2
qualcos’altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza
rappresentò la fusione tra paesaggio e persone [...] era
l’inseguirsi e il nascondersi d’uomini armati; anche le ville,
riuscivo a rappresentare, ora che le avevo viste requisite e
trasformate in corpi di guardia e prigioni; anche i campi di
garofani, da quando erano diventati terreni allo scoperto,
pericolosi ad attraversare, evocanti uno sgranare di
raffiche nell’aria. Fu da questa possibilità di situare storie
umane nei paesaggi che il “neorealismo”...”.
1
Ed il cinema, ha sentito la necessità, come la letteratura, di
rappresentare tutto ciò, di renderlo vivo, di coinvolgere per
la prima volta il pubblico in prima persona. Nasce così il
Neorealismo.
“ Il neorealismo non fu una scuola. (cerchiamo di dire le
cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte
periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie,
anche - o specialmente - delle Italie fino allora più inedite
per la letteratura”
2
, e per il cinema, aggiungeremo noi.
Ed è così, attraverso le Italie inedite, più sconosciute che la
strada ci ha condotti, attraverso un percorso che da
Ossessione di Luchino Visconti ci conduce alla strada di
Uccellacci uccellini di Pier Paolo Pasolini; ultimo film preso
in considerazione, in quanto Totò e Ninetto, hanno
rappresentato, a nostro parere, gli ultimi abitanti di questo
luogo che è la strada e che diventerà, da lì in poi, altro
1
Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno , prefazione dell autore, Garzanti, Milano, 1987.
2
Ibidem.
3
luogo, fatto di mezzi di trasporto sempre più numerosi e
sofisticati, lasciando poco spazio ai viandanti.
Siamo riusciti ad entrare in mondi nuovi e diversi seguendo
paesaggi appartenenti ad universi sconosciuti tra loro.
Universi paesaggistici che riflettono i paesaggi dell’anima.
Scendiamo e saliamo i dislivelli della terra e i solchi dei
visi, confrontiamo i solchi profondi della terra con quelli
delle mani.
Seguiamo la strada che da Nord dalle città conducono ai
paesi, e che dai paesi, al Sud, si dipartono per perdersi
nelle vaste campagne che li circondano, in un paesaggio
aspro e selvaggio, trafficabile solo da chi lo conosceva bene.
Infatti è proprio dal mondo umile e “selvaggio” dei
contadini, che abbiamo fatto partire la nostra strada.
Lungo questa realtà, abbiamo scoperto dei luoghi e delle
persone, delle tradizioni e delle usanze, delle leggi, spesso
ferree, ma radicate negli animi della gente. Ci siamo
occupati del loro lavoro nei campi, la fonte primaria per il
mantenimento della famiglia, sia maschile che femminile,
in quanto anche le donne (nonostante il ruolo
apparentemente secondario), avevano un posto di primaria
importanza.
Abbiamo lasciato questi luoghi, a piedi o in bicicletta,
magari rimediando qualche passaggio in camion o in auto,
per giungere in una realtà altrettanto “primitiva” ma vera,
quella della periferia urbana, o meglio delle borgate, luoghi
che come le antiche mura medioevali circondavano le città,
4
e dovrebbero difenderle e trarne beneficio, ma che invece
molto spesso si rivelano isole solitarie.
Qui, gli uomini e le cose sono stretti da vincoli fortissimi,
coloro che nascevano in quei posti erano legati per sempre,
come alberi, alla loro terra. La strada diventa nelle
periferie la grande “madre”, tutti la frequentano, chi per
giocare chi per lavorare.
Ma all’orizzonte delle borgate, spesso appare la città,
enorme nelle sue costruzioni, ed è proprio in quell’ambiente
che prosegue il nostro cammino.
Quello cittadino è senza dubbio l’ambiente che più si è
modificato rapidamente, dalle distruzioni della guerra,
visibili in alcuni memorabili film (uno per tutti Roma città
aperta), alla forte ricostruzione voluta da tutti.
Trasformata spesso in cantieri continuamente aperti (come
vediamo ne Il posto), e continuamente pronti a modificare
non solo il paesaggio ma anche lo stile di vita della gente, la
città muta sotto i nostri occhi. Basti pensare agli altissimi
palazzi, la gente si è trovata infatti ad abitare in posti mai
prima d’ora provati. E poi i ritmi di vita, siamo passati da
quelli regolati dal sole e dalle stagioni, a quelli regolati
dalle sveglie e dalle sirene delle sempre più numerose
fabbriche.
La nostra visione della città, si è basata su quella di alcuni
registi italiani, che l’hanno interpretata sempre in
maniera diversa ed originale.
Uscendo dalle città, abbiamo parlato dei personaggi che
“abitano” e “vivono” la strada. Abbiamo incontrato figure
5
sicuramente originali, dagli ambulanti che lottavano con le
loro grida per la “supremazia”, agli artisti di strada che
portavano le loro arti attraverso tutta l’Italia, dai pittori
delle vie cittadine ai giostrai dei numerosi luna park.
Abbiamo incontrato pure i tassisti, caronti di un universo
sempre più infernale.
La strada sarà, durante la notte, anche il regno
incontrastato delle prostitute, personaggi importanti per il
cinema alla ricerca della verità.
In strada si può anche giocare e crescere, ecco i bambini,
l’ultima parte del nostro lavoro. Piccoli attori di una vita
fatta di sofferenze e difficoltà, sono entrati, grazie al
neorealismo, di prepotenza sugli schermi, lasciando
testimonianza della loro difficile condizione.
Ma cosa resta oggi di quelle strade? Sicuramente solo il
ricordo, niente più. Ormai tutto si è modificato, la stessa
strada è diventata superstrada o autostrada, e nelle città
metropolitana. Non la si può più percorrere a piedi o con
dei mezzi di trasporto di fortuna, oggi si usano le auto, la
metropolitana, il tram o l’autobus. Non si apprezzano più
quei sussulti improvvisi dovuti a buche sul terreno, o a
quelle fermate obbligate da animali che attraversano la
carreggiata. Incontriamo sempre meno quei contadini che
all’alba partono da casa per la mietitura o la raccolta del
riso, e ritornano la sera tardi.
I piccoli ambulanti rumorosi, sono diventati imbonitori
televisivi, che vendono di tutto, dagli orologi alle pentole.
6
I bambini affollano le scuole e le sale giochi, e la strada la
attraversano solo se accompagnati, vista la sua
pericolosità.
Anche i tempi di percorrimento sono mutati, le giornate
passate in camion o carri per raggiungere le città, sono
state sostituite dalle poche ore in pendolino o in aereo.
Abbiamo attraversato la strada della memoria storica e del
ricordo, abbiamo osservato e indagato i cambiamenti e i
mutamenti dell’Italia di un ventennio intenso. Consapevoli
però che il cinema rimane pur sempre un “sogno”, ma che
come tutti i sogni ha un suo fondamento di verità, abbiamo
cercato di scrutare e analizzare questo fondamento per
supplire alla mancanza di uno studio che comprendesse le
diverse arti prese in considerazione come fonti storiche.
Cinema e letteratura, immagini e parole, in bianco e nero,
si sono unite per raccontare della strada e della sua “vita”.
7
CAPITOLO I .
LA STRADA NELLA CAMPAGNA : UN UNICO
SPAZIO SENZA CONFINI .
“L’uomo della strada, obbligato da molti anni a vestire
divise o a sfilare in parate, e a vedere se stesso travestito
da guerriero sugli schermi, poteva riconoscersi in quel
commesso indaffarato, protagonista del film, e riconoscere
le case modeste, le strade di periferia che costituivano
finalmente come per miracolo, il teatro naturale
dell’azione”.
1
Le case modeste, le piazze affollate, i vicoli, sono quinte per
questo “Teatro naturale” che è la strada. La strada che
attraversa la campagna, che ne spezza e contamina con la
presenza/assenza dell’uomo, il paesaggio. Che è mezzo di
“attraversamento” di raggiungimento. E’ mezzo di
sostentamento.
Collega gli spazi del riposo, e della vita sociale e
“familiare”, agli spazi del lavoro, della fatica: “Mai forse,
nella storia della nostra cultura, si è parlato tanto di
realtà, di cronaca, di verità, di rapporti tra lingua e
dialetto, tra arte e società, tra Italia e Italia, nord e sud,
contadini e operai, intellettuali e popolo, come negli anni
che seguirono il ‘43 ”.
2
1
Carlo Lizzani, Il cinema italiano , Editori Riuniti , Roma, 1982, (il grassetto Ł mio).
2
Ibidem.
8
Testimone della tragedia della guerra, la strada diviene
testimone della ricostruzione e del cambiamento dell’Italia
“appena nata”. Dopo la paura delle bombe, delle incursioni
aeree, delle perlustrazioni, la popolazione può finalmente
impadronirsi di nuovo dei propri spazi. Può riappropriarsi
della vita, rimettersi in cammino, e non solo per sfuggire il
nemico e trovare un rifugio.
Le immagini drammatiche d’incursione aeree e di
bombardamenti, sono vivissime, perché vissute
intensamente nel ricordo delle persone che hanno subito la
guerra. Vivissime sono anche le scene che ritroviamo ad
esempio ne La Ciociara (1960): la distruzione degli uomini
e delle cose: “I giorni di rastrellamento, al bosco sembra che
ci sia la fiera. Tra i cespugli e gli alberi fuori dai sentieri è
un continuo passare di famiglie che spingono la mucca od il
vitello, e vecchie con la capra legata a una corda, e bambine
con l’oca sotto il braccio. C’è chi addirittura scappa coi
conigli ”.
3
Dunque la strada può anche portare a nascondersi,
perdersi o mimetizzarsi, e in questo racconto riviviamo
anche le immagini di Vivere in pace (1946), nelle quali la
gente scappa dal paese per paura delle rappresaglie
tedesche, e si rifugia in mezzo ai boschi con tutte le loro
cose, animali inclusi.
Cavalli, carri, biciclette, camion (rari del resto), non sono
più mezzi di trasporto per soldati, o per la popolazione in
fuga. I carri non trasportano più masserizie, ma riprendono
3
Italo Calvino, Ultimo viene il corvo , Garzanti, Milano, 1988.
9
il loro antico uso. Si trasporta la manodopera, gli strumenti
per la coltivazione, il raccolto.
La ricostruzione è iniziata, anche se nelle campagne la
guerra ha causato meno danni, e il ciclo naturale non è
stato mai del tutto interrotto. Con il ritorno dei reduci, le
campagne ricominciano a rianimarsi, dalle strade partono
flotte di uomini, donne e bambini che con i loro mezzi di
trasporto, quasi sempre modesti, raggiungono i campi in
pianura e i pascoli in montagna, per ricominciare.
Le strade non hanno subito gravi danni, e con la
riconquista della pace, sono ridiventate sicure: le mondine
di Riso amaro (1949), passano così pacificamente
“occupandola”, e con il canto recuperano un po' del buon
umore perduto.
Al nord si assiste ad un aumento delle vie asfaltate,
soprattutto quelle che conducono ai grossi centri urbani,
alcune con in più l’illuminazione elettrica (più rara in
campagna).
Le distanze tra paese e paese sembrano ridursi, aumentano
i camion, le auto e le moto. Ma al sud? Qui, invece, la
situazione appare legata al passato, i paesi sembrano
roccaforti inespugnabili, le strade che partono da questi,
conducono molto spesso in mezzo a spazi incontaminati e
deserti, restii ad accogliere presenze estranee.
I film in questione sono: Il brigante Musolino (1950), Il
brigante di Tacca del Lupo (1952), Donne e briganti (1950),
Amore rosso (1953), Il brigante (1961), Proibito (1955), In
nome della legge (1949), Non c’è pace tra gli ulivi (1950),
10
Achtung! Banditi! (1951), Salvatore Giuliano (1961),
Banditi a Orgosolo (1961); tutta una serie di pellicole in cui
l’elemento umano è strettamente legato all’elemento
ambiente da vincoli profondi: la terra in questi film è
elemento vitale, fornisce sostentamento , dignità e riscatto ,
per alcuni : “ Il possesso della terra era un qualcosa di più
di un fatto economico. Il contadino voleva sentirla sua la
terra, sotto i suoi piedi, come l’albero che è un tutt’uno con
le radici...Il contadino lottava per aggiungere altra terra
alla terra”.
4
Ne Il brigante, Pataro, un ex reduce di guerra, si
impadronisce di un pezzo di terra e lo chiama “Campo delle
4 libertà” e dice che il seme della libertà ora è cresciuto e
non si taglia più, dando inizio ad una specie di rivolta
popolare contro il Barone per appropriarsi delle terre
incolte ; un’ occupazione che non è frutto di una politica
organizzata, ma solo di un moto volontario, dettato dal
bisogno .
In questi film , le regioni del sud appaiono in tutta la loro
bellezza paesaggistica ; ma il paesaggio non ha solo un
valore estetico ma è anche manifestazione di un modo di
essere. Pastori, contadini , briganti e mafiosi, vivono un
forte legame con la loro terra, i carabinieri o la gente del
“continente” (come è chiamato in Sicilia o in Sardegna, chi
proviene dal resto dell’Italia) , non riesce ad impossessarsi
di posti così selvaggi e brulli. Proprio come compaiono nelle
4
Nuto Revelli, L anello forte. La donna: storie di vita contadina , Einaudi, Torino,1985 (il
grassetto Ł mio).
11
pagine del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi:
“Grassano, come tutti i paesi di qui, è bianco in cima ad un
alto colle desolato...l’occhio spazia in ogni direzione su un
orizzonte sterminato. Si è come in mezzo a un mare di
terra biancastra, monotona e senz’alberi: bianchi e lontani i
paesi, ciascuno in vetta al suo colle...le terre e le grotte dei
briganti...”.
5
E proprio dei briganti, Carlo Levi ci regala dei
ritratti intensi: “Tutto li ricorda: non c’è monte, burrone,
bosco, pietra, fontana o grotta, che non sia legata a qualche
loro impresa memorabile, o che non abbia servito di rifugio
o di nascondiglio; non c’è luogo nascosto che non gli servisse
di ritrovo...Non c’è famiglia che non abbia parteggiato,
allora, per i briganti o contro i briganti...”.
6
In Banditi a
Orgosolo, ambientato in Sardegna , il protagonista , un
pastore , accusato ingiustamente di furto e di omicidio,
decide di nascondersi tra le montagne: nessuno riuscirà a
trovarlo, e l’unica via di fuga per lui ora è diventare un
bandito , realmente , rubando le pecore di un altro pastore.
Attorno alla figura di Salvatore Giuliano si crea una
leggenda: il suo continuo sfuggire alla giustizia, il suo
vivere nelle montagne, lo rendono un eroe; e ad un eroe
tutto è concesso, anche l’omicidio.
Sembra quasi che in questi film , il rapporto uomo -
ambiente sia dovuto ad un fatto di reciproca difesa , ossia
l’uomo difende la terra dagli estranei , e questa difende
5
Carlo Levi, Cristo si Ł fermato ad Eboli , Einaudi , Torino,1945.
6
Ibidem.
12
l’uomo fornendogli la capacità di nascondersi , di diventare
quasi parte di essa .
Lo stesso profondo rapporto compare anche in Achtung!
Banditi!: qui sono le montagne liguri a dare la capacità ai
partigiani di far perdere le loro tracce ; sarà proprio in
campagna che riusciranno a supremeggiare sui tedeschi ,
mentre in città le cose risulteranno più difficoltose .
Oppure in Vivere in pace (1946) , dove la paura di una
rappresaglia tedesca porta molte persone a nascondersi tra
le montagne, in attesa che il nemico abbandoni il loro
paese.
Tutta l’aria che si respira in questi film , è pervasa da un
senso di distacco dal resto del mondo , ossia la vita nelle
campagne italiane in quegli anni risulta essere distante
dalle città , dai fatti che accadono nel resto dell’Italia ;
sembra che quei piccoli paesi, soprattutto del sud, abbiano
paura del confronto con altri mondi, ed anche della
modernità che dopo la guerra ha raggiunto , anche se con
fatica, la campagna. Incontriamo spesso scene in cui dopo
una certa ora della sera, unici abitanti dei paesi sono i gatti
randagi, oppure sentire qualcuno che dice “Vanno a letto
con le galline “ , o “ Ma questo é medioevo “ ( battute tratte
dal film Pane, amore e fantasia) .
Il senso d’isolamento vissuto da queste popolazioni è
percepibile distintamente in Vivere in pace, dove il paese,
chiuso nelle sue tranquille consuetudini, quasi
inconsapevole della guerra, viene “sconvolto”
pacificamente, all’inizio, poi tragicamente, dall’arrivo di
13
disertori alleati. Lo sconvolgimento è però inevitabile e
cruento: la morte del signor Tigna ne è solo una
testimonianza.
Anche attraverso le strade del sud percepiamo questo
isolamento, molto spesso queste sono deserte, polverose,
infangate e per niente illuminate, e ai lati è facile trovare
degli alberi o fossati che ne delimitano lo spazio; le case,
lungo queste strade, sono molto diradate e i centri abitati li
troviamo a diversi chilometri di bicicletta. Le auto o i
camion li possiamo trovare lungo le vie principali, quelle
che collegano alle grandi città, soprattutto al nord, come ne
Il grido (1957), ambientato nel ferrarese in cui i camion o le
automobili percorrono la strada che porta a Ferrara nella
quale c’è anche una stazione di servizio; ma moltissime
altre stradine passano attraverso i boschi o immense
distese di fango.
Ma le strade non conducono solo all’interno del paese, ma
portano anche fuori: è il cammino all’inverso, ci si apre a
più possibilità, e nuove speranze. Sperare in un futuro
migliore e in una vita più dignitosa.
L’illusione è tutta racchiusa, per i viaggiatori dell’autobus
che porta verso la Francia de Il cammino della speranza
(1950), in un biglietto: da Campodarso, piccolo centro
siciliano, attraverso paesaggi sconosciuti, fino alla meta.
Anche l’Italia appare Paese sconosciuto per chi non si è mai
avventurato al di fuori del proprio mondo: “Dalla fine degli
anni quaranta l’uso dei dialetti servirà a misurare le
distanze antropologiche e culturali tra una regione e l’altra.
14
Il viaggio attraverso l’Italia del Cammino della speranza e
di altri film diventa un percorso lungo territori sconosciuti,
usi e costumi misteriosi, paesi stranieri”.
7
Fermato dai
carabinieri, Antonio si vede diviso da Lorenza al loro arrivo
a Roma. Il viaggio per loro è subito un imbattersi in
qualcosa di straniero, violento. Come è violento il caos della
città, il suo traffico; ci si sente estranei. Estraneità anche
nell’abbigliamento, si è diversi, “divisi”, anche nei piccoli
particolari: “La nuova nazione, riunita sotto la bandiera
della democrazia, di fatto appare composta da tante isole
sociali, economiche e culturali distanti e non comunicanti
tra loro”.
8
Ragazza diversa è anche Esterina, dell’omonimo film del
1959. Estranea ai luoghi e alle persone, raggiungerà, dopo
essere sfuggita al padre-padrone, “il nuovo mondo”. Per chi
vuole fuggire la violenza, un qualsiasi luogo è una nuova
possibilità. Come una nuova avventura è l’amore, che
proverà per Gino. Passione intensa e non corrisposta che la
porterà a tentare il suicidio. Ma ormai la trasformazione è
avvenuta, Esterina ha percorso la strada per diventare
donna. Esterina sperimenterà la solitudine, il disagio tipici
di chi vive la dimensione delle grandi città.
Lo spazio non è più “a misura d’uomo”: non si riesce più a
conquistare con la presenza umana.
Uno spazio totalmente diverso da quello che troviamo in
film come La lupa (1953) o Il miracolo (1948), dove le
7
Gian Piero Brunetta, Cent anni di cinema italiano , Laterza , Bari-Roma,1991.
8
Ibidem.
15
strade sono piccole, un continuo sali scendi. Dove le case
non sono lontane, irraggiungibili, o vicine ma soffocanti:
sono strette come in un abbraccio. A tal proposito citiamo
una poesia di Salvatore Quasimodo Vicolo, nella quale
ricorrono queste immagini:
Mi richiama talvolta la tua voce,
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:
una rete di sole che si smaglia
sui tuoi muri ch’erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.
Altro tempo: un telaio batteva nel cortile,
e s’udiva la notte un pianto
di cuccioli e bambini.
Vicolo: una croce di case
che si chiamano piano,
e non sanno ch’è paura
di restare sole nel buio.
9
9
Salvatore Quasimodo, Poesie, Newton, Roma, 1992.