8
Sulla via del passato
possa io camminare.
Canto Navaho
La saggezza di questi versi, appartenenti a una preghiera cantata dai
vecchi delle trib� Navaho per rinsaldare lo spirito nei momenti di
difficolt�, sta nella semplicit� con cui essi riescono a illuminare concetti
ampi e complessi come quelli che ci accingiamo ad affrontare: da una
parte la centralit� della dimensione soggettiva nella percezione del vissuto
temporale, dall�altra il carattere processuale dell�identit�, ovvero il suo
essere strettamente legata allo scorrere del tempo.
Dedicheremo il primo paragrafo a queste due dimensioni e alle diffe-
renti forme che assumono in differenti contesti sociali; nel secondo, poi,
le approfondiremo limitando il campo all�ambito della societ� complessa,
quello che pi� direttamente interessa la nostra ricerca.
9
I.1. I tempi dell�identit�
Come affrontare un argomento, come quello del tempo, che intuiti-
vamente sembra accessibile e chiaro, ma dietro il quale si nascondono
interrogativi tanto penetranti quanto senza risposta? Darne una defini-
zione soddisfacente � un compito arduo che, inoltre, compete perlopi�
all�indagine filosofica; noi, seguendo Berger e Luckmann, secondo cui
�la sociologia della conoscenza deve interessarsi di tutto ci� che passa per
�conoscenza� in una societ�, senza riguardo alla [sua] fondamentale
validit� o non validit��
1
, ci limitiamo solo a sottolineare quella che � la
distinzione di senso comune tra passato, presente e futuro, di norma
riconosciuta come reale da ogni individuo (ciascun individuo, in condi-
zioni normali, indipendentemente dal contesto sociale in cui � inserito,
distingue tra ci� che � gi� accaduto, ci� che sta accadendo e ci� che
potrebbe accadere). Affine a questa � la concezione agostiniana che evi-
denzia l�identificazione tra il tempo e la sua percezione, il tempo e la
soggettivit�:
Solo impropriamente si dice che i tempi sono tre, passato, presente e futuro, ma pi�
corretto sarebbe forse dire che i tempi sono tre in questo senso: presente di ci� che �
passato, presente di ci� che � presente e presente di ci� che � futuro. S�, questi tre sono
in un certo senso nell�anima e non vedo come possano essere altrove: il presente di ci�
1
Peter L. Berger e Thomas Luckmann, La realt� come costruzione sociale, Bologna, il Mulino, 1969,
p. 15.
10
che � passato � la memoria, di ci� che � presente la percezione, di ci� che � futuro
l�aspettativa
2
.
E� il tempo dell�anima, comune a tutti gli uomini di ogni epoca e
societ�, et� e condizione sociale; � il tempo interno, o soggettivo, o co-
munque lo si chiami, sequenza disordinata e imprevedibile di ricordi e
attese, ritorni e speranze, nostalgie e ansie, viaggi nel passato e nel futuro
legati da un unico e solo istante che � partenza e traguardo insieme: il
presente
3
. Il tempo interno � dunque reversibile. Ma � necessario distin-
guere bene: reversibilit� � la possibilit� di tornare riflessivamente su
azioni ed esperienze, o di anticiparle nell�immaginazione, a partire dal
posizionamento nel presente; � una propriet� del pensiero, ma irrealiz-
zabile concretamente, poich� non possiamo ringiovanire o invecchiare in
modo innaturale. Quest�ultima pu� sembrare una precisazione banale, ma
da essa discende un fatto molto importante: ciascun individuo riproduce
in s� il confronto-scontro tra reversibilit� del tempo interno e
irreversibilit� del tempo oggettivo, e in questo rapporto dialettico deve
trovare un equi-librio. Un anziano, ad esempio, pu� provare piacere nel
ricordare gli anni felici dell�infanzia ma, conscio della direzione finale del
suo destino, vive in uno stato di tensione difficile da risolvere.
2
Agostino, Confessioni, Milano, Garzanti, 1989, p. 453.
3
Come tutte le macchine del tempo anche la nostra pu� danneggiarsi durante viaggi particolarmente
difficili e significativi, abbandonandoci lontano dall�orizzonte del presente. Ci si avvicina, in questi casi,
alla sfera della patologia. Esempi ne sono coloro i quali vivono ancorati al passato, chiusi nel vagheggia-
mento di una �et� dell�oro� trascorsa e irrecuperabile, oppure quelli che vivono nell�eterna attesa di un
qualche cosa da venire. Essi condividono atteggiamenti di passivit� e incapacit� di agire, sebbene le loro
mete si trovino in direzioni opposte.
11
Il tempo oggettivo � dunque, innanzitutto, quello dei ritmi fisiologici
che scandiscono i processi vitali dell�organismo; esso � continuo, omo-
geneo, misurabile (per esempio espresso con l�et�). Nel corso della storia
dell�uomo queste sue caratteristiche non sono mutate sensibilmente e il
finale, cio� la morte, la fine del tempo, � sempre inevitabile
4
.
Un�altra dimensione temporale che possiamo considerare come ogget-
tiva rinvia alla struttura della vita quotidiana in situazioni di condivisione
e co-presenza. E� il tempo intersoggettivo, sociale, che si pone di fronte a
noi come continuo e finito e ordina le nostre esistenze, brevi episodi
immersi nel suo flusso esteriormente fittizio
5
.
Sarebbe estremamente superficiale parlare del tempo sociale in
maniera indistinta, dato che esso ha assunto caratteristiche radicalmente
diverse in contesti culturali diversi. Per individuare e sottolineare queste
carat-teristiche in maniera sufficientemente schematica ed esplicativa
possiamo utilizzare come medium interpretativo le metafore del tempo,
�tentativi che le culture hanno elaborato per rappresentare
simbolicamente la dimen-sione indicibile del tempo�
6
.
4
Cos�, per esempio, Maffesoli: �Il rapporto col tempo, nelle sue diverse modulazioni, � di una
notevo-le stabilit�. E si deve sottolineare che tale stabilit� deriva dal fatto che il tempo si scontra sempre
con il problema della morte. Il confronto col destino resta, in questo senso, l�orizzonte insuperabile dello
studio del quotidiano; � sempre in questa dimensione che bisogna vedere il non-senso del tempo vissuto,
la negazione della visione lineare�. Michel Maffesoli, La conquista del presente, Roma, Ianua, 1983,
p.27.
Se il rapporto con il tempo � sostanzialmente stabile, a mutare sono per� le fasi di vita, gli strati di
et�, e i significati sociali che gli si attribuiscono: si � allungata la vita media, e ci� ha spostato la soglia di
�anzianit��; si sono moltiplicati gli stadi e le fasi di passaggio da un�et� all�altra, e con loro comporta-
menti e ambiti di appartenenza; il ciclo familiare ha subito un�accelerazione e, nell�ultimo decennio, un
nuovo rallentamento, con conseguenze importanti per i ruoli familiari ed extrafamiliari.
5
Cfr. P. L. Berger e T. Luckmann, op. cit., p. 49.
6
Alberto Melucci, Il gioco dell�io, Milano, Feltrinelli, 1991, p. 14.
12
Una, quella del cerchio, ricorre in quelle societ� che intrattengono uno
stretto rapporto con i cicli della natura, e ricorda l�eterno ritorno delle
cose governato da una legge dettata da un evento primario e atemporale
quale pu� essere, ad esempio, il mito della fondazione della trib�. La
figura del cerchio � tipica delle civilt� definite tradizionali, dove
l�industria-lizzazione � ignota o riveste un ruolo trascurabile. Essa ritorna
in ogni sfera della realt�, cos� da attutire lo choc che, secondo Berger e
Luckmann
7
, viene causato dal passaggio della coscienza da una sfera
all�altra. Presso le trib� Sioux, per esempio, il cerchio � il simbolo magico
nei riti sacri; allo stesso modo, come rappresentazione dell�eterno rincor-
rersi delle stagioni, torna anche in un ambito pi� quotidiano quale quello
dei nomi dei mesi: ad esempio, Maggio � la �Luna quando i cavalli
perdono il pelo�, Luglio � la �Luna delle ciliegie rosse�, Ottobre la �Luna
del cambio di stagione�. La sua centralit� � mirabilmente sintetizzata da
Alce Nero, uno stregone Sioux il cui pensiero � stato tramandato, cos�
come la sua storia e quella della sua trib�, da un libro di grande successo:
�La vita dell�uomo � un circolo, dall�infanzia all�infanzia, e lo stesso
acca-de con ogni cosa dove un potere si muove�
8
.
Il processo di industrializzazione porta con s� trasformazioni radicali
che si ripercuotono anche sulle strutture della societ�; il tempo sociale si
standardizza in misura sempre crescente e parallelamente si svincola dai
ritmi ciclici naturali per modellarsi su quelli artificiali del lavoro in fab-
brica. La figura che ben rappresenta a tutti i livelli l�insieme dei muta-
7
Op. cit., p. 42.
8
John G. Neihardt, Alce Nero parla, Milano, Adelphi, 1968, p. 198.
13
menti culturali � quella della freccia, metafora dell�irreversibilit� degli
eventi, della continuit� e della rigida distinzione tra il prima e il dopo. La
meta che d� senso al cammino � nel domani, e verso il domani l�individuo
si orienta, teso alla rincorsa del progresso e della perfettibilit�; l�idea �
quella illuminista del �futuro aperto�, che � tale perch� slegato, per
quanto possibile, dal passato e dai suoi retaggi. L�etica dominante �
quella del capitalista descritto da Weber che, sciolto dai lacci della
tradizione, sce-glie responsabilmente il proprio destino, decidendo e
operando in base ad un personale progetto di vita. Se il progetto � la fonte
dell�autonomia, lo � anche, per�, dell�incertezza: entrambe condizioni
dell�agire umano, il loro legame � innegabile, e l�allargarsi dell�una
trascina con s� l�altra. Proprio su questo terreno avviene, per alcuni
interpreti lo scivolamento, per altri il salto, verso un�altra epoca e un altro
modo di rappresentare il tempo.
Sono molteplici le cause che acuiscono progressivamente le condizioni
d�incertezza, conducendo a una vera e propria �crisi del futuro�: in primo
luogo la perdita di valore di orientamenti finalistici quali ideologie e
filosofie della storia; in secondo luogo la sempre minore fiducia non tanto
nel progresso scientifico, quanto nella possibilit� che quest�ultimo
proceda parallelamente a quello civile e morale. Se maggiore conoscenza
non � pi� sinonimo di vita migliore, se non si pu� escludere la possibilit�
di cata-strofi senza ritorno, come quella nucleare, allora l�incertezza
diviene condizione costante dell�esistenza, e il punto, l�attimo, il suo
orizzonte temporale. L�individuo perde il senso della continuit� e
dell�unit� della propria identit�, cio� la capacit� di integrare passato,
14
presente e futuro in una biografia coerente. Quella che viene smarrita,
nelle societ� complesse, � proprio la capacit� di camminare sulla via del
passato, ovvero (ancora l�idea del cerchio) di tornare sui propri passi, non
per commettere gli stessi errori, ma per riconoscerli e farne esperienza. Se
riconosco quelle orme come mie, mie di un io che sono ancora io, allora
ho un�identit�, e posso riaffermarla oppure decidere di cambiare sentiero,
cambiando in parte anche me stesso. Ma se, al contrario, non riconosco
pi� le tracce che ho lasciato dietro di me e perdo il senso della mia
biografia, allora la mia identit�, metafora un po� scontata ma efficace, �
come una casa senza fondamenta. E le fondamenta altro non sono che la
mia memoria, �il luogo dell�autoriflessione�
9
, condizione necessaria
dell�identit� e dell�azione.
9
Marita Rampazi, Memoria e biografia, in Paolo Jedlowski e Marita Rampazi (a cura di), Il senso del
passato, Milano, F. Angeli, 1991, pp. 127-141.
15
I.2. L�identit� nelle societ� complesse
Nella parte conclusiva del paragrafo precedente abbiamo accennato in
breve al concetto di societ� complessa. Cercheremo ora di affrontarlo pi�
approfonditamente, dedicando particolare attenzione all�articolarsi dell�i-
dentit� in tali societ�.
Nelle scienze sociali si � sviluppato un ampio dibattito circa l�inter-
pretazione dell�epoca contemporanea e dei suoi rapporti con quella prece-
dente
10
. Noi non abbiamo i mezzi critici per addentrarci nel dibattito e
formulare un giudizio che inoltre non sarebbe nemmeno rilevante ai fini
della ricerca. Ci� che ci limitiamo a mettere bene in evidenza sono una
serie di trasformazioni che, probabilmente, non segnano una netta cesura
storica, ma che ci permettono comunque di definire con una certa chia-
rezza la societ� complessa.
Essa � caratterizzata, fra gli altri, da questi tre processi: differenzia-
zione, variabilit�, eccedenza culturale.
10
Cos�, ad esempio, ne riferisce Giddens:
� Molti osservatori hanno rilevato che � in corso una transizione verso una societ� nuova, non pi�
essenzialmente basata sull�industrialismo. A loro avviso stiamo entrando in una fase di sviluppo che si
colloca completamente al di l� dell�et� industriale. (...) Per descrivere il nuovo e imminente ordine
sociale ipotizzato si � fatto ricorso a una variet� di nozioni, quali societ� dell�informazione, societ� dei
servizi o societ� del sapere. L�impressione che ci si stia muovendo oltre le vecchie forme di sviluppo
industriale ha indotto molti autori ad utilizzare termini preceduti dal prefisso post (cio�, �dopo�) per
indicare i nuovi cambiamenti. Alcuni, ad esempio, hanno parlato di societ� post-moderna o di societ�
post-scarsit�. La nozione che � tuttavia divenuta pi� comune � quella di societ� post-industriale. (...) La
pluralit� dei termini utilizzati � un indice della molteplicit� delle idee formulate per interpretare i
cambiamenti sociali in atto�. Anthony Giddens, Sociologia, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 574.
16
Il primo, la differenziazione, si riferisce ovviamente al moltiplicarsi degli ambiti di
vita, al fatto che si formano strutture specifiche per svolgere funzioni o per rispondere
a compiti che in precedenza venivano svolti da strutture pi� semplici e omogenee. Ma
ci� che soprattutto interessa della differenziazione sono gli effetti sulla vita quotidiana,
cio� il fatto che nel passaggio tra le diverse regioni di esperienza diventa sempre pi�
difficile trasferire ci� che vale in un ambito di vita in altri ambiti. E questa
impossibilit� di un trasferimento �naturale� riguarda i linguaggi, i sistemi di regole, le
aspettative all�interno delle relazioni. Ci� comporta la necessit� di ridefinire il senso
dell�agire in ogni passaggio, per ogni specifico sottosistema occorre riconoscere o
apprendere le regole, i linguaggi e le relazioni che valgono in quel particolare ambito
di esperienza. Questa situazione produce un doppio effetto sull�identit�. Da una parte
gli attori sociali sono costretti, o piuttosto sono chiamati, a ridefinirsi ogni volta che
compiono questi passaggi; dall�altra, essi non investono e non utilizzano mai la totalit�
della loro identit� nei singoli ambiti in cui si trovano ad agire. C�� quindi un effetto di
molti-plicazione e di delimitazione sull�identit� degli individui e dei gruppi, che �
specifi-camente legato alla crescente differenziazione dei sistemi.
La variabilit� si riferisce piuttosto alla dimensione temporale, cio� al fatto che il
cambiamento diventa molto frequente e molto intenso. Ci riferiamo oggi a cambia-
menti rapidi e frequenti che hanno effetti sulla dimensione temporale dell�esperienza
perch� � difficile trasferire da un tempo all�altro ci� che si � accumulato e appreso. Ci�
che valeva in un ambito precedente non � immediatamente e automaticamente tra-
sferibile.
L�eccedenza culturale si riferisce al fatto che le possibilit� simbolicamente dispo-
nibili all�azione degli individui e dei gruppi sono molto pi� ampie delle capacit� effet-
tive di azione. Ci� accresce il campo delle possibilit� e soprattutto allarga gli spazi
17
rappresentativi e percettivi dell�esperienza, ma mette anche gli attori di fronte alla
necessit� di commisurare continuamente l�azione di cui sono effettivamente capaci
con un campo di possibilit� che la eccede. Ci� che siamo in grado di mettere in atto
viene sopravanzato da un orizzonte simbolico sempre pi� vasto, che eccede
continuamente la nostra capacit� effettiva di azione
11
.
I tre processi, seppure in modi diversi, introducono forme di discon-
tinuit� e frammentazione nei vissuti dei singoli e nelle relazioni sociali,
provocando la crisi dell�identit� tradizionalmente intesa, cio�, ricordando
L�vi-Strauss, la crisi di una certa concezione, storicamente determinata,
di identit�, che la vede come un�entit� stabile ed essenziale, dotata di
coeren-za e unicit�
12
. E� infatti su queste caratteristiche permanenti che si
sono concentrate da sempre le definizioni di identit�, a partire dalla
generalit� della concezione aristotelica dell�unit� della sostanza, per
arrivare a quelle pi� specifiche elaborate in specifici ambiti disciplinari.
L�identit� rappresenta quel sistema di significati che, mettendo in comunicazione
l�individuo con l�universo culturale dei valori e dei simboli sociali condivisi, gli
permette di dare senso alla propria azione agli occhi propri e a quelli degli altri, di
operare delle scelte e di dare coerenza alla propria biografia
13
.
11
Dalila Maria Pedrini e Adrian Oscar Scribano (a cura di), Societ� complessa, identit� e azione col-
lettiva. Conversazione con Alberto Melucci, in �Pluriverso�, Anno II, Numero 3, Marzo 1997.
12
Cfr. Loredana Sciolla, Il concetto di identit� in sociologia, in AAVV, Complessit� sociale e iden-
tit�, Milano, F.Angeli, 1983, pp. 101-131.
13
Ibid., p. 105.
18
L�identit� � dunque un sistema, cio� un complesso di elementi che,
mantenendo le proprie caratteristiche, formano un tutto organico inte-
grandosi a vicenda, e i significati che vi si articolano hanno radici che
nella societ� nascono e si sviluppano; il suo percorso di costruzione segue
un processo di progressiva autonomizzazione, che per� non pu� mai fare
a meno del riconoscimento intersoggettivo. Come processo, la
formazione dell�identit� contempla una successione di tappe da
percorrere e rispettare: la presa di coscienza di s� matura in conseguenza
dell�interrelazione con l�ambiente esterno, mediata da quelle che Mead ha
definito �persone importanti�. Per il bambino l�identificazione avviene
con l�interiorizza-zione dei ruoli e degli atteggiamenti di queste persone;
egli si identifica con chi lo influenza, e quindi impara a identificare anche
s� stesso.
A questa sorta di mondo base appreso nei primi anni di vita (socializ-
zazione primaria), si sovrappongono in seguito nuovi contenuti, sotto-
mondi istituzionali o fondati su istituzioni
14
(socializzazione secondaria).
Questi nuovi contenuti spesso si trovano in conflitto con quelli gi�
interio-rizzati, e il problema di coerenza che ne deriva crea tensioni
difficili da risolvere. Nelle societ� complesse tutto ci� viene portato alle
estreme conseguenze perch� i sottomondi sono molto pi� numerosi e
accessibili, retti da codici e regole in perenne mutamento.
E� dunque evidente che l�interrelazione con l�ambiente esterno si
confi-gura come un processo di apprendimento tutt�altro che generico,
dato che si articola in un contesto sociale e culturale: �l�interiorizzazione
14
Cfr. P. L. Berger e T. Luckmann, op. cit., p. 191.
19
del-l�universo simbolico della cultura e la capacit� di interpretare cultu-
ralmente i bisogni si sostituiscono alla dipendenza �naturale� dall�am-
biente: dapprima come integrazione in questo universo simbolico, poi
come processo di individuazione che ci permette una indipendenza suffi-
ciente dal sistema�
15
.
La complessit� fa esplodere quest�idea di identit� centrata su coerenza
e integrazione, e sul campo restano solo frammenti e schegge da incollare
in un qualche altro modo. I pezzi mancanti, o quelli che non combaciano,
rendono l�identit� incompleta, ma non suoni questa come
un�affermazione negativa, poich� in questo senso incompletezza �
sinonimo di apertura.
Nelle societ� in cui la divisione del lavoro � molto semplice, ad
esempio, le identit� disponibili sono socialmente predefinite e hanno
fisio-nomie ben delineate. Esse quindi rappresentano pienamente la realt�
oggettiva in cui sono collocate, e il ruolo preponderante nella loro defini-
zione � ricoperto dall�attivit� lavorativa, o dalla sfera economica in gene-
rale. Il fabbro � un fabbro, per gli altri e per s� stesso, e lo � per tutta la
sua esistenza. Nelle societ� complesse, invece, le realt� oggettive, i
sottomondi, oltre a essere pi� numerosi, sono pi� diversificati (nel senso
di differenti l�uno dall�altro) e separabili: gli individui hanno
l�opportunit� di assumere identit� parziali legate a pi� ruoli (lungo le
dimensioni diacro-nica e sincronica). Naturalmente un soggetto coerente,
in condizioni nor-mali, non pu� assumere identit� radicalmente diverse,
altrimenti ci� che abbiamo chiamato apertura si confonde con vaghezza o
15
A. Melucci, op. cit., p. 37.
20
evanescenza, e tuttavia � forte la spinta impressa verso questa direzione
dalla complessit�.
La pluralit� di mondi cui gli individui partecipano, o che solo si
offrono loro come possibilit�, non sono pi� integrabili in un universo
simbolico unitario, e nella soggettivit� stessa si producono contrasti e
conflitti. Un modo di gestire questi tratti altamente problematici � quello
di dare per scontata la provvisoriet� e reversibilit� del mondo esterno,
cercando di salvaguardare il pi� possibile la propria unit�: per quanto
frammentaria possa essere, infatti, alla propria identit� deve essere
attribuito un senso, ed � in questo contesto che diventa possibile
all�individuo �immaginare s� stesso come avente differenti biografie�
16
.
La variabilit� spezza i percorsi di vita e contrae le esperienze, allenta i
legami che uniscono passato e futuro, facendo s� che il secondo sia
sempre meno condizionato dal primo, quindi pi� aperto ed incerto. La
ricerca di punti di riferimento, dopo avere perso il passato (in qualche
modo sempre troppo lontano, gi� troppo passato) e il futuro (troppo
mutevole e impreve-dibile), non pu� che dirigersi verso il presente: � in
esso che si succedono i molteplici e instabili punti di riferimento e che
risiede il residuo senso della continuit�.
Ma se ci solleviamo dal singolo punto, dal singolo frammento, per
osservarlo come parte di una sequenza, per quanto confusa, non possiamo
non notare come le figure della freccia e del cerchio rivestano ancora un
ruolo importante. L�immagine lineare del tempo � quella socialmente
16
Peter L. Berger, Brigitte Berger e Hansfried Kellner, The Homeless Mind, Harmondsworth,
Penguin, 1973, p. 67.
21
dominante, risultato della convergenza delle concezioni giudaiche e cri-
stiane con quelle razionalistiche della scienza e del capitalismo; il tempo
ciclico, invece, cio� �l�avvicendarsi delle stagioni, la differenza
qualitativa dei periodi e dei momenti, il tempo dei processi vitali,
permane confinato nel non-detto che caratterizza il �quotidiano��
17
. La
vita quotidiana, immersa nella linearit� del tempo sociale, si costituisce
come sede di ripe-tizioni e ritorni, e di quei cortocircuiti della percezione
che sono i sogni e i ricordi, e del carico di emozioni che questi portano
con s�
18
.
17
Paolo Jedlowski, Il tempo dell�esperienza, Milano, F.Angeli, 1986, p. 37.
18
Noi non ci occuperemo dei primi se non in modo marginale, per esempio sottolineando come
spesso il ricordare sia sognare ad occhi aperti, magari vagheggiare un impossibile ritorno ai �bei tempi
andati�. Del resto, senza che sia necessario fare esplicito riferimento alla psicanalisi (che nel sogno e
nell�inconscio ha i suoi fondamenti teorici), l�importanza di questa dimensione � riconosciuta anche da
Berger e Luckmann: �Il sogno � ora significativo nei termini della realt� della vita quotidiana piuttosto
che della propria particolare realt�, cosicch� esso appartiene, in un certo senso, ad ambedue le sfere di
realt�: esso � �collocato� in una realt�, ma �rimanda� ad un�altra�. Op. cit., p. 64.