2
di cui ci è dato sapere dalle fonti storiche e letterarie. Il principale
obiettivo perseguito è stato quello di aggiungere la suddetta disamina
ai possibili motivi, già lungamente discussi, che negano l’autenticità
dell’Octavia. In vista di tale obiettivo, ho sviluppato le ricerche
partendo da alcuni dati che impediscono esplicitamente di attribuire
la tragedia a Seneca e che sono i seguenti:
1. La già ricordata mancanza della tragedia nella migliore tradizione
manoscritta del teatro di Seneca.
2. Il fatto che Seneca appare come personaggio nella tragedia: se si
attribuisse l’Octavia a Seneca, sarebbe un caso unico nella
letteratura drammatica mondiale, di autore che fa di sé stesso un
personaggio di un suo dramma e per giunta di un dramma storico.
3. La serie di anacronismi e allusioni storiche presenti nell’Octavia
che impediscono di credere che l’opera sia stata creata prima del
65 d. C. , anno della morte di Seneca, per ordine di Nerone che
invece morì tre anni dopo.
4. Tutto l’impianto e lo sviluppo tecnico del dramma. Esso è
sicuramente debitore di molte peculiarità al teatro di Seneca, ma le
adopera a modo suo.
3
I
LA QUESTIONE DELL’AUTENTICITÀ DELL’OCTAVIA
Il problema dell’autenticità dell’Octavia da secoli costituisce il punto
di partenza o addirittura il punto focale della problematica della
tragedia; questo è dovuto, come si sa, alla tradizione manoscritta delle
tragedie di seneca, che si fondano sul codice laurenziano che, come
vedremo, non comprende l’Octavia e sulla recensione interpolata,
indicata con la sigla a che invece la comprende. Inoltre, la pretesta si
diversifica dalle altre per il contenuto storico, rispetto a quello mitico.
La critica si è divisa in due scuole di pensiero: una, che ritiene
improbabile l’attribuzione a seneca, quanto piuttosto, ad un autore
posteriore, ma imitatore di seneca, l’altra, meno accreditata, che
invece, la assegna a seneca.
1. La tradizione manoscritta
L’Octavia ci è giunta nel “corpus” delle tragedie di Seneca. I
manoscritti che ci tramandano le tragedie di Seneca, si dividono, di
solito in due classi contraddistinte dalle lettere E ed A. La prima
rappresenta una forma del testo relativamente antica e corretta e si
indica con la sigla E, iniziale di Etruscus, il più importante codice che
la rappresenta; la seconda, rappresenta una forma posteriore e
abbondantemente interpolata e la si indica con la sigla A
1
. Il
1
Sulla tradizione manoscritta della pretesta è molto interessante la nota di G. Brugnoli “La
tradizione dell’Octavia” in “Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche”
(Serie VIII- Vol. XIII, 1958) dell’Accademia dei Lincei; si ricordino anche le prefazioni alle
edizioni del Giardina (L. A. Senecae Tragoediae, voll. 2, Bologna 1966), del Moricca
(L.A.Senecae Thyestes-Phaedra. Incerti Poetae Octavia, voll. 3, Torino 1946-58
2
) e del Viansino
4
Siegmund, nel 1911, pensava che E rappresentasse una recensione del
testo risalente ad un’edizione delle tragedie curata per la
pubblicazione da Seneca stesso, mentre A sarebbe derivata da una
seconda edizione postuma, comprendente l’Octavia (che manca
appunto in E) e contenente ritocchi di mano dell’autore. Ma è meglio
presupporre l’unicità originaria della nostra tradizione manoscritta,
che sembra risalire nel suo complesso ad un codice unico esistente sin
dal I sec.d.C. Questo archetipo è rappresentato con maggiore fedeltà
dall’Etruscus e dai codici della sua famiglia, nonché da R (di cui
parlerò oltre). Invece la recensione A dovette molto della sua facies
attuale, all’intervento di un redattore zelante che, verso il sec. X,
manipolò largamente la tradizione testuale, correggendo a suo arbitrio
molti passi che egli, per una scarsa familiarità col linguaggio di
Seneca, ritenne guasti mentre erano invece sani. Non è però raro il
caso in cui la lezione giusta è conservata da A e non da E; ciò si
spiega ricordando in primo luogo che anche la tradizione E ha subito
in certa misura, cambiamenti ed interpolazioni nel corso del tempo ed
in secondo luogo, che i manoscritti A furono frequentemente
contaminati con la tradizione E, soprattutto allo scopo di colmare le
lacune che presentava il capostipite della recensione interpolata.
Classe E
Abbiamo detto che il principale rappresentante di questa famiglia ,è il
codice Etruscus, conservato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze
(Laurentianus 37, 13). E’un codice membranaceo, scritto in minuscola
romana verso la fine del sec. XI. Fu scoperto dal Gronovius nel 1640,
che lo usò per l’edizione delle tragedie di Seneca del 1661.Contiene le
(L. A. Senecae Oedipus, Agamemnon, Thyestes, Hercules Oeteus. Incerti poetae Octavia, voll. 3,
5
nove tragedie coturnate di Seneca (esclusa dunque la pretesta Octavia)
nella seguente iscrizione: MARCI LUCII ANNAEI SENECAE
TRAGOEDIAE N VIIII. HERCULES. TROADES. PHOENISSAE.
MEDEA. PHOEDRA. AGAMENNON. THYESTES. HERCULES.
L’Etruscus fu corretto da una seconda mano nel sec. XIV e interpolato
con lezioni della classe A da una terza mano nel sec. XV.
Alla medesima classe E apparteneva un codice assai affine
all’Etruscus ed ora perduto (= Σ
2
). Esso ha dato origine a quattro
codici pervenutici, i quali tuttavia dipendono anche da un manoscritto
della classe A e sono perciò “contaminati”: alle lezioni originarie che
tali codici avrebbero dovuto possedere, derivandole dalla classe E, si
sono andate sostituendo, in più punti, lezioni della classe A
(trasmissione orizzontale). In tal modo nei quattro codici, derivata da
un manoscritto della famiglia A, è confluita anche l’Octavia, aggiunta
infine alle altre nove tragedie, ricorrenti nel medesimo, o quasi nel
medesimo ordine che si ha in E. I quattro codici in questione sono:
Ambrosianus D.276 inf. (=M
3
) della Biblioteca Ambrosiana di
Milano, risalente al sec. XIV; Vaticanus Latinus 1769 (= N
4
) della
Torino 1968 ).
2
L’importanza di sigma resta comunque notevole, in quanto esso offre la possibilità di restituire la
corretta forma di E nei luoghi in cui l’Etruscus è oggi illeggibile oppure è stato deformato dalla
mano del correttore.
3
E’un codice membranaceo che contiene le nove tragedie dell’Etruscus, nello stesso ordine e
aggiunge in fine l’Octavia, con il titolo nella forma “Ottavia”, che denunzia l’origine italica del
codice. Concorda con l’Etruscus fatta eccezione per le Phoenissae e per i vv.1-700 della Medea,
parti che sono state invece trascritte da manoscritti della classe A.
4
E’un codice membranaceo che contiene le tragedie di Seneca nell’ordine dell’Etruscus, eccezion
fatta per le Phoenissae, che vengono collocate dopo Oedipus ancora col titolo di Oedipus; al
decimo posto ha l’Octavia e per il testo di Phoenissae e Medea si comporta come M. Interessante
l’indice delle tragedie che suona così: Marci lutii annei senece tragedie novem. Hercules. Troades.
Phenissa. Medea. Phaedra. Oedipus. Agamenon. Thiestes. Hercules. Octavia. feliciter incipient.
Ove è notevole la contraddizione fra l’indicazione novem e le dieci tragedie che vengono poi
elencate. Il “nove” è indice di dipendenza dalla tradizione E, il numero “dieci” delle tragedie rivela
contaminazione posteriore con la recensione A. Oppure, come nota lo Hermann (Octavie, Paris,
6
Biblioteca Vaticana di Roma, pure del sec. XIV; Parisinus Latinus
11855 (= F
5
) della Biblioteca Nazionale di Parigi, pure del sec. XIV;
Gerolaminianus sive Oratorianus CF. 4.5 (=O
6
) della Biblioteca dei
frati Gerolamini di Napoli, della fine del sec. XIV.
Alla classe E poi appartengono anche gli excerpta delle tragedie
senecane, contenuti nel codex Parisinus Latinus 8071 olim Thuaneus
(= τ ) del secolo X, precisamente: Troades vv.64-163, Medea vv.579-
594, Oedipus vv.110-136. 403-404. 429-431. 445-448. 466-471. 504-
508.
Classe A
Della classe A fanno parte numerosissimi manoscritti, in cui le
tragedie ricorrono in numero di dieci ed in questo ordine: Hercules
Furens, Thyestes, Phoenissae, Phaedra, Oedipus, Troades, Medea,
Agamemnon, Octavia, Hercules Oetaeus. La famiglia A si distingue
dalla E per molte caratteristiche, oltre che per la presenza originaria
dell’Octavia, ha differenti lacune ed omissioni, diversità di lezioni e
via di seguito.
Elenco i principali codici della classe A:
e = codex Etonensis 110 membranaceo della fine del sec.XIII.
1924), questo sommario in se stesso contraddittorio, non può spiegarsi che attraverso due ipotesi: o
il copista, ponendo l’Octavia dopo le altre tragedie, non ha mutato il novem, in decem, oppure egli
ha voluto, con una rudimentale e sintetica annotazione filologica, far notare che l’Octavia (
collocata ultima), pur esistendo nel complesso del codice, non faceva parte, però, del vero e
proprio corpus di Seneca.
5
Questo codice è abbastanza fedele riproduttore della tradizione dell’Etruscus. Si rivela prezioso
quando M ed N discordano ed E è incerto. Assume dalla tradizione interpolata Phoenissae, Medea
vv. 1-700, Oedipus e naturalmente Octavia.
6
In questo codice, l’ordine delle tragedie di Seneca varia un po’rispetto a quello Etruscus: Herc.
Fur., Troad., Phoen., Med., Phaed., Ag., Herc. Oet., Oed., Thy., Oct. Si accorda con E nell’Herc.
Fur., nelle Troad., in Phoen. 1-213, in Med. Da v. 709 alla fine, in Phaed. vv.1-359. Nel resto va
con la recensione interpolata.
7
C = codex Cantabrigensis Corpus Christi College n.406 membranaceo
degli inizi del sec. XIII, conservato a Cambridge. Contiene tutte le
tragedie di Seneca su tre colonne.
S = Codex Scorialensis T. III. 11 membranaceo del sec. XIV.
P = Codex Parisinus Latinus 8260 membranaceo della fine del sec.
XIII, contiene le sole tragedie.
G = Codex Exoniensis 3459 B conservato nella Biblioteca della
Cattedrale di Exeter e risalente alla metà circa del sec. XIII, contiene
oltre alle Etymologiae di Isidoro di Siviglia e altri scritti, la maggior
parte delle opere giovanili di Seneca, l’Octavia intera e brevi estratti
dalle rimanenti tragedie.
Con la sigla τ viene di solito indicato il commento alle tragedie
senecane composto dal frate domenicano inglese Nicolaus Trevet,
forse negli anni 1315-16, tenendo presente un codice probabilmente
copiato dal Cantabrigiensis.
l = Codex Laurentianus 24 sin. 4 , un membranaceo databile all’anno
1371.
n = Codex Neapolitanus Bibl. Naz. IV D 47 un cartaceo databile
all’anno 1376.
r = Codex Vaticanus Reginensis Latinus 1500, scritto nel 1389, il
quale si accosta all’Etonensis nell’accogliere alcune lezioni della
famiglia E.
Indipendentemente dai testimoni delle due classi E ed A, registriamo i
passi palinsesti contenuti in un codice biblico dell’Ambrosiana, il
codex rescriptus Ambrosianus G.82 sup. del sec. V, contraddistinto
dalla sigla R, che contiene frammenti della Medea (vv. 196-274, 694-
708, 722-744) e dell’Oedipus (vv. 395-432, 508-545). Sembra
8
riflettano uno stadio della tradizione manoscritta assai anteriore
all’Etruscus; non è raro un loro consenso con i codici della classe A.
Potremmo dire che anche se il problema dell’autenticità, che da secoli
costituisce il centro della problematica dell’Octavia, come è noto, ha
una base nella tradizione manoscritta delle tragedie senecane, nel
divergere del codice E, che non comprende l’Octavia, dai codici della
classe A, che la tramandano, proprio questa tradizione non ci fornisce
prove pro o contro l’eventuale autenticità senechiana dell’Octavia.
Emergono, dagli studi fatti sulla tragedia, altri elementi che rafforzano
il suddetto e che inducono a negare l’attribuzione dell’Octavia a
Seneca.
2. Seneca personaggio dell’Octavia
Un’altra difficoltà è rappresentata dalla presenza di Seneca stesso tra i
personaggi del dramma
7
, un procedimento che sembra del tutto
eccezionale nella prassi teatrale antica
8
. Si cita appunto come
straordinario il fatto che il comico greco Cratino si era introdotto
come “autore-personaggio” nella commedia perduta La bottiglia, ma
questo caso si puo spiegare, secondo il Rizza
9
, pensando al carattere
comico della rappresentazione, in cui la presenza dell’autore “si
riallaccia in certo modo agli esempi posteriori delle parabasi
aristofanesche, dove il coreuta- in nome del poeta- si rivolge
direttamente agli spettatori spesso con punte di mordace
personalismo”. Nell’ambito della pretesta romana, tuttavia, non si è
7
Il Boissier (L’opposition sons les Cesars, Paris) adduce la presenza di Seneca tra i personaggi
come la prima prova contro la paternità senechiana dell’Octavia. Anche l’Hosius ( Gnomon 13,
1937 pp. 132-5) sottolinea che un autore non introduce sé stesso in un dramma serio nell’antichità.
8
Non bisogna nemmeno dimenticare che, almeno i veteres Romani, non amavano vel laudari
quemquam in scaena vivum hominem vel vituperari ( Cic. Rep. IV 10, 12 = Aug. Civ. D. II, 9).
9
così sicuri dell’esistenza di un analogo canone; abbiamo testimonianza
in Asinio Pollione, presso Cicerone (Fam. X 32, 1), che L. Cornelio
Balbo, questore nel 43 a. C. , aveva scelto ad argomento di una
pretesta fatta rappresentare a Cadice, il viaggio da lui compiuto nel
regno di Bocco per negoziare aiuti a Pompeo; la presenza di Balbo
come personaggio non è espressamente attestata, ma si può dedurre,
con buona verosimiglianza, dalle parole citate, che implicava una
vicenda personale. Ma anche ammettendo il precedente di Balbo, non
riesco a comprendere quale finalità si sarebbe proposto Seneca,
inserendosi personalmente nel numero dei personaggi di un dramma
di cui non si poteva prevedere la possibilità di una rappresentazione
durante la vita dell’autore.
Trovo inverosimile, l’ipotesi del Giancotti
10
, riguardo alla presenza di
Seneca all’interno del dramma, il quale parla di una finalità
apologetica
11
e morale insieme, di una sorta di auto-giustificazione
postuma
12
, di un autoritratto ideale in cui il filosofo compendia e
contempla la propria vita proiettandone il senso oltre la morte, come
un messaggio per l’avvenire. L’Octavia, sarebbe dunque il frutto del
passaggio di Seneca, dalla situazione in cui si trovava mentre
componeva le tragedie mitologiche, ad una situazione nuova,
caratterizzata dalla caduta delle remore che in quelle avevano
9
P. RIZZA, La pretesta “Octavia”, Firenze 1970 pp. 28-29.
10
F. GIANCOTTI, L’Ottavia attribuita a Seneca, Torino 1954 pp. 145 ss.
11
Anche il T. Pantzrhielm (De Octavia Praetexta, SO 24, 1945, 48-87) sostiene che Seneca si è
messo fra i personaggi dell’Octavia, con un’intenzione apologetica ed il Pease dice, appunto, che,
come una spiegazione ai posteri del perché i suoi tentativi di controllare l’allievo imperiale era
stato un insuccesso, fu introdotta la scena di Seneca e Nerone.
12
Anche la Marti ( Seneca’s Apocolocynthosis and Octavia: a diptych, “American Journal of
philology” 73, 1952, pp. 24-36) ed il Pease ( Is the Octavia a play of Seneca? “ Classical Journal
of philology” XV, 1920 pp. 388-402), fautori dell’autenticità dell’Octavia, parlano di un’apologia
di Seneca che è autore e personaggio della pretesta.
10
determinato la dissimulazione dei più scottanti motivi oratori
13
. Ma
controbatte giustamente il Frassinetti
14
, che in tal caso bisognerebbe
attribuire a Seneca eccezionali capacità profetiche, tali da renderlo
capace di prevedere la propria morte vicina, prima di quella di Nerone
che avrebbe, dunque, tranquillamente permesso la diffusione
dell’Octavia; non solo, avrebbe previsto anche il naufragio del
matrimonio di Nerone e Poppea e la tragica fine di Nerone. Il Ciaffi
15
,
poi, accusa di freddezza e distacco rispetto al resto dell’opera, non
solo il monologo di Seneca, ma anche il dialogo dello stesso con
Nerone e aggiunge che il distacco tra l’autore ed il personaggio è forse
persino voluto, per delineare più oggettivamente la personalità del
filosofo e che nel personaggio c’è sì Seneca, ma un Seneca troppo
libresco, non umano, aggiungerei idelizzato.
Ritengo più logico pensare che uno scrittore posteriore a Seneca,
abbia voluto rendere un omaggio postumo alla sua figura,
delineandone sulla scena il corretto agire e rivendicandone così, sia
pure incidentalmente, la personalità morale da tutte quelle accuse che
si erano addensate su di lui negli ultimi anni della sua vita e che lo
indicavano come complice di molti misfatti di Nerone.
Passiamo ora agli anacronismi che molti studiosi hanno riconosciuto
nell’Octavia.
13
F. GIANCOTTI, Seneca personaggio dell’Octavia in “Seneca autore di teatro” a cura di E.
PARATORE, “Dioniso” 52, 1981, pp. 83 ss.
14
P. FRASSINETTI, La pretesta Ottavia, Genova 1973.
15
CIAFFI, Intorno all’autore dell’Ottavia, “RFIC” 32, 1904, pp. 237.
11
3. Gli anacronismi e le allusioni storiche
Molto importanti per la cronologia di composizione della pretesta e
dunque per tentare di stabilirne la paternità, sono gli anacronismi, cioè
le eventuali allusioni ad avvenimenti posteriori alla data scenica
16
. Fra
gli anacronismi acquistano rilevanza tutta particolare, quelli che si
riferiscono ad avvenimenti posteriori all’aprile 65, in quanto -se
assodati- consentirebbero di escludere senza riserve la paternità di
Seneca, che appunto in quel mese morì. Ma l’interpretazione dei passi
suscettibili di contenere anacronismi, non è univoca: il poeta sembra
infatti avere formulato le sue allusioni in modo forse volutamente
nebuloso, quasi per conformarsi allo stile oracolare e su questa
ambiguità si sono scontrati i vari critici, a seconda che fossero o no
favorevoli all’attribuzione a Seneca.
Ma analizzo più da vicino i probabili anacronismi:
1) vv. 198-200: Et hanc levis fallaxque destituet deus
volucer Cupido : sit licet forma eminens,
opibus superba, gaudium capiet breve.
Nei suddetti versi la nutrice consola Ottavia, rammentandole la
incostanza della passione amorosa e predicendole che il trionfo di
Poppea non durerà a lungo.
E allo stesso modo ai vv. 595-597 lo spettro di Agrippina,
maledicendo le nozze di Nerone e Poppea predice che la fiamme della
fiaccola infernale da lei ora impugnata, servirà ben presto ad
accendere i roghi funebri:
…Nubat his flammis meo
16
L’Octavia è scenicamente ambientata nel 62.
12
Poppaea nato iuncta, quas vindex manus
dolorque matris vertet ad tristes rogos.
Qui è stata scorta una predizione post eventum della morte di Poppea,
avvenuta secondo Tacito
17
(Ann., XVI, 6) dopo la morte di Seneca,
sempre nel 65.
Il Giancotti
18
, il più appassionato assertore dell’autenticità, confuta
questa ipotesi, affermando che la nutrice di Ottavia vuole
semplicemente confortare la sua signora e si richiama così all’esempio
di un fatto anteriore, la disgrazia di Atte, e dal passato trae auspici per
l’avvenire. Tra l’altro, l’ipotesi, della determinatezza dell’espressione
tristes rogos, come accennante alla morte di Poppea e Nerone
19
, può
essere confutata dai passi di Tacito Ann., XVI, 6: corpus non igni
abolitum, ut romanus mos… e Ann., XVI, 6: post finem ludicri
Poppaea mortem obiit, fortuita mariti iracundia, a quo, gravida ictu
calcis adflicta est
20
.
2) vv. 255 ss: …Forsitan vindex deus
existet aliquis, laetus et veniet dies.
In questi versi la nutrice esorta Ottavia, che effonde la sua avversione
contro Nerone, alla rassegnazione e la consola parlando di un dio
vendicatore.
E poi ancora l’ombra che freme di Agrippina ai vv. 595-597:
…nubat his flammis meo
Poppaea nato iuncta, quas vindex manus
17
Altra testimonianza in SUET., Nero 35.
18
F. GIANCOTTI, o. c. pp. 39 ss.
19
A. SANTORO, Appunti sull’Ottavia, “Classici e Neolatini” VIII, 1912, pp. 182-99 ; P.RIZZA,
La pretesta “Octavia”, Firenze 1970 p. 30.
20
Anche in SUET., Nero, 40, 2.
13
dolorque matris vertet ad tristes rogos.
Alcuni eruditi
21
hanno voluto vedere in questi due passi allusioni
all’insurrezione di Giulio Vindice del 68 d. C.
22
e dunque sarebbe
dimostrato chiarissimamente che l’Octavia è stata scritta dopo la fine
di Nerone. Ma altri
23
, giudicano insostenibile o tutt’al più probabile,
l’allusione a Vindice.
Il Santoro
24
, per quanto contrario alla paternità senechiana
dell’Octavia, sostiene che vindex deus sia probabilmente
un’espressione generica, senz’alcun riferimento a fatti storici
25
.
Anche il Frassinetti
26
, contrario alla paternità senechiana, considera
fragile il fondamento di quest’ipotesi; l’espressione sarebbe
stereotipata e ricorre frequentemente anche nelle tragedie autentiche
27
.
3) vv. 618-631: …Iam parce: dabitur, tempus haud longum peto.
Ultrix Erinys impio dignum parat
letum tyranno, verbera et turpem fugam
poenasque, quis et Tantali vincat sitim,
dirum laborem Sisyphi, Tityi alitem
Ixionisque membra rapientem rotam.
Licet extruat marmoribus atque auro tegat
superbus aulam, limen armatae ducis
servent cohortes, mittat immensas opes
21
F.VATER, “Archiv fur Philologie und Pedagogik” 19, 1853, 570; F. LADEK, De Octavia
praetexta, diss. Wien 1891.
22
CASSIO DIONE, Storia Romana LXIII, 22-26.
23
E. C.CHICKERING, An introduction to Octavia praetexta, diss. Columbia University, New
York 1910; E. FLINCK, De Octaviae praetextae auctore, diss. Helsingsfors 1919.
24
A. SANTORO, o. c.
25
Il Giancotti è dello stesso parere.
26
P. FRASSINETTI, o. c.
14
exhaustus orbis, supplices dextram petant
Parthi cruentam, regna divitias ferant:
veniet dies tempusque, quo reddat suis
animam nocentem sceleribus, iugulum hostibus,
desertus ac destructus et cunctis egens.
In questi versi c’è la profezia della fine di Nerone pronunciata
dall’ombra di Agrippina e da parte di molti critici, si sono ravvisate
stringenti analogie col passo di Svetonio
28
che descrive minutamente
le ultime ore del tiranno. Si ritroverebbe infatti, nell’Octavia,
l’accenno alla fuga di Nerone nella villa suburbana di Faonte, ai colpi
di verghe e agli oltraggi cui era stato condannato dal Senato, alla sete
che dovette soffrire in quella circostanza, all’abbandono da parte di
tutti i precedenti sostenitori, alla somma indigenza di quegli ultimi
momenti.
Il Santoro
29
, è convinto che la fine del tiranno è profetata in termini
così precisi e con tale contorno di circostanze, da far comprendere che
la profezia fu composta dopo il fatto (anno 68).
Il Frassinetti
30
sostiene che vi sono però nell’Octavia, dei particolari
che restano inspiegabili anche nel confronto dei resoconti di Svetonio
e di Dione: la fatica di Sisifo, l’avvoltoio che rode il fegato del gigante
Tizio e la ruota cui è legato mani e piedi, nell’inferno, il sacrilego re
Issione. Richiamandosi poi al Siegmund
31
, un assertore della paternità
senechiana, che ha istituito un plausibile rapporto tra questi versi e
27
Thy. v.1140; Herc. Fur. v. 255; Phaed. v. 1210; Herc. Oet. vv. 321, 873, 879, 1019, 1334, 1416,
1594, 1837.
28
SUET., Nero capp.47,3-49.
29
A. SANTORO, o. c.
30
P. FRASSINETTI, o. c.
31
A. SIEGMUND, Die Texteskritik der Tragodie Octavia, Leipzigg-Wien 1907.
15
formule ellenistiche di maledizione
32
, pensa che anche in questo caso,
la tecnica del vaticinio ha portato il poeta ad esprimersi in modo
nebuloso, mescolando tratti storici a finzioni mitologiche.
L’Helm
33
, altro sostenitore della non-autenticità della pretesta, obietta
ai negatori dell’anacronismo, che pure nel 65- ultima possibilità
cronologica per potere attribuire la tragedia a Seneca- non era
possibile prevedere con sicurezza la prossima caduta di Nerone;
quindi è sostenitore della profezia ex eventu, che peraltro appunto,
mescola, in funzione artistica e psicologica, dati reali con ornamenti
poetici e mitologici.
32
OVIDIO, Ibis vv.159-180 e 191-194.
33
R. HELM, Praetexta Octavia, 1934, pp. 283-347.
34
V.CIAFFI, “RFIC” 3, 1937, p. 246.
35
Il verso 620 della tragedia (…turpem fugam…) può corrispondere alla maniera in cui Nerone
fugge alla villa di Faonte nel cap. 48 della Vita svetoniana: …ut erat nudo pede atque tunicatus,
paenulam obsoleti coloris superinduit, adopertoque capite et ante facies optento sudario equum
inscendit, quattuor solis comitantibus…
36
Il verso 621 della tragedia ( …Tantali vincat sitim…) può corrispondere a quei momenti della
Vita svetoniana Nero 48, in cui l’imperatore fuggente ricorda i freschi decocta ed iterum viene
assalito dalla fame e dalla sete.
37
Il verso 622 della tragedia (…dirum laborem Sisyphi…) può corrispondere al momento ad
esempio, in cui Nerone fuggente viene riconosciuto a quodam missicio praetoriano et salutatus.
(Svet., Nero, 48)