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ABSTRACT #1
Questo nostro itinerario unisce la necessità di recuperare connessioni e
continuità nel processo di costruzione dell’identità italo-americana femminile
che rimodella i confini del discorso tra Vecchio e Nuovo Mondo.
In particolare, tracciamo i rapporti tra luoghi e identità nelle opere di
Louise De Salvo e Tina De Rosa; indaghiamo la coscienza del soggetto
femminile che scrive e aspira ad andare al di là dei propri confini culturali,
attraverso un genere particolare che funge da filo conduttore della nostra
analisi: il memoir, inteso come pratica letteraria e politica.
Attraverso la scrittura e il dialogo con modelli letterari femminili ritenuti
fondamentali per custodire e tramandare la memoria di altre esistenze, le
nostre autrici rivendicano la possibilità di auto-rappresentazione culturale e
sollecitano domande su se stesse e sulle comunità di appartenenza, finalmente
incluse nella letteratura canonica. Il nostro discorso si legge come
ritrovamento dell’autorità di voci che offrono anelli di congiunzione tra
passato e con la conseguente riconfigurare dei soggetti e delle lingue. Si può
dedurre che una scrittura così , operi scelte originali quando non si cura di
essere lineare e riconducibile a narrazioni preesistenti, optando invece per una
prospettiva plurale che lasci spazio a più voci, che nasca dal contatto di più
lingue e soggetti parlanti, distinti per storia emotiva e sociale. Così, se il
memoir di Louise De Salvo, (Vertigo), apre a quegli elementi chiave che
chiariscono il dilemma assimilazione/separazione, allo spaesamento e
all’orgoglio ostinato di radici che fungono da principale veicolo di espressione
artistica, culturale e alterazione sociale; le microstorie di Tina De Rosa (Paper
Fish) diventano, invece, manifestazione poetica di una dislocazione spaziale e
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identitaria come punto di partenza per nuove relazioni ed espressioni di vista
dell’alterità.
A seguito della lettura di testi critici che rientrano in un quadro di studi
arricchitosi soprattutto negli ultimi decenni per via di una produzione non più
considerata marginale e disorganica, diamo spazio ad una pratica che è per noi
un nodo focale, il memoir, che, mentre ci consegna la parola del singolo
individuo, s’intreccia agli esodi e alle trame della memoria. È fondamentale
l’approccio pluridisciplinare, l’incrocio cioè di letture di tipo storico e
autobiografico, in grado di rivelare le peculiari intersezioni di percorsi italiani
e percorsi americani. Chi si trova tra due o più comunità, all’interno di due o
più lingue, come le nostre autrici, attiva quindi meccanismi di sopravvivenza e
adattamento che danno alla letteratura un contributo originale che non
abbiamo voluto ignorare.
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Introduzione
Da più di vent’anni, in Italia e negli Stati Uniti, si è ritenuto essenziale
recuperare le scritture fortemente segnate dall’esperienza dello sradicamento,
della ricollocazione in un’altra terra e in un differente orizzonte simbolico e
materiale di autori e autrici che appartengono a più generazioni di Italiani
d’America. Diversi sono stati gli studiosi impegnati nell’approfondimento
storiografico e linguistico di quei territori dell’immaginario narrativo, che
hanno contribuito a rivalutare i preziosi contributi di una produzione letteraria
italiana che in America già esisteva ben prima della Grande Migrazione del
1880, come dimostrano ad esempio Jerre Mangione, Ben Morreale
1
e
Francesco Durante.
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Vogliamo ora offrire una riflessione sull’esperienza dell’emigrazione e
sull’italianità problematizzata, raccontata, stigmatizzata; riportarne alla luce il
dilemma assimilazione/separazione che interessa tutti gli immigrati; illustrare
le fonti di disagio sociale attraverso l’energia creativa e letteraria e le scissioni
ostinate nel percorso di ricerca di sé nella comunità, per giungere infine agli
italiani e alle italiane d’America d’oggi.
Presteremo principalmente attenzione alle questioni di identità sollevate
da quelle narrazioni che, in un contesto postmoderno e globalizzato, mostrano
la necessità di custodire un patrimonio che prima di essere tramandato deve
esser valorizzato e riconosciuto nella letteratura “ufficiale”. Nello specifico,
analizzeremo il memoir di donne italoamericane, ingiustamente ignorate sia
dalla cultura dominante americana sia da quella italiana, ma faticosamente
riabilitate da letterati e critici come Helen Barolini (The Dream Book, 1985),
1
Cfr. J. G. Mangione, B. Morreale, La Storia: Five Centuries of the Italian American Experience,
Harper Collins, New York, 1992.
2
cfr. F. Durante (a cura di), Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti 1776-
1880, vol. I, Mondadori, Milano, 2001.
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Mary Jo Bona (Claiming a Tradition: Italian American Women Writers, 1999)
ed Edvige Giunta (Writing with an Accent: Contemporary Italian American
Women Authors, 2002).
I preziosi contributi di scrittori e studiosi del settore prodotti negli ultimi
vent’anni, che hanno permesso la rivalutazione di una scrittura femminile
contrassegnata da identità etnica e forme sperimentali nuove, guideranno il
nostro viaggio nel genere del memoir, in quel recupero della parola delle
origini da parte di donne che hanno contribuito a consolidare una tradizione
letteraria oltreoceano. Divise tra nostalgia del passato e vita presente, le
autrici di cui ci occuperemo mostreranno che in quell’ambivalenza sta il punto
di forza e la possibilità di ricreare una continuità tra passato e presente, di
riconsiderare le tradizioni creando con esse uno scambio che ne mostri non
l’impoverimento una volta giunti in un altro mondo, ma la costruzione di una
geografia delle differenze priva di pregiudizi e preconcetti legati al canone e
all’identità.
La linea del nostro dibattito avrà inizio da uno sguardo e da una lettura
“distante” nello spazio e nel tempo, che, nel primo capitolo, ripercorre le
origini di quei transiti. Contestualmente ritroveremo il senso del memoir come
pratica letteraria e politica.
Nel secondo capitolo ci chiederemo in che modo la scrittura, in
particolare quella di Louise DeSalvo, possa liberare la famiglia e la donna da
segreti e tabù. Fondamentale sarà riconoscere una tradizione letteraria
femminile, la modalità di scrittura autonarrativa delle minoranze,
l’esplorazione di punti di vista non ufficiali e gli ostacoli alla produttività e
all’autodefinizione che Louise DeSalvo affronta quando problematizza la
diversità etnica e identitaria. Nel suo memoir, il malessere diventa metafora di
una condizione che investe la scrittura italoamericana.
Nel terzo capitolo, infine, le aspirazioni non convenzionali di una donna
s’incontrano con la complessità di un ricordo che illustra la stratificazione
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simbolica e lo spaesamento fisico, familiare, mitico e sociale nella difficile
relazione tra spazi esterni ed interiori. Mostreremo come le immagini poetiche
di Tina De Rosa raccolgano la sfida di riassumerne la verosimile potenza
trasformatrice, il desiderio di mobilità nel presente e la necessità di conservare
il passato.
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Capitolo 1
ESODI E TRAME
NELLA SCRITTURA DELLA MEMORIA
1.1 L’emigrazione italiana transoceanica tra Ottocento e
Novecento.
Tra il 1880 e il 1920 si assiste a un flusso migratorio senza precedenti:
centinaia di migliaia di individui provenienti soprattutto dall’Italia del Sud si
riversano sulla costa atlantica degli Stati Uniti, producendo ciò che lo storico
americano Thomas Sowell ha definito “il maggior esodo mai registrato da una
singola nazione”.
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Si tratta della prima generazione migrante, che non parla la
lingua del paese che la accoglie, non ne conosce costumi e mentalità ma altera
profondamente il tessuto etnico e socioculturale americano, fino a quel
momento di matrice quasi esclusivamente anglosassone. L’impatto dei nuovi
arrivati sulla società americana è grande. Nelle città statunitensi essi ricreano
le famose Little Italies, ghetti tipici delle prime generazioni dove vivono da
italiani, lontani da una vera integrazione.
In realtà, di italiani in America ce n’erano sempre stati. Oltre a Colombo,
Filippo Mazzei era noto per aver contribuito alla stesura del Bill of Rights
degli Stati Uniti; William Paca era stato uno dei firmatari della Dichiarazione
di Indipendenza; il pittore Costantino Brumidi aveva dipinto la cupola del
palazzo del Congresso e Antonio Meucci, l’inventore del telefono, aveva dato
3
Cfr. “L’italianità esportata”, in P. Casella, Hollywood Italian. Gli italiani nell’America di celluloide,
Baldini & Castoldi, Milano, 1998, pag 19.
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asilo a Garibaldi durante la sua permanenza a Staten Island. Diversi, poi,
erano stati gli italiani a combattere la guerra civile americana, ad andare alla
ricerca dell’oro e di opportunità tra i pionieri del Far West, tra i quali si era
distinta anche una religiosa italiana, Suor Blandina
4
.
Prima dell’Unità d’Italia, gli italiani costituivano meno dell’1% della
popolazione americana di origine europea. Erano principalmente di origine
ligure. L’ondata migratoria successiva includerà esuli provenienti dal Nord –
lombardi, veneti, piemontesi – per lo più istruiti e lavoratori specializzati. A
fine secolo gli arrivi coinvolgono invece in maniera crescente piccoli artigiani
e contadini, spesso analfabeti, in cerca di sopravvivenza e con grandi
aspettative. Nasce una sottocultura etnica parallela e incompatibile con la
cultura dominante, alimentata fra le altre cose da una stampa in lingua
italiana, che diviene un'istituzione sempre più importante nelle varie Little
Italies.
5
Il sogno del benessere americano è un elemento centrale per gli italiani
che emigrano. Nel 1896 gli italiani rappresentano il 20% di tutti gli immigrati
negli Stati Uniti; nel 1906, il 45%. Dopo le mortificanti visite mediche e la
quarantena di Ellis Island
6
, i “fortunati” che varcano la golden door si
stabiliscono a New York, Boston, Philadelphia e Baltimora, nelle Little Italies
locali, all’interno di casermoni o tenements dove vivono in pessime
4
Ivi, pp. 20-21.
5
Nonostante l'alto tasso di analfabetismo riscontrabile tra gli immigrati, giornali, riviste e libri
assumono un’importanza che non avevano mai avuto in Italia. Durante la fase dell’immigrazione di
massa, vengono pubblicati più di un migliaio di periodici in lingua italiana, la maggior parte costituita
da settimanali e da mensili; fra il 1900 e il 1930 appaiono anche una trentina di quotidiani. Il primo
giornale di rilievo, L'Eco d'Italia, fondato a New York nel 1894 da G. P. Secchi di Casali, è di un
esule mazziniano. Fra il 1860 e il 1880, a Chicago, San Francisco e in altre città una ventina di
giornali d'ispirazione nazionalista danno voce ai patrioti esuli che replicano agli attacchi anti-italiani
della stampa americana e promuovono l'osservanza del Columbus Day. Ivi, pp. 33-34.
6
Costruita come fortezza nel 1807 per proteggere Manhattan dalle invasioni straniere, diventa
successivamente centro di accoglienza per gli immigrati, inaugurato nel gennaio del 1892. I nuovi
arrivati subivano i controlli dei medici del Servizio Immigrazione, che, con un gesso,
contrassegnavano sulla schiena quegli individui da sottoporre a ulteriore esame e, eventualmente, da
destinare al rimpatrio (“PG”, ad esempio, indicava donna incinta; “K” si riferiva a ernia; “X” stava per
problemi mentali). Molte donne erano tuttavia escluse per evitare che potessero darsi alla
prostituzione. Cfr. I. Serra, Il Sogno Italo-americano, Cuen, Napoli 1998, pag.32