è possibile delimitarla in un campo ben definito.
2
C'è da chiedersi, allora, perchè la critica ha sovente trascurato questo aspetto del pensiero di Mer-
leau-Ponty che ricopre, in realtà, nella sua opera un posto di grande rilevanza. Senza addentrarmi in
questo argomento, vorrei sottolineare un altro tema cruciale del mio lavoro: perché Merleau-Ponty
ha scelto di parlare di pittura e soprattutto di Cézanne?
Merleau-Ponty espone ne L'elogio della filosofia, la lezione inaugurale tenuta al Collegio di Francia
il 15 Gennaio 1953, la definizione di filosofia come espressione
3
, la quale necessita di tre condizio-
ni: che ci sia un soggetto che esprima, che ci sia un senso da esprimere e che ci sia qualcuno a cui
esprimere il senso. E continuando afferma: "La filosofia è sempre, e pienamente, nella storia, ed
essa non è mai indipendente dal discorso storico. Ma essa sostituisce per principio al simbolismo
tacito della vita un simbolismo cosciente, e al senso latente un senso manifesto"(EP, 74). Merleau-
Ponty sembra qui accennare a quelle che a suo modo di vedere sono le caratteristiche essenziali del-
la filosofia e dell'espressione: la prassi; la teologia; il simbolismo; l'intersoggettività.
4
Ritengo, con Merleau-Ponty, che sul terreno comune della teoria della espressione sia possibile un
reale confronto fra filosofia e arte e che da questo confronto sia possibile individuare non solo ciò
che le accomuna, ma anche le peculiarità dell'una rispetto a quelle dell'altra.
In questo continuo confronto fra espressione artistica e filosofia Merleau-Ponty sembrerebbe porre
in alcuni passi, come in quello appena citato, la filosofia, pur rimanendo molto affine all'arte, in una
posizione di superiorità rispetto all'arte, perchè trasformerebbe il "simbolismo tacito" in "simboli-
smo cosciente" e giungerebbe a un significato consapevole, condizione non essenziale alle altre
forme espressive.
Anche sul piano ontologico la filosofia rispetto all'arte sembrerebbe avere la funzione peculiare di
"riconquista dell'essere grezzo o selvaggio" (VI, 122), che l'arte riuscirebbe solo a mostrare, anche
se in modo più pregnante.
5
Ma, nello stesso tempo, Merleau-Ponty ritorna spesso sull'arte e sovente la paragona in modo pari-
tario alla filosofia.
A questo proposito mi pare poco condivisibile la tesi di S. Zecchi, che in una interessante relazione
presentata durante il convegno su Merleau-Ponty tenutosi a Roma nel 1988, scrive che: "...l'opera di
Cézanne rappresenta per Merleau-Ponty un esempio in cui la totalità è data, sia dal punto di vista
Va l e r i a R u s s o
R e v e r s i b i l i t à e c h i a s m a i n M a u r i c e M e r l e a u - P o n t y
5
2
M. Carbone, Ai confini dell'esprimibile. Merleau-Ponty a partire da Cézanne e da Proust, Guerini e Associati, Milano,
1990, p. 9.
3
M-P. : "Una filosofia come quella che abbiamo delineata comprende la propria stranezza, poichè essa non è mai del
tutto nel mondo e tuttavia non è mai fuori dal mondo. L'espressione presuppone qualcuno che si esprime, una verità che
questi debba esprimere e gli altri davanti ai quali egli si esprime. Il postulato dell'espressione e della filosofia e che deb-
bano essere soddisfatte tre condizioni". (EP, 40). Vedi: Carbone, op. cit., p. 11; S. Mancini, Sempre di nuovo . Merleau-
Ponty e la dialettica della espressione, Franco Angeli, Milano, 1987, p. 314; C. Sii, Il silenzio del mondo e la parola, in
AA.VV., La prosa del mondo. Omaggio a Maurice Merleau-Ponty, atti del convegno svoltosi nei giorni 21-23 Aprile
1988 a Roma, a cura di Anne Marie Sauzeau Boetti, Quattroventi, Urbino, 1990.
4
Mancini, op. cit., p. 316.
5
Mancini, op. cit., p. 318.
della percezione, sia nella prospettiva della filosofia della storia del materialismo storico."
6
Inoltre, secondo Zecchi, Cézanne si troverebbe in un "punto di confine" tra il Romanticismo, che lo
legherebbe a una rappresentazione simbolica, e la cultura novecentesca, che lo porterebbe a "deco-
struire" il codice espressivo classico. Queste due linee sarebbero ancora in lui connesse, ma in ten-
sione fra loro, tanto che, per Zecchi, proprio in ciò consisterebbe, in realtà, il dubbio di Cézanne.
Ma Merleau-Ponty sembrerebbe ignorare questa tensione interna all'opera di Cézanne e rivolgereb-
be la sua attenzione, piuttosto, al fatto che la pittura di Cézanne rappresenterebbe, invece, l'espe-
rienza dell'originario, la totalità primitiva nel suo farsi, l'autentica percezione in quanto percezione
totale, che per Zecchi apparterrebbero alle categorie della filosofia della storia del materialismo sto-
rico.
In questo senso la pittura di Cézanne diventerebbe "una rappresentazione analogica della filosofia
di Merleau-Ponty".
7
In realtà mi sembra che il tentativo di Merleau-Ponty di ancorare il pensiero e
l'arte alla densa e inesauribile trama dell'Essere corporeo originario vada ben oltre le categorie della
filosofia della storia del materialismo storico, che pure facevano parte del suo bagaglio culturale.
Inoltre, mi sembra riduttivo considerare l'analisi merleaupontiana della pittura di Cézanne come una
descrizione in altri termini della sua filosofia, trascurando le distinzioni e le precisazioni più volte
fatte da Merleau-Ponty.
La critica di Zecchi non ha, infine, tenuto conto del peso considerevole che la riflessione sull'arte e
su Cézanne ha, in Merleau-Ponty, nel periodo ontologico, in cui la figura del pittore ritorna in primo
piano. Mi sembra che proprio questo ultimo Merleau-Ponty può suscitare oggi grande interesse e
curiosità, nonostante le lacune lasciate in conseguenza della morte improvvisa avvenuta nel maggio
1961; quelle lacune che, lasciando in sospeso molti interrogativi, conferiscono alla sua opera un ca-
rattere aperto e incompiuto, così come egli aveva concepito l'idea di filosofia.
Va l e r i a R u s s o
R e v e r s i b i l i t à e c h i a s m a i n M a u r i c e M e r l e a u - P o n t y
6
6
S. Zecchi, Il segno vivente, Cézanne visto da Merleau-Ponty, in AA.VV., La prosa del mondo. Omaggio a Maurice
Merleau-Ponty, cit. p. 73.
7
S. Zecchi, op. cit., p. 7.
PARTE PRIMA
La fenomenologia e Cézanne: l'espressione dell'originario secondo Maurice Merleau-Ponty.
1-Cézanne.
L'atélier di Paul Cézanne sorgeva sul Chemin des Lauves, un po' fuori da Aix en Provence, immerso
nella dolce e solare campagna provenzale; fu fatto costruire dal maestro nel 1901 rispettando lo stile
semplice ed elegante tipico delle case del sud della Francia. Infatti Cézanne decise di vendere l'ama-
ta tenuta seicentesca di Jas de Bouffon, acquistata dal padre durante il periodo della giovinezza del
figlio, quando la famiglia godeva di una notevole floridezza economica. Morti i genitori, Cézanne
pensò di trasferirsi in una casa nel centro di Aix, al numero 23 di rue Boulegon.
Come ogni giorno Cézanne si recava di buon'ora al suo studio e, non appena scendeva giù in strada,
dopo essersi congedato dalla signora Bremond, la sua governante, i ragazzetti che giocavano lì in-
torno cominciavano a sbeffeggiarlo e a lanciargli delle pietre. Forse l' aspetto un po' trasandato,
quasi da brigante, sembrava essere un motivo valido per tormentarlo. Ma il pittore pareva non cu-
rarsi di quelle cattiverie, mostrando una certa indifferenza.
A parte questi sgradevoli incontri, egli raramente si fermava con qualcuno,perchè preferiva non in-
dugiare lungo il tragitto: preso com'era dal suo lavoro, pensava costantemente a quello. Dopo tanti
anni passati nell'incertezza, aveva preso la grande decisione della sua vita, dedicarsi completamente
alla pittura.
Dipingere era diventato ormai un impegno quotidiano, occupava tutta la sua giornata; grazie alla
cospicua eredità paterna, la sua situazione economica non gli destava preoccupazioni e gli permet-
teva di lavorare in tutta tranquillità; inoltre, sua moglie e suo figlio, Paul, vivevano altrove, per cui
non doveva occuparsi di altri, se non di se stesso.
La pittura lo assorbiva totalmente, solo i problemi che gli provenivano da essa e che via doveva ri-
solvere erano per lui ragione di assillo e di tormento. Ma erano anche motivo di grande soddisfazio-
ne intellettuale. "La gente mi prende in giro - dirà al pittore E. Bernard - e io non riesco a sopportare
più niente e nessuno. Quel che ci vuole per me è l'isolamento, così nessuno mi pianta gli artigli
addosso". (1)
Voleva essere lasciato solo per lavorare in serenità; aveva terrore che la gente potesse aggredire e
violentare la sua intima conversazione con la natura. L'inclinazione alla solitudine del pittore di Aix
aumentò dopo alcuni avvenimenti che lasciarono sul suo animo segni duraturi: un giorno, mentre
scendeva tranquillamente le scale, un ragazzino che si lasciava scivolare sul corrimano gli diede un
calcio così violento che Cézanne rischiò di cadere. Da quella volta egli si mostrò insofferente anche
a un minimo contatto con chiunque gli si avvicinasse; nello stesso tempo con i pochi amici che pos-
sedeva era molto cordiale e generoso.
Tuttavia, anche con gli amici si mostrava ipersensibile ad ogni minimo sgarbo. Ne è prova il fatto
che la sua giovanile e intensa amicizia con Emile Zola non resse al sospetto che il grande scrittore si
fosse ispirato a lui nel descrivere il pittore fallito, protagonista del romanzo L'oeuvre.
Va l e r i a R u s s o
R e v e r s i b i l i t à e c h i a s m a i n M a u r i c e M e r l e a u - P o n t y
7
La spiccata sensibilità di Cézanne si manifestava anche in un sincero e profondo sentimento religio-
so; era un cattolico praticante e un assiduo frequentatore della cattedrale di Aix. La sua religiosità si
traduceva in una profonda ammirazione per le opere di Dio, in particolare per la natura, e soprattut-
to nel considerare il proprio lavoro quasi come una missione, un compito sacro da portare avanti
fino in fondo. Aveva ripetuto spesso che avrebbe voluto morire mentre dipingeva, come poi avven-
ne nell'ottobre del 1906. Infatti, mentre il pittore lavorava, "en plein air", nei pressi della montagna
Sainte-Victoire, fu colto da un violento temporale; svenuto e fradicio fu trasportato a casa su un car-
ro di un lavandaio. Trasgredite le raccomandazioni del medico, il giorno dopo tornò, come di con-
sueto, al lavoro; ciò non fece altro che accelerare il corso della malattia: infatti da lì a poco fu so-
praffatto da una congestione polmonare. Per questo suo carattere da misantropo e bizzarro era poco
conosciuto nel suo paese, mentre la sua fama di pittore crebbe sempre di più a Parigi a partire dagli
ultimi anni del secolo, così da diventare un punto di riferimento per i pittori della nuova generazio-
ne.
Il mattino Cézanne lo dedicava a dipingere nel suo studio soprattutto nature morte. Dopo aver di-
sposto e scelto accuratamente gli oggetti sul tavolo, spesso si trattava di mele o frutta finta perchè
quella vera sarebbe marcita troppo in fretta, Cézanne cominciava il suo lavoro vero e proprio.
Non impastava i colori sulla tavolozza, li disponeva l'uno accanto all'altro in un cerchio cromatico
che partiva dal bianco d'argento e arrivava al nero di seppia, attraversando i blu, i verdi e le lacche;
procedeva applicandoli per gradazioni di tinte, con pennellate compatte, a placche, quasi fossero
tarsie di un mosaico.
" Il modellato risulta dal rapporto esatto dei toni. Quando sono armoniosamente giustapposti e
quando ci sono tutti, allora il quadro si modella da sé". (2) Ogni pennellata doveva trovare la sua
giusta collocazione nell' insieme della composizione, per questo dipingeva lentamente, meditando a
lungo con il pennello in mano; ogni tanto interrompeva il lavoro e passeggiava in lungo e in largo
per la sua stanza. In seguito ritornava alla tela e vi aggiungeva un particolare, cui seguivano altri
ripensamenti e altre interruzioni, finchè non si sentiva soddisfatto di come il lavoro si stava svilup-
pando.
Allora si sedeva in giardino e si guardava attorno per un po', poi ritornava precipitosamente al lavo-
ro non appena gli sembrava di aver colto la soluzione del problema. Gradualmente l'oggetto attra-
verso il colore prendeva forma e volume, si modellava come una figura geometrica: " Trattare la
natura con il cilindro, la sfera, il cono, - scriveva a E. Bernard nel 1904 - il tutto situato in prospetti-
va, in modo che ogni lato di un oggetto, di un piano si dirige verso un punto centrale.
Le linee parallele all'orizzonte danno l'estensione, cioè una sensazione della natura, o se preferite,
dello spettacolo che il Pater omnipotens aeterne Deus spiega davanti ai nostri occhi. Le linee per-
pendicolari a quest'orizzonte danno la profondità. Orbene, per noi uomini, la natura è più in profon-
dità che in superficie: di qui, la necessità d'inserire nelle nostre vibrazioni di luce, rappresentate dai
rossi e dai gialli, una dose sufficiente di azzurri, per far sentire l'aria". (3)
Sono parole queste che indicano con grande chiarezza quale fosse il problema da risolvere per
Cézanne: il problema dei piani. Alla classica e rigida costruzione prospettica, egli vuole sostituire
una personale costruzione immaginata come un continuum spazio-temporale. Per questo motivo è
portato a osservare le cose da più punti di vista in modo da sottoporre l' oggetto simultaneamente a
prospettive diverse, cosicché riportato sulla tela sembra deformato, come la linea d'orizzonte, che
risulta anch'essa inclinata ed obliqua. (4)
Va l e r i a R u s s o
R e v e r s i b i l i t à e c h i a s m a i n M a u r i c e M e r l e a u - P o n t y
8
Cézanne preferiva dipingere direttamente la natura, quasi immergersi totalmente in essa. Il pome-
riggio lo dedicava interamente al motivo ricorrente nei suoi lavori, la montagna Sainte-Victoire, di-
stante alcuni chilometri dallo studio. Per osservarla da vicino era disposto a fare anche qualche sa-
crificio. Infatti quando la sua salute glielo permetteva, poiché soffriva di diabete, raggiungeva a
piedi il luogo, in cui soleva dipingere, lungo sentieri che attraversavano una vegetazione lussureg-
giante da lui molto amata e spesso per lui motivo di ispirazione.
Sosteneva in modo fermo che: " Per quanto il Louvre sia un buon libro, è assai meglio rimettersi
allo studio della natura "; (5) " Bisogna ridiventare classici mediante la natura, cioè attraverso la
sensazione " (6). Nutriva una profonda ammirazione per i Veneti, dal Veronese al Tintoretto, come
anche per Delacroix e Daumier, però riteneva più importante, anzi fondamentale, lo studio diretto
della natura. Ne era pienamente affascinato, guardava con stupore, con gli occhi di un fanciullo, la
sua montagna, come tutta la natura che lo potesse interessare. Immerso totalmente nello spettacolo
naturale di rocce, piante e fiori e nella luce mediterranea, Cézanne cercava il contatto spontaneo e
immediato con essi, ne era completamente coinvolto attraverso la sua visione che si faceva nuova
ogni volta che cambiava punto di vista. Era questo il processo che cercava di esprimere attraverso la
tela: il continuo stupirsi di fronte alla natura, il vederla ogni volta come se fosse la prima volta.
"L'arte è un'appercezione naturale. Io pongo tale appercezione nella sensazione e domando all'intel-
ligenza di organizzarla in opera". (7) Un uomo dotato di una sensibilità eccessiva, insicuro e sospet-
toso nei rapporti con gli altri, aveva rotto definitivamente con le convenzioni del suo ambiente
d'origine.
Ora si apriva senza remore alla ricerca di un modo originale di rappresentare sulla tela la sua espe-
rienza del mondo; un modo che fosse capace di esprimere le misteriose e infinite relazioni dell'indi-
viduo con le cose che lo circondano, evitando di fissarle in una qualche oggettività rigida ed estra-
nea.
Cézanne vedeva nella totalità della natura la totalità delle immagini e sensazioni che da essa gli
provenivano. Così con la sua pennellata cerca di rendere non solo il volume e la profondità degli
oggetti, ma anche la loro morbidezza, la durezza, il loro odore.
La montagna era per lui il soggetto che meglio si prestava a questa ricerca così accurata che sfocia-
va anche in uno studio attento delle caratteristiche geologiche di quel luogo, proprio perchè tutti
quegli elementi gli sembravano riunirsi attorno alla Sainte-Victoire in una visione unica, in cui la
massa plastica della montagna faceva tutt'uno con quella della vegetazione circostante.
Nello stesso tempo, insieme alla sensazione totale, Cézanne provava una grande commozione di
fronte alla natura; in quei momenti gli sembrava di arrivare a toccare l'essenza profonda delle cose e
della vita attraverso la sua arte. " Il paesaggio si umanizza, si riflette e pensa in me". (8)
Nella comunione con la natura, anche con quella più quotidiana e familiare, Cézanne ricercava la
parte più " spirituale " e più segreta e la traduceva in immagini " vive ", in cui la bellezza e la sem-
plicità erano frutto di anni di faticoso lavoro a lungo meditato e di dedizione totale ad esso.
Va l e r i a R u s s o
R e v e r s i b i l i t à e c h i a s m a i n M a u r i c e M e r l e a u - P o n t y
9