1
Capitolo primo
Introduzione: nascita ed evoluzione della revocazione delle sentenze della
Cassazione
1. Premesse storiche sulla revocazione (dalle origini alla codificazione del 1942).
La revocazione è un rimedio impugnatorio che trova la sua ragion d’essere
nell’insopprimibile aspirazione di giustizia
1
.
Tale rimedio ammette infatti che una decisione giurisdizionale sia messa in discussione
non nel caso in cui ricorrano meri errori di giudizio ma piuttosto qualora si sia in presenza
di determinate circostanze patologiche che siano, per l’appunto, sintomo di grave
ingiustizia
2
.
Proprio per la sussistenza di tali patologie anomale e talvolta occulte della decisione,
l’ordinamento ammette eccezionalmente che il bisogno di ottenere una decisione
sostanzialmente corretta prevalga sull’esigenza di stabilità e certezza delle decisioni
3
; e
ciò anche nel caso in cui tali principi avessero raggiunto la loro più alta manifestazione
mediante il passaggio in giudicato della decisione.
La ratio cui risponde tale istituto è pertanto quella di ottenere un esito più corretto del
giudizio da un punto di vista sostanziale. Non venendo qui in rilievo un errore di giudizio,
si spiega la ragione per cui il giudice competente a conoscere di tale impugnazione sia il
medesimo che aveva pronunciato la sentenza censurata.
La necessità di un rimedio siffatto trova le sue radici nella Roma antica repubblicana e
precisamente nel periodo che decorre dalla metà del terzo secolo a.C. a circa il 27 a.C.
Si ricordi infatti che nell’arco di tempo suddetto e dunque nell’età c.d. preclassica del
diritto romano, al ius civile si affiancò l’opera creativa del pretore volta a integrare il
diritto esistente ma soprattutto a correggerne l’eccessivo rigidismo. L’applicazione del
ius civile talvolta poteva infatti risultare iniqua se relazionata al caso concreto e pertanto
la previsione di rimedi pretori atti a integrarne gli effetti rendeva il diritto più “giusto”. È
proprio a tale finalità che venne introdotto il rimedio della restitutio in integrum il cui
primo ambito di applicazione fu quello dei negozi giuridici.
Tale strumento consisteva in un rimedio concesso dal pretore per neutralizzare l’iniqua
1
Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012 p. 305.
2
Attardi, La revocazione, Padova, 1959 p. 49.
3
Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2017 p. 617.
2
modificazione prodotta da un atto o fatto giuridico posto in essere.
A tal proposito giova ricordare che il diritto romano non conosceva la figura
dell’annullabilità e pertanto il negozio, se non risultava nullo, era perfettamente valido ed
efficace. Nel caso in cui allora la parte avesse concluso un contratto, il pretore non
avrebbe potuto eliminare gli effetti prodottisi iure civili ma avrebbe potuto concedere un
mezzo giuridico per paralizzarne l’attuazione
4
.
A fine esemplificativo si pensi alla circostanza in cui un minore di venticinque anni abbia
concluso un contratto per lui sfavorevole perché tratto in inganno dalla controparte. In
una situazione siffatta il contratto risultava valido ma, per porre rimedio a una situazione
manifestamente ingiusta, alla parte veniva concessa la restitutio in integrum e dunque un
rimedio che, come suggerisce lo stesso nomen iuris, avrebbe ripristinato la situazione
precedente alla conclusione del negozio giuridico.
L’opportunità di un tale mezzo processuale fu successivamente avvertita altresì nel caso
in cui affetta da iniquità non fosse stato un negozio giuridico bensì una sentenza.
Difatti, per neutralizzare gli effetti di decisioni giudiziali ottenute fraudolentemente
tramite per esempio l’impiego di documenti falsi o tramite un comportamento integrante
dolo generale, la restitutio in integrum fu ammessa anche con riguardo al giudicato ed è
pertanto a tale istituto che la dottrina individua l’origine della revocazione
5
.
La restitutio in integrum così configurata costituiva un remedium extraordinarium volto
alla rimozione di un atto che, seppur valido ed efficace, si trovava in contrapposizione
con la giustizia sostanziale.
È sulla scia di tale istituto che nella Francia dell’Ancien Régime venne introdotta la
proposition d’erreur, rimedio straordinario volto alla ritrattazione delle decisioni
dell’allora organo giudicante che fossero state affette da errore di fatto.
Essendo tuttavia un rimedio ampiamente abusato e comunque rimesso all’arbitrio del re,
l’ordonnance de Moulins del 1566 lo positivizzò e ne regolò la disciplina, in parte
stravolgendola
6
.
L’istituto cambiò il nomen iuris in requête civile, la cognizione dell’impugnazione fu
riservata allo stesso organo che aveva pronunciato la sentenza e la sua applicabilità fu
4
Marrone, Istituzioni di diritto romano, Palermo, 2006 p. 124.
5
Alessio, La revocazione delle sentenze civili, Napoli, 1888 p. 12, Butera, La rivocazione delle sentenze
civili, Torino, 1936 p. 5 e Bettetini, La restitutio in integrum processuale nel diritto canonico, Padova,
1994 p. 37 ss.
6
Butera, La rivocazione delle sentenze civili, Torino, 1936 p. 18.
3
prevista in casi tassativi tra i quali tuttavia non figurò più l’errore di fatto commesso dal
giudice che rappresentava il motivo di impugnazione precipuo e originario di tale rimedio.
Cristallizzata così in un atto legislativo e inserita a ogni effetto all’interno
dell’ordinamento francese, anche tale impugnazione venne interessata dall’aspirazione
colbertiana di dare una regolamentazione organica a tutto il processo civile allora vigente.
Pertanto, tramite l’ordonnance del 1667 di Luigi XIV, all’istituto venne conferita una più
completa e precisa disciplina comprensiva anche di altri motivi di impugnazione tra i
quali ricordiamo la contrarietà con precedente giudicato e la sopravvenienza di documenti
decisivi celati dalla controparte. Per impedire poi qualsivoglia tipo di abuso da parte del
ricorrente, fu esclusa la possibilità di esperire tale rimedio avverso la sentenza
pronunciatasi già sulla requête civile
7
.
Negli anni che si susseguirono, l’istituto della requête continuò a essere interessato da
trasformazioni processuali. Intento cardine di tali modifiche era impedire che tale
strumento venisse utilizzato per finalità dilatorie.
Proprio a tale scopo, l’orientamento maggioritario degli interpreti lesse l’art. 39 del
regolamento del 1738, inerente alla disciplina del supremo organo giudiziario del tempo,
il Conseil des parties, nel senso di escludere la requête civile avverso le sue decisioni
8
.
E’ dunque con l’ordonnance civile pour la réformation de la justice di Luigi XIV e le
esigue modifiche intervenute nel secolo successivo che tale impugnazione acquisisce i
caratteri essenziali della moderna revocazione.
Ormai entrata nella cultura giuridica francese, la requête venne inserita nel primo code
de procédure civile del 1806 che, insieme al codice civile “Napoleonico”, rappresentò la
massima espressione del periodo della cosiddetta codificazione moderna
9
.
Il diffondersi dei principi illuministi e l’avvertita necessità di porre fine al particolarismo
giuridico, retaggio dell’Ancien régime, condussero numerosi altri stati dell’Europa
continentale alla creazione di opere di unificazione delle fonti giuridiche
10
.
Molti furono gli stati europei che vennero influenzati dal codice napoleonico e difatti in
7
Art. 41 del titolo XXXV della Ordonnance de Louis XIV, 1667.
http://www.antropologiagiuridica.it/Ordonnancecivil.pdf
8
Consolo, La revocazione delle decisioni della Cassazione e la formazione del giudicato, Padova, 1989
p. 43-44.
9
Grossi, Code Civil: una fonte novissima per la nuova civiltà giuridica, Quaderni fiorentini per la storia
del pensiero giuridico moderno, 35, 2006, p. 83, 85.
10
Zimmermann, Codification: The Civilian Experience Reconsidered on the Eve of a Common European
Sales Law in European Review of Contract Law vol. 8 n° 4, 2012 p. 367, 376.
4
essi la requête civile venne introdotta con una disciplina analoga a quella francese e in
alcuni casi addirittura identica. Citiamo a tal proposito il Belgio dei primi anni del 1800
che applicò l’intera disciplina francese e la Svizzera, la Romania e i Paesi Bassi che
introdussero una disciplina assimilabile
11
.
L’impero germanico al contrario non subì la grande influenza del codice napoleonico.
Invero, esso fu promotore di un filone autonomo rispetto a quello francese e che
rappresentò, insieme a quest’ultimo, un modello per diversi stati europei.
Il diritto tedesco del 1800, a seguito del movimento della pandettistica, si focalizzò sul
diritto romano e da questo fu notevolmente influenzato.
Venne pertanto introdotto nel Zivilprozessordnung, il codice di procedura civile tedesco
del 1879, la Restitutionsklage (azione di restituzione), un istituto basato sull’antica
restitutio in integrum romana. Come suggerisce anche lo stesso nomen iuris dell’istituto,
la Restitutionsklage era di evidente derivazione romanistica ma la finalità e la disciplina
differivano in poche cose dalla requête civile francese.
Anche l’azione di restituzione tedesca contemplava tra i motivi di impugnazione la
sopravvenienza di documenti decisivi, la loro falsità e la contrarietà con precedente
giudicato. In più però venne ammessa altresì la possibilità di dedurre il comportamento
del giudice che integrasse violazione dei doveri di ufficio.
L’aspetto di maggiore differenziazione tra la disciplina della requête civile e quella
dell’azione di restituzione tedesca constava tuttavia nel fatto che quest’ultima fosse
esperibile anche in riferimento alle sentenze dell’organo giudicante di ultima istanza, oltre
che delle ordinanze conclusive del processo da questi pronunciate
12
.
La ragione di tale caratteristica assai peculiare ed eterogenea rispetto alla disciplina
francese è certamente da rinvenire nella struttura notevolmente differente della
Bundesgerichtshof, la Corte di Cassazione Federale tedesca.
Nel diritto francese infatti sia il Conseil des parties che la successiva Corte di Cassazione
vennero istituite con la finalità precipua di sindacare la legittimità della decisione
impugnata. Le istanze presentate a tali organi erano dunque volte ad annullare (appunto
“cassare”) la decisione che fosse stata affetta da errori sulla corretta applicazione del
diritto e dunque a eliminare dal mondo giuridico una statuizione viziata.
11
Butera, La rivocazione delle sentenze civili, Torino, 1936 p. 23 ss.
12
Consolo, La revocazione delle decisioni della Cassazione e la formazione del giudicato, Padova, 1989
p. 69-70.
5
La Bundesgerichtshof, al contrario, acquisiva dei caratteri del tutto differenti rispetto
all’omologa francese.
Il ricorso alla Corte Suprema tedesca (c.d. Revision) abbracciava infatti le caratteristiche
di un vero e proprio giudizio di terza istanza la cui cognizione della causa risultava estesa
al merito
13
. A differenza della Cour de Cassation pertanto, la Bundesgerichtshof
esercitava un ulteriore grado di giudizio la cui determinazione finale non avrebbe avuto
effetto precipuamente rescindente della sentenza impugnata bensì carattere sostitutivo.
La decisione della Corte di Cassazione tedesca così adottata risultava pertanto
sostanzialmente differente rispetto a quella pronunciata dall’organo di ultima istanza
francese poiché avrebbe statuito sulla domanda giudiziale originariamente proposta.
Essendo pertanto questi i caratteri originari della Bundesgerichtshof, si spiega la ragione
per cui le sue decisioni fossero assoggettate al rimedio straordinario della
Restitutionsklage.
Possiamo allora sostenere che tale rimedio tedesco, seppur sviluppatosi autonomamente
rispetto al filone francese, ne rappresentò in realtà un perfezionamento in ragione della
differente fisionomia attribuita alla Suprema Corte.
Nell’Italia geografica preunitaria, sia il Regno di Sicilia che quello di Sardegna conobbero
dei rimedi originari permeati da esigenze di giustizia. Fu però l’influenza del codice di
procedura civile francese che portò all’inserimento nel nostro ordinamento dell’istituto
della revocazione per come previsto oggi nei suoi elementi essenziali.
La requête civile del 1806 fu pertanto presa a modello dal Regno di Sardegna e venne
introdotta nel codice sabaudo della metà del 1800 prevedendo come unica rilevante
modifica l’inserimento del motivo di errore di fatto, escluso invece dall’ordinamento
francese.
Il codice di procedura civile del 1865 dello Stato italiano seguì le orme del codice sabaudo
e inserì tale rimedio straordinario sotto il nome di “rivocazione”.
Dato che la disciplina fu formulata sulla base di quella francese, si spiega la previsione
nel codice del 1865 di due divieti: la non impugnabilità per rivocazione delle sentenze
pronunciate in un precedente giudizio del medesimo rimedio e l’inammissibilità
dell’istituto avverso le decisioni della Cassazione.
13
Calamandrei, La Cassazione civile, I, Torino, 1920 p. 610.
6
La disciplina successiva all’introduzione del codice del 1942, adottato con il regio decreto
n. 1443/1940, confermò i due divieti inerenti all’istituto ormai rubricato sotto il nome di
“revocazione”. Il primo venne codificato all’art. 403 c.p.c. e il secondo, seppur non
espressamente previsto in una norma di diritto positivo, venne ritenuto implicitamente ma
univocamente sussistente
14
data la lettera dell’art. 395 c.p.c. che ammette tale
impugnazione esclusivamente avverso le sentenze pronunciate in grado di appello o in
unico grado.
La disciplina vide poi un ampliamento dei motivi che consentono l’esperibilità di tale
rimedio. La revocazione ex art. 395 c.p.c. oggi vigente è ammessa in sei casi tassativi che
rappresentano la sintesi dei diversi motivi che nel corso dell’evoluzione storica
giustificavano il rimedio mirato a esigenze di giustizia.
Due dei sei motivi infatti figuravano già nella restitutio in intergum romana: il dolo della
parte e la falsità di prove o documenti. Ulteriori tre motivi erano invece previsti dalla
requête civile o dal codice tedesco quali la sopravvenienza di documenti decisivi, la
contrarietà con precedente giudicato e il dolo del giudice, motivo di evidente derivazione
tedesca. Infine, il sesto motivo previsto è l’errore di fatto, introdotto in un primo momento
nell’ordinamento francese e poi abbandonato.
La natura eterogenea di tali motivi comporta la compresenza in tale articolo di due
differenti impugnazioni revocatorie: la revocazione ordinaria e la revocazione
straordinaria
15
.
Alla prima appartengono i motivi integranti errore di fatto e contrarietà con precedente
giudicato (nn. 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.) che si configurano come vizi palesi e
immediatamente percepibili dalla parte soccombente. La proposizione di tale
impugnazione va pertanto eseguita entro termini certi decorrenti dalla pubblicazione o
notificazione della sentenza e impedisce il passaggio in giudicato della decisione.
Alla revocazione straordinaria invece appartengono i restanti motivi (nn. 1, 2, 3 e 6) che,
deducendo vizi occulti della decisione, implicano l’incertezza del dies a quo. Ciò spiega
perché il termine entro il quale proporre tale impugnazione decorre dalla scoperta del dolo
o della falsità ovvero dal reperimento del documento decisivo. Per tale ragione tale
impugnazione potrà essere proposta anche allorché la sentenza sia passata in giudicato.
14
Attardi, La revocazione, Padova, 1959 p. 227 e Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano,
II, Roma, 1951 p. 550.
15
De Stefano, La revocazione, Milano, 1957 p.4.
7
Notiamo quindi che l’idea originaria della revocazione quale rimedio “permeato” da un
vero e proprio “comandamento di giustizia”
16
identifica soprattutto la revocazione
cosiddetta straordinaria.
Preme inoltre fin da ora rilevare che, in riferimento alla struttura del giudizio revocatorio,
la distinzione sulla natura dei motivi è stata ampiamente oggetto di studio da parte della
dottrina.
A questo riguardo ci si è infatti chiesti se tali vizi comportino l’apertura di un
procedimento bifasico costituito in un primo momento da un iudicium rescindens
finalizzato alla caducazione della decisione impugnata e successivamente da una fase
rescissoria di riapertura del giudizio avente lo scopo di adottare una nuova pronuncia
ovvero comportino l’apertura di un giudizio che sfocerà esclusivamente in una sentenza
sostitutiva di quella impugnata senza una previa caducazione di quest’ultima
17
.
La questione può sembrare meramente astratta ma ha in realtà delle importanti ricadute
pratiche. Se infatti è indubbio che, sussistendone i presupposti, alla fine del giudizio
revocatorio la prima sentenza sarà annullata e un’altra prenderà il suo posto, il problema
si pone nel caso in cui il processo si estingua nel frangente tra la riconosciuta esistenza
del motivo revocatorio della sentenza revocanda e la nuova decisione. L’adesione alla
tesi secondo cui la revocazione abbia natura rescindente comporterà in tal caso
l’estinzione dell’intero processo; l’adesione alla tesi sostitutiva comporterà invece il
passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Sulla scorta della eterogenea natura dei motivi revocatori dettati dall’art. 395 c.p.c., alcuni
studiosi propongono infine una costruzione mista che qualifica la struttura della
revocazione in relazione al tipo di vizio che si censura
18
. Precisamente tale dottrina ha
individuato una struttura sostitutiva nel caso di impugnazione ai sensi dei numeri 4 e 5
dell’art. 395 c.p.c. e una struttura bifasica nel caso di revocazione per i restanti motivi.
Questa discrasia di disciplina è stata appunto giustificata sul presupposto che l’errore di
fatto e il contrasto con precedente giudicato, trattandosi di patologie immediatamente
percepibili, si qualificano come motivi tipicamente restitutori di una chance di vittoria e
dunque precipuamente volti a ottenere una decisione differente da quella
16
Così la Corte cost., 30 gennaio 1986, n. 17 in riferimento alla revocazione.
17
Russo, Revocazione in Commentario del codice di procedura civile a cura di Chiarloni, Torino, 2018 p.
186 ss.
18
Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2017 p. 622 e Betti, Diritto processuale
civile italiano, Roma, 1936 p. 644 ss.
8
precedentemente adottata
19
. I vizi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c. invece,
risultando censurabili anche successivamente al passaggio in giudicato della decisione, si
qualificano come veri e propri motivi-vizi finalizzati innanzitutto a eliminare la
determinazione che ne sia risultata affetta con la possibilità di una successiva fase
rescissoria di riapertura del giudizio.
Questa tesi non ha trovato tuttavia il favore della dottrina maggioritaria.
È stato infatti sostenuto
20
che, ai fini della soluzione del quesito, non ha alcun peso la
distinzione tra revocazione ordinaria e straordinaria a cui l’eterogenea natura dei vizi
deducibili conduce bensì ciò che rileva è unicamente come qualificare la totalità dei
motivi dettati dall’art. 395 c.p.c. Se infatti questi venissero definiti come elementi
costituitivi di una impugnazione finalizzata all’ottenimento di una statuizione sulla
domanda di prime cure, la struttura del giudizio in esame non potrebbe che acquisire
struttura sostitutiva; nel caso in cui invece i motivi previsti dalla norma generale in tema
di revocazione venissero qualificati come vizi della decisione impugnata di cui si chiede
l’annullamento, la struttura del giudizio avrebbe natura rescindente e quindi
necessariamente bifasica, transitando dapprima per la caducazione della sentenza a
seguito del riscontro del vizio.
Escluso dunque che l’eterogeneità dei motivi revocatori abbia una qualche rilevanza per
la definizione della struttura revocatoria, la tesi “mista” non è da accogliere.
L’alternativa tra tesi rescindente e sostitutiva tuttavia permane e in ragione della chiara
formulazione del secondo comma dell’art. 402 c.p.c., il dibattito può dirsi definitivamente
risolto. Tale disposizione infatti, nell’affermare che la revocazione venga intanto
pronunciata nell’attesa di una statuizione nel merito, scorge nei motivi revocatori dei veri
e propri vizi della decisione censurata e pertanto crea un argomento testuale forte a favore
della tesi rescindente
21
.
19
In questi termini Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova 2008 p. 311.
20
Attardi, La revocazione, Padova, 1959 p. 72 nota 42 bis.
21
Il comma menzionato, statuendo che il giudice adito pronunci intanto la revocazione, confuta la tesi
sostitutiva che forzatamente scorge in tale disposizione una scissione tra vaglio di mera ammissibilità
della revocazione e successiva pronuncia sostitutiva. Sebbene infatti si sia sostenuto (Cerino-Canova, Le
impugnazioni civili, Padova, 1973 p. 492 ss., 636 e 651 ) che la pronuncia che accerta la sussistenza del
vizio sia integrata dalla successiva decisione nel merito, con conseguente rilievo che l’impugnazione sia
finalizzata proprio a quest’ultima, la stessa dottrina afferma che l’art. 402 c.p.c. sembra suggerire una
diversa lettura (Cerino-Canova, Le impugnazioni civili, Padova, 1973 p. 496) avallata dalla maggioranza
degli interpreti: Fazzalari, Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1994 p. 152; Mandrioli-Carratta,
Diritto processuale civile, II, Torino, 2017 p. 644; Russo, La revocazione in Tedoldi, Le impugnazioni
9
Come già sopra accennato, il codice del 1942 non si discostò dalla disciplina del codice
previgente e introdusse il divieto di esperire la revocazione avverso una sentenza che
definisce il medesimo rimedio.
L’origine storica di tale esclusione è da rinvenire nell’ordonnance de Blois
22
del 1579
che, insieme alla già citata ordinanza di Moulins del 1566, si prefiggeva lo scopo di
eliminare ogni abuso di tale istituto. Il divieto in discorso fu poi sempre riprodotto nelle
leggi posteriori e da queste ha poi attinto il nostro legislatore per la formulazione dell’art.
403 c.p.c.
La ratio di tale criticabile previsione viene fornita dalla Corte di Cassazione italiana nella
sua composizione più autorevole la quale statuisce che tale disposizione è volta a
<<evitare che la definizione di una lite sia oggetto di ripetute contestazioni che
impediscono la formazione di una statuizione idonea a concludere definitivamente la
controversia>>
23
.
Si tratta di una conclusione dettata dalla necessità di salvaguardare la certezza del
giudicato e pertanto in linea con quanto il guardasigilli Pisanelli affermò nella relazione
sul progetto del codice italiano del 1865
24
al fine di giustificare la medesima prescrizione
in esso contenuta.
Una disposizione di questo tipo tuttavia non ha mancato di attirare critiche da parte della
dottrina
25
la quale ha rilevato come risultasse poco convincente prevedere una limitazione
siffatta in relazione alla revocazione quale rimedio volto all’eliminazione di una grave
ingiustizia anche a discapito della stabilità delle decisioni.
Già all’indomani del vecchio codice di procedura civile inoltre
26
, è stato a questo riguardo
civili, Bologna, 2019 p. 1068; Formica - Peruzzu, Giudizio di revocazione: maggiori certezze e uniformità
di tutela in Il Fisco, 2016, 2, 132 135. In giurisprudenza si guardi: Cass. sez. II, sent. 21 dicembre 1999,
n. 14370, Cass. sez. lav., sent. 15 febbraio 2001, n. 2181 in Foro it. 2001, I, 2260 ss., Cass. sent. 25
maggio 2011 n. 11451, Cass. sent. 7 dicembre 2010 n. 24800 e Cass. sez. III sent. 4 novembre 2014 n.
23445.
22
Butera, La rivocazione delle sentenze civili, Torino, 1936 p.19.
23
Così la Cassazione civile, Sez. Unite, sent. 20 aprile 2004 n. 7584.
24
Pisanelli, nella relazione sul progetto del codice italiano, affermò infatti che <<importa che le liti
abbiano un termine; è necessario di assicurare l’autorità del giudicato da ulteriori attacchi, e garantire
lo stesso giudicato da un mezzo di annullamento identico a quello che diede luogo al giudizio in cui esso
fu proferito>>. Tale affermazione è riportata da Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano,
IV, Torino, 1933 p. 863 in nota 3.
25
Satta – Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 2000 p. 549 – 550; Rocco, Trattato di diritto
processuale civile, III, Torino, 1957 p. 422; Carullo, La revocazione nel processo amministrativo,
Padova, 1978 p. 184.
26
Alessio, La revocazione delle sentenze civili, Napoli, 1888 p. 103 ss.
10
sostenuto che è ben possibile che, nel corso di un giudizio revocatorio, la parte usufruisca
ad esempio di un documento falso al fine di ottenere una decisione per sé favorevole.
Nella circostanza in cui una tale pronuncia, in ragione della natura occulta del vizio, non
fosse contestata con gli ordinari mezzi di impugnazione e passasse pertanto in cosa
giudicata, non vi sarebbe alcuna ragione di impedire che una tale decisione rimanga in
essere pur essendo ingiusta. Un risultato di questo tipo, imposto dall’odierna
formulazione del primo comma dell’art. 403 c.p.c., lederebbe gravemente il diritto di
difesa costituzionalmente garantito e risulta allora opportuno un intervento del legislatore
o della Corte costituzionale
27
.
Ulteriore rilievo concerne poi l’art. 395 c.p.c. che prevede il rimedio della revocazione
esclusivamente avverso le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado,
siano esse di merito che di rito
28
.
Dalla lettera di tale articolo si ricava la non impugnabilità per revocazione delle sentenze
di primo grado appellabili. La ragione di tale esclusione è a dir poco ovvia: essendo
l’appello un rimedio a critica libera, ben si potrebbero dedurre in tale sede gli stessi vizi
tassativi previsti per la revocazione
29
.
Continuando con una lettura a contrario della norma dovremmo ricavare altresì la non
impugnabilità di tutti quei provvedimenti che non abbiano la forma della sentenza.
Tuttavia, l’ambito oggettivo della revocazione non si esaurisce in tal senso.
Per ottenere una panoramica più completa dei provvedimenti impugnabili con tale
rimedio bisogna infatti volgere lo sguardo alle disposizioni ad hoc previste in merito ai
procedimenti speciali e alla giurisprudenza ormai consolidata.
Sotto un primo profilo risultano revocabili le sentenze rese dal giudice di pace secondo
equità ai sensi dell’art. 113 comma secondo c.p.c.
30
e le sentenze emesse dallo stesso
organo a seguito di opposizione a sanzione amministrativa, la cui impugnabilità è però
limitata alla revocazione c.d. straordinaria
31
. Sempre deducendo i medesimi motivi è poi
revocabile il lodo rituale ai sensi dell’art. 831 c.p.c. e l’ordinanza definitiva del
27
Cipriani, Sull’impugnazione della sentenza di revocazione in Foro it., 2002 I, I, 1206, 1210, nota alla
sentenza App. Bari sentenza 29 ottobre 2001.
28
Attardi, La revocazione, Padova, 1959 p. 218.
29
Così la Cassazione civile, sez. I, sent. 21 dicembre 1999 n. 14359.
30
Così la Cassazione civile, sez. II, sent. 8 giugno 2007 n. 13433.
31
Onniboni sub Art. 395, in Codice di procedura civile commentato diretto da Claudio Consolo, tomo II,
V ed. Assago, 2013, p. 1269.
11
procedimento sommario, non appellata ex articolo 702 quater c.p.c.
32
.
Assoggettabili a tale rimedio sono poi il decreto che rende esecutivo lo stato passivo
33
e
la sentenza dichiarativa di fallimento per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395
c.p.c.
34
.
Il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo è poi revocabile per quattro dei sei motivi previsti
dall’art. 395 c.p.c. tanto nel caso in cui l’esecutività del decreto sia derivata da mancata
opposizione o costituzione dell'opponente quanto nel caso in cui questa sia derivata
dall’estinzione del procedimento di opposizione
35
.
L’ampliamento della gamma degli atti revocabili è stato inoltre determinato da due
pronunce della Corte costituzionale
36
che, statuendo sulla legittimità dell’art. 395 c.p.c.,
hanno esteso l’impugnazione in esame altresì ai provvedimenti adottabili in tema di
locazione.
Da un lato è stata ammessa la revocazione per i provvedimenti di convalida di sfratto per
morosità sia nel caso di errore di fatto che nel caso di dolo di una delle parti in danno alla
controparte; dall’altro è stata garantita la revocabilità per errore di fatto altresì dei
provvedimenti di convalida di sfratto o intimazione di licenza per finita locazione che
siano stati emessi in assenza o per mancata opposizione dell'intimato. Si tratta delle
fattispecie concrete sottoposte alla Corte Costituzionale e in riferimento alle quali essa,
in ragione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ha potuto
determinarsi.
Nell’ambito delle giurisdizioni speciali risultano poi revocabili le decisioni dei tribunali
amministrativi regionali (c.d. TAR) e quelle del Consiglio di Stato
37
, le sentenze
pronunciate nell’ambito della giustizia contabile ai sensi degli articoli 202 e seguenti del
decreto legislativo n. 174 del 2016 e le decisioni delle Commissioni Tributarie per i motivi
di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c.
38
32
Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2017 p. 620.
33
In riferimento a tale atto, la revocazione è espressamente ammessa dall’art. 98 del Regio Decreto del 16
marzo 1942, n. 267 (c.d. Legge Fallimentare) il quale afferma che tale impugnazione è esperibile “se si
scopre che essi sono stati determinati da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata
conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile”
34
Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, p. 114 e Vassalli, Diritto fallimentare,
I, Torino, 1994, p. 148 - 149.
35
Cass. sez. I, sent. 27 gennaio 1977 n. 411.
36
Corte costituzionale sentenza n. 558 del 1989 e Corte costituzionale sentenza n. 51 del 1995
37
Articoli 106 e 106 del decreto legislativo n. 104 del 2010.
38
Così l’articolo 64 del decreto legislativo n. 546 del 1992 per come modificato dall’articolo 9, comma