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1.12.4 Diagnosi indiretta
1.12.4.1 Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA)
Il test di valutazione dell’immunità umorale attualmente più utilizzato è il test
ELISA, che, grazie alla sua maggiore sensibilità e specificità, ma anche alla
semplicità di esecuzione, ha sostituito il test di fissazione del complemento, sia
in campo diagnostico che come test di riferimento per poter effettuare
l’esportazione di animali. La sensibilità del test ELISA dipende dalla fase di
malattia in cui l’animale si trova: nelle fasi precoci di infezione la sensibilità è
quasi nulla, ma può salire fino al 75% quando l'animale raggiunge lo stadio
clinico dell’infezione. Inoltre il test ha una sensibilità molto bassa in animali
giovani recentemente infettati; pertanto questo test non è attendibile per rilevare
la malattia in un’azienda dove l'infezione ha appena iniziato a diffondersi.
Permane inoltre la problematica legata ai risultati falsi positivi i quali si
presentano solitamente a seguito di reazioni crociate dovute ad altri micobatteri
(Salem et al., 2013). Per aumentare la specificità di questa metodica, molti kit
ELISA presenti in commercio prevedono il preadsorbimento dei sieri con
Mycobacterium phlei; ciò limita la possibilità di reazioni crociate con micobatteri
ambientali, migliorando notevolmente la specificità del test che risulta essere
superiore al 99%. In un allevamento infetto è possibile riscontrare la presenza
di animali positivi al test ELISA, che risultano però negativi alle colture fecali; ciò
potrebbe essere riconducibile a tre possibilità:
• animali in cui la coltura è stata inficiata da fenomeni di inquinamento;
• animali in fase iniziale di infezione, in cui l'escrezione fecale è ai limiti della
soglia di sensibilità delle colture, da cui un’apparente escrezione intermittente;
• animali sensibilizzatisi agli antigeni di MAP, ma non eliminatori.
1.12.4.2 Immunodiffusione in gel di Agar (AGID)
L’AGID è stato sviluppato come test rapido di conferma per animali con
manifestazioni cliniche di malattia (Tiwari et al. 2006). Il test ha una bassa
sensibilità nelle fasi iniziali della malattia, ma diventa più sensibile nelle fasi
avanzate di infezione. Sebbene la sua sensibilità sia inferiore a quella del test
ELISA, il suo basso costo lo rende un test molto interessante soprattutto nella
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clinica dei piccoli ruminanti ed inoltre può essere applicato in diverse specie
animali come bovini, pecore, capre e cervi (Woodbury et al. 2008).
1.12.4.3 Fissazione del Complemento (FdC)
La fissazione del complemento è stato il primo test sierologico di riferimento
utilizzato per fare diagnosi di paratubercolosi nella specie bovina. Questa
metodica ha una buona sensibilità se applicata su sieri provenienti da animali
che presentano forma clinica, ma non ha una specificità così elevata da poter
essere utilizzato in una popolazione per effettuare un piano di controllo.
Tuttavia, è spesso richiesto da parte dei Paesi che importano il bestiame.
Diversi tipi di procedure di FdC sono utilizzate a livello internazionale (OIE,
2008).
1.12.4.4 Interferon-gamma (IFN- γ)
L’IFN-γ è una citochina che viene prevalentemente rilasciata dai linfociti T dopo
stimolazione antigenica e gioca un ruolo importante nella risposta immunitaria
dell'organismo verso i micobatteri in quanto partecipa all’attivazione
macrofagica.
I test di valutazione dell’immunità cellulo-mediata (skin test e test dell'interferon-
gamma), pur manifestando una buona sensibilità qualora siano utilizzati per
fare diagnosi in un allevamento infetto, evidenziano una bassa specificità; uno
dei maggiori vantaggi che questi test offrono è legato al fatto che permettono di
evidenziare i soggetti positivi già nelle fasi subcliniche della malattia e dunque
permettono di svelare infezioni anche negli animali giovani; al contrario, dato
che gli animali in fase avanzata di infezione dimostrano spesso una reazione
scarsa o nulla ai test che rivelano la risposta cellulo-mediata, lo skin test e
l'interferon-gamma hanno una bassa sensibilità nelle fasi avanzate della
malattia, e non sono dunque correlabili all’escrezione fecale. L’utilizzo di questo
tipo di test, in particolare di quello intradermico, facile da eseguire e a basso
costo, potrebbe essere sostanzialmente quello di monitorare la diffusione
dell’agente eziologico in allevamento e quindi di formulare un giudizio sulle
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misure di ordine igienico sanitario messe in atto a protezione dei vitelli (Arrigoni,
2003).
1.12.4.5 Immunocitochimica
L’immunocitochimica è una tecnica che riveste un ruolo molto importante nella
routine del laboratorio di anatomia patologica; è in grado, infatti, di individuare
specifiche molecole o strutture del compartimento intracellulare ed
extracellulare. La tecnica immunocitochimica si basa sul principio di reazione
antigene-anticorpo, in addizione poi con sistemi di rivelazione (enzimatici,
fluorescenti) che ne rendono visibile l’avvenuta reazione al microscopio.
Esistono metodiche dirette o indirette; nelle metodiche dirette si utilizza un
unico anticorpo diretto contro la molecola da ricercare e questo stesso
anticorpo lega una sostanza colorata che ne permette la visualizzazione. Nelle
metodiche indirette si utilizzano due anticorpi: il primo diretto contro la molecola
da ricercare, il secondo, coniugato con la sostanza colorata, che andrà a legarsi
al primo anticorpo.
La molecola da ricercare nella sezione di tessuto in esame viene riconosciuta
da un anticorpo prodotto da un animale immunizzato contro quella molecola.
Nelle metodiche indirette è necessario che il secondo anticorpo provenga da
specie differenti da quella da cui è stato prodotto il primario perché altrimenti
non sarebbe riconosciuto come antigene. In queste metodiche l'anticorpo
primario diventa l'antigene che deve essere riconosciuto dall'anticorpo
secondario.
L’immunocitochimica è risultato molto efficace nell'identificare M.
paratuberculosis in tessuti di cervi interessati. Questo metodo potrebbe essere
particolarmente utile quando non vi è materiale disponibile per l'isolamento di
batteri. Inoltre i risultati sono molto rapidi, in contrasto con il lungo periodo
richiesto generalmente dai micobatteri per crescere. L’immunocitochimica
fornisce una migliore accuratezza nella diagnosi in quanto utilizza gli anticorpi
diretti contro gli antigeni solubili e insolubili di M. paratuberculosis (Hove et al.,
1998).
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1.13 PROFILASSI
1.13.1 Profilassi diretta
A causa delle perdite economiche causate dalla paratubercolosi negli
allevamenti di ovi-caprini e di bovini, in diverse aree del mondo sono stati
attivati piani di controllo dell’infezione (Olanda, Francia, Danimarca, Belgio,
Germania, Spagna, Canada e USA), ma a livello europeo non ci sono linee
guida o regolamenti comunitari.
In Italia, il Centro di Referenza Nazionale (CRN) della paratubercolosi presso la
Sezione di Piacenza dell’IZSLER, di concerto con il Ministero della Salute, ha
redatto le “Linee guida per l’adozione di piani di controllo e per l’adozione della
qualifica sanitaria nei confronti della paratubercolosi”, approvate dalla
Conferenza Stato Regioni il 17.10.2013 e pubblicate sulla G.U. 271 il 19. 11.
2013.
L’applicazione di un piano aziendale per il controllo della paratubercolosi negli
allevamenti infetti è del tutto volontario, tuttavia se adottato permette di ridurre
progressivamente la prevalenza dell’infezione. Tale obiettivo si raggiunge
attraverso l’applicazione di rigorose misure di biosicurezza e di attenta gestione
degli animali positivi, volte a ridurre il rischio di infezione attraverso la principale
modalità di trasmissione, la via oro-fecale.
Il Programma di Controllo si basa su sette azioni tra loro interdipendenti, di cui
una opzionale (Arrigoni, 2012):
1. Raccolta di informazioni sullo stato sanitario e produttivo dell’allevamento;
2. Raccolta dell’anamnesi relativa alla paratubercolosi e stima della prevalenza
di infezione;
3. Analisi del rischio per la trasmissione dell’infezione paratubercolare in
allevamento;
4. Test diagnostici;
5. Stesura del Piano di Gestione Sanitaria (PGS);
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6. Misure per ridurre il rischio di contaminazione del latte da MAP (azione
opzionale);
7. Verifica dell’attività svolta, dei risultati ed eventuale rimodulazione del PGS.
Solitamente, gli allevatori prendono in considerazione soltanto l’aumento dei
costi legati all’effettuazione dei controlli diagnostici periodici e delle procedure
gestionali di biocontenimento, escludendo così la possibilità di ottenere
maggiori benefici, conseguenti alla maggior produttività dell’allevamento, in
seguito all’adozione dei piani di controllo.
1.13.2 Profilassi indiretta
L’impiego di vaccini può costituire un utile strumento per il controllo della
paratubercolosi; è stato dimostrato che la vaccinazione ha la capacità di
diminuire significativamente, non solo l’insorgenza della malattia clinica (Larsen,
1978; Argent, 1991; Wentink et al., 1994), ma anche l’escrezione fecale e la
diffusione tissutale di MAP (Jorgensen, 1984; Sweeney, 1996; Harris, 2001). La
vaccinzione per la paratubercolosi tuttavia non previene la possibilità di
contrarre l'infezione e la sua efficacia può dipendere dall’età in cui l'animale si
infetta e l’età alla quale viene vaccinato, dalla contaminazione ambientale e dal
management aziendale. Dunque la vaccinazione non deve rappresentare in
allevamento l'unica misura di controllo della paratubercolosi, ma deve essere
affiancata alle buone pratiche di gestione dell'allevamento stesso.
Il meccanismo di protezione che viene svolto dalla vaccinazione non è ancora
del tutto chiaro; è stato dimostrato che la vaccinazione non previene l'infezione,
sebbene svolga un ruolo molto importante nella modulazione del processo
immuno-patologico che causa l’infiammazione intestinale responsabile
dell'insorgenza dei segni clinici, così che negli individui immunizzati la
progressione dell’infezione si arresta prevenendo la comparsa delle lesioni e
dei sintomi.
Tuttavia, i vaccini attualmente disponibili presentano alcuni significativi
svantaggi che ne impediscono un ampio utilizzo, come: