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CAPITOLO INTRODUTTIVO
1) OGGETTO
Nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia prevista
dal titolo VI del TUE, il presente lavoro analizza l’istituto delle
Squadre Investigative Comuni (SIC), con riferimento all’aspetto
normativo ed operativo.
Istituzionalizzate a livello europeo con l’art. 13 della
convenzione MAP del 29/5/2000, le SIC costituiscono espressione di
quella evoluzione del modus operandi investigativo che, da forme
tipicamente tradizionali, basate sul “principio della richiesta” e sul
“carattere eccezionale” delle attività sul territorio altrui introdotto
dalla Convenzione del 1959, ha portato alla creazione di un organismo
che, invece, esprime la volontà comune di più Stati a perseguire
ipotesi di reato, caratterizzate dal profilo della “transnazionalità”
definito dalla Convenzione di Palermo
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, in attuazione di un
programma investigativo comune.
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Si tratta della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata
Transnazionale, svoltasi a Palermo dal 12 al 15 dicembre 2000, che l’Assemblea Generale ha
indicato come “Convenzione di Palermo” nella risoluzione 54/129. Nessun’altra
denominazione o abbreviazione di tale convenzione è stata impiegata o accettata in documenti
ufficiali delle Nazioni Unite.
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Quindi, con rapporto a quelle che si ritengono essere state le
tre tappe fondamentali di questo cammino evolutivo in materia di
cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale nell’ambito
dell’Unione Europea, segnate rispettivamente dai Trattati di
Maastricht, Amsterdam e Lisbona, si affronteranno gli strumenti che,
di volta in volta, sono stati predisposti per realizzare l’obiettivo
comune dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia istituzionalizzato
dal trattato di Amsterdam.
L’analisi dell’excursus, non tralascerà di evidenziare
l’importanza dell’accordo di Schengen che, con riferimento alla
dinamica investigativa, ha introdotto, per gli organi di polizia, la
possibilità di continuare l’attività in territorio altrui in assenza di
preventiva autorizzazione, limitatamente ai casi di urgenza e a
determinate condizioni, quale diretta e immediata conseguenza della
possibilità di acquisire elementi probatori non altrimenti conseguibili
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L’accordo, infatti, distingue l’aspetto dinamico delle
investigazioni di polizia, riconoscendone -in maniera condizionata- il
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si pensi ad esempio, in territori di confine, all’ipotesi di inseguimento di malviventi che
hanno appena rapinato una banca e che, nel tentativo di sottrarsi alla cattura sconfinano nel
territorio dello Stato limitrofo (flagranza o quasi flagranza di reato); ovvero nell’ipotesi di
servizi di Osservazione Controllo e Pedinamento (OCP) i personaggi sospettati,
improvvisamente, si recano nel territorio di un’altro Stato per in contrarsi con qualcuno o
ricevere qualcosa da qualcuno.
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primato sugli interessi nazionalistici per esigenze di giustizia, da
quello tradizionalmente statico, perché limitato dall’esercizio delle
prerogative di sovranità degli Stati, basato sul principio dell’assistenza
e della extraterritorialità.
L’ampliamento dei limiti territoriali entro cui poter proseguire
attività investigative già in corso, consentito nell’ambito dell’accordo,
seppur con i dovuti distinguo, può definirsi antesignano della
caratteristica riconosciuta, successivamente, alle SIC di poter operare
direttamente nel territorio delle diverse giurisdizioni dei Paesi
dell’Unione Europea costituenti la squadra, senza ricorrere a richieste
di assistenza preventive che rallenterebbero le indagini.
Il motivo di questa evoluzione nella dinamica dei rapporti
politico-economici, tuttavia, non è da attribuire al ruolo giocato dalle
istanze di sicurezza dei cittadini bensì alle implicazioni del processo
di globalizzazione che, inevitabilmente, ha interessato anche le diverse
forme di criminalità.
Con riferimento, ad esempio, alla ricaduta sul fenomeno
criminale “mafioso” del processo di globalizzazione, si può dire,
tuttavia, che esso non sia stato l’unico fattore ad imporre il salto di
qualità nei rapporti di cooperazione interstatuale in materia penale, ma
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che abbiano influito anche l’accresciuta sensibilità per la repressione
dei reati finanziari e della corruzione politica, nonché l’interesse
comune a realizzare efficaci strumenti di lotta contro il terrorismo
internazionale (specie a seguito dell’attentato alle torri gemelle di
New York dell’11 settembre 2001), l’inquinamento ed il saccheggio
del territorio e dell’ambiente, la criminalità informatica ed altre
allarmanti manifestazioni di devianza criminale.
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Infatti:
lo sviluppo di nuove e più gravi forme di criminalità, caratterizzate
da un coacervo di intrecci tra organizzazioni criminali operanti in
diversi Paesi e in diversi mercati illeciti che hanno creato una rete
internazionale complessa di criminalità economico-finanziaria
mista a criminalità politica;
le irrisolte problematiche della repressione dei grandi traffici
illeciti (droga, persone, armi, rifiuti tossici) e della corruzione;
l’insorgere di nuove tendenze criminali (ad esempio il commercio
internazionale di organi viventi e sezionati per i trapianti);
le nuove forme di manifestazione della criminalità di tipo
terroristico-eversivo;
3
v. DARAIO, La circolazione della prova nello spazio giudiziario europeo, in KALB-NEGRI,
Studi in materia di cooperazione giudiziaria penale, Giappichelli Editore, 2013, p. 110.
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hanno contribuito non poco a spingere la comunità internazionale ad
avviare e sviluppare modelli di collaborazione nuovi e più avanzati
rispetto agli schemi cooperativi del passato, centrati in prevalenza
sulla dimensione nazionale del fenomeno criminale
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, nell’intento di
opporre un fronte comune
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a tali gravi forme di criminalità al fine di
arrestarne il dilagare arginando, così, la minaccia a interessi primari
della stessa Unione, come quelli di carattere economico.
L’esigenza, pertanto, di dover organizzare delle forze di
contrasto e di contenimento adeguate, per efficienza, capacità di
dislocazione ed agilità operativa, ha indotto gli Stati a superare
radicati atteggiamenti di chiusura e di impermeabilità verso forme di
cooperazione implicanti limitazioni di sovranità e ad impegnarsi nella
costruzione di una sorta di “federazione delle sovranità” nell’attività
di contrasto al crimine organizzato
6
.
4
Ibid.
5
“L’unione fa la forza”. Il detto vuole evidenziare che quando più persone o più elementi
concorrono uniti nel volere la stessa cosa, tanto più facile è ottenerla e prende spunto dal
simbolo di origine etrusca adottato dai Romani del fascio di verghe legate intorno ad una
scure.
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v. DARAIO, La circolazione della prova…, cit. p. 109.
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Ciò è stato possibile attraverso la progressiva attenuazione del
“principio di sovranità statale”
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, con il conseguente parziale
sganciamento dal criterio tradizionalmente impiegato per determinare
il campo di applicazione della legge penale nazionale, ovvero il
“principio della territorialità” che obbliga tutti coloro che si trovano
nel territorio dello Stato e che sono, pertanto, tenuti al rispetto di tale
legge che deve essere applicata, esclusivamente, dalle autorità
nazionali a tutti coloro che, siano essi cittadini, stranieri o apolidi, il
cui comportamento abbia leso un interesse giuridicamente protetto.
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Il quale da un lato esige che sia riconosciuta validità solo alle prescrizioni dello Stato e
dall’altro, riconosce che la legge penale può imperare solo là dove lo Stato ha la forza di
imporsi. Circa la possibilità di ammettere la sopravvivenza dello Stato, anche senza sovranità,
o meglio senza sovranità piena, e di superare così quello che sembrava essere lo statuto
ontologico della concezione della sovranità moderna, vale a dire la sua necessaria pienezza e
indivisibilità, cfr. LABRIOLA, I fini dello Stato e l’Umanità plurale, in Ripensare lo Stato, a
cura di Id., Quaderni della rassegna parlamentare, Isle, Milano, 2003, p. 98 ss.
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v. DARAIO, La circolazione della prova…, cit., p.109, secondo cui << I sistemi di diritto
penale (sostanziale e processuale) della maggior parte degli Stati moderni, sia di civil law sia
di common law, sono stati dominati, dall’inizio del secolo XIX e sino ad epoca piuttosto
recente, da una concezione rigorosa del “principio di sovranità statale”, in forza del quale ogni
Stato ha il diritto di esercitare in modo esclusivo il potere di governo sulla sua comunità
territoriale. Ciascun Paese, infatti, nel forgiare il proprio apparato normativo destinato a
regolamentare il campo di applicazione della legge penale sostanziale e processuale nello
spazio, si è ispirato essenzialmente al “principio di territorialità” nel suo duplice aspetto di
cogenza della legge penale nazionale per tutti coloro (cittadini, stranieri o apolidi) che si
trovano all’interno dei confini statali e di esclusiva attribuzione del potere giurisdizionale agli
organi statali del luogo ove il reato viene commesso. La rivendicazione gelosa
dell’indipendenza dei sistemi nazionali non ha tuttavia precluso l’avvio e lo sviluppo di
forma di cooperazione interstatuale, Anzi, il ricorso alla mutua assistenza giudiziaria è stato
sempre inteso come “un modo per poter affermare, al di là delle frontiere, il potere di
coazione dello Stato, la sua potestà sovrana” (v. ESPOSITO, voce Rapporti Giurisdizionali con
autorità straniere, in Enc. Giur., XXV, Roma, 1991, p.1). Naturalmente, l’assenza di una
consuetudine internazionale che obblighi gli Stati a prestarsi reciproca collaborazione
giudiziaria in materia penale (cfr sul punto v. CIAMPI, L’assunzione di prove all’estero in
materia penale, Padova, 2003, p. 24 ss.) ha reso necessaria la conclusione – secondo le
modalità procedimentali che garantissero la reciprocità – di appositi accordi tra gli Stati
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Ciò ha indotto la Commissione Europea a ipotizzare la
prospettiva di un sistema unitario di repressione
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per superare
quell’atteggiamento restrittivo, in materia di rapporti di cooperazione
in materia penale, che gli Stati sino ad ora hanno ritenuto funzionale
alla tutela della propria sovranità
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della quale l’aspetto penale
costituisce tipica espressione
11
.
In tale contesto le SIC, i cui caratteri costitutivi e operativi
sono già definiti a priori nella cornice istituzionale dell’Unione
Europea, si muovono come organi permanenti di polizia giudiziaria
medesimi improntati al c.d. “principio della richiesta” (uno Stato presenta un a richiesta ad un
altro Stato che decide di darle o non darle seguito sulla base di valutazioni politiche e vagli
giurisdizionali) ed aventi ad oggetto, di volta in volta, procedure di consegna (in personam o
in rem), acquisizioni probatorie, attribuzioni di effetti ai – o esecuzione di – provvedimenti
penali stranieri e, in genere, quanto ritenuto utile per impedire ai criminali di trovare
nascondigli o di occultare prove o proventi dei loro reati all’estero. >>
9
v. DARAIO, La circolazione della prova…, cit., p. 116.
10
v. RIVA, La competenza penale prima della riforma costituzionale del 2001 - sviluppi
dottrinali - in Ordinamento penale e riforma del titolo V della Costituzione in Diritto penale,
ragioni e territorio. tecniche funzioni e limiti - Giuffrè editore, 2012, pag.20. Sul concetto di
sovranità, si rinvia a TAMASSIA, Essenza e limiti del federalismo, in Federalismo e
devolution, a cura di PIERSIGLI, Milano, 2005, 190 ss.. Per una sintesi del concetto, si rinvia
nella manualistica a BIN-PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, XII ed., Torino, 2011, 16 ss.
Anche su un diverso piano da quello della competenza legislativa per materia (e cioè sul piano
della giustificazione teorica della potestà punitiva), frequente è il richiamo alla sovranità: cfr,
tra i molti, GRISPIGNI, Diritto penale italiano, vol. I, Milano, 1950, 277: […] il potere […]
dello Stato di porre le norme penali ha il fondamento giuridico nella sovranità […];
VASSALLI, La potestà del punire, Milano, 1942, 16.
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RIVA, op. cit., pag. 20. Cfr, altresì, in proposito, PADOVANI, Diritto penale, X ed., Milano,
2012, 23 […] la competenza penale corre su un binario storicamente parallelo a quello della
sovranità, e denota sempre la presenza di un’organizzazione statuale, nel cui ambito la
pluralità di competenze penali territorialmente distinte è compatibile soltanto con un assetto di
tipo federale […]; CARACCIOLI, Manuale breve di diritto penale. Parte generale, Padova,
2002, p. 12 [..] il diritto penale è peculiare espressione della sovranità statale […].
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per il perseguimento delle ipotesi di reato transnazionali e
rappresentano la sintesi più evoluta del passaggio dai tradizionali
modelli assistenziali alla nuova dimensione delle indagini congiunte
extraterritoriali, poste in essere da organismi investigativi comuni, con
una competenza estesa al territorio di più Paesi dell’UE e che hanno
finalità e poteri diversi da quelle già previste, ad esempio in funzione
preventiva dall’accordo di Prum
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, oppure da quelle ipotizzate da altre
convenzioni bilaterali o multilaterali in cui esse sono da definire caso
per caso
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.
12
v. CALVANESE, Adesione al Trattato di Prum e cooperazione transfrontaliera, pagg.30-31
in SCARCELLA, Prelievo del DNA e banca dati nazionale, Edizione 85, Wolters Kluwer
Italia, 2009, << […] art.22 della legge che contiene la disciplina attuativa riguardante la
costituzione di unità a composizione per interventi comuni, di cui all’art. 24 del trattato.
Quest’ultima norma, prevede che le Parti contraenti, al fine del mantenimento dell’ordine e
della sicurezza pubblica e per prevenire i reati, possano istituire pattuglie comuni o altre
forme (non specificate) di intervento comuni, nell’ambito delle quali funzionari o altri agenti
di autorità pubblica partecipano ad interventi sul territorio di un'altra Parte. La finalità di tali
squadre comuni è soltanto quella di svolgere un ruolo un ruolo di prevenzione e di pubblica
sicurezza con esclusione, pertanto, di attività di repressione di fatti penali già commessi. In
tale senso, la suddetta collaborazione squisitamente di polizia ve tenuta distinta da quella
prevista dalla più recente normativa internazionale delle c.d. squadre investigative comuni
operanti nel quadro dell’assistenza giudiziaria penale. […] >>.
13
Cfr. il contenuto dell’accordo italo svizzero del settembre 1998; della Convenzione delle
Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale del novembre 2000 (ratificata con
la legge 146/2006); dell’accordo di Washington del 25 giugno 2003 di mutua assistenza
giudiziaria tra Unione europea e Stati uniti di America; la legge n.116 del 3 agosto 2009 di
ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione del 31 ottobre 2003 il cui
art.49 (Joint investigation) prevede che gli Stati parte potranno stringere accordi bilaterali o
multilaterali in base ai quali, in relazione a fatti oggetto di indagine e procedimenti penali in
uno o più stati, le competenti autorità potranno costituire corpi investigativi comuni. In
assenza di tali accordi, le squadre investigative comuni potranno essere formate caso per caso.