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INTRODUZIONE
Il presente lavoro di ricerca è incentrato sulla Diocesi di Mondovì ed esamina, in
modo accurato ed approfondito, tale diocesi durante il periodo napoleonico. Per
meglio indagare il contesto di questo rilevante momento storico e ricostruire le
relazioni fra i personaggi maggiormente influenti nella storia monregalese di questi
anni è stato intrapreso un considerevole lavoro in archivio diocesano presso la Curia
di Mondovì ed in archivio di Stato presso Torino, tramite l’analisi e la disamina di
manoscritti originali risalenti al periodo in questione.
Prima di introdursi nel vivo della trattazione, si è focalizzata l’attenzione su quelli
che furono gli aspetti essenziali e più problematici relativi all’estensione del potere
sabaudo, tra Seicento e Settecento, e alla sempre più sentita esigenza di
razionalizzare i confini diocesani. Vista tale necessità, moltissimi furono i tentativi di
riforme delle Diocesi più vaste, quali Torino ed Alba, o le richieste di erezioni di
nuovi vescovadi, quali Cuneo, Pinerolo, Susa, Ceva, Biella e Savigliano, ma si cercò
anche di riordinare le giurisdizioni più piccole ed alcune delle più importanti abbazie
nullius o addirittura di abolirle.
Proseguendo la ricerca lungo la linea cronologica, alla fine del Settecento, la città di
Mondovì fu una delle più colpite dai continui tentativi di conquista dei francesi,
guidati da Napoleone Bonaparte, per via della sua posizione geografica di grande
rilievo per il commercio. Il desiderio del Bonaparte era quello di annettere il
Piemonte alla Francia e ciò avvenne l’11 settembre 1802. A risentire in particolar
modo dell’influenza francese fu il clero. La Chiesa, con a capo il vescovo Giovanni
Battista Pio Vitale, prima stabilitosi presso la Diocesi di Alba, cercò di aderire
pienamente al sistema napoleonico. Mons. Vitale, già durante il suo operato albese,
riuscì sempre a conciliare la propria posizione con quella del potere politico
costituito, anche a costo di contraddire precedenti disposizioni e decisioni. Stesso
atteggiamento fu utilizzato nella Diocesi di Mondovì: la fedeltà ai Savoia fu
totalmente dimenticata e l’ossequio verso il potere politico francese divenne, per
alcuni anni, una costante, come confermato anche dalle lettere delle autorità torinesi.
Mons. Vitale, attraverso la sua intensa attività pastorale, cercò di assecondare il più
possibile le richieste del Governo francese, senza peraltro mai tralasciare di
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informarne il Papa del tempo, Pio VII. La fedeltà verso il Bonaparte e le
manifestazioni religiose di esaltazione di questo personaggio non terminarono
neppure negli anni di ripresa dei contrasti tra Stato e Chiesa, con la dura
contrapposizione tra Napoleone e Pio VII. Tale Pontefice transitò per Mondovì il 13
agosto 1809, come privato cittadino, accuratamente scortato dai Francesi, lungo la
strada che lo avrebbe portato in esilio a Savona per volere dello stesso Imperatore.
Dopo il passaggio del Papa, Mons. Vitale partecipò al Concilio di Parigi e qui, dopo
secoli di dispute teologiche e contrasti politici, si stabilì, dietro l’affermazione che la
Chiesa di Francia avrebbe salvaguardato l’unità, l’adesione alle tesi gallicane. La
caduta di Napoleone, nel 1814, fece sì che il vescovo si allineasse alla nuova politica.
Santa Sede e Savoia rinsaldarono la tradizionale alleanza e l’intera Europa poté
entrare nella Restaurazione, secondo gli equilibri disegnati al Congresso di Vienna.
Con la nuova situazione politica ed il ritorno del Papa a Roma, si evidenziò il
delicato problema del clero, il quale aveva appoggiato, o era stato costretto a farlo, le
posizioni filofrancesi. In particolare, Pio VII volle che fosse attentamente esaminata
la posizione dei vescovi e Capitoli che avevano inviato gli Indirizzi a Napoleone
prima del Concilio di Parigi. Il Papa istituì, nel 1815, un’apposita commissione,
incaricata di accogliere e valutare le ritrattazioni, in mancanza delle quali ben
difficilmente i vescovi avrebbero potuto mantenere la loro diocesi. Così, vescovo e
Capitolo di Mondovì dovettero elaborare ben tre versioni diverse della ritrattazione,
prima che essa venisse accettata, pur con qualche titubanza. Tuttavia, Mons. Vitale
non fu l’unica figura rilevante del periodo napoleonico e post napoleonico. Infatti,
prima del suo arrivo a Mondovì e dopo la morte del suo predecessore, Giovanni
Antonio Maria Corte, Napoleone nominò quale Vicario Capitolare e successivamente
Generale il canonico Giovanni Battista Accusani. Questo personaggio intrattenne
molta corrispondenza e rapporti con i rappresentanti francesi, in particolare furono
considerevoli le relazioni con Mons. Jean-Chrysostôme de Villaret, vescovo di
Amiens e funzionario del Governo napoleonico. Il lavoro di ricerca si conclude con
una delle riforme più importanti delle diocesi del periodo post napoleonico,
precisamente avvenuta nel 1817. Tale ristrutturazione fu considerevole per il suo
intento: erigere di nuovo le Diocesi soppresse in precedenza, ripristinare alcune delle
abbazie nullius e fondare la diocesi di Cuneo, fino ad allora non ancora esistente. La
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proposta fu accolta e la diocesi di Cuneo venne eretta il 17 luglio 1817 con la Bolla
Beati Petri di Papa Pio VII, ricavandone il territorio dalla diocesi di Mondovì.
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CAPITOLO I
TRA SEICENTO ED OTTOCENTO: LE DIOCESI
SABAUDE E MONDOVI’
1.1 TENTATIVI DI RIFORME DELLE DIOCESI SABAUDE TRA
IL SEICENTO ED IL SETTECENTO.
Non è questa la sede per ricostruire compiutamente l’evoluzione e le
motivazioni profonde che concorsero a determinare e consolidare, nel corso dell’età
moderna, un quadro istituzionale complesso ed articolato della geografia
ecclesiastica dei territori piemontesi. Ciò su cui si vuole focalizzare l’attenzione, in
questo paragrafo, sono gli snodi essenziali e più problematici per delineare il quadro
che i francesi si trovarono a dover affrontare al momento dell’unificazione del
Piemonte alla Francia, avvenuta l’11 settembre 1802. L’esigenza razionalizzatrice
delle circoscrizioni ecclesiastiche manifestata da Napoleone in Piemonte aveva già
trovato, lungo tutto il Settecento, numerose e diversificate occasioni di attenzione da
parte sia dei governanti che degli intellettuali.
Con l’estendersi del potere sabaudo, fra Seicento e Settecento, su più vaste
aree territoriali e con il parallelo rafforzarsi dell’istituzione provinciale si fece,
infatti, via via sempre più sentita l’esigenza di razionalizzare i confini diocesani: “La
crescita della provincia porta irresistibilmente lo Stato, che ha una vocazione
giurisdizionalistica e una cultura in parte gallicana, a voler far coincidere diocesi e
province”.
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L’esigenza di avere uno Stato ben amministrato e l’estendersi dei confini
del regno sardo-piemontese, con le acquisizioni a Occidente degli Escartons di Oulx,
Pragelato e Casteldelfino, a Oriente del Monferrato, Novarese, Lomellina,
Vigevanasco, Tortonese e Val Trebbia contribuirono a tener viva, senza peraltro mai
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G. RICUPERATI, Frontiere e territori dello stato sabaudo come archetipi di una regione europea:
fra storia e storiografia, in Lo spazio sabaudo. Intersezioni, frontiere e
confini
in
età
moderna , a cura
di Blythe Alice Raviola, Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 31-55 [parzialmente anticipato con il titolo
Gli spazi sabaudi da Emanuele Filiberto a Vittorio Amedeo III: la costruzione di uno Stato di Antico
Regime, in Il teatro delle terre. Cartografia sabauda tra Alpi e pianura, a cura di Isabella Massabò
Ricci, Guido Gentile, Blythe Alice Raviola, Torino, Archivio di Stato di Torino, 2006, pp. 31-39].
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concretizzarla, l’idea di far coincidere giurisdizioni provinciali ed episcopali.
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Diversi furono i tentativi di riforma, tutti orientati ad ottenere una coincidenza fra
giurisdizione civile ed ecclesiastica. Il primo a muoversi in questa direzione, agli
inizi del Seicento, sembrò esser stato il vescovo di Fossano, Mons. Agostino Solaro
di Moretta, consigliere del duca Carlo Emanuele I. Nel 1622, dopo una generale
riorganizzazione delle province sabaude attuata l’anno precedente, il presule
fossanese consigliò al duca “di richiedere alla Sede apostolica l’erezione di sei nuovi
vescovadi, in modo tale da far coincidere i confini politico-amministrativi delle
province appena istituite con quelli ecclesiastico-religiosi delle diocesi piemontesi”.
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Le nuove diocesi da istituire, nel progetto di Mons. Solaro, erano quelle di Cuneo,
Pinerolo, Susa, Ceva, Biella e Savigliano. Le motivazioni erano molteplici ed
essenzialmente politiche. Lo scopo di una simile operazione era, infatti, soprattutto
quello di dimostrare “al mondo maggiormente la pietà sua et il zelo alla religione, et
insieme apparirà non esser i Stati suoi inferiori ad un regno per numero di città, per
moltitudine de’ popoli, né per grandezza il Stato, come si potrebbe provare con l’esempio del
regno di Napoli, il qual riceve più splendore dal numero delle città e de’ vescovi che da altra
cosa, et pure la più parte di quelle città non devono uguagliarsi in cosa alcuna con moltissimi
luoghi di Piemonte. E’ utile ancora a V.A. perché haverà maggior numero de soggetti da
valersene nell’occasioni, presupponendo io che se ne farà scelta et non si ridurrà alla
scarsezza in che si trova, che di tanti prelati di pochi si può servire. E’ anche utile perché di
tanti vescovi qualch’uno ne riuscirà, con i favori et aiuto suoi, cardinale et forsi papa, la qual
cosa apporterebbe utile grande e reputatione al Stato et V.A. ancora, come s’è visto in altre
provintie con loro infinito benefitio et honore. Et V.A. lasci dire chi vuole: faccia stima di
Roma, nutrisca le sue adherenze, et se vuole anche si renderà il papa partiale”.
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Con
l’erezione di Ceva a vescovato si sarebbe liberata questa cittadina “con l’altre del suo
mandamento dal dominio spirituale del vescovo d’Alba”. Questi, così come il
vescovo di Casale e quello di Acqui, era infatti un suddito monferrino: bisognava,
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Merita succintamente ricordare le principali tappe dell’estensione dei domini dei Savoia: Asti nel
1531, Saluzzo nel 1601 (ma occupata dal 1588), il Monferrato in parte nel 1631 e poi nel 1713,
Pinerolo a fine XVII sec., Alessandria, Valenza e Valsesia nel 1713, Tortona e Novara nel 1738,
Bobbio, Voghera, Vigevano e Alto Novarese nel 1748.
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P. COZZO, Una porpora «a lustro della real corona». Carlo Vincenzo Maria Ferrero (1682-1742)
primo cardinale di corona della monarchia sabauda, in Nobiltà e Stato in Piemonte. I Ferrero
d’Ormea. Atti del convegno (Torino-Mondovì, 3-5 ottobre 2001), a cura di Andrea Merlotti, Silvio
Zamorani, Torino, 2003, pp. 295-320.
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P. COZZO, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di
età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 300-301.