di base.
Le principali strategie usate dalla Ifc sono:
sviluppo di collaborazioni durevoli;
attenzione alla sostenibilità ambientale;
promozione delle aziende che creano infrastrutture;
diffusione di strumenti finanziari locali (come il microcredito, che vedremo in
seguito nel dettaglio).
Inoltre, essa fornisce consulenza, in quanto ciò che non permette il sostegno e
l’avanzamento è la mancanza di quel know-how necessario per proteggersi dalla
concorrenza e dalla crisi. Infine, tale associazione rafforza le sue posizioni nei momenti
di crisi per sopperire al ritiro di finanziamenti privati, attraverso:
mantenimento della liquidità;
costruzione di un’infrastruttura finanziaria;
sostegno delle aree con maggiori problemi.
Ha come destinatari, quindi, 130 Paesi nei quali l’esposizione al rischio è più elevata e
la probabilità di successo è tra le più basse: nei Paesi a basso reddito offre soprattutto
servizi di consulenza e finanziamento alle imprese, mentre nei paesi a medio reddito
promuove l’incontro delle aziende con nuove realtà economiche.
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L’Agenzia per la Garanzia degli Investimenti Multilaterali, istituita al termine degli anni
Ottanta come risposta alla diminuzione del volume di investimenti dei Paesi sviluppati
nei Pvs verificata in quel decennio a causa dell’aumentato rischio di insolvenza per
fattori non legati al commercio. Lo scopo di quest’agenzia è proprio quello di garantire
gli investimenti all’estero. L’evoluzione di quest’istituto ha visto il progressivo
coinvolgimento dei Pvs nel processo assicurativo, fornendo assistenza tecnica e creando
le condizioni per favorire gli investimenti stessi, garantendone l’utilizzo grazie a
un’adeguata copertura assicurativa.
Il Centro Internazionale per la soluzione delle controversie sugli investimenti è stato
instituito con la Convenzione di Washington del 18 marzo 1965. Esso opera in
particolare con la Ibrd, data la sua specifica competenza per la soluzione di controversie
derivanti dall’applicazione di un contratto di investimento, tra investitore straniero e
Paese destinatario dell’aiuto finanziario, evitando così un processo di “politicizzazione”
9
della controversia.
Il Fondo Monetario Internazionale
Un’altra istituzione nata a seguito degli accordi di Bretton Woods del 1944 è il Fondo
Monetario Internazionale. Nel quadro economico postbellico esso si è rivelato un
ulteriore strumento per garantire la stabilità del sistema internazionale dei cambi fissi
(con un’oscillazione dell’1% al massimo), che si basava sulla convertibilità oro-dollaro,
e, in modo indiretto, per correggere eventuali squilibri delle bilance dei pagamenti degli
Stati membri. Nel 1947 il Fondo è diventato istituto specializzato dell’Onu.
Scopo del Fmi è promuovere la crescita nella stabilità a livello di singolo paese e di
sistema economico internazionale per
raggiungere una crescita economica stabile;
innalzare la qualità della vita;
abbattere la diffusione della povertà
attraverso
la promozione della cooperazione monetaria internazionale;
9
E. Spatafora et al., Sviluppo e diritti umani nella cooperazione internazionale – Lezioni sulla
cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, G. Giappichelli Editore, Torino, 2003, § 2.1.2.
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