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mondo. Gli effetti benefici che ha sulla psiche e sul fisico sono
innumerevoli, molti studi fatti a riguardo possono confermare
quest’affermazione. Già Freud (1905) aveva parlato nei suoi libri della
connessione che esso ha con il risparmio energetico e del suo effetto
liberatorio. Tali aspetti dell’umorismo sono stati in seguito
approfonditi da altri studiosi, che ne hanno dato le spiegazioni più
disparate, per comprendere apprendere quali meccanismi (consci ed
inconsci) sottostanno alla produzione di umorismo, inducendo allo
scoppio delle risa.
Il riso smette di essere solo “sulla bocca degli stolti”, uscendo
dall’anonimato, a partire dagli anni ‘70, periodo nel quale vennero
rese note le prime scoperte nel campo; nacque così la geleotologia
disciplina che studia la relazione che c’è tra il riso e la salute. “Il riso
fa buon sangue” non era più un detto come un altro, ma diveniva una
frase avente un fondamento scientifico. I risultati positivi hanno
indotto alcune persone a muoversi perché questa nuova conoscenza
potesse essere utilizzata per migliorare la qualità della vita soprattutto
nelle persone sofferenti. Per questa motivazione Hunter Adams (più
noto come Patch Adams) allora aspirante dottore, ha dato inizio ad
una serie di visite buffe in ospedale creando la così detta
clownterapia, diffusasi nel giro di una decina di anni in tutto il mondo.
Migliaia di clown si aggirano in tutti gli ospedali del mondo cercando
di strappare un sorriso agli utenti (degli ospedali, delle case di riposo,
degli istituti d’igiene mentale, ecc.) ma anche ai loro familiari ed al
personale ospedaliero, utilizzando l’umorismo e la comicità che c’è in
loro. La domanda intorno alla quale ruota il lavoro di tesi e della
quale ho fatto un accenno in questa breve introduzione riguarda
proprio questi clown-dottori che si trovano a scegliere di portare un
7
sorriso in luoghi dove apparentemente non può esserci che sofferenza.
Ma se, come è stato teorizzato, è vero che si ha una generazione di
piacere in entrambi i soggetti che partecipano all’evento umoristico,
quali sono le reali motivazioni che inducono i clown a far ridere?
Fanno Ridere per far bene a se stessi o per far ridere gli altri?
Questa domanda assume nel mio caso maggior valore, in quanto
appartenendo a questa realtà mi sento coinvolta in prima persona. Per
darne una risposta ci siamo serviti di una serie di condivisioni,
destinate alla mailing list dell’associazione della quale fanno parte,
che i clown hanno redatto nell’arco di un anno. Esse sono delle
testimonianze dirette e rappresentano la voce di chi ogni settimana va
in ospedale portando un po’ di sé attraverso il clown che rappresenta.
Testimonianze di gioia, di forti emozioni, ma anche di sofferenze
intime, che essi condividono per esprimere ciò che vivono, per rendere
partecipi gli altri membri del gruppo dei loro sentimenti durante i
servizi svolti. Viene sfatato il mito del clown che è sempre felice, il
clown diventa persona fino a trasformarsi in sentimenti e motivazioni.
Un punto interessante è l’intreccio che si crea tra attività volontaria ed
umorismo, i sentimenti s’incrociano, le motivazioni si combinano, i
metodi cambiano ed anche la modalità di reazione (sia dei pazienti
che dei clown). Abbiamo analizzato le condivisioni sia utilizzando
l’analisi quantitativa che qualitativa, La prima è stato un passaggio
necessario per poter avere un contatto iniziale con i dati che avevamo
raccolto e che, in seguito, sono stati revisionati nell’analisi qualitativa,
tenendo conto delle differenze presenti in ogni singolo caso. Le
conclusioni di quest’analisi non possono essere generalizzate
all’universo dei clown presenti in Italia, ma probabilmente
analizzando altre condivisioni si potrebbero riscontrare dei tratti
8
comuni ad esse.
La tesi si suddivide in quattro parti. Le prime due sono teoriche,
di queste la prima esamina una parte della teoria riguardante
l’umorismo in generale, i processi dai quali scaturisce l’emissione
d’umorismo e quelli che vengono attivati nel momento in cui è
recepito; mentre la seconda va nel particolare parlando del caso della
clownterapia, specificandone gli aspetti portanti. La terza parte, quella
metodologica, descrive com’è avvenuta la raccolta dei dati, come si è
selezionato il campione e le motivazioni che hanno indotto
principalmente alla scelta dell’analisi qualitativa associata a quella
quantitativa. L’ultima parte è di tipo analitico, essa riporta le
categorizzazioni di tutti i dati raccolti dalle condivisioni e che daranno
una conclusione a questo mio lavoro.
9
«Esiste un mistero al centro di fenomeni
umani come l’umorismo. Credo che il
massimo punto d’avvicinamento a questo
mistero sia costituito dal paradosso. Ogni
volta che l’uomo cerca di studiare l’uomo, si
trova di fronte a se stesso e scopre che
l’oggetto dello studio è in realtà chi lo
conduce. E forse è proprio questo paradosso
che rende così emozionante e gratificante
studiare la natura umana» (Fry W., 2001,
p.237).
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CAPITOLO 1
L’UMORISMO ED I SUOI PARADOSSI
1. DEFINIZIONE DI UMORISMO
L’umorismo non si presta facilmente ad essere definito, poiché
esso è composto da vari aspetti; nei diversi contesti noi possiamo
parlare di senso dell’umorismo, di apprezzamento dell’umorismo o di
generazione dell’umorismo. Se cercassimo sul dizionario italiano
questo termine troveremmo scritto: “Modo intelligente, sottile ed
ingegnoso di vedere, interpretare e presentare la realtà, ponendone in
risalto gli aspetti o lati insoliti e bizzarri. SIN. Arguzia, spirito”
(Zingarelli N., 1987, p. 2083). Ed ancora: “Capacità di rivelare e
rappresentare il ridicolo delle cose, in quanto non implica una
posizione ostile o puramente divertita, ma l’intervento di una
intelligenza acuta e pensosa e di una profonda e spesso indulgente
simpatia” (Devoto G., Oli G., 1987, p. 3359). Le definizioni sono
molto imprecise ed è proprio in questa genericità che si nasconde tutta
la complessità dell’umorismo, che rimane un tema molto controverso.
Si tratta di una delle strutture fondamentali del comportamento
dell’organismo umano; ma nonostante il riconoscimento universale
della sua importanza, rimangono ancora aperte molte questioni
1
che è
1
Fry (2001) schematizza chiaramente i problemi che ancora non sono stati risolti in questo
ambito: «Il riso ed il sorriso sono manifestazioni dello stesso processo o rappresentano qualcosa
di completamente diverso?», «Perché si ride?», «In che modo qualcosa di divertente fa ridere?»,
«qual è la natura dell’umorismo?», «Perché una battuta (o altri tipi ci comicità) fa ridere?», «che
cosa c’è di un sorriso che lo rende un’esperienza piacevole?». Queste questioni riguardano sia
l’umorismo che «quel paffuto essere umano -il prototipo di tutti i suoi simili- che siede lì
11
bene tenere in considerazione per comprendere la complessità
dell’argomento (Cfr. Fry W., 1963). In realtà gli studiosi, che
cercarono di approfondire l’umorismo per darne una definizione
univoca, tennero in considerazione soltanto alcuni suoi aspetti
ritenendo che fosse possibile poter raggiungere una definizione
manualistica. La radice etimologica della parola umorismo proviene
dal latino umor e dal vocabolo medievale humor, entrambi presi in
prestito dalla medicina, dove hanno il significato di disposizione
biologica o temperamento. Spesso accade di collegare al termine
umorismo diversi concetti quali ridicolo, buffo, satirico, divertente,
comico, bizzarro, giocoso, ma in effetti l’umorismo è da considerare
come questa capacità di intendere, apprezzare ed esprimere il comico;
è una dote rara negli esseri umani, ed è possibile trovarlo sia
nell’agire, che nella comunicazione orale ed in quella scritta.
L’umorismo va distinto dal comico perché, come scrive Eco (1981), il
comico non viola realmente la regola, ma gioca a violarla, invece
l’umorismo non è vittima della regola che lo presuppone ma ne
rappresenta la critica conscia ed esplicita. Per semplificare la
distinzione Gullotta (2001) fa una sintesi delle loro caratteristiche.
Comico: divertimento giocoso, immediatezza, elementarità,
incongruità semplici e vistose, ilarità, appartenenza prevalente ad una
dimensione infantile.
Umorismo: coinvolgimento di sentimento e riflessione, tecniche
più elaborate, incongruità più sottili (non sense maggiormente
presente) più appartenente al mondo adulto.
nell’angolo ridendo a crepapelle e tenendosi i fianchi mentre le lacrime gli rigano le guance» (p.
35). Ma ve ne sono di ulteriori che fanno parte di questo complesso argomento che è l’umorismo
e per quanto si cerchi delle risposte valide, in realtà, non si è ancora riusciti a darne una che
possa essere definitiva.
12
L’umorismo si basa su una disposizione mentale che possiede un
certo fondamento di equilibrio psicologico e di benessere fisico; esso
non implica una posizione ostile, ma una profonda e bonaria simpatia
umana. Tradurlo da una lingua ad un’altra è difficile perché è così
permeato dei caratteri della cultura che diventa incomprensibile se
travasato in ambienti culturali diversi. L’umorismo comporta anche
una percezione istintiva del momento e del luogo in cui può essere
detto, se è usato nella misura giusta e nel momento giusto è un
solvente per sgonfiare tensioni, risolvere situazioni altrimenti penose,
facilitare rapporti e relazioni umane (Cfr. Cipolla C., 1988).
Freud (1928) nel suo articolo sull’ umorismo, ne colse
l’accezione più aulica:
«L’umorismo non è rassegnato, ma è una gioia trionfante e rappresenta la
vittoria del principio del piacere. L’ego che è sottomesso alle esigenze della
realtà o a modificare, gli impulsi che lo spingono dal cercare piacere, si
distoglie dalla realtà e si compiace narcisisticamente di sé. Senza inibizioni
e senza senso di colpa. Questo narcisismo inibito, questo trionfo sulla
realtà, questa vittoria dell’ego che si sente invulnerabile, danno un senso di
forza che può portare al riso, cui di solito basta sorridere. Nella battuta di
spirito il piacere infantile serve a liberare le tendenze aggressive:
nell’umorismo un risparmio emotivo riattiva un giocoso stato narcisistico,
durante il quale il super ego tratta l’ego con amorevolezza e senza abituale
severità» (International Journal of Psycoanalysis, 9, p. 3).
Ciò che è possibile riscontrare in questa teoria sull’umorismo,
che Freud espose nel suddetto articolo ma anche precedentemente nel
motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (tr. it. 1972), è che
esso come l’arguzia e la comicità ha in sé un elemento liberatorio;
possiede anche un componente di bellezza e di elevazione che manca
13
negli altri due modi. Palesemente quello che è bello nell’umorismo è il
trionfo del narcisismo, la dichiarazione da parte dell’ego della sua
invulnerabilità, la sua caratteristica fondamentale è l’ immunità ai
colpi scagliati dal mondo esterno, che diventano soltanto occasioni di
divertimento. A parere di Spina e Fioravanti (1999) esso porta l’uomo
ad immedesimarsi e contemporaneamente ad astrarsi dall’oggetto del
riso, che viene analizzato, interiorizzato e l’attimo dopo espulso e
superato.
Presupposto fondamentale affinché l’umorismo sia presente in
una persona è che sia dotata di senso dell’umorismo (considerata
come una caratteristica individuale), per questa ragione è importante
chiarire tale concetto prima di passare alla descrizione delle teorie che
hanno posto dei paletti sull’imprecisabile umorismo.
14
1.1. Il senso dello humor
L’umorismo non potrebbe esistere se non ci fosse il cosiddetto
senso dello humor, considerata come l’attitudine necessaria per saper
ridere delle situazioni ridicole. Non tutte le persone intelligenti sono
spiritose, in quanto avere un carattere spiritoso (senso dello humor)
significa possedere una prontezza al divertimento, facilità al riso,
capacità di cogliere il lato insolito e ilare delle situazioni; l’abilità
umoristica è considerata, anche, come l’abilità a percepire, in modo
umoristico, la relazione tra elementi apparentemente incongrui; essa fa
riferimento a due elementi specifici.
1. La memoria umoristica: capacità di immagazzinare e
riproporre espressione argute e di raccogliere informazioni
umoristiche.
2. La cognizione umoristica: abilità di elaborare nuove
informazioni, capacità di ragionare in senso spiritoso.
Alcuni risultati sperimentali hanno dimostrato che esiste una
relazione significativa tra ragionamento umoristico e abilità verbale e
tra ragionamento umoristico e memoria umoristica
(immagazzinamento di informazioni umoristiche). La correlazione
non sembra significativa, tra conoscenza umoristica ed abilità
cognitiva generale: quindi, le due competenze sono distinte. Avere
senso dello humor indica un atteggiamento scherzoso ed un’abilità
cognitiva, che consente di comprendere ed enfatizzare le incongruenze
(Cfr. Gullotta G., Forabosco G., Musu M.L. 2001).
Bokun (1997), approfondisce il tema dell’incongruità, definendo
15
il senso dello humor come il risultato della visione e percezione
realistica del mondo, lo considera come una forma di attività della
mente in determinate condizioni ormonali o neuro ormonali
dell’organismo. Egli ritiene sia possibile acquisirlo giocando con il
nostro Io e con le sue pretese, non prendendoci troppo sul serio e
sviluppando il senso di autoironia. Il senso dello humor, liberando il
nostro sistema percettivo dalla deformazione e dalle inibizioni create
dall’eccessiva serietà, ci permetterebbe di osservare l’umanità nella
sua nudità, aiutandoci a capire che una buona parte di ridicolo è
contenuta in quella sofferenza umana e disperazione che nascono dalla
pretesa d’inseguire un illusorio dover essere. Solo poche persone
riescono a raggiungere tale prospettiva, dalla quale molte debolezze
degli uomini sono viste come una commedia; esse sono dotate di una
spiccata capacità analitica e riescono a comprendere le contraddizioni
dei loro simili senza perdere la simpatia e la stima per essi.
L’ umorismo mantiene viva l’attività logica del cervello pur
liberando il nostro ragionamento razionale e realistico dalle minacce
del pensiero illusorio rendendoci immuni da ideologie e pregiudizi, e
permettendoci di essere liberi dallo stress e dalle frustrazioni; inoltre
essendo contagioso può creare un’atmosfera salutare di intimità e
vicinanza. Raymond (1977) teorizza l’esistenza di sei significati per
intendere che qualcuno ha senso dell’umorismo e li descrive dal più
generale al più particolare (che è anche quello che centra in pieno
cosa egli intende per senso dell’umorismo).
1) SIGNIFICATO: “SI RENDE CONTO DI QUANTO IO SIA
DIVERTENTE”
Se dico che un’altra persona ha senso dello humor, posso
intendere che mi riesce di farla ridere.
16
2) SIGNIFICATO CONVENZIONALE
Posso voler dire che ride delle stesse cose che appaiono
divertenti a me.
3) SIGNIFICATO: “È UN BURLONE, L’ANIMA DELLA
FESTA”
Ha un ottimo repertorio di barzellette, di scherzi che sa ripetere
abilmente. Che sa far ridere gli altri.
4) SIGNIFICATO CREATIVO
Chi ha senso dell’ umorismo in forma creativa riflette la sua
creatività nella produzione di osservazioni spiritose, storie
scherzi commedie.
5) SIGNIFICATO: “È UNO CHE SA STARE ALLO
SCHERZO”
Uno che sa ridere e apprezzare una buona battuta anche quando
è lui a farne le spese.
6) SIGNIFICATO: PROSPETTIVA COSMICA.
È il più importante, in quanto la prospettiva cosmica si riferisce
ad una persona dotata di senso dell’umorismo, che sa vedere se
stessa e gli altri con un certo distacco. Vede la vita da una
prospettiva da cui può sorridere e tuttavia restare in contatto e
lasciarsi coinvolgere in maniera positiva. Una persona che sa
vedere il lato comico delle cose senza per questo perdere
l’amore o il rispetto per se stesso e per l’umanità.
Avere senso dell’umorismo significa, quindi, essere in grado di
acquisire questa prospettiva cosmica della vita, generalmente esso è
giudicato come un fatto psichico/emotivo, avente un rapporto
profondo con la condizione fisiologica dell’organismo in quanto
17
strettamente connesso con il sorriso e con il riso, considerate come sue
espressioni psicomotrici
2
.
Lo psicologo israeliano Ziv (1984) ideò uno schema dove
raccolse i dati provenienti da diverse ricerche, realizzate per cogliere
quali fossero le differenze presenti nelle persone riguardanti alcuni
elementi tipici del senso dello humor. Egli fece una divisione in base
alla dimensione sociale (estroversione/ introversione) ed a quella
emotiva (stabilità/instabilità) della personalità, dimostrando
chiaramente come il senso dell’umorismo dipende da diversi fattori e
cambia da persona a persona; altri autori realizzano ulteriori
distinzioni facendo dipendere lo humor anche dall’età e dal sesso.
2
A proposito del legame fisiologico tra umorismo e sorriso/ riso Grotjan M. (1961) scrive: «La
battuta di spirito è collegata con l’aggressione, l’ostilità ed il sadismo; l’umorismo invece con la
depressione, il narcisismo, il masochismo. La prima trova l’espressione psicomotoria nel riso ed
il secondo nel sorriso. Il riso è rumoroso perché esige compagnia mentre il sorriso è silenzioso,
mesto , sublime e può sbocciare anche non visto. Il riso nasce quando la libido si libera da una
aggressione repressa» (p. 55)
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2. LE TEORIE ED I MODELLI DELL’UMORISMO
Il comportamento scherzoso, il divertirsi, il ridere ed il sorridere
fanno parte del nostro mondo quotidiano. La pervasività
dell’umorismo si deduce dal numero di modi di dire e di frasi che vi
si riferiscono e che hanno radici molto antiche : “ride bene chi ride
ultimo”, “scherzo di mano, scherzo di villano”, “il riso fa buon
sangue”, “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”, “far ridere i polli”,
“morir dal ridere”, “ridi, ridi che la mamma fa gli gnocchi”, “ridere a
crepapelle”, ecc. Nonostante ciò, per secoli il riso è stato considerato
come un argomento non meritevole di attenzione, per questa ragione è
stato oggetto di poche speculazioni sia filosofiche che empiriche. Tale
atteggiamento nei suoi confronti è dovuto in parte all’idea diffusa che
occuparsi del comico non è una cosa seria; da questo deriva la
convinzione che tutto ciò che esamina la comicità riguarda un aspetto
superficiale o marginale della vita umana, per cui i seri pensatori
hanno ritenuto che non valesse la pena occuparsene. Un'altra ragione
di questo scarso interesse da parte degli studiosi è stata la propensione
umana ad occuparsi degli aspetti problematici dell’esistenza, al fine di
poterli risolvere o attenuare; essendo il comico un aspetto non
facilmente analizzabile, perché considerata un’esperienza effimera,
fugace ed a volte anche difficile da ricordare, ha attratto poche menti
di filosofi, letterati ed antropologi (Cfr. Francescato D., 2002).
Le teorie sull’umorismo provengono da una varietà di prospettive
(linguistica, sociologica, psicologica, antropologica e teatrale), alcune
di esse hanno segnato la storia, da Platone ad Aristotele a Bergson.
Teorie molto diverse tra loro ma ognuna importante per il contributo
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dato alle formulazioni teoriche e scientifiche successive (teorie
dell’incongruenza, della sorpresa, dell’ambivalenza, della
configurazione, del rilassamento, psicoanalitica). La maggior parte di
questi studiosi che si sono occupati inizialmente della nozione di
umorismo sono riusciti a spiegarlo in modo totalmente teorico a causa
della sua complessità. Soltanto dopo l’analisi freudiana si è avuta, in
realtà, una transizione dalla tradizione speculativa e pre-scientifica a
quella della ricerca scientifica. Ci soffermeremo dunque sulla teoria
freudiana, per l’importanza che ha rivestito nella formulazione dei
modelli scientifici successivi.