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Introduzione
Come già si evince dal titolo, l’oggetto principale di questa tesi sarà
un’analisi diacronica delle lingue germaniche occidentali. Più precisamente,
lo scopo della ricerca è individuare i fenomeni di mutamento linguistico che
hanno determinato la differenziazione delle lingue germaniche, ponendo, su
un piano comparativo, i casi di grammaticalizzazione di tre lingue
appartenenti al ramo occidentale: inglese, tedesco e nederlandese. L’analisi
consisterà nel verificare se i fenomeni di grammaticalizzazione individuati
nell’area anglofona e germanofona abbiano interessato o meno anche quella
nederlandofona. Il grande tema che fa da sfondo è la questione della
variazione nel tempo delle lingue che, da millenni, è ancora oggetto di
dibattito e di ricerca tra filosofi, letterati e linguisti. Nei vari ambiti di studio
la riflessione sul linguaggio si è trovata a dover fare i conti con uno degli
interrogativi più misteriosi della storia: perché e quali sono state le cause che
hanno portato a una così variopinta differenziazione linguistica nel mondo?
Le risposte a tale interrogativo sono state altrettanto policromatiche nella
storia del pensiero linguistico e sembra dunque “doveroso” fornire un
panorama delle varie riflessioni per sottolineare l’importanza di tali idee che
hanno portato, nei secoli, a vaste ricerche nel campo della glottologia sempre
più stimolanti e innovative e segnato il notevole sviluppo della linguistica, da
una materia sostanzialmente oggetto di riflessione filosofica alla nascita di
una vera e propria disciplina in continua evoluzione. Il presente elaborato
avrà inizio con l’esposizione delle teorie sul linguaggio, le quali hanno
occupato un grande spazio nei volumi dei più eruditi. A partire dal dibattito
sulle idee naturaliste-essenzialiste in contrapposizione a quelle
convenzionaliste, entrambe trattate nel dialogo Cratilo di Platone, il quale
verrà risolto poi da Aristotele, si noterà una lenta ma continua
sistematizzazione delle categorie grammaticali che sfoceranno, nel III-II
secolo ca. a. C., nella messa a punto della Techne grammatikè, il primo
trattato di grammatica nato dalla necessità di stabilire una norma linguistica,
2
dal momento che le traduzioni dei poemi omerici avevano suscitato notevoli
dubbi sulla corrispondenza dei termini greci con quelli latini. Nei periodi
successivi (VI-IV secolo a.C.) grazie alle opere di Apollonio, Donato e
Prisciano, le grammatiche arriveranno a svolgere una funzione didattica per
coloro che avevano conoscenze limitate o pressoché nulle della lingua latina.
Così, per tutto il Medioevo, gli studi teorici e grammaticali riprenderanno in
parte le tesi aristoteliche, in parte la visione più “strutturalista” di Prisciano, e
inizieranno a essere sempre più vicine allo studio comparativo delle lingue.
Importanti furono le teorizzazioni dei Modisti, i quali concepirono lo studio
del linguaggio non più come arte ma come “una scienza che studia il dettaglio
delle forme che lo costituiscono”. I punti di svolta dello studio sistematico del
linguaggio si identificheranno, nel corso del Cinquecento, con la
pubblicazione delle grammatiche relative alle lingue dei nascenti stati
nazionali, le quali daranno inizio alle prime vere comparazioni linguistiche
che verranno portate avanti ininterrottamente fino al XIX secolo. Infatti, già
dal Seicento vedranno la luce le prime classificazioni genealogiche delle
lingue ad opera di Scaligero e di Leibniz, basate su un confronto
esclusivamente lessicale. Dal Settecento in poi, lo studio del cambiamento
linguistico troverà una svolta nelle idee di Wilhelm von Humboldt e, a
seguire, nella prospettiva di studio sincronica saussuriana che aprirà la strada
alla ricerca sulle dinamiche sociolinguistiche del novecento. Dal Novecento,
le ricerche sul mutamento linguistico avranno diverse ripercussioni che
sfoceranno nelle nuove prospettive tipologiche, sociolinguistiche e cognitive.
Il mutamento linguistico rappresenta dunque l’humus da cui questa tesi trae le
sue origini ma l’attenzione sarà rivolta nello specifico ad un tipo di
mutamento: la grammaticalizzazione.
Il secondo capitolo ospiterà nel dettaglio la trattazione sulla teoria
della grammaticalizzazione, ovvero un importante fenomeno di cambiamento
linguistico presente in tutte le lingue del mondo, o almeno in quelle finora
rinvenute e osservate. Il termine fu coniato da Antoine Meillet e definito
come “[le] passage d’un mot autonome au rôle d’élement grammatical” et
3
l’attribution du caractère grammatical à un mot jadis autonome”. (Meillet
1912:385)
Ne verrà ripercorso un excursus sugli studi fornendo una panoramica,
a partire dai precursori (Humboldt, Schlegel, Schleicher), in parte già citati
nel precedente capitolo, fino ad arrivare alle ultime ricerche di stampo
cognitivista. Ci si soffermerà a lungo sulla teoria di C. Lehmann, della quale
sono risultati focali i principi e i parametri utili al fine di individuare i singoli
stadi cui una forma linguistica attraversa prima di raggiungere lo status di
‘forma grammaticalizzata’. La teoria della grammaticalizzazione esposta nel
secondo capitolo è esplicitata per poter essere applicata poi alle lingue
germaniche occidentali che verranno descritte sotto un profilo storico-
comparativo nel terzo capitolo; vedremo come esse si sono evolute nel tempo
e, nel quarto e ultimo capitolo, quali sono stati i motivi alla base di una
differenziazione così sostanziale. A tal fine, verranno analizzati i casi di
grammaticalizzazione germanici con riferimento agli studi funzionalisti e
cognitivisti che si fondano sulle seguenti teorie grammaticali: la Grammatica
funzionale del discorso, la Grammatica Cognitiva e la Grammatica
generativa. I temi presi in considerazione saranno: la modalità come caso di
grammaticalizzazione, la relazione che intercorre tra grammaticalizzazione e
soggettivizzazione mediante l’analisi interlinguistica e intralinguistica delle
marche del futuro ed infine verrà ripercorsa in prospettiva generativa il caso
di should nelle frasi subordinate inglesi e quello della marca te nei
complementi infinitivi nederlandesi. Attraverso la comparazione dei casi di
grammaticalizzazione relativa alle lingue sopra ricordate si tenterà di dare una
spiegazione là dove non si siano verificati i fenomeni delle altre lingue
germaniche.
4
I. Una panoramica sulla storia della linguistica: teorie e
metodi per la ricerca e lo studio del mutamento linguistico.
1.1 La riflessione sul linguaggio
Le lingue del mondo si caratterizzano per il fatto di essere tra loro
diverse nello spazio e mutevoli nel tempo. La diversità e la mutevolezza sono
due fenomeni che suscitarono curiosità fin dai tempi più antichi e per i quali
furono date spiegazioni che, al principio, prescindevano da qualsiasi
fondamento scientifico, cioè si fondavano sul pensiero filosofico del tempo.
La storia della linguistica occidentale ha radici che affondano nella culla della
civiltà greca e, se guardiamo al suo cursus storico, dovranno passare alcuni
secoli prima che essa venga riconosciuta come quella disciplina che si occupa
dello “studio scientifico del linguaggio e delle lingue”.
1
Se si vuole tracciare
un breve quadro storico riguardante la linguistica in generale, si possono
rinvenire le prime tracce circa lo studio della lingua negli Indiani, prima nei
Veda (testi sacri trascritti che avevano lo scopo di mantenere inalterate le
formule pronunciate durante i sacrifici) e, successivamente, attraverso la
descrizione delle strutture fonetiche e grammaticali di tale lingua.
2
Queste
classificazioni, pur costituendo delle semplici descrizioni, peraltro molto
accurate, vennero scoperte solamente nel Settecento ad opera di studiosi
occidentali, e costituirono un importante punto di partenza per la nascita della
grammatica comparativa, in quanto gli Indiani tentarono di confrontare -
seppur in modo incompleto - la propria lingua con il sanscrito. Se volgiamo di
nuovo lo sguardo ad occidente, troviamo che la riflessione sul linguaggio
ebbe inizio in Grecia tra il V e il IV secolo a.C., continuò dai Romani a
partire dal I secolo a.C., e si affermò in modo più sistematico tra il IV e il VI
1
Simone R., 2007, Fondamenti di linguistica, Bari, Laterza, pag.3.
2
Robins, 2006, Storia della linguistica, Bologna, Il Mulino, pag.12.
5
secolo d.C. nei lavori di alcuni grammatici latini. Gli studi classici si
potevano distinguere generalmente in una tradizione "alta" e in una tradizione
“bassa", dove la prima racchiudeva i lavori svolti dai filosofi e la seconda
quelli effettuati dai grammatici. L'opera più importante interamente dedicata
al linguaggio, la quale riassume le posizioni dei filosofi "presocratici"
(Eraclito e Parmenide), è il dialogo Cratilo di Platone, in cui si discute se le
parole rappresentino la realtà tramite un rapporto naturale con le cose oppure
se esse siano nate da una convenzione adottata dai parlanti. La tesi finale
enunciata da Platone supera le visioni precedenti, affermando che la realtà e
il linguaggio non possono essere messi in rapporto, ma la realtà deve fungere
autonomamente al fine di scoprire se stessa.
3
Nel successivo dialogo di
Platone, il Sofista, verranno esplicitate le condizioni cui il linguaggio deve
rispondere per rappresentare in modo adeguato la realtà: il rapporto tra
linguaggio e realtà esiste solo se viene stabilita una connessione, non in base
alle singole parole ma in base al discorso. La verità o la falsità del discorso si
raggiunge in base al rapporto di esso con la realtà. Platone, per inciso, fu il
primo a distinguere nella frase greca una componente nominale e una verbale.
Successivamente, Aristotele, nel De Interpretatione, continuò il discorso
platonico, affrontando dapprima il problema del rapporto tra linguaggio,
pensiero e realtà, sostenendo che:
le cose della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nell’anima, e
le lettere scritte sono simboli dei suoni della voce.
4
Egli prosegue spiegando la diversità delle lingue in base al fatto che
esse differiscono solo nel modo in cui il pensiero viene espresso, mediante i
suoni in primis, e poi tramite la scrittura. Riassumendo, Aristotele mette in
evidenza il carattere universale dei concetti e il carattere mutevole e arbitrario
delle entità fonico-acustiche con essi correlate:
L’associazione tra entità mentali e suoni è affidata alla nozione di katà
synthéken, vale a dire ad placitum, cioè per convenzione.
5
Il dibattito tra naturalismo e convenzionalismo è dunque risolto da
3
Gensini S., Manuale di semiotica, Roma, Carocci 2010, p.395
4
Ivi, 2010, pag. 403
5
Ivi, 2010, pag. 401
6
Aristotele in favore della seconda delle due posizioni.
Stoici ed Epicurei si interrogarono entrambi sul linguaggio e
arrivarono a conclusioni di tipo naturalista, ma gli Epicurei, a differenza degli
Stoici, provarono a spiegare la diversità delle lingue in termini di emozioni e
immagini: siccome queste ultime si presentano in forma diversa in ogni
popolazione, conseguenza ovvia è la differenziazione linguistica nel mondo.
La sistematizzazione in un corpus più strutturato venne operata dai “filologi
alessandrini” residenti ad Alessandria d’Egitto tra il III e il II sec. a.C. Dalla
necessità di tradurre i poemi omerici nacque il primo trattato di grammatica
Téchne grammatiké (cioè “Arte grammatica”), attribuito a Dionisio Trace (II
– I sec. a.C.), nel quale vengono elencate le varie parti del discorso, o meglio
della frase: nome, verbo, participio, articolo, pronome, preposizione,
avverbio, congiunzione. Il trattato rimase un punto di riferimento anche per i
grammatici latini e medievali. I più importanti grammatici greci e latini
furono: Apollonio Discolo, greco, e Donato e Prisciano, latini. Appartiene ad
Apollonio il primo trattato dedicato alla sintassi (Peri syntaxeos) ed è
considerato il primo tentativo di grammatica “ragionata”, ossia che spieghi la
motivazione delle forme linguistiche.
6
Successivamente, nel IV sec. d.C.
abbiamo le due opere di Donato: Ars Minor e Ars Maior. Esse ebbero
importanti ripercussioni sulla didattica e furono prese come modello per le
successive grammatiche. Prisciano (V-VI sec. d.C.), ispirandosi al trattato di
Apollonio, raccolse in diciotto libri le Institutiones Grammaticae, cioè una
sorta di grammatica di base dedicata anche a chi aveva una conoscenza
limitata del latino, e in cui compaiono la definizione di frase, quella di
transitività e intransitività riferita alle costruzioni, la classificazione dei verbi
in “attivi, passivi e deponenti” dove viene messo in risalto il ruolo del verbo
‘essere’, e una prima indicazione sull’ordine del nome e del pronome nella
frase (devono precedere il verbo), la quale risulterà poi fondamentale per la
teoria dell’“ordine naturale delle parole.”
7
Durante il periodo medievale, vennero elaborate diverse teorizzazioni
6
Graffi, G. 2010, Due secoli di pensiero linguistico, Roma, Carocci, pag.12.
7
ivi 2010: 40.
7
circa le variazioni linguistiche e l'origine delle parole; le posizioni più
interessanti, in ordine cronologico, furono quelle di: Boezio di Dacia (480-
524 d.C.), il quale introdusse i nuovi termini di subiectum e praedicatum;
Isidoro di Siviglia (560-636) autore di Etymologiae, un’enciclopedia
composta da venti libri avente come oggetto non solo la grammatica ma
anche legni e utensili. Isidoro si interroga anche sull’origine del linguaggio e
assegna il primato di lingua primigenia all’ebraico.
Le grammatiche dell’alto Medioevo si caratterizzavano per il fatto di
avere una ricaduta didattica, costituita dall’insegnamento del latino, il quale
veniva considerato all’epoca lingua di cultura, ma non più lingua materna del
popolo. Si colloca nel basso Medioevo il tentativo di una “grammatica
speculativa”, che culmina nell’opera dei c.d. Modisti (1250 ca - 1300),
termine che deriva da “modo”, e in questo caso sta ad indicare i modi in cui
sono organizzati il linguaggio (modi significandi), il pensiero (modi
intelligendi) e la realtà (modi essendi).
Come in Aristotele, i Modisti sostenevano che le categorie della realtà
determinassero quelle del pensiero e queste, a loro volta, le categorie del
linguaggio. Utilizzando il sistema grammaticale teorizzato da Prisciano, i
Modisti intendevano la grammatica come una scienza del linguaggio e non
come un’arte, come si può notare nelle definizioni di nome e verbo che dà
Tommaso da Erfurt.
8
Nello stesso periodo dei Modisti, la querelle riguardante la lingua
coinvolse anche il sommo poeta Dante Alighieri, nel trattato linguistico sul
volgare (De Vulgari Eloquentia) che aprirà la strada agli studi di linguistica e
dialettologia italiana, grazie alla prima classificazione dei volgari italiani e il
tentativo di catturare quell’“introvabile pantera dal respiro profumato” che
egli identificava come la “nuova lingua poetica italiana”, il cosiddetto
“volgare illustre”. Dante teorizzò, illustrando le diverse varianti del “volgare
italiano”, che il mutamento linguistico si manifestasse nello spazio e nel
tempo, e che non vi fosse un'unità linguistica nemmeno all'interno dello
stesso territorio. Intuì inoltre che la lingua volgare era uno strumento
8
Ivi 2010:47.
8
“naturale” e necessario alla semplificazione della comunicazione tra gli
uomini.
Da quel componimento emersero concetti fondamentali per lo studio
successivo – e moderno – delle lingue: la classificazione di circa quattordici
volgari appartenenti alla lingua italiana del tempo (diffusi geograficamente
lungo tutto il percorso della catena montuosa Appenninica) e la descrizione
delle lingue d'oc (parlata nelle zone a sud del fiume Loira), d'oil (utilizzata a
Nord del suddetto fiume) e del sì (corrispondente indicativamente all’area
della penisola italiana).
9
Sebbene l'illustre poeta fiorentino non si fosse
pronunciato a lungo riguardo alle varianti locali francesi, sollevò dei dubbi
circa la comparazione e la descrizione delle altre lingue del “Vecchio
Continente” e si configurò come un assoluto precursore degli studi linguistici
effettuati dai suoi posteri.
Durante l’epoca rinascimentale avranno un forte impatto le “tesi di
Wittenberg” di Martin Lutero (1517), le quali segnarono l’inizio della riforma
protestante ed ebbero come conseguenza la divisione dell’Europa in due aree,
settentrionale (riformata) e meridionale (cattolica), e soprattutto la successiva
formazione degli stati nazionali che portò alla traduzione della Bibbia nelle
lingue dei paesi che aderirono alla riforma. Ulteriore conseguenza furono i
primi “veri” tentativi di comparazione delle lingue: infatti, coloro che
credevano fosse arrivato il momento di omettere qualsiasi intermediario per
leggere i testi sacri, si adoperarono per tradurre tali scritti religiosi in quelle
che stavano per diventare le lingue ufficiali delle nazioni nascenti. Deriva
proprio da questi eventi la necessità di redigere le grammatiche delle lingue
volgari. L’invenzione della stampa, inoltre, favorì la circolazione dei testi
tradotti e il processo di diffusione normativo delle lingue nazionali. Le prime
grammatiche furono: per l’italiano la Grammatichetta Vaticana (1440), per lo
spagnolo la Gramatica de la lengua castellana (1492). Tuttavia, è dal
Cinquecento che la stesura delle grammatiche vide poi una grande diffusione
in area europea. Si ricordano, per l’italiano, le Regole grammaticali della
volgar lingua di Giovanni Francesco Fortunio (1516) e le Prose della Volgar
9
Inglese, G. (a cura di), Alighieri, D. De vulgari Eloquentia, Bur, Roma.
9
lingua di Pietro Bembo (1525) di importanza fondamentale per l’italiano
scritto dei secoli successivi; per il francese abbiamo una Illustrazione della
lingua francese e Introduzione alla lingua francese; per l’inglese, la
Grammatica anglicana; per il tedesco la Teutsch Grammatik oder
Sprachkunst, la Underricht der Hoch Teutschen Sprach e la Grammatica
germanicae linguae di J. Clajus (1578). Queste grammatiche, ispirate ai
modelli di Prisciano e Donato, furono innovative per quanto riguarda
l’articolo, che necessita di un discorso a sé, in quanto non era presente nella
lingua latina, la presenza del gerundio, di un “nome participiale infinito”, e la
separazione dell’aggettivo dal sostantivo.
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Dunque si passò dalla lingua
latina, considerata “ufficiale” per tutti i testi formali, a forme di “lingua
volgare”, e ciò avvenne grazie alla rivalutazione di queste ultime (superando
dunque il disprezzo che le contraddistingueva nei secoli precedenti). Nella
“traduzione” dal latino dei testi sacri, gli eruditi si ritrovarono – spesso
involontariamente – ad effettuare delle comparazioni necessarie tra tale
lingua, i “dialetti volgari”, e la lingua ebraica: si può forse rinvenire in questi
tentativi un primo barlume di approccio comparativo. Sempre nel
Cinquecento, si iniziò a percepire una delle impostazioni della futura
metodologia linguistica: considerare i “volgari”, in un'ottica di origine
comune, al fine di suddividerli in famiglie linguistiche. In questo ambito
furono di rilievo le figure di Giuseppe Giusto Scaligero (1540-1609) e
Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). Scaligero si occupò di stilare una
classifica delle lingue europee in base alle loro lingue madri, quattro
“maggiori” e sette “minori”, indicando le prime con le diverse parole che
esprimono il concetto di Dio: Deus (corrispondente alle lingue romanze),
Theós (facente capo al greco), Godt (coincidente con le lingue germaniche),
Boge (equivalente alle lingue slave). Egli però sosteneva che non c’erano
relazioni di parentela tra le lingue madri. Leibniz invece teorizzò una
classificazione diversa, finalizzata a dividere le lingue in due grandi specie: le
“jafetiche” e le “aramaiche”. Le prime farebbero capo a quelle lingue parlate
in Eurasia, vale a dire le lingue germaniche, il greco, il finnico, il turco ecc.;
10
Graffi, 2010:58